251. Salmo 50
Ritiro1, 8 marzo 1981
I meditazione.
1) Drammaticità del peccato. Il bisogno del rifiuto e della espiazione. L’uomo è impotente a cancellarlo.
Il peccato è una responsabilità così grande che solo Dio può purificare. È il ricorso alla sua grande bontà. La malattia è così grave che solamente la potenza di Dio può annullarla.
Le espressioni «cancella», «lava», «mondami»2; “Crea in me un cuore puro”3. Vi è necessaria tutta l’opera del creatore.
“Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra, vi darò un cuore di carne” (Ez 36,25-26). “Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi” (Ez 36,27). E anche negli altri salmi vi sono immagini di questa impotenza a eliminare la colpa: “Le mie iniquità hanno superato il mio capo, come carico pesante mi hanno oppresso” (Sal 374). Acque che sommergono, si è naufraghi. Un peso sotto cui si soccombe. L’immagine dell’uccello. “Le acque ci avrebbero travolti, un torrente ci avrebbe sommersi, ci avrebbero travolto acque impetuose” (Sal 123,4-5); “Noi siamo stati liberati come un uccello dal laccio del cacciatore, il laccio si è spezzato e noi siamo stati liberati” (id.5); “Sia Benedetto il Signore che non ci ha lasciato in preda ai loro denti” (id.6).
Così nel salmo 129 è sottolineata l’immagine della schiavitù dal profondo: Redimet Israel7, “Egli ci ha sottratto al potere delle tenebre e ci ha trasportato nel regno del suo Figlio diletto per il quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati” (Col 1,13-14). Liberarsi dal Faraone. L’Esodo.
È l’amore di Dio che salva. “Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà” (Ger 31,3).
L’immagine del delitto. “Liberami dal sangue”8: pena di morte.
2) E noi abbiamo il senso del peccato?9 Attorno a noi vi è un’enorme tendenza a eliminare la colpa. Ciò che un tempo si riteneva peccato ora non è più, soprattutto per la sessualità. Ciò che si diceva «contro natura», perversione, ora si ritiene permesso purché non vada contro la libertà e i diritti degli altri. Ogni divieto di natura morale o religiosa si considera come tabù irragionevole e sorpassato e come fonte di frustrazione e di dannosa inibizione. Morale repressiva e sessuofobica. Ma non si limita al campo sessuale. Così il non compiere il lavoro, assentarsi, sperperare il denaro pubblico ecc... non sono risentiti come colpe.
E poi la colpa non è individuale, ma sociale, della famiglia, della scuola, della società. Rousseau. Gli individui sono marionette mosse da fili invisibili, la loro libertà è praticamente annullata. Il male non è individuale, ma sociale. Liberarsi dalla oppressione, dar libero sfogo agli istinti è la liberazione.
Anche nel campo cristiano: la secolarizzazione del peccato, non tanto come un’offesa a Dio, ma come male fatto all’uomo. I peccati più gravi sono il non avere aiutato il prossimo ecc... Tutta la Storia della Chiesa è vista come una serie interminabile di errori e nella storia di oggi nulla che non merita biasimo. Molti cattolici, mentre guardano con entusiasmo e simpatia ai non cattolici, ai non cristiani e ai non credenti nei quali scorgono molte cose belle e grandi, sono estremamente critici verso la Chiesa accusandola di infedeltà al Vangelo.
Si parla molto di peccato sociale. Ma prima di essere sociale è individuale; nella sua essenza profonda è rifiuto di Dio, il rifiuto di credere alla sua realtà, al suo amore, alle sue promesse. Non credere che è Padre e che è il Signore cui è giusto e grande obbedire. Il rifiuto di credere all’amore di Dio, cioè di essere amati da Dio e di amare Dio.
Quest’amore che dona, amore di amicizia e presenza, un amore che salva e perdona, misericordia continua, infinita pazienza. Non si rassegna a che l’uomo si perda. Proprio perché è Padre si offende, sente il disprezzo, l’abbandono, il tradimento (Ger 2). Il peccato va contro la santità di Dio e ne nega l’assoluta sovranità. Ma la gloria di Dio è la gioia dell’uomo. Dio è offeso quando è offeso l’uomo.
L’uomo, rifiutando Dio, si toglie volontariamente da Colui che è la sorgente della vita e del bene e si condanna alla morte e alla rovina. La legge di Dio esprime il bene dell’uomo sicché non osservandola si disgrega. Impone la legge non perché abbia bisogno ma perché lo ama e vuole che viva nella felicità: “Camminate sempre sulla strada che io vi prescriverò, perché siate felici” (Ger 7,23).
