30/04/1980 - 251 - Salmo 40

30/04/1980

251. Salmo 40

30 aprile 1980

Quando si parla di santità si pensa ad un trionfo, ed è vero che lo sia, ma non in un senso umano: “Il mio regno non è di questo mondo”1. Il salmo descrive la storia di un’anima profondamente sofferente e contraddetta, che vince solo con la sua confidenza in Dio, anche quando tutti l’abbandonano, anche colui più beneficato, anche colui “che mangiava il mio pane”2.

I motivi della confidenza sono raccontati: sono le opere di carità; la cura dei deboli e dei poveri3; la preghiera abbondante e piena anche quando l’infermità sembra irreversibile4; la fedeltà di Dio alle sue parole e alle sue misericordie, perché il Signore non abbandona coloro che si affidano a Lui. Anche quando tutte le apparenze sono per dire: “Non c’è più niente da sperare”, la fede deve restare piena e serena; anche quando i nemici – e quanti sono nella vita spirituale - sono esultanti e gustano già la vittoria, quando ipocrisie si accaniscono e sembrano soffocare, chi spera nel Signore non si smarrirà, e avrà la certezza della vittoria.

E Gesù segnerà il tipo della vittoria con il suo esempio, con la sua croce. La vita di un cristiano si conformerà alla sua; si arriva alla risurrezione mediante il sacrificio e la croce: “Chi vuol essere mio discepolo, ecc...”5.

L’umiliazione diventa un nostro bene e una nostra gloria; la Croce diventa la nostra unica speranza.

Dio ci ha creato per la felicità, Dio ci ha circondati di un mondo e di una natura magnifica. Perché allora vi dobbiamo rinunciare? Perché la tentazione? Perché l’ascesi dura e continua che è richiesta al cristiano? Non vi è che una risposta: perché è l’unica strada per amare, per dimostrare a Dio il nostro amore.

Quando l’uomo si ribellò a Dio, guastò il suo piano ed è entrato il dolore e la morte. La redenzione avviene solo spargendo il sangue, seguendo Cristo che per amore al Padre ha accettato tutta una vita di sofferenza, di umiliazione, e volendo la morte è arrivato alla gloria della risurrezione.

Dio - Padre, Figlio, Spirito Santo - si è aperto a noi in una libera iniziativa di amore; noi andiamo a Lui nell’amore che dimostriamo superando il peccato e accettando le nostre sofferenze. Non è possibile altra strada, una strada placida, senza contrasti e senza lotte, una vita fatta di cose piccole, belle e sicure. È una illusione molto dannosa quella di certe anime che, con la scusa di allontanare il dramma della vita, vorrebbero esimersi dai necessari sacrifici, e dalle necessarie purificazioni; con la ragione che Cristo è risorto e ha compiuto tutto per noi, non vogliono più vedere la croce, non vogliono parteciparvi.

Se io rinuncio, non mi fermo alla rinuncia, rinuncio per amore, ho molto di più. Io soffro ma non per soffrire, in una voglia insana di sofferenza. Io soffro per amore; la mia sofferenza si trasforma in una gioia intima. Io rinuncio a un bene creato ma, attraverso questa rinuncia, viene a me il mio Signore che mi dona meravigliose comunicazioni della sua grazia. Il dono ritorna a me centuplicato.

Sacrificio – dice san Tommaso – vuol dire fare del sacro, quando si passa qualche cosa tra le offerte6. Il sacrificio per eccellenza, dopo quello della Messa, è il sacrificio della nostra fede che aderisce a quanto Dio vuole e ci comunica, a quanto Dio dispone di noi e attorno a noi; è il nostro «io» che il Signore particolarmente, vuole.

Ha detto la Gaudium et Spes, 19: “La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio”. È sacrificio rinunciare, ma viene ad essere la vera nostra grandezza. Dio rivela a noi Se stesso, si inserisce con il suo amore nella nostra vita, nella mia vita. La sua Parola ci svela la sua volontà e così ci salva invitandoci a un’unione stretta e profonda con Lui - per Cristo e in Cristo - in cui “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9), ed è proprio per questo che “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (Gv 1,16).

