24/02/1972 - 121 - Ritiro Spirituale Clero

24/02/1972

121. Ritiro spirituale al Clero

Sant’Ilario, 24 febbraio 1972

Eucarestia come convito pasquale

Perché nella preghiera nostra «mens concordet voci»1 dobbiamo proporci una rinnovata meditazione sui testi liturgici particolarmente sui più importanti, su quelli che ripetiamo più frequentemente perché non avvenga che la maggiore facilità che noi abbiamo e per la traduzione italiana e per la varietà non sia da noi abbastanza sfruttata, e ancora non veniamo a mancare in quella giusta sensibilizzazione che dobbiamo portare ai fedeli. Perché dalla nostra pietà verrà la loro.

Propongo perciò il ritiro articolato su due riflessioni. Nella prima vedremo come la nostra Messa debba essere un convivium paschale2 sentito così profondamente da noi; e nella seconda vedremo l’analisi di un Canone come principio della nostra spiritualità.

1° L’Eucarestia convito pasquale.

Il Sacrosanctum Concilium (47) dice: “Il nostro Salvatore nell’Ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, onde perpetuare nei secoli fino al suo ritorno il sacrificio della Croce, e per affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale […] della sua risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura”.

Già il Concilio di Trento diceva: Christus celebrato veteri Pascha novum instituit Pascha”3.

Il tema è di una ricchezza immensa, “quella del convito”. Mi pare che sia molto necessario approfondire questo tema facendone rilevare i motivi.

Gli elementi biblici atti a illustrare il contenuto della liturgia nella sua materia, (elementi del sacrificio) e nella sua forma (le parole sacramentali). L’intelligenza del mistero eucaristico è stata preparata da Dio nelle istituzioni e negli eventi della storia biblica che hanno trasmesso ad esso la ricchezza del loro significato. Perché la Messa è soltanto e sempre un banchetto sacrificale dell’alleanza che ci dona la Pasqua del Signore.

a) Dai passi biblici al banchetto di commiato di Gesù, Dio ha voluto fare dell’Eucarestia il sacramento di un cibo. Cristo la istituisce durante una cena e gli elementi sono i più comuni tra i cibi: pane e vino. Ora, presso la maggior parte dei popoli e presso i semiti in particolare, il pasto riveste già un significato sacro: esso ha valore di segno. Esprime concretamente una comunità di esistenza: mangiare insieme significa e stabilisce legami sacri, tanto che ogni pasto rituale costituiva una specie di patto di alleanza.

Il trovarsi insieme per mangiare manifesta una comunione a un livello più profondo: ci si riunisce perché si è già uniti.

L’amico intimo lo si potrà descrivere come colui che consuma con voi il pane. Nel salmo 41,104: “Perfino il mio intimo amico in cui confidavo, che mangiava il mio pane, va alzando contro di me il calcagno”. Gesù si servirà di queste parole durante la cena per esprimere il suo dolore nel vedersi tradito da uno dei suoi (Gv 13,18).

La beatitudine definitiva verrà espressa con l’immagine di un intimo convito col Signore: “Se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, entrerò presso di lui e cenerò con lui e lui con me” (Ap 3,20).

Il banchetto eucaristico è un «vero pasto». Se gli alimenti sono il segno di una presenza reale, non sono dei puri simboli: essi debbono «nutrire». La salvezza che Dio ci dà si rivolge a tutto l’uomo, corpo e anima. Il corpo e il sangue di Cristo nutrono tutto l’essere umano, depositando anche nel corpo il germe della risurrezione futura (Gv 6,54).

Ogni nutrimento viene da Dio: “Gli occhi di tutti sperano in Te e tu somministri il loro cibo a suo tempo. Apri la tua mano e sazi ogni vivente a piacere” (Sal 1455). Dio è colui che fornisce la semente al seminatore e il pane che nutre dice san Paolo (2Cor 9,10), citando Is 55,10.

Dio esprimerà la comunicazione della vita al suo popolo attraverso i segni concreti del cibo, della manna, delle quaglie, dell’acqua del deserto; queste sono tutte figure del vero nutrimento celeste che porterà Gesù (Gv 6), ed Egli farà precedere all’annuncio del pane di vita la moltiplicazione dei pani del deserto (Gv 6,1-15), per rendere più agevole alle folle che lo seguono il passaggio dal segno alla realtà.

La convinzione che ogni alimento è dono di Dio aggiunge un significato sacro al convito nella Bibbia. E così, offrire gli elementi di un pasto è un gesto di cordialità, di accoglienza e di ospitalità (Gen 18,15; Lc 24,29), ma l’offrire all’ospite e l’offrire a Dio sono due azioni spesso espresse da un medesimo gesto, come si può vedere nel gesto misterioso di Melchisedech (Gen 14,18), che offre pane e vino al Dio creatore.