Il peccato è rovina e morte: esso distrugge l’uomo, lo corrompe, lo mette contro gli altri. Soprattutto lo rende schiavo: del suo egoismo, del suo orgoglio, delle sue passioni e istinti. Schiavo del peccato, di Satana: “Chiunque commette peccato è schiavo del peccato” (Gv 8,34). Il peccatore diventa incapace di fare il bene: “Io so che in me non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abiti in me” (Rm 7,18-20). Il peccatore è dunque abitato dal peccato. Conseguenza è l’indurimento del cuore, l’accecamento: “Chiunque fa il male odia la luce” (Gv 310).
3) Gesù è il segno più alto dell’amore misericordioso di Dio. Il suo comportamento: “Ti sono perdonati i tuoi peccati” (Lc 711); è venuto “non per chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13). Cristo “è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato resuscitato per la nostra giustificazione” (Rm 4,25).
2 meditazione.
Il Salmo che per eccellenza è penitenziale apre però una strada e una riflessione di gioia: “Fammi sentire gioia e letizia”12. Dio vuole la nostra gioia ed è per la gioia che ci ha creati ed ha condannato a morte suo Figlio per ridarci la gioia, liberandoci dall’angoscia del peccato.
San Paolo molte volte mette in risalto le relazioni tra penitenza e gioia: “Il Regno di Dio non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (cfr Rm 14,17). E in Gal 5,22: “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace…”13.
“Ora, quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocefisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri”14. Penitenza e gioia hanno un medesimo punto di riferimento, Dio; sono premessa e conclusione. La penitenza spiana la via al possesso dell’Assoluto: la gioia è la risultanza di tale vita in Dio e il frutto dell’apertura dell’anima al suo Regno.
La mortificazione è il disancorarsi dell’anima di quanto c’è di relativo e prenderlo solo come mezzo di vita, di perfezione, di ascensione. Mortificazione è mettere ogni cosa nel suo giusto valore e nell’adoperarla secondo la scala dei valori. Deriva all’anima armonia interiore, libertà spirituale, ordine e serenità di vita. Creare il vuoto nell’anima per farvi entrare Dio come Re.
La mortificazione pone l’uomo fuori e al di sopra del proprio egoismo e gli fa acquistare la capacità di dare ad ogni cosa il suo giusto valore. L’uomo che cerca di porre il proprio io al di sopra di tutto diventa schiavo e si invischia in tanti motivi di tristezza.
Per porsi in alto si cerca di minimizzare gli altri, a non dare loro il giusto valore, a non amarli per quanto meritano in sé ma soltanto per quello che rendono. Si è schiavi tra la vergogna e il timore, disappunto e disprezzo.
La libertà creata dalla mortificazione dona armonia allo spirito, dona la gioia, la serenità, la pienezza dell’amore. Ogni gioia che viene dagli esseri porta l’impronta del relativo. In Dio cambia aspetto: Dio è infinito e eterno. Ma Dio non si dà tutto all’anima se questa non si dà tutta a Dio. Quando questo scambio sarà pieno, la gioia sarà piena. Perfetta letizia15.
Tutto nel Cristianesimo parla di gioia. I profeti annunciavano il regno come gioia: “Ecco io infatti creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio” (Is 65,17-18); “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re” (Zc 9,9).
“Molti si rallegreranno” (Lc 1,14); “Rallegrati piena di grazia”16; trasalisce di gioia Elisabetta17. “Vi annunzio una grande gioia”18. Si rallegrarono di grandissima gioia19. La missione di Gesù è di gioia, è la promulgazione di un anno di grazia: “Mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione” (Lc 420). Le beatitudini21. La gioia nell’Ultima Cena: “Perché essi abbiano una gioia piena” (Gv 17,13).
Discesa dello Spirito Santo. Vita dei primi cristiani. San Paolo. L’uomo vecchio e il Battesimo.
La gioia si chiama Gesù. Con Lui la gioia, perfezione divina, è entrata nel mondo e si diffonde nell’umanità in virtù dell’unione che regna tra le membra del corpo di cui Lui è il capo.
Il Capo è immerso nella gioia inalterabile di Dio.
Bisogna non confondere la gioia con il piacere. La gioia di cui parliamo viene da Dio, è appagamento dell’amore di Dio.
Vi sono altre gioie e vi è il piacere dei sensi.
Con il progresso nella via di santità cresce in noi la forza dello Spirito che rende sempre più debole la potenza della carne.
Il messaggio di gioia consiste nel fatto che Dio è Padre che ama22 di infinito amore e vuole renderlo partecipe della sua gioia eterna comunicandogli