È in questa fede la costruzione degna e vera, altrimenti la nostra religiosità è una costruzione fabbricata da noi, a nostro uso e consumo, è fallosa, inconsistente. È il tentativo di accantonare il «sacrificio» della nostra mentalità a Dio, in ultima analisi di mettere in disparte il mistero della Croce di Cristo, che è il vertice della rivelazione di Dio-Amore.

Buttato via lo scandalo della Croce, farsi una vita secondo i canoni del mondo con tutti i comodi e i compromessi, salvando solo certe parole, cioè chiudendosi nella ipocrisia di certe parole e di certi atteggiamenti superficiali, dove la parola «amore» sovrabbonda, ma ha perso tutto il suo contenuto. La Croce allora viene rifiutata come un non senso, come sconfitta, mania, esasperazione, esagerazione, bigottismo, chiusura. Allora non si accetta più la fede, o meglio, si vuole accettare solo quello che piace a noi, che è secondo la nostra visione, secondo i nostri desideri deteriori. Gesù ha detto (Gv 16,13): “Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera”. È così che noi dobbiamo essere educati al “sacrificio della fede”7. “Credo per poter comprendere” (Sant’Anselmo8).

Fede che vuole crescere con la ricerca sempre più forte della verità, con un desiderio di Dio sempre più prepotente, che vuole crescere con una preghiera umile e abbandonata, con un adeguarsi in tutte le circostanze dell’esistenza all’esempio, che ci è stato dato dal Padre, che è Gesù. La Fede non può essere concepita come qualcosa di enigmatico e di alieno, ma come una luce e una forza che è indispensabile agli atti di ogni giornata.

Le cose futili occupano troppo certe anime, hanno un peso troppo rilevante, e troppo poco si valuta l’importanza che ha il vivere e l’operare in una comunità di fede. La comunità è il luogo del necessario rinnovamento e dell’incontro di fraternità.

Noi ora nel mondo siamo un piccolo gregge; il mondo ha coinvolto molti che erano cristiani. Noi dobbiamo, vivendo assieme, sentire l’importanza della vicendevole comunicazione e a diventare una forza valida non solo per resistere al male e alle arti del male, ma a portare agli altri questa parola della fede, a rappresentare gli altri nella lode a Dio Signore, al ringraziamento per tutti i benefici che provengono dalla misericordia divina nonostante i nostri peccati.

Dobbiamo liberarci da quei modi di fare, da quelle abitudini che possono impedire agli altri una visione giusta della fede, una visione strabica di ciò che vuol dire essere cristiani. È sacrificio. La Chiesa è la continuazione di Cristo, nel tempo e nello spazio. Cristo Capo non è pensabile senza il Corpo suo. La Chiesa è, per questo, universale sacramento di salvezza9. Ci ha dato la fede, ci ha garantito la fede. Dobbiamo sentire questo fino in fondo e vivere la nostra fede nella Chiesa. Professiamo nella Chiesa e con tutta la Chiesa la nostra professione di fede e ogni volta che diciamo il Credo sentiamo con profondità e con gioia come diceva un grande scrittore cattolico, il Claudel: “Quando sento nella Chiesa il Credo, esulto di un entusiasmo interiore, mi sembra di assistere alla creazione del mondo. So quel che è costata ciascuna di quelle formule, ognuna di quelle forme impresse alle verità eterne; sì, a prezzo di quali convulsioni, di quali strazi del cielo e della terra, di quali tormenti di sangue, di quali sforzi, di quali parti dell’intelligenza e di quali effusioni della grazia esse sono venute alla luce. E vedo questi grandi continenti del dogma emergere e disegnarsi, l’uno dopo l’altro, di fronte a me; vedo l’umanità in travaglio che riesce, infine, a strappare dal proprio cuore la scelta definitiva. È come una cattedrale che sia a un tempo immobile e in cammino con tutti i suoi pilastri, dall’atrio fino al coro”10.

È sacrificio grande di tutta la Chiesa che, custode della fede, ha saputo conservarla e trasmetterla fino a noi. Noi recitiamo il Credo e ci sembra tutto piano, ma quanti sacrifici è costato.

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