20/12/1978 - 251 - Salmo 13

20/12/1978

251. Salmo 13

20 dicembre 1978

Presenta il terribile dramma dell’uomo senza Dio.

Il dramma degli insipienti che vivono negando Dio o vivono come se Dio non fosse. Noi viviamo in mezzo a loro e lo sentiamo vivo e lancinante questo problema. E ce lo dobbiamo proporre come nostro problema personale e come problema della nostra Chiesa che è posta per l’evangelizzazione e la salvezza.

Che cosa possiamo fare con questi nostri fratelli che vivono nell’indifferenza, occupati e preoccupati solamente di cose materiali o di cose che presto finiscono e dimentichi delle cose eterne? Vivono senza speranza, camminano sull’orlo dell’inferno in cui possono cadere da un momento all’altro; vivono senza la consolazione che dà la fede: il loro dolore è senza lenimento, il loro amore senza la potenza e la perpetuità che può venire solo dall’alto. Noi siamo tanto abituati ad alzare gli occhi in alto per ringraziare e invocare che non immaginiamo che cosa vuol dire non poterlo fare. Il nostro affetto deve prorompere forte e si deve tradurre in azioni concrete che possano portare ad una vera salvezza. Perché, donando la fede, doniamo ogni bene, il senso della vita e della morte, il senso della gioia e del dolore, la pace nelle anime e nelle famiglie, il perché della vita e degli impegni sociali.

Noi ci perdiamo in un mucchio di cose che valgono ben poco, e la casa brucia, e tante persone vivono una vita vuota e rischiano la perdizione eterna. Dobbiamo formarci la mentalità della fede e della carità, la mentalità chi vive conscio del dono che ha ricevuto e perciò del dovere di donare agli altri questo tesoro. Bisogna fare incontrare agli uomini il Dio vivente, il Dio della rivelazione, il Cristo che dà la sua parola unica.

Per elevare l’uomo in Cristo, Dio ha compiuto tutta la sua opera: ha creato il mondo e lo regge, ha mandato suo Figlio affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna (Gv 3,16), per questo Cristo ha compiuto il suo Mistero Pasquale, per questo lo Spirito Santo si è diffuso.

Come nella sua vita Cristo ardeva di carità da non tralasciare nulla per la salvezza1. Non aveva neppure il tempo per mangiare (Mc 3,20; 6,31). Predicava dappertutto: nel tempio2, nelle sinagoghe3, sulla strada4, sulla barca5, a tavola6, nelle case7, di giorno e di notte (Nicodemo8). La sua ansia la espresse sulla Croce con il «Sitio»9, e anche lì, dimentico di Sé, pregò per i persecutori10 e salvò il ladro11. Ha detto che non lasciava senza premio anche un solo bicchiere d’acqua…12. “Date e vi sarà dato: una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6,38).

Non possiamo accontentarci di parole. Come il Signore ci ha amato a fatti noi dobbiamo corrispondere con le opere, e siccome ha detto che quello che facciamo agli altri l’abbiamo fatto Lui13, così dobbiamo anche sacrificarci.

Dio non ha bisogno di noi, ne ha bisogno il prossimo. Per dimostrargli il nostro amore questa è la maniera: di beni materiali, ma soprattutto di beni spirituali, di metterci al servizio della fede.

Dice bene il teologo Congar: “Bisogna far incontrare gli uomini un Dio vivo, un Dio che sentano per noi, che si china verso di noi. Gesù è venuto per cercare ciò che era perduto. Il suo piano di redenzione va attuato e si attua per mezzo dell’amore. E conta su di noi, sulla nostra collaborazione. Certamente è Lui che agisce con la sua grazia e perciò la prima cooperazione è la preghiera. Perciò ogni mattina, proprio ogni mattina, offriamo la nostra invocazione, offriamo le nostre sofferenze per la salvezza e per l’evangelizzazione del mondo”.

Ricordiamo gli insegnamenti del Vaticano II: “La vocazione cristiana è per natura sua vocazione all’apostolato […]. Inseriti nel Corpo Mistico di Cristo per mezzo del Battesimo, fortificati dalla virtù dello Spirito Santo per mezzo della Cresima, [i laici] sono deputati dal Signore stesso all’apostolato. Vengono consacrati per formare un sacerdozio regale e una nazione santa (cfr 1Pt 2,4-10), onde offrire sacrifici spirituali mediante ogni attività e testimoniare dappertutto il Cristo” (Apostolicam Actuositatem, 2. 3). Particolarmente mediante l’Eucarestia, in cui viene comunicata la carità, che si traduce in una ansia che spinge (Caritas Christi urget nos14) a lavorare per i fratelli. La carità che è anche precetto, il grande comandamento del Signore per cui siamo spinti a lavorare per la gloria di Dio che è la venuta del suo Regno. Sarà perciò nostro dovere rimanere uniti allo Spirito Santo, che elargisce doni e carismi particolari “distribuendoli a ciascuno come vuole”15, si contribuisca all’edificazione di tutto il corpo.

“Il Sacro Concilio scongiura perciò nel Signore tutti i laici a rispondere volentieri con generosità e con slancio di cuore alla voce di Cristo. In modo speciale i più giovani sentano quest’appello come rivolto a se stessi e l’accolgano con alacrità e magnanimità […]. Sentano come proprio tutto ciò che è di Lui (Fil 2,5) e si associno alla sua opera salvifica. È ancora Lui che li manda in ogni città e in ogni luogo dove Egli sta per venire (Lc 10,1)” (Apostolicam Actuositatem, 33). E non solo la preghiera, ma tutto sia un irradiamento del Signore, nel lavoro, nella vita di famiglia, in tutte le relazioni. Guai se, un irradiamento, io, nella mia vita metto il peccato perché metto un limite a Dio.

Gridavano nella piazza i Giudei: “Toglilo via, toglilo via”16. Il nostro peccato fa lo stesso. Lo17 togliamo via da noi e dagli altri.

Avere una fede viva, perché avere fede è fare la sua volontà, è sottomettersi a Lui ed è partecipare del suo regno. Nel Vangelo di san Giovanni la lavanda dei piedi18 tiene il posto dell’Istituzione dell’Eucarestia.

Il mistero eucaristico è per il servizio continuato di Gesù ai fratelli. Inseriti nella Messa, nel suo mistero di amore, dobbiamo imparare a lavare i piedi, a non isolarci nella contemplazione ma ad aiutare i fratelli ad essere degni di partecipare al banchetto.

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  • “È evidente come Don Pietro abbia vissuto il suo sacerdozio
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