04/02/1982 - 104 - Don Bosco e la scuola

04/02/1982

104. Don Bosco e la scuola

4 febbraio 1982

Lo scorso anno abbiamo parlato del metodo educativo di san Giovanni Bosco nei termini generali e nelle sue profonde ragioni.

Quest’anno vorrei fermarmi ad ascoltare don Bosco come maestro di catechesi e di scuola. Vorrei che lo ascoltassimo proprio con le sue parole. Indubbiamente il suo tempo e tutte le impostazioni sono molto diverse dal nostro tempo. Ma l’uomo è sempre uomo e i principi hanno un valore eterno. Credo che molto abbiamo da riflettere e da imparare, applicando le cose a noi con sincerità e umiltà, senza esonerarsi con dire: “Erano altri tempi, un’altra mentalità. Allora si poteva fare così; erano in fondo degli ingenui, ma adesso...”. Pensiamo bene: un Santo è il riflesso della luce di Gesù. E Gesù è l’unico e grande Maestro.

Il fine di tutta l’educazione è aiutare a realizzare il piano che Dio ha su ciascuna anima per il suo bene e il bene di tutti, perché tutti devono dare la loro parte nella costruzione del Corpo Mistico. Questo grande fine non può essere disatteso da chiunque ha fede e opera nella fede.

Don Bosco, uomo di Dio, sentiva profondamente questa chiamata e se con amore diede tutta la sua vita fino all’olocausto fu per questo fine supremo, non con uno scopo umano pur buono e pur nobile.

Diede con tutta la sua forza, con i suoi magnifici doni naturali, soprattutto con le ricchezze soprannaturali che la grazia aveva seminato in lui. Per questo fu santo.

Perché amò e volle i veri intramontabili valori per i suoi ragazzi, i più poveri, i più trascurati dalla società, riassumeva tutto questo con «salvar l’anima».

Ora vorrei fermarmi a vedere ciò che rappresentava per lui la scuola come istruzione e come educazione nel quadro del suo metodo e della sua pedagogia.

Don Bosco è il santo dei giovani. Per loro diede tutto se stesso , visse la loro vita e capì tutti i loro problemi, nella visione vera di un santo che coglie e vuole i valori essenziali in rapporto a Dio e al vero bene delle anime.

Soggiungeva: “Ho da dirvi una cosa di molta importanza e questa si è che mi aiutiate in una impresa, in un affare che mi sta molto a cuore: quello di salvare le anime vostre. Senza il vostro aiuto non posso fare nulla. Ho bisogno che ci mettiamo d’accordo e che fra me e voi regni vera amicizia e confidenza”. E ancora: “L’uomo a questo mondo fa molto se si salva, e sa molto se ha la scienza della salvezza; ma fa nulla se perde l’anima, e sa nulla se ignora quelle cose che lo possono eternamente salvare”. E insiste sempre: “La salute dell’anima è un affare importante, è unico, ma è irreparabile, cioè: se si sbaglia una volta, si sbaglia per sempre. Se si perde una lite, si può fare appello a un altro tribunale, oppure cercare di guadagnarmene un’altra; se si perde la sanità, si spera di riacquistarla con le cure dei medici; se si fa male un contratto, si cerca di riuscire in un altro; ma se si sbaglia la salvezza dell’anima, tutto è perduto per sempre. Perduta l’anima una volta è perduta per sempre”.

E sottolineava la necessità dell’impegno e del sacrificio. La vita si deve affrontare con spirito realistico. La salvezza si deve accogliere come dono da Dio, ma deve essere una conquista.

Incitava il coraggio dei giovani: “Noi dobbiamo portare la croce come Gesù. E non ci si deve fermare”; “La migliore maniera per operare la salvezza è lavorare per la salvezza degli altri”. Non chiudersi allora: “Aiutatevi l’un l’altro a salvare l’anima”.

La stima degli altri, la stima dei grandi valori negli altri: “L’anima dei miei compagni è stata redenta da Gesù. Siamo tutti fratelli e quindi dobbiamo amare reciprocamente le nostre anime. E in ordine a questo problema tutte le scelte devono essere operate per la nostra e l’altrui salvezza”.

