142 - Cristo rivelatore di Dio

142. Cristo rivelatore di Dio

Cristo è il «contenuto» della rivelazione di Dio. “È l’immagine del Dio invisibile” (Col 1,15), lo splendore della sua gloria, l’effige della sua sostanza: “Questo Figlio, che è lo splendore riflesso della gloria del Padre e l’impronta della sua sostanza” (Eb 1,3); “… di Cristo che è l’immagine di Dio” (2Cor 4,4).

Cristo è Maestro: “Questo è il mio Figlio diletto, ascoltatelo”1.

Dobbiamo ascoltarlo perché ci comunica ciò che ha appreso dal Padre2. La parola risuonata in Palestina ha il suo vero principio nella Parola eterna: “In principio era il Verbo ecc…”3. Questa Parola eterna e divina si è fatta carne. Abbiamo realmente l’insegnamento di Dio: “Nessuno ha mai visto Dio; ma il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, l’ha fatto conoscere” (cfr Gv 1,18); “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato”4.

Da molto tempo Dio parlava e quindi si manifestava. Si faceva conoscere negli avvenimenti e per i profeti, si manifestava soltanto nei suoi atti. Non si sarebbe mai udito, non si sarebbe mai visto, proprio lui? Vedere non soltanto sentire. Mosè: “Deh! Fammi vedere la tua gloria” (Es 33,18). (Greci).

Tutto il disegno di Dio era ordinato a questa comunicazione di Se stesso.

L’essenza del Nuovo Testamento è proprio nel passaggio dai doni di Dio al dono che Dio fa di Sé. Costituisce Se stesso parola umana di rivelazione. In Gesù Dio stesso parla di Sé. Gesù ci fa conoscere Dio. Gioia delle prime generazioni cristiane (1Tm 6,16: Ci ha fatto conoscere il Padre che “abita una luce inaccessibile”).

Gesù rivela ancora la comunione con Dio, il mezzo e la gioia di questa comunione.

Gesù che rivela è ancora il mezzo. Gesù è anche la verità rivelata, e la via di accesso: “Chi vede me vede il Padre5. Io sono la via6”.

Gesù è stato rivelatore nelle parole e nei fatti. Non è stato solo una bocca del Verbo. La discesa del Verbo nella carne, il fatto che Dio assuma la condizione di servo, la lavanda dei piedi, l’obbedienza d’amore fino alla morte in croce: tutto questo realizza un valore di rivelazione e di rivelazione di Dio.

Non un puro sapere ma istruzione-santità: è già salvezza in atto, conoscenza salvifica; è l’inizio della comunicazione della sua vita, della sua gloria.

La discesa di Dio verso di noi è inseparabile dal nostro risalire a Lui. La Parola non resta senza effetto: “Come la pioggia e la neve discendono dall’alto dei cieli ma non vi ritornano senza avere innaffiata, fecondata e fatta germogliare la terra […], così la parola che esce dalla mia bocca non ritorna a me senza frutto, ma compie ciò che desidero e adempie la sua missione” (cfr Is 55,10-11).

Nel Nuovo Testamento la discesa (katábasis) determina una risalita (anábasis); la discesa di Dio verso di noi mette in moto il processo della nostra risalita verso Dio.

“Vedrete il cielo aperto e gli Angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo” (Gv 1,51); “Nessuno è asceso al cielo, se non colui che è disceso dal cielo” (cfr Gv 3,13); “Sono il pane vivo, disceso dal cielo” (Gv 6,51); “Che sarà dunque? E se vedeste il Figlio dell’uomo ascendere dove era prima?” (Gv 6,62); “Colui che è disceso è quel medesimo che è pure asceso al di sopra di tutti i cieli, per riempire l’universo” (Ef 4,10).

Preferì annientare se stesso prendendo la natura di schiavo (Fil 2,7-11). E san Fulgenzio: il frutto della discesa di Cristo è la risalita dei santi celebrata fin dal giorno dopo Natale nella persona di santo Stefano protomartire7.

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  • “È evidente come Don Pietro abbia vissuto il suo sacerdozio
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