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Pietro Margini nasce a Sant’Ilario d’Enza il 5 gennaio 1917. È il terzo di quattro fratelli: Fanny, la primogenita; un maschio, sopravvissuto poche ore; ed infine Maria Teresa, la piccola di casa alla quale è legato da particolare affetto e complicità.
Già prima della nascita, davanti all’immagine della Madonna del Carmelo venerata nella chiesa del paese, viene consacrato dalla madre perché diventi sacerdote. È battezzato il 23 gennaio del 1917.
L’infanzia di Pietro, pur caratterizzata da condizioni economiche di estrema povertà, trascorre serena: viene educato dai suoi genitori alla generosità e al sacrificio perché diventi forte e disponibile, pronto ad ascoltare la voce del Signore. La testimonianza di una fede semplice e di un amore delicato e premuroso tra mamma Emilia e il papà Dante forgiano il suo cuore. Da subito gli diventa famigliare la presenza della Madonna così come la devozione al Sacro Cuore; è proprio in famiglia che apprende l’alfabeto della vita cristiana e di quelle pratiche devozionali di cui diverrà promotore durante tutto il suo ministero sacerdotale.
In questo contesto il piccolo Pietro riceverà il sacramento della Cresima il 10 novembre 1924 e si accosterà per la prima volta al sacramento dell’Eucarestia il 31 maggio 1925, solennità di Pentecoste.
Spesso il giovane Pietro trascorre le vacanze estive a Casalgrande presso lo zio don Aldo, parroco del paese. È qui che il semplice legame famigliare che intercorre tra lui e lo zio si trasforma a poco a poco in qualche cosa di più. È lo stesso don Pietro che pochi anni dopo, nel Natale del 1936, scriverà così allo zio: “Mi viene più spontanea e come un bisogno la mia preghiera riconoscente al Signore per lei che mi ha incamminato, mi ha guidato, mi ha sorretto nella mia vocazione, dall’infanzia fino ad ora. […]. Mi raccomando, reverendissimo signor Arciprete, in questi giorni particolarmente alle sue preghiere. Sento molto bisogno che si preghi per me e mi sembra che la preghiera più potente sia quella dei padri per i figli che hanno nutrito ed allevato nella via del santuario”.
Durante uno di questi soggiorni a Casalgrande, nell’estate che segna la fine delle scuole elementari, Pietro riceve una lettera dal padre Dante che gli comunica di averlo iscritto alle scuole tecniche perché in futuro possa diventare ragioniere. La risposta di Pietro è decisa: desidera frequentare il ginnasio, perché vuole diventare sacerdote.
Nell’ottobre del 1928 Pietro inizia il percorso ginnasiale nel seminario urbano di Reggio Emilia; proseguirà poi gli studi liceali a Marola ed infine ad Albinea, dove li completerà con i quattro anni di Teologia. Ad Albinea viene nominato Prefetto di una ventina di giovani seminaristi iscritti alle classi del liceo; nel 1939, il 30 luglio riceve l’ordine maggiore di suddiacono, a cui segue quello del diaconato il 23 settembre.
La drammatica situazione internazionale consiglia ai superiori del Seminario di accelerare i tempi previsti per le ordinazioni degli studenti dell’ultimo anno, perciò il 9 giugno 1940 Pietro viene ordinato sacerdote da monsignor Eduardo Brettoni, vescovo di Reggio Emilia. Il 13 giugno celebra la sua prima Messa a Casalgrande nella parrocchia dello zio don Aldo e il 16 giugno officia per la prima volta l’Eucaristia nel suo paese natale.
Nel settembre del 1940 don Pietro viene nominato Coadiutore di mons. Giuseppe Bonacini nella parrocchia dei Santi Quirino e Michele di Correggio, dove giunge il 7 ottobre dello stesso anno. Gli viene affidata la direzione dell’oratorio maschile e del gruppo degli Aspiranti e, contemporaneamente, riceve l’incarico dell’insegnamento della religione nella Scuola Media Statale e nell’Istituto Tecnico Inferiore di Correggio. Inizia così la sua opera pastorale in mezzo ai giovani: il suo tempo, di giorno, è tutto dedicato ai suoi ragazzi; di notte, all’aggiornamento, alla lettura e alla preghiera.