Nell’agosto del 1863 don Bosco parlava così ai giovani: “Nella storia si legge che un potente imperatore mandò a Innocenzo XI ambasciatori, pregandolo di aderire a certi suoi desideri contrari alla giustizia. Ma il Pontefice rispose nettamente: «Non posso. Ritornate al vostro imperatore e parlategli così: Il Papa dice: se io avessi due anime, ne darei volentieri una per lui, e quindi alla perdizione e mi contenterei di salvare l’altra. Ma ne ho una sola». Gran pensiero è questo e degno del Papa. Lo stesso dico a voi. Dovete dire al demonio, quando vi chiede qualche cosa contro coscienza: «Non posso, non posso perché ho un’anima sola»”.

Non pensare di salvare l’anima vivendo nel peccato.

Diceva ancora spesso: “Bisogna fare il bene e cominciare fin da giovani”; diceva: “Perché la semente prosperi bene e dia frutto, va seminata a suo tempo. Se non si semina a suo tempo, il raccolto va fallito. Ora, quale è la stagione in cui si deve seminare per l’uomo? È la primavera della vita, è la gioventù”.

Lui stesso ne diede mirabilmente l’esempio facendo il bene, tutto il bene, senza concedersi riposo, fino allo sfinimento. Diceva alle volte ad un giovane: “Conducimi nel tale e tal altro luogo. Ma tu sta’ attento perché potrebbe vincermi il sonno”. Così dicendo si appoggiava al braccio e sonnecchiando camminava. Lavorava senza risparmiarsi perché l’opera sua era di Dio, vista la finalità1 della sua catechesi e della sua azione.

Don Bosco tutto adopera per il catechismo, per evangelizzare, per portare la parola di Dio.

Ogni giorno la «Buona notte», un breve pensiero ai suoi ragazzi prima che si addormentino dopo le preghiere della sera. Brevissimi: duo o tre minuti. Sono pensieri affettuosi e incisivi. Don Bosco ne scrisse, motivandoli: “Non avendo ancora i laboratori nell’istituto, i nostri allievi andavano a lavorare e a scuola a Torino, con grande scapito della moralità per i compagni che incontravano, i discorsi che udivano e quello che vedevano. Facevano tornare estraneo quanto loro si faceva e si diceva all’Oratorio. Fu allora che ho incominciato a fare un brevissimo sermoncino alla sera”.

Si trattava allora di un mezzo di difesa che porgeva o di prevenzione. Raccontava un fatto edificante o un apologo in uno spirito di famiglia simpatico. È il padre che raccoglie attorno a sé i figli prima del riposo e parla con affetto di ciò che interessa tutti. Si addormenteranno con un santo pensiero. Per don Bosco questa «Buona notte» è molto importante e lascerà scritto nel Regolamento: “Questa è la chiave della moralità, del buon andamento della casa e del buon successo dell’educazione”.

Straordinaria fiducia nella parola di Dio trasmessa con un cuore pieno di preghiera e pieno del vero amore.

E nei colloqui a tu per tu con loro, i giovani sentivano perché don Bosco li esaltava, li ammoniva. Non era il Superiore preoccupato del buon andamento, era il Santo che voleva il loro bene, che si effondeva tutto per ognuno.

Don Rua diceva: “Una conversazione vale quanto e più degli Esercizi Spirituali”.

E le famose paroline sussurrate all’orecchio quando li incontrava in cortile o in una pausa del gioco. Le risposte apparivano subito evidenti: uno sorrideva, l’altro diventava rosso. Ci hanno trasmesso degli esempi di queste paroline: “Potresti fare un fioretto?”, “Ti sei confessato bene?”, “Gesù ti aspetta in chiesa”, “Aiutami a salvare l’anima tua”, “Se tu potessi vedere lo stato della tua anima”, “Sii obbediente e sarai santo”. Riusciva con opportunità e con straordinaria efficacia, aiutato indubbiamente da carismi speciali che egli otteneva da Dio con i suoi sacrifici e le sue preghiere.

