242 - La Risurrezione della carne

242. La Resurrezione della carne

1. In quel giorno non sono affatto i morti che si rivestono della loro forma e della loro carne nella pienezza e nella giustificazione della loro ragion d\'essere, ma è il Padre stesso che si riveste pontificalmente dell\'abbigliamento di tutti i suoi figli. È giunto veramente il giorno in cui la morte deve essere assorbita dalla vittoria.

2. In questo momento di riconoscimento essenziale (separazione dell\'anima dal corpo), l\'anima non ha più a che fare col vestito macchiato, coll\'aspetto contraffatto che la vita quotidiana l’ha portata a dare al corpo, nell\'attesa del momento in cui produrre nella visione e nello sguardo direttamente fissato sul Creatore la tunica nuova che sostituirà quella che ci siamo confezionata in altri momenti, in preda a tutte le cause seconde, nella notte e nel peccato. Essa lo restituisce dunque agli elementi, in attesa che Dio la rivesta del “vestito nuovo e candido”1 che Egli le ha promesso.

Ma non si tratta del camiciotto malconcio che può servire da coperta ad un figlio di Dio. “La trama è stata spezzata, e noi siamo stati liberati” (Sal 133,7).

3. È proprio vero che questo corpo che fu la opera, l\'espressione e lo strumento dell\'anima, che da lei ha ricevuto suscitazione, forma ed esercizio, debba ormai essere ricacciato nella dissoluzione e nel nulla come se si trattasse di un pezzo di straccio o di un bozzolo del quale un insetto si è liberato?

Come sfuggire all\'idea che questa argilla vegetata e configurata dalla persona, di cui, nel piano di Dio, essa formava una parte essenziale ed indivisibile, sia rigettata nel baratro senza che del tempo di servizio al quale è stata chiamata non resti un\'impronta, una capacità, una certa attitudine, quale quella della memoria al ricordo?

La Bibbia dice meglio: come un potere di germinazione; “Come restituita dall’argilla - ci dice Giacobbe - essa sarà la sua impronta, e come un abito duraturo”.

4. Ma lungi dal fatto di poter andare nel noviziato della polvere, la nostra spoglia non sfugge al conto che il Creatore continua a tenere di lei e nutre una promessa di resurrezione secondo le parole (Sal 5; At 2,26): “La mia carne riposerà nella speranza”.

5. Le quattro qualità dei corpi gloriosi. Il termine «impassibilità» non significa che saremo ormai morti a ciò che è segno e mezzo di una azione esterna e fisica su noi stessi, ma solamente che tale sensazione non ci sarà più imposta, che conserveremo nei suoi confronti ogni libertà in seno all\'amore.

La virtù della «sottigliezza» è la trasposizione nel dominio fisico della qualità insinuante e penetrante dello spirito di discernimento, al quale non resiste alcuna trama né alcun ostacolo e per il quale non v’è alcuna cosa di più compatto e refrattario. È per mezzo di essa che tanti Santi, anche in questa vita, hanno ricevuto il potere “di deporre e di riprendere i loro corpi”2, di disporne in relazione alla carità. Il resuscitato sarà amictus lumine3: la luce passa attraverso tutto.

Il corpo non più un carcere, ma uno strumento.

Siamo nella creazione con ciò che la crea: figli adottivi.

«Agilità»: è una indifferenza allo spazio e alla distanza. Uno è padrone di realizzarsi dove vuole.

La distanza non è più divisione o allontanamento, ma ciò che in termini musicali si chiama «intervallo».

La «chiarezza» o gloria non più con l’esterno ma in modo più intimo alla istituzione intrinseca del resuscitato. È paragonata a un vestito: stola gloriae4.

Gloria e luce che viene da noi ma attinta alla sorgente.

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