Il cortile della “canonica vecchia”, l'altare ed il confessionale diventano i punti di riferimento per tutti.
La delicata costituzione fisica ne risente: nonostante i segnali d‘allarme, si trascura. Nel dicembre del 1941 è costretto al ricovero in ospedale a causa di una pleurite. Ma un’ulteriore preoccupazione lo affligge ancor di più: anche il papà Dante è gravemente ammalato e il 21 marzo del 1942 muore. Don Pietro desidera mantenere unita la famiglia: nel dicembre dello stesso anno, viene pertanto raggiunto a Correggio da mamma Emilia e dalla sorella Maria Teresa che vanno ad abitare con lui nella “canonica vecchia” vicino alla chiesa di san Quirino.La sua salute è sempre più cagionevole: nell’inverno tra il 1943 e il 1944 si ammala di nuovo molto gravemente; viene ricoverato presso l’ospedale san Sebastiano di Correggio ma i medici disperano di salvarlo, tanto che la sera del 20 febbraio 1944 affermano che il giovane prete non supererà la notte. Dirà molti anni più tardi: “Quel che è passato in quella notte solo il Signore lo sa..., ma è passata la Madonna”. Il 14 agosto viene dimesso dall’ospedale e comincia una lunghissima convalescenza. Dopo quasi due anni don Pietro può riprendere finalmente la sua attività pastorale.
Dall’ottobre 1946 accetta l‘incarico di Assistente dei due rami, maschile e femminile, dell’Azione Cattolica di Correggio e, l’anno successivo, anche quello dell‘insegnamento della religione nel Liceo Classico locale “Rinaldo Corso”. Nello stesso anno gli viene affidato il rettorato della chiesa di “San Francesco” a Correggio e lì si trasferisce con la sorella e la madre.
Intrattiene rapporti molto intensi con il centro diocesano di Azione Cattolica, mentre il nuovo vescovo Beniamino Socche lo coinvolge nella formazione spirituale dei seminaristi e del clero attraverso la predicazione di esercizi e ritiri spirituali. Dagli appunti preparatori emerge tutto l’entusiasmo e la consapevolezza della grandezza della vocazione sacerdotale; scriverà: “Fra poco tempo sarete sacerdoti: è detto tutto. […]. Vi darà tra poco i suoi poteri, i suoi tesori: le anime. Lasciate che vi faccia Lui anche nei sentimenti, nelle virtù. Scomparite: è la parola d’ordine. Il mondo non ha bisogno di uomini pur bravi onesti o dotti, il mondo ha bisogno di Lui. […]. Per essere strumento capace di darlo, di diffonderlo, di farlo irradiare, bisogna vivere con Lui una vita intima, cuore a cuore. […]. Più sarete generosi, più Gesù Cristo avrà la libertà di agire in voi e per conseguenza di rendervi santi e seminatori di santità. […].
Noi chiamati per elezione e per vocazione alla santità. È necessario divenire santi. È grazia divenire santi. È bello divenire santi.
Inutile la nostra vita se non lo diventiamo. Dannosa anzi. […].
C’è un imperativo categorico: la santità.
Tutti chiedono santità, il mondo non vuole altro da noi. Bisogna che ci lanciamo nella santità. A tutti i costi, ad ogni condizione. […] una moltitudine di anime ve lo domandano: i bimbi che già vi aspettano, i giovani. Ci sono parrocchie che attendono un prete santo, anime che si salveranno dall’inferno se diventerete santi, vocazioni e perfezioni che fioriranno. […] Fatevi santi. Altrimenti sciupereste la grazia insigne della vostra Ordinazione”.
La passione fortissima di formare uomini cristiani lo porta nel 1948 ad essere promotore e fondatore dell’Istituto Magistrale “San Tomaso d'Aquino”, di cui viene nominato vicepreside e in cui è presente anche come insegnante di religione, proseguendo in quella feconda collaborazione con le terziarie del Cenacolo Domenicano responsabili del Conservatorio “Contarelli” di cui era diventato direttore spirituale nel settembre del 1942.
E così, attraverso la vita di oratorio e particolarmente attraverso l’insegnamento nella scuola, don Pietro entra in contatto con la maggioranza della gioventù correggese.
Inizia con i giovani un lavoro apostolico innovativo, avvicinandoli alla preghiera, all’Eucaristia, al sacramento della Riconciliazione. Don Pietro incontra i gruppi di Azione Cattolica con regolarità. Le “adunanze” sono momenti forti di formazione: si parla, si discute, ci si confronta per acquisire una visione della vita e della fede senza ombre, per essere cristiani veri, testimoni nella vita di ogni giorno. Spesso si intrattiene nel dialogo con i ragazzi fin dopo la mezzanotte, ma soprattutto dona il suo tempo per ascoltare e avvicinare le anime al Signore attraverso la direzione spirituale e l’esperienza degli esercizi spirituali.
I giovani si accorgono che c’è qualcosa di diverso in questo sacerdote, qualcosa che fa vibrare le corde più profonde del cuore. Don Pietro esercita un fascino straordinario su ciascuna anima, perché è il fascino dell’amore gratuito ed incondizionato. Ognuno si sente unico, speciale, il prediletto e, proprio per questo, pronto per imprese ardue e difficili. Don Pietro lo sa e non esita ad additare un Cristianesimo senza compromessi, uno stile caratterizzato da una vita sacramentale assidua ed autentica.
A partire dalla lettura e dalla meditazione dell’enciclica Mystici Corporis Christi di Pio XII e dalla riflessione su alcune esigenze di tipo pastorale, don Pietro verso la metà degli anni ’50 propone ai suoi giovani un ideale di una vita vissuta nella “misura alta”, che si ispiri a quello delle comunità dei primi cristiani. Nel 1957, a Correggio, nasce così la prima piccola comunità, costituita da coppie di fidanzati che presto saranno sposi.
Nel 1957 uno dei suoi giovani coglie nelle parole di don Pietro un’intuizione speciale, una proposta nuova, maturata a partire dalla lettura e dalla meditazione dell’enciclica Mystici Corporis Christi di Pio XII e dalla riflessione su alcune esigenze di tipo pastorale: la necessità di un ritorno alle origini per vivere il Cristianesimo come le prime comunità dei cristiani, nell’ideale delle Beatitudini. È un invito che rivolge ai suoi giovani, alle coppie che si stanno formando e che costituiranno future famiglie; un invito a non chiudersi in se stesse, a porre nell'amicizia la garanzia e la tutela della propria fedeltà a Cristo.
Nasce così la prima piccola comunità di famiglie. Iniziano mesi di intenso ed entusiasmante lavoro.
Poi, all’improvviso, la prova. Il suo vescovo, Beniamino Socche, lo sollecita a partecipare al concorso indetto per il posto divenuto vacante nella parrocchia di Sant’Eulalia nel suo paese natale.
Nell’obbedienza accetta questa imprevista richiesta. Nel luglio del 1960 vince il concorso e diventa così il nuovo pastore di Sant’Ilario.
I giovani di Correggio lo accompagnano nel suo ingresso nella nuova Parrocchia: è il 28 agosto 1960.
Le parole profetiche del vescovo Beniamino Socche lo introducono nel nuovo ministero: “Deo gratias et Mariae! Sant’Ilario ha il suo nuovo Pastore che viene esuberante di vita apostolica e sacerdotale. Egli è l’apostolo in prevalenza dei giovani: è l’apostolo che non conosce requie nel suo lavoro pastorale e che sa usare anche del minuto prezioso per spenderlo per le anime.
Lo vedrete, cari figlioli e figliole di Sant’Ilario, assorbito il Vostro novello Arciprete dalla sollecitudine di rispondere ai bisogni ed alle istanze della vostra bella e grande Parrocchia.
Lo vedrete nella cura diretta delle anime vostre nella vita parrocchiale, nella quotidiana azione del Sacerdote all’altare, sul pergamo, nel Confessionale, nell’insegnamento, fra la gioventù, al letto degli ammalati, nei colloqui personali. Specialmente voi giovani troverete nel vostro novello Arciprete un grande cuore, tutto aperto a comprendervi, ad amarvi. […].
Ma noi sappiamo cosa vogliono dire queste parole. Costano notti insonni, serate continue, senza interruzione alcuna, di conversazione ed adunanze spirituali, profonde coi giovani; costano un’assiduità costante e paziente al Confessionale in tutte le ore del giorno; costano la vita tutta ed intera di un Sacerdote che ha saputo rinunciare a qualunque svago, alla televisione, alle gite, ai viaggi, alle visite inutili e persino ai pellegrinaggi e ad ogni proprio e particolare interesse per essere tutto e sempre per i suoi giovani.O figli di Sant’Ilario, conoscerete un giorno la predilezione che il Signore Gesù ha avuto per voi con il darvi questo novello Pastore”.
Ora si tratta di riorganizzare tutto, di ricominciare da capo. A fianco di don Pietro ci sono la madre e la sorella Maria Teresa con il marito Enzo, trasferiti da Sanremo.
Timidamente cominciano ad accostarsi a lui nuovi collaboratori; i giovani, tuttavia, sono pochi… Ma il cuore e la passione per le anime, che aveva manifestato a Correggio, a poco a poco conquistano i giovani che iniziano a frequentare i momenti di formazione, si accostano al confessionale, partono per le prime vacanze insieme.
È l’inizio di una nuova e feconda stagione pastorale a servizio dell’intera popolazione santilariese. Don Pietro infatti non esita già nel 1961 ad offrire gratuitamente i locali della “Casa della Dottrina Cristiana” sia per fare partire l’esperienza della scuola media statale (di cui il Comune di Sant’Ilario era ancora sprovvisto), sia per accogliere i bambini nel pomeriggio con un servizio di doposcuola.
Nell’estate del 1962 propone il primo campeggio per ragazze a Entrèves, con un altro gruppo parrocchiale di Casale Monferrato. Poi l’esperienza dei campeggi viene estesa anche al settore maschile, si renderà autonoma e si configurerà sempre più come momento centrale dell’anno in cui maturare nelle doti umane, crescere nella comunione di amicizia e nella vita di fede. Sant’Apollonia (BS), Sachet (BL), Gosaldo (BL), Teveno (BG), Morge (AO) sono i luoghi montani che vedono fiorire i gruppi giovanili.
Il 21 novembre 1964 muore mamma Emilia. Per don Pietro è una sofferenza grande, sostenuta dalla certezza della vita eterna. Nel registro parrocchiale dei defunti scriverà: “Christus te, in luce, mater mea fortis et suavissima. Beatae Mariae Virgini de Carmelo me puerum consecrasti ab initio ut sacerdos fierem et longo labore complevisti”.
Sono gli anni del Concilio Vaticano II: don Pietro aveva condiviso la passione che accompagnava quella stagione ecclesiale, con sapiente discernimento ne studia profondamente le istanze e i documenti che ispirano il suo nuovo ministero.
Alcune coppie di Correggio, che nel frattempo sono diventate famiglie ed hanno costituito altre piccole comunità di famiglie, avvertono la chiamata a condividere con lui il percorso già iniziato: dal 1966, scelgono di stabilire la loro abitazione a Sant’Ilario d’Enza. Sotto la sua guida, diventano protagoniste a partire dai primi anni ’70 delle catechesi battesimali per tutti i genitori, e di quelle matrimoniali rivolte alle coppie che desiderano sposarsi.
Meraviglia, stupore, ilarità caratterizzeranno questi anni. La comunità parrocchiale si interroga e comincia ad intuire l’idea rivoluzionaria del suo parroco: sacerdote e famiglie, uniti dallo stesso ideale in un rapporto di collaborazione piena, si dedicano all’edificazione del Regno di Dio anche attraverso un reciproco aiuto. Le famiglie, infatti, partecipano assieme ai sacerdoti alla missione di tutta la Chiesa e i sacerdoti collaborano con le famiglie per la crescita umana e cristiana degli sposi e dei loro figli.
L’esempio delle piccole comunità di Correggio è contagioso: nuovi giovani santilariesi intraprendono a loro volta questa esperienza.
Nell’ottobre del 1974 all’interno del Consiglio Pastorale vengono individuati i campi di apostolato e istituite dodici Commissioni specifiche per raggiungere tutta la realtà santilariese. La vita parrocchiale si anima con il catechismo per i bambini e con gli incontri formativi per i giovani e per gli adulti, ed è sostenuta da un’intensa vita liturgica, cadenzata da ritiri mensili ed esercizi spirituali annuali.
Protagonisti di questa avventura sono particolarmente i giovani e le piccole comunità di famiglie. Don Pietro affida loro responsabilità in molti settori delle attività pastorali. C’è chi collabora come educatore o catechista, chi come allenatore sportivo, chi come cuoco, chi come economo; in tanti aprono le proprie case per consentire ai giovani di incontrarsi in una dimensione domestica e familiare nella quale confrontarsi crescendo nell’amicizia. Il 19 giugno 1977 il Vescovo Gilberto Baroni inaugura il nuovo oratorio dedicato a San Giovanni Bosco.
Il grande progetto delle scuole vede ancora protagoniste le famiglie che donano tempo e professionalità per creare un ambiente di cultura e formazione cristiana. E così nel 1971 nasce la Scuola Magistrale, nel 1980 l’Istituto Magistrale “San Gregorio Magno”, nel 1983 le Scuole Elementari Familiari, nel 1985 viene inaugurata la Scuola Materna parrocchiale intitolata a San Giuseppe, nel 1988 prende avvio la Scuola Media Familiare.
Grazie all’attiva collaborazione dei sacerdoti suoi vicari parrocchiali e dei laici che assumono la responsabilità di molti settori della vita parrocchiale, l’attività principale di don Pietro è la cura delle anime. Trascorre la maggior parte del suo tempo tra l’altare, il confessionale e lo studio dove incontra i vari gruppi di adolescenti, giovani e adulti che, negli anni, si sono costituiti in parrocchia.
Accanto all’attività pastorale parrocchiale, don Pietro continua a seguire personalmente il cammino delle piccole comunità di famiglie che, con il tempo, diventano sempre più numerose. Già a partire dagli anni ’70, aveva invitato gli appartenenti alle piccole comunità a sentirsi parte di una “Comunità che è unica” per vivere e testimoniare la Chiesa come comunione e come famiglia di Dio. Convoca incontri plenari in cui tratteggia chiaramente le finalità delle comunità: “Tre punti; formare le comunità di famiglie: primo, per costruire nella grazia del sacramento del matrimonio la propria santità; ma la famiglia non è sola, deve sentire il secondo impegno: quello dell’amicizia! Ecco perché ci strutturiamo così, perché l’amicizia è uscita dal Cuore stesso di Gesù che ci ha voluto insieme. E, allora, il terzo, ma non ultimo punto: per santificare le altre famiglie; quindi, vita evangelica d’impegno!”. Allo stesso tempo delinea un cammino preciso d’insieme: “Stasera anche i più giovani devono sentire profondamente che il discorso della Comunità non è la fraternità di alcuni, è un movimento nella Chiesa, è un movimento che ha una grande finalità […]. Il movimento comunitario è un movimento di rinnovamento e di santità”; e, ancora: “Dire che siamo un Movimento nuovo? Non oso dirlo! Dire che facciamo una cosa nostra, originale, non che siamo i migliori ma che seguiamo quella strada che il Signore ci ha indicato passo per passo, giorno per giorno, questo sì!”.
In questi anni don Pietro ispira il lavoro per la stesura di uno “Statuto delle comunità familiari”.
Comunità parrocchiale e piccole comunità di famiglie concorrono ad edificare la Chiesa in Sant’Eulalia come famiglia di Dio, luogo in cui “la vita degli altri è diventata cosa «mia», «mio» interesse, «mia» gioia, «mia» propria vita […] dove il mio e il tuo sono diventati un’unica realtà”.
In questa nuova realtà ognuno trova il suo posto; come in una grande famiglia tutti gioiscono e soffrono per le medesime cose. La condivisione è sostenuta dal vivo amore per il “padre” della Comunità: il suo esempio è travolgente, il suo cuore disarmante, il suo dono infaticabile.E allora ecco la risposta generosa dei suoi figli ad una nuova intuizione che, a partire dalla metà degli anni Settanta, vede don Pietro promotore e sostenitore nella diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, insieme a don Altana, don Torreggiani e don Prandi, del ripristino del diaconato permanente. Per don Pietro, il diaconato permanente rappresenta il sigillo sacramentale di una caratteristica di tutto il popolo di Dio a lui affidato. Un popolo che segue Gesù, venuto “non per essere servito, ma per servire”. Dalla realtà di Sant’Ilario proverranno tredici diaconi: i primi sette ordinati nel Giovedì Santo del 1978; gli altri sei, il 25 giugno 1983.
Gli anni ’80 sono caratterizzati dalla costituzione di innumerevoli famiglie allietate da tanti figli. Ma soprattutto sono segnati da una profonda gioia: tra i figli spirituali di don Pietro fioriscono le prime vocazioni al sacerdozio. Tre ragazzi entrano, infatti, nel Seminario diocesano di Reggio Emilia. Don Pietro assisterà all’ordinazione presbiterale e concelebrerà la prima Messa solenne del primo di loro nel 1987, e sarà a fianco anche del secondo in occasione della celebrazione della prima Messa nel 1989. Si costituisce così «la comunità del Seminario» che don Pietro pone con chiarezza all’interno di un progetto unitario: “La vostra comunità si inserisce nel Movimento delle comunità sorto nel 1957-59 dopo la Mystici Corporis”.
Gli ultimi anni della sua vita sono intensissimi nonostante il calare delle forze: nel 1987 arriva a predicare ventisei corsi di esercizi spirituali. Nel 1988 dà inizio anche al restauro della chiesa parrocchiale di Sant’Eulalia. Il 19 giugno dello stesso anno si realizza un grande sogno di don Pietro: consacrare un centinaio di famiglie a Cristo per le mani di Maria, secondo l’insegnamento di San Luigi Maria Grignion da Montfort. La preparazione a questo evento, secondo il suo stile, è lunga ed accurata. È il massimo tributo che può offrire alla Madre Celeste da sempre amata e fatta amare. Per questo a suo tempo aveva impresso nuovo slancio alla Confraternita della Beata Vergine del Carmelo, imposto la Medaglia Miracolosa a tanti giovani, sollecitato la diffusione della pratica dei cinque primi sabati del mese, la recita del rosario durante il mese di maggio in diversi centri sparsi per tutto il paese, affidato ai gruppi o alle comunità un titolo mariano che li caratterizzasse, solennizzato con profondo amore tutte le feste a lei dedicate.
La sua oblazione è ormai completa. Il suo corpo non sopporta più il ritmo impressionante che mantiene fino all’estremo delle forze: minato sempre dalla malattia, si aggrava. La sua salute infatti era stata di volta in volta sempre più compromessa da gravi episodi manifestatisi a partire dagli anni ‘70.
Il 6 giugno 1988, durante la sua visita alla Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, Giovanni Paolo II viene colpito proprio dal fatto che numerosi parrocchiani gli domandino preghiere per il parroco ammalato. Si tratta di don Pietro. Questo episodio è l’occasione per il Santo Padre di parlare della Chiesa come comunione. In una Cattedrale gremita di fedeli dice: “Parecchie persone mi hanno detto così: «Prega per il nostro parroco perché è ammalato». Si può dire una piccola cosa, una piccola cosa ma nello stesso tempo una cosa grande: se i parrocchiani pensano in questo momento al loro parroco, si sentono uniti a lui e anche condividono la sua situazione di salute o di malattia, è una bella cosa, una espressione di quello che è la Chiesa. Perché la Chiesa è la comunione. La comunione! E comunione vuoI dire partecipare della vita di un altro. Così come Gesù ci ha lasciato la sua vita, Se stesso, e ci ha fatti partecipi della sua vita, così ci ha invitato a partecipare anche noi mutuamente, reciprocamente delle nostre vite, delle nostre preoccupazioni, delle nostre gioie, delle nostre tristezze. Una piccola parola ma così eloquente!”. Queste parole suggellano il frutto di tutta l’opera pastorale di don Pietro.
Il 12 novembre 1989, celebra la sua ultima messa comunitaria. Circondato dai suoi figli e dalle sue famiglie, don Pietro indica il paradiso ed esorta a guardare a Cristo: “Gesù, vita, sarà la nostra gioia nel presente e la magnifica nostra gioia per l’eternità”.
Nessuno sa che è il suo ultimo saluto, il suo commiato. Nei mesi successivi la comunità è attonita: nel silenzio prega.
L’incontro con il suo Signore, nel quale per tutta la vita ha creduto e sperato, avviene l’8 gennaio 1990.
Alla sua morte vengono resi pubblici due testamenti: uno indirizzato alla comunità parrocchiale; l’altro, per Romano Onfiani, “alle Comunità”.
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