04/03/1981 - 251 - Salmo 49

04/03/1981

251. Salmo 49

4 marzo 1981

Il Salmo è una dura requisitoria contro la superficialità religiosa e contro un culto ipocrita che si accontenta di adempiere delle formalità. Il sacrificio, il rito, i gesti esteriori e pubblici di pietà valgono solo se sono accompagnati dal sentimento interiore, dal vero spirito interiore di soggezione a Dio e di osservanza pratica della sua legge. Chi si accontenta di gesti esteriori inganna se stesso, può ingannare gli altri; si può illudere ma non inganna Dio. Il Padre vede nel segreto1.

La trasgressione della legge divina coperta da una pratica esteriore di pietà costituisce l’uomo in una posizione odiosa e falsa, lo pone in un disonore permanente e antipatico.

E allora c’è tutta l’attrattiva del male e delle opere del male, l’attrattiva della roba, la passione della sensualità, l’egoismo che conduce a dividersi dai fratelli e a criticarli e a far loro del male. Dio non può tacere. Dio vuole il sacrificio di lode perché è questo che lo onora.

Gesù è venuto proprio a insegnarci la lode. Si è incarnato per farci capire come dal Padre viene ogni bene, così tutta la nostra vita deve essere benedizione a Dio.

Adorazione come atteggiamento profondo che riconosce la santità e grandezza di Dio; adorazione che è slancio di amore, è intima, segreta, totale e libera adesione e sottomissione a Dio in una carità fatta di trepidante e gioiosa contemplazione.

Ed è rimasto nell’Eucarestia perché noi potessimo donare al Padre la nostra vera lode, perché la sua lode divenga la nostra, il suo ringraziamento diventi il nostro, la sua benedizione diventi la nostra.

E poi dalla Liturgia la lode e la sottomissione passano a tutta la nostra vita. Una solidarietà con Gesù solo a parole, solo rituale, temporanea, sarebbe solo ipocrisia detestabile al cospetto di Dio. Ci uniamo a Lui per far nostri i suoi sentimenti, per unirci alle sue intenzioni, per vivere concretamente come Lui. Gesù ha avuto il vertice del Calvario, ma vi è arrivato con una vita di obbedienza al Padre, con una vita di lode e di amore.

Il dono dell’Eucarestia ci dice che Cristo è la nostra benedizione, che è sorgente di ogni benedizione: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo” (Ef 1,3).

Cristo modello di preghiera. Così pure per noi. La Liturgia è il vertice. Ma per poterla fare bene, per poter essere responsabilmente uniti a Gesù in questa ripetizione del Calvario, abbiamo bisogno di lasciarci occupare tutta la vita dalla lode cioè dal senso di dipendenza da Dio, dal ringraziamento, dall’amore. La vera partecipazione alla Liturgia non si improvvisa, e del resto la Liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa, non riesce ad esprimere la ricchezza della realtà sublime del Cristo, della Chiesa, della santificazione. Bisogna seguire Gesù in una realtà continua di preghiera.

La lode e il ringraziamento si sprigionano da tutte le opere di Gesù: “Io ti ho glorificato sulla terra compiendo le opere che mi desti da fare” (cfr Gv 17,4).

Bisogna che ci persuadiamo della necessità assoluta di questo spirito di preghiera: “Pregate senza interruzione” (1Ts 5,17); “Il Padre vuole questi adoratori in spirito e verità”2; la sua casa è casa di preghiera3.

Non aspettiamo a pregare quando ne sentiamo desiderio, lasceremmo la preghiera proprio quando più ne abbiamo bisogno. È un’illusione pericolosa a cui molti devono il loro allontanamento da Cristo. Il desiderio della preghiera non può nascere che dalla fede; desiderare di pregare è già un effetto della preghiera. Ci basti pensare che Dio ci attende: Dio desidera sempre di vederci pregare anche quando non ne abbiamo voglia, e forse soprattutto allora. Non dimentichiamo che meno pregheremo, più lo faremo male e ne avremo sempre meno desiderio. Dobbiamo pregare non per avere soddisfazione, e tanto meno per dire di pregare bene.