L’atteggiamento di «azioni di grazie» (eucarestia-benedizione) è la disposizione che accompagna ogni pasto. I salmi di ringraziamento alluderanno il calice della salvezza (Sal 1166), alla tavola imbandita dal Signore nel tempio (Sal 237).

Ogni banchetto ebraico era accompagnato da «benedizioni». L’uso ebraico prevede una benedizione sul pane all’inizio del pasto e una alla fine su una coppa detta «coppa di benedizione» (cfr 1Cor 10,16). La comunità di mensa conduceva alla comunità di preghiera.

Così la caratteristica della gioia. Il banchetto offerto da Matteo significava la gioia ringraziamento (Mt 9,10); e lo scandalo “mangiare con pubblicani e peccatori”8, voleva dire considerarsi uno di loro. La gioia del ritorno del prodigo (Lc 159), quella per il ritorno di un parente (Tb 7,9), quella di aver trovato Dio (At 16,34). La proclamazione di Saul accompagnata da sacrifici di comunione (1Sam 11,15). Il nuovo esodo di Geremia 31 viene descritto come un lieto ritorno verso l’abbondanza delle benedizioni di Dio: “Grano, vino novello, olio, pecore, buoi”10. Il convito è una festa e la gioia della liberazione pasquale non potrà meglio esprimersi che intorno a una mensa.

Banchetti di gioia, banchetti cultuali che prepareranno il banchetto dell’alleanza.

Quando il sacrificio è stato gradito a Dio, si consuma ciò che resta e così tutti partecipano al sacrificio per entrare in modo concreto e personale in uno stato di alleanza con Dio. E in tali assemblee – mangeremo e berremo (Is 2511) – si svilupperà la speranza messianica. Gesù riprenderà tale tema; “Mangerete e berrete alla mia tavola nel mio regno” (Lc 22,30), dirà appena istituita l’Eucarestia. E proprio durante l’istituzione annuncia che non berrà più con i suoi del “frutto della vite”, prima di berlo, nuovo, nel regno di suo Padre (Mt 26,29). In attesa di questo nuovo vino del regno, il cristiano beve il vino divenuto il sangue del suo Signore (1Cor 10,16).

Dopo la sua Risurrezione, generalmente le apparizioni del Signore avvengono in relazione a un pasto: Emmaus12, agli Undici, mentre erano a mensa13; prende pesce arrosto e lo mangia14; lui prepara un pasto sul campo15, e durante un pasto fece le ultime raccomandazioni (At 1,2)16.

È Cristo risorto che troviamo nel banchetto eucaristico. La gioia dei primi cristiani che spezzavano il pane di casa in casa nutrendosene in esultanza e semplicità di cuore (At 2,46): nell’eucarestia e nei pasti con Gesù risorto essi incontrano lo stesso Signore.

I pasti del Signore prefiguravano quella comunione con Dio alla quale tutta l’umanità era ormai invitata.

La pasqua ebraica era anch’essa un banchetto (agnello, ecc...17). Celebrava il passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia, dalle tenebre alla luce. Egitto simbolo di terra del peccato, servitù spirituale. Cristo ha istituito la nuova alleanza in questo banchetto pasquale. Gesù racchiude nel sacramento di un banchetto la sua redenzione, la sua liberazione operata nello spargimento del suo sangue, di Agnello che toglie i peccati del mondo.

Il pane è la sua carne per la salvezza del mondo, la coppa pasquale significa la sua passione, questa coppa si colma del sangue che versa dal costato.

La Messa riproduce la Cena: “Fate questo ecc...”18. La Pasqua per noi è Cristo immolato. San Paolo nel noto testo (1Cor 5,7) non dice soltanto che Gesù è stato immolato come l’agnello pasquale, bensì che egli è l’agnello pasquale.

L’Eucarestia è un banchetto pasquale perché dunque contiene la pasqua del Signore. Partecipazione alla sua morte ma ancora partecipazione alla sua vita di risorto.

Noi dobbiamo nella Messa «comunicare», cioè partecipare a tutti il mistero della Pasqua di Cristo, dal suo annientamento nell’obbedire fino alla morte sino alla sua esaltazione – è appunto tutto questo mistero che commemora l’Eucarestia (Unde et memores19) – noi possiamo così entrare a far parte del nuovo mondo in cui Cristo è entrato a far parte.

2° Il Canone II, detto di Ippolito. Martire (2° secolo), antipapa di Callisto20.

Le tre nuove anafore

L’introduzione di nuove preghiere eucaristiche nella liturgia insieme ad un avvenimento di spiritualità lo è stato anche sul piano teologico.

Compiendo l’Eucarestia noi rendiamo attuale l’azione salvifica e glorificatrice del Verbo di Dio, concretiamo nel gesto eucaristico del pane e del vino tutto il processo d’Incarnazione del Verbo. È proclamazione della realtà divina vivente perennemente; è resa possibile per la presenza dello Spirito.

Gli elementi già contenuti nel Canone Romano sono esplicitati o compiuti nelle tre nuove anafore.

L’azione di grazie: tutta l’Anafora è concepita come azione di grazie, ma in modo più evidente nel Prefazio della II e della IV. Il primo è particolarmente suggestivo per la brevità e la densità che lo caratterizza; esso riassume la storia della salvezza delineandola in tre temi generali: la Creazione, l’Incarnazione e la Redenzione. Tutto è visto nella luce della Parola.

“Il tuo Verbo nel quale tutto hai creato”21 e il grande disegno divino è visto appunto come il procedere della Parola divina nella sua opera rivelatrice e salvatrice. L’Incarnazione è intesa nella forza dello Spirito al quale viene associata Maria, mentre la Redenzione è atto di accettazione della volontà salvifica del Padre; è la Parola incarnata che da se stessa riannoda il dialogo interrotto dalla colpa, ma che associa a se l’umanità come popolo santo riacquistato.

Il gesto delle mani tese sulla Croce non è solo una reminiscenza storica, ma contiene un preciso significato teologico: Cristo abbraccia l’universo dominato dalla morte, lo unisce alla sua obbedienza al Padre, distrugge la morte, e manifesta la Risurrezione; è l’epifania della gloria divina, della vita che la Parola salvatrice ridona all’umanità.

Nella IV22 il Prefazio fisso è strettamente collegato con l’Anafora che è concepita come una grande benedizione, un’azione di grazie per tutta la storia della salvezza.

Inizia contemplando Dio nella sua vita intima come l’unico, il vero, il vivente, ma è un Dio che pur abitando una luce inaccessibile è buono e fonte di vita, ed esce dalla gloria della sua luce divina perché tutta la creazione partecipi alla sua luce. È una splendida sintesi della teologia e della economia: attraverso la sua azione creatrice e la sua salvatrice, noi conosciamo la luce del suo nome e della sua vita.

Tutta la Creazione è vista in una teologia complessiva della realtà visibile e invisibile; gli angeli diventano qui celebranti della liturgia cosmica e la nostra eucarestia è inserita nel quadro della celeste; ancora una volta, la Parola, che era glorificazione di se stessa, dona la sua voce a tutta la Creazione perché tutto si trasformi in eucarestia, in dossologia (Teilhard).

L’azione di grazie nella IV [Preghiera Eucaristica] continua dopo il «Santo»; non è semplice enunciazione di fatti della Storia della Salvezza, ma una vera benedizione estremamente densa di parole evocatrici di più ampi temi: l’uomo, creato a immagine di Dio, messo nel mondo perché vi regni e sia servo di Dio, il peccato, il soccorso di Dio per gli uomini che lo cercano, l’alleanza, la speranza messianica, il compimento dei tempi, l’Incarnazione, il mistero del servo di Jahvè, la Passione e Resurrezione, la missione dello Spirito che compie ogni santificazione. E trova il suo culmine nella Pentecoste ed è qui l’intervento attuale dello Spirito nella celebrazione dell’Eucarestia.

Come memoria. Varietà non più intangibilità.

La Seconda, testo di Ippolito23; la Terza, il testo di san Paolo in 1 Corinti24. Tradere introduce l’idea angosciosa del tradimento e quasi il sacrificio per i fratelli e gli amici25; tradere nel senso di abbandono alle potenze che credono di distruggere mentre lo consegnano alla gloria della sua morte vittoriosa26.

Nella Quarta, l’ora27; il gesto eucaristico è così posto nel movimento di amore sacrificale del Cristo, nell’agape che conduce il Figlio a celebrare nell’amore dello Spirito la sua Pasqua di glorificazione del Padre e di amore redentore dei fratelli, conquistando nell’ora suprema di tutta la storia della salvezza la gloria che da lui, agnello immolato, discende sui suoi fratelli.

Memoria sacrificale, e le tre Anafore sottolineano l’offerta al Padre, perché è nella prece eucaristica stessa che si compie il grande gesto di offerta del Figlio, al quale la comunità eucaristica viene unita per il fatto stesso che intende compiere la memoria delle sue gesta pasquali.

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