Osservano i suoi biografi come don Bosco si valse in maniera straordinaria della parola scritta. I libri che sceglieva con grande diligenza; libri raccolti nelle bibliotechine di casa, i libri composti da lui in numero rilevante, scritti con semplicità perché fossero capiti facilmente. Innumerevoli gli altri scritti: foglietti, pagine con avvisi, consigli e fioretti spirituali dati da praticare in occasioni di novene o di altre festività. Affissi in luoghi frequentati, erano letti e commentati. Faceva anche iscrizioni murali, richiamano ai giovani un buon pensiero ed erano un ammonimento.

Così curava molto la corrispondenza con coloro che particolarmente si trovavano lontano. Don Bosco li amava e aveva una continua sollecitudine. Di tutto si preoccupava. Della loro salute fisica, del lavoro, del loro progresso intellettuale e morale. E con i vicini adoperava spesso i bigliettini: brevi e persuasivi, che spesso collocava sotto il guanciale perché potessero leggerli nei momenti di maggiore calma.

Su tre punti particolarmente si impegnerà la sua catechesi: sulla confessione fatta bene e frequente, sulla direzione spirituale, sull’Eucarestia, e sulla Madonna.

La confessione che porta l’anima nella grazia e nell’amore di Dio.

La confessione che rinnova le energie e dona all’anima la fiducia; la confessione non fatta per abitudine, ma che porta a un lavoro serio e impegnato per la costruzione delle virtù.

Non si va dal confessore solo per prendere una assoluzione più o meno affrettata; si va dal confessore che si è scelto e che diventa il proprio confessore, verso il quale si ha tanta confidenza e dal quale si ricevono quei consigli di cui, specialmente in una certa età, si ha tanto bisogno. E don Bosco vuole puntare in alto. Parla di santità coraggiosamente. Ha fiducia nella generosità dei ragazzi e dei giovani. La santità proposta è però adatta alla loro età: serenità, allegria, gioia di servire il Signore e di essere buoni e aperti verso tutti, obbedienti e amabili, il dovere di ogni giorno.

Don Bosco ebbe nel sangue la direzione spirituale.

Era profondamente convinto che la Messa e la Comunione frequente sono le colonne che reggono il suo sistema educativo; imposta tutto il suo sistema su queste basi.

Nella «Buona notte» del 20 giugno 1864 egli parla così ai suoi ragazzi: “Oh! Se io potessi un poco mettere in voi questo grande amore a Maria e a Gesù sacramentato, quanto sarei fortunato! Vedete, dirò uno sproposito, ma importa niente. Sarei disposto, per ottenere questo, a strisciare colla lingua per terra di qui fino a Superga. È uno sproposito, ma io sarei disposto a farlo. La mia lingua cadrebbe a pezzi, ma importa niente: io allora avrei tanti giovani santi”.

Vuole portare i suoi giovani a una vera amicizia con Cristo e sa che non vi è miglior mezzo che una devozione ardente alla Vergine Maria. Domenico Savio sotto la sua guida fa della sua vita un esercizio di devozione a Maria. Invocata come Ausiliatrice, don Bosco porta nei giovani una sincera, filiale, illimitata fiducia e tenerezza nella Madre divina. Dirà lui stesso: “La Madonna vuole che la onoriamo sotto il titolo di Maria Ausiliatrice. Corrono tempi così tristi che abbiamo bisogno della presenza della Vergine, perché ci aiuti a conservare e difendere la fede cattolica”.

Ma don Bosco vuole una formazione completa dei giovani e perciò punta decisamente sulla scuola, in un periodo di irriducibili e convergenti avversioni alla fede. E la sua sembra quasi una pretenziosità pazzesca. E come tale viene considerata dai cosiddetti strateghi della politica; nessuno si arrende al pensiero che un prete campagnolo possa e voglia erigersi contro l’areligioso e spesso irreligioso monopolio dell’insegnamento statale. Don Bosco, invece di avventurarsi in dispute verbose, pose arditamente accanto all’oratorio le basi di una scuola nella quale la perenne verità rivelata fiorisce in un metodo di amorevole comprensione dell’animo giovanile.

Ricordiamo che il secolo scorso è ricordato nella storia della filosofia come il secolo del Razionalismo (Criticismo Kantiano e idealismo hegeliano) e del Positivismo-empirismo.

Il centro di tutto non è più collocato in Dio e neppure nelle cose, ma nell’uomo. Dall’oggettivismo al soggettivismo.

I cattolici non erano molto pronti. La Scolastica era in decadenza. Nelle università si formavano i giovani all’avversione alla Chiesa «oscurantista» con i suoi dogmi e del cristianesimo «angusto e superstizioso». Don Bosco voleva i suoi ragazzi istruiti perché diceva: “L’istruzione è via all’educazione”, “L’istruzione si volge all’intelligenza, l’educazione alla volontà”. Diceva ancora: “I parenti ci affidano i loro figli, perché imparino la letteratura, le scienze e le arti. Questo lo dobbiamo fare bene e completamente, non dimenticando però quello che il Signore desidera di più: che noi ci interessiamo delle loro anime e vi trovino la via dell’eterna salvezza. Perciò tutto il resto deve essere considerato da noi come un mezzo; il nostro fine supremo è farli buoni, salvarli eternamente. Gli insegnanti si ricordino bene che la scuola non è che un mezzo per fare del bene”.

Don Bosco non negò mai l’importanza della scuola nella vita dei giovani, ma la intese e la volle costantemente educativa.

E per essere tale, sottolineava l’importanza della Religione.

Il sistema educativo di don Bosco si basa su questo. L’educatore deve cercare di improntare ai principi del Vangelo l’istruzione che dà ai suoi alunni. Esigeva che il pensiero religioso fosse fatto presente non solo nel tempo a ciò dedicato, ma con prudenza, tatto e accorgimento in tutte le altre materie. Ogni scienza racchiude un sistema di verità e ogni verità deriva da Dio, Verità somma.

Poche linee di una lettera sua a un suo discepolo sono più efficaci di una lunga dissertazione per conoscere il suo pensiero: “Carissimo Bertello, io andrò facendo ciò che posso per risvegliare amore allo studio fra i tuoi allievi; tu fa’ anche quanto puoi per cooperarvi:

1) Considerali come tuoi fratelli: amorevolezza, compatimenti, riguardi, ecco le chiavi del loro cuore.

2) Farli soltanto studiare quello che possono e non di più. Far leggere e capire il testo del libro senza digressioni.

3) Interrogarli molto sovente.

4) Sempre incoraggiare, mai umiliare; lodare quanto si può, senza mai disprezzare, a meno di dar segno di dispiacere quando è per castigo”2.

In un altro scritto, la biografia di Luigi Antonio Colle3, la grande penetrazione psicologica del Santo risulta a caratteri marcatissimi. Alcuni tratti: “Il privilegio più grande di tutti i fanciulli di cui gli adulti non disdegnano di occuparsi, abbassandosi al loro livello per addestrarli all’esercizio delle funzioni della vita spirituale, è lo sviluppo precoce dell’intelligenza. Ma troppo spesso mancano di prudenza questi educatori perché non conoscono la natura umana. Rivolgono ogni sforzo a sviluppare la facoltà del conoscere e quella del sentire che, per triste errore dolorosamente troppo comune, confondono con la facoltà di amare. E viceversa trascurano la facoltà sovrana, la volontà, unica sorgente del vero e puro amore, di cui la sensibilità è solo una falsa immagine”.

E più avanti: “Precipitazione e incostanza, ecco le linee più marcate di questo carattere. Volevate farne un uomo, e non siete riusciti che a farne un essere intelligente ed amante, ma debole e irragionevole: una specie di animale perfezionato”.

Ascoltiamo ora ciò che dice agli alunni. In nove «Buona notte» del 1864 spiegò ai suoi ragazzi come comportarsi a scuola e saperne trarre profitto. Queste «Buona notte» sono rimaste famose e servono come una sintesi di tutto il suo pensiero e delle sue esortazioni4.

Ecco il resoconto fedele.

“Cominciò così: Voglio suggerirvi, o miei cari figlioli, alcuni mezzi nello studio e ve ne dirò uno per sera.

Primo mezzo per studiare bene è il timore di Dio. Initium sapientiae timor Domini5. In Temete il Signore, guardatevi bene dall’offenderlo, perché in malevolam animam non introibit sapientia6. La sapienza degli uomini deriva da quella di Dio. E poi che piacere volete che trovi nello studio chi ha il cuore agitato dalle passioni? Come volete che uno superi le difficoltà che si incontrano nelle scuole, senza l’aiuto di Dio? Omnis sapientia a Domino Deo est7.

Un solo peccato mortale fa ingiuria così grande a Dio che tutti gli angeli e gli uomini insieme non potrebbero ripararla. E Dio dovrà aiutare negli studi coloro che gli fanno un insulto così grave? Uomini veramente dotti non furono mai coloro che offendevano il Signore.[…]. Coloro che non hanno la vera sapienza hanno la mente piena di errori che insegnano agli altri. Ma se a qualcuno Dio ha permesso profitto nella scienza, ciò tornerà a maggior castigo”8.

“Il secondo mezzo è non perdere mai un briciolo di tempo. Il tempo è prezioso. Quello che si deve allo studio datelo tutto. Frenare la fantasia. Vedete quel giovane che sembra attento al suo libro? Crede che studi? Oibò! Ha la mente distante mille milia. Vedete? Sorride: gli sembra che sia in cortile a giocare la trottola, e pensa alla vittoria che ha conseguito sul compagno. Quell’altro pensa alle castagne e al salame che ha nel cassone. Quell’altro a quel progetto, a quello scherzo...”9.

“Il terzo mezzo è abituarsi a non saltare da una pagina all’altra, da una materia all’altra, se prima non si ha bene inteso ciò che antecede. Ogni giorno studiate in modo che resti fissa nella mente la lezione assegnata. Ogni giorno dico, perché se oggi trascurate d’imparare, domani dovrete raddoppia la fatica. Chi trascura per una settimana...”10.

“Quarto mezzo: mangiare a tempo debito. Chi va a scuola o a studiare con lo stomaco troppo pieno ben presto resta con la testa grave, indisposto, svogliato. Nulla o quasi capisce”11.

“Quinto mezzo: frequentare compagni studiosi e diligenti. I discorsi frivoli e inutili non servono che a dissipare la mente”12.

“Sesto mezzo: giocare ma ordinatamente. Ricreandovi prenderete nuove forze. Non cambiate l’ora di gioco in studio. Non fate un gioco smodato ed eccessivo”13.

“Settimo mezzo: superare con tenacia le difficoltà che si incontrano nello studio. Quindi coraggio, non bisogna lasciare l’opera a metà. Non fanno bene coloro che, incontrando una difficoltà, la saltano dicendo: «Questo non lo capisco» e passano ad altro. Non bisogna passare ad altro finché la difficoltà non sia vinta e superata. E, per ottenere questo, primieramente ricorrete a Gesù e Maria […]. Rivolgetevi poi agli assistenti”14.

“Ottavo mezzo è occuparsi esclusivamente di cose riguardanti lo studio. Vi sono dei giovani che leggono molto, ma non fanno che imbrogliare la mente”15.

“Nono mezzo: ricorrere sempre alla protezione di Maria Santissima e invocatela come «Sede della sapienza». È nostra Madre; prima di mettervi a studiare recitate sempre un’Ave Maria”16.

Per incoraggiarli nello studio don Bosco aveva escogitato alcuni accorgimenti tutti diretti a suscitare lo spirito di emulazione.

Anzitutto pur in mezzo alle sue straordinarie occupazioni trovava il tempo di seguire il loro profitto di persona. Sapere che i loro voti passavano sotto gli occhi di don Bosco tutte le domeniche, sentivano essere una cosa di massima importanza. Dava piccole cariche, dava pubbliche lodi o rimproveri, con solenni premiazioni. Domandava poi intensamente (la domandava con la sua amorevolezza unita a un grande spirito di fortezza), esigeva l’obbedienza, e ne faceva capire il perché. Diceva: “Il fondamento di ogni virtù è l’obbedienza. Riconoscete nella loro volontà (dei vostri insegnanti) quella di Dio, sottomettendovi senza opposizione. Onorateli e amateli. Sia la vostra obbedienza pronta, rispettosa e allegra. Ubbidite anche se la cosa comandata non è di vostro gusto. Aprite loro il cuore con confidenza. Ascoltate con riconoscenza le loro correzioni […]”17.

Don Bosco amava i giovani e essi si sentivano amati, ed è in questo spirito che è necessario realizzare. Non un mestiere, non una necessità, una missione.

Don Bosco conquistava i suoi ragazzi. Nel leggere la sua vita mi ha colpito un episodio in cui don Bosco con garbo dà una grande lezione di pedagogia a un direttore di scuola.

Il 6 Marzo 1858 don Bosco con il Cardinale Tosti era in visita ufficiale alla scuola di Roma San Michele in Ripa dove centinaia di giovani apprendevano «le arti meccaniche» e quelle «liberali». Mentre il corteo delle autorità gira per le sale, incontrano un giovane che zuffola e canta.

Il Direttore scatta, rimprovera e, mortificato per la brutta figura, minaccia il castigo. E poi rivolto a don Bosco si scusa. “Che cosa? – replicò don Bosco – io non ho nulla da scusare e non saprei in che cosa abbia mancato quel poveretto. lo ha fatto involontariamente. San Filippo soleva dire: «State fermi se potete. E se non potete, gridate, saltate, purché non si facciano peccati». Io pure esigo in certi momenti il silenzio, ma non bado a certe piccole trasgressioni cagionate dell’irriflessione. Lascio loro tutta la libertà di gridare e di cantare nel cortile, su e giù per le scale; meglio un po’ di rumore che un silenzio rabbioso e sospettoso”. Dopo una pausa, don Bosco proseguì: “Ciò che ora mi fa pena è che quel povero ragazzo sarà in grave fastidio per la sua sgridata, nutrirà qualche risentimento. Non le sembra meglio che lo andiamo a consolare nel suo laboratorio?”. Il direttore aderì. Come furono nel laboratorio don Bosco chiamò il giovane e gli disse: “Ho accomodato tutto, sai, ma a patto che d’ora in avanti sarai più buono e che siamo amici. Prendi questa medaglia, e per compenso dirai un’Ave Maria per me”. E il giovane commosso e conquistato: “Me la metterò al collo e la terrò sempre per sua memoria”.

Il cuore di un grande santo. Ci insegni a liberare la scuola da ogni violenza.

Una volta vi era la violenza fisica, ora compare di più quella morale. Voler fare del ragazzo un uomo di parte prima di formare l’uomo significa esercitare la violenza intellettuale. Il ragazzo è educato quando è in grado di distinguere da solo il bello e il brutto, l’onesto e il disonesto, il giusto dall’ingiusto e non quando ragiona con il cervello dei politici di turno.

La scuola è ordinata a formare l’uomo e non dei servi del potere economico o politico.

L’educazione non è trasmissione di giudizi prefabbricati o peggio di pregiudizi, ma è allenamento a formarsi i propri giudizi con la relativa capacità di scegliere nella libertà. Dalla scuola il ragazzo deve uscire libero, libero di crescere a tutti i livelli, e non libero dalle leggi morali.

La scuola deve liberare l’intelligenza e la volontà dall’errore e dall’egoismo, ma non deve liberare gli istinti e le passioni perché esplodano nella violenza. Quando gli educatori, con la scusa di liberare i giovani dai tabù, oscurano ai loro occhi i valori e li eccitano alla violenza, non li educano ma li tradiscono.

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