La convinzione sulla quale dobbiamo stabilire la nostra vita di preghiera è la certezza di essere amati da Dio, dal Cristo, non di un amore qualunque ma di un amore di predilezione e di amicizia. Il nostro amore non può essere che una risposta. Dobbiamo credere al suo amore anche quando siamo nel peccato, quando siamo nella freddezza e nella oscurità, quando soffriamo e quando sembra che tutte le cose congiurino contro di noi. Dobbiamo trovare anche nelle nostre miserie il segno dell’amore di Dio.

Presentarci nelle preghiere per fare bella figura davanti a Dio è da sciocchi. L’accettazione del nostro stato di povertà spirituale è riconoscere che da Cristo solo viene la nostra vera ricchezza, che noi abbiamo bisogno di Lui; è riconoscere che nonostante tutto egli ci ama e viene da noi per guarirci.

Dobbiamo essere totalmente disponibili per la preghiera.

Se non siamo così, vuol dire che nel fondo del nostro io non crediamo con forza alla dignità e alla insostituibilità della preghiera. Fintanto che non avremo compromesso nella preghiera il nostro essere e la nostra vita in modo del tutto personale impegnando la nostra responsabilità malgrado le fatiche del lavoro, la sollecitazione delle persone e delle cose, vuol dire che non siamo disponibili, e così non arriveremo a una ricca preghiera liturgica.

“Mi onorano con le labbra ma il loro cuore è lontano da me” (Is4). I periodi di preghiera in mezzo a tutta la frenesia di attività che abbiamo non devono essere5 dei vuoti mentre dedicarsi agli altri sono periodi di pieno che ci soddisfano. I tempi della preghiera devono essere i più ricchi, perché tempi in cui riceviamo in modo mirabile. La certezza che siamo figli di Dio e che Lui ci accoglie; anzi, che noi non avremo il coraggio e la capacità di donarci a Lui se la sua grazia non ci avesse prevenuto. Per questo dobbiamo perseverare con coraggio.

Non dimentichiamo mai che facciamo parte viva della Chiesa e che missione della Chiesa è quella del tempio, che Gesù stesso chiama casa di Dio e casa di orazione6. Così la Chiesa prega insieme e lavora affinché l’intera massa degli uomini diventi popolo di Dio, Corpo Mistico di Cristo, e tempio dello Spirito Santo e in Cristo, centro di tutte le cose, sia reso onore e gloria al Creatore dell’universo (Cfr Lumen Gentium, 17).

La vocazione e la missione suprema della Chiesa e in essa di ogni uomo è quella di essere lode della gloria di Dio. Nella sua fase definitiva la Chiesa sarà unicamente e puramente ostia di lode; sua unica attività sarà il canto giubilante della gloria di Dio.

Paolo VI: “La Chiesa vive e respira di preghiera: essa sa che quando due o tre sono congregati nel nome di Cristo egli è presente in mezzo a loro; essa sa che lo Spirito Santo accende ed infiamma la sua preghiera […]. La Chiesa sa che solo nella preghiera trova la forza interiore, la pace costruttiva, la fusione dei cuori nella carità, perché fin da principio è stata perseverante nella preghiera unanime con Maria Madre di Gesù7; sa che la preghiera è il vincolo che cementa in arcana comunione di vita e di meriti la triplice, ordinata, innumerevole schiera dei suoi membri glorificati, pellegrinanti o espianti; la Chiesa sa che la preghiera è la scuola dei santi, è la vocazione dei suoi sacerdoti, […], è la compagine della famiglia, è il vigore degli innocenti, la grazia e la forza della gioventù, la speranza dell’età cadente, il conforto dei morituri”8.

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  • “È evidente come Don Pietro abbia vissuto il suo sacerdozio
    tra la vita delle persone, condividendo tutto. 
    In fondo, forse, è il segreto più prezioso che ci ha svelato.”
    Umberto Roversi

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