17/01/1979 - 251 - Salmo 15

17/01/1979

251. Salmo 15

17 gennaio 1979

Potremmo chiamarlo il salmo della Risurrezione. È una profezia della Resurrezione di Gesù, una preghiera posta nelle labbra di Gesù che si dice certo dell’amore del Padre, della risposta del Padre alla sua offerta, alla sua oblazione, alla sua obbedienza, al sacrificio della sua Croce.

La risposta del Padre sarà nella sua potenza di intervento; la risurrezione di Gesù è la risposta del gradimento del Padre. Ha accettato l’immolazione di Gesù, si è compiuta la redenzione. Il peccato e la morte sono distrutti. Gesù diventa sorgente di vita per tutta l’umanità; costituito Signore, ha nelle sue mani l’universo.

San Pietro nel giorno della discesa dello Spirito Santo lo sottolineava citando proprio questo salmo (At 2,22-32). E anche san Paolo in un suo discorso (At 13,32-37).

La Risurrezione di Cristo è causa della nostra salvezza e fondamento certissimo della nostra fede. “Noi sappiamo che Cristo è veramente risorto” canta la liturgia1 e deve cantare tutta la nostra vita. “Proclamiamo la tua resurrezione. Annunciamo la tua morte”2. I due messaggi rappresentano due momenti dell’unico mistero pasquale.

Una fede, la nostra, viva e forte, una fede base di tutta la vita spirituale. Noi cristiani nasciamo dalla Risurrezione di Cristo. Tutto quello che è in noi, tutti i doni di Dio ci vengono dalla potenza della Risurrezione. La preghiera del Salmo Gesù la compie anche come Capo del Corpo Mistico. Chiede per noi la risurrezione. Il Battesimo non ci ha solo immerso nella sua morte, ma ci ha anche innestati nella sua Risurrezione. È l’insegnamento di Paolo (Rm 6,4-5): Fummo con il Battesimo sepolti con Lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato da morte dalla potenza gloriosa del Padre, così noi pure vivessimo di una vita nuova. Se infatti siamo diventati un essere solo con lui nella somiglianza della sua morte, lo diventeremo altresì nella somiglianza della sua risurrezione.

È in Lui risorto che io debbo quotidianamente incontrarmi; Lui, ripieno di Spirito Santo, divenuto il Nuovo Adamo. Ed è per opera dello Spirito Santo la nuova creazione, facendo di noi dei figli di Dio, dei templi santificati in cui si effonde, e ci suggerisce la preghiera al Padre e gli atteggiamenti a noi convenienti.

Con Cristo risorto ci incontriamo nei sacramenti, in Lui rinati “a una vivente speranza” (1Pt 1,3).

Noi dobbiamo ben comprendere che resurrezione non è solo un mistero dato alla nostra ammirazione e neppure solo il sostegno della nostra fede e il pegno della nostra speranza; essa è la causa della nostra redenzione e della nostra gioia. Se uno è in Cristo è una nuova creatura3. E se noi diventiamo nuovi dobbiamo imprimere la novità a tutte le cose.

Ci sentiamo liberati della libertà dei figli di Dio, proiettati in avanti nell’attesa della pienezza, la redenzione del nostro corpo, la Pasqua eterna e piena. Dobbiamo essere radicati nel Mistero Pasquale: “Siate in Lui radicati e su di Lui edificati” (Col 2,7). Dobbiamo essere pane azzimo, una pasta nuova (1Cor 5,6-8) per cui non è per noi il lievito vecchio, un lievito di malizia e di malvagità.

Ma da tutto il salmo prorompe particolarmente la confidenza, la gioia dell’azione meravigliosa del Padre.

Essere dei resuscitati, appartenere a una comunità di resuscitati, essere testimoni coi fratelli della risurrezione. Vivere il mistero pasquale è rendere evidente la gioia di avere visto il Signore: “Ho visto il Signore” (Gv 20,18). Abbiamo visto il Signore.

Il segno quindi di una autentica e piena vita cristiana è questo senso di gioia. Fare della nostra comunità una comunità pasquale che irradia continuamente questa gioia che è suprema certezza che il Signore è risorto e ha vinto anche per noi il peccato e la morte e ci ha donato la speranza che i dolori e le miserie di questa vita saranno assorbiti nella gloria, anzi saranno causa di gloria.

Ecco perché non si può capire la gioia pasquale se non comprendendo la Croce che è frutto dell’amore di Dio per l’umanità, è via unica di salvezza. La nostra gioia che non è un momento di illusione, che non è frutto di solo sentimento, ma è convinzione intima e profonda di quanto Cristo ha operato per noi e di come ci ha associati al suo mistero di salvezza pasquale.

Non è la gioia che ci allontana dai problemi del nostro tempo, dalle ansie e dai tormenti dei nostri fratelli. Anzi, ci immergiamo in essi, perché sappiamo bene che, essendo diffuso nei nostri cuori l’amore di Dio dallo Spirito Santo che abita in noi, è necessaria la nostra opera e la nostra lotta, incaricati, come siamo, di essere strumenti della risurrezione di Cristo nel mondo.

La gioia grande di vivere, sapendo quanto è preziosa la vita di chi comunica al Cristo, quanto è da usare bene il nostro tempo perché possediamo la forza del Risorto, come non ci dobbiamo lasciare andare alla stanchezza e all’avvilimento perché tradiremmo la nostra qualifica di risorti.

La storia degli uomini ha avuto luogo in un giardino, dove abbiamo perduto l’amicizia con Dio e i doni che Dio ci aveva dati. In un altro giardino era stato posto un sepolcro, ma in quel giardino avvenne la Risurrezione e dalla Risurrezione una vita nuova, un’umanità nuova, un altro cammino della storia. “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù di Nazaret, il crocifisso. È risuscitato” (Mc 16,6). Di qui deve incominciare ogni nostra giornata, di qui la sorgente del nostro ottimismo, della nostra vitalità, del nostro rinnovato coraggio. Di qui la certezza che la nostra vera casa é il cielo4, che con Cristo siete risorti, “cercate le cose di lassù”5.

Questa condizione permanente di gioia non ci sottrae al dolore ma dà la serenità, una grandissima serenità che dopo questa parentesi vi sarà la gloria anche per il nostro corpo. Una gloria senza tramonto.

Sia dunque il mistero della Risurrezione del Signore scuola e fonte di stile cristiano. Diceva Paolo VI: “La nostra fede, il nostro culto, la nostra adesione a Cristo morto e risorto non saranno mai abbastanza grandi e coscienti quanto dovrebbero essere. Dà una sorte nuova, un conforto, una dignità anche al nostro corpo, che possiamo chiamare «carne», senza timore che la sua sostanza animale e che la sua imputabilità tentatrice e peccaminosa, come vittima del peccato originale, e fomite di tanti peccati attuali, possa turbarci, perché anch’essa, la carne, la nostra umanità corporea è stata assurta dalla Persona del Verbo e in Lui associata alla natura divina: Il Verbo si è fatto carne; ed è destinata oggi alla disciplina della purità e della vera bellezza, domani alla rigenerazione angelica della vita eterna. È assai importante per tutti il costume umano e cristiano. Oggi specialmente”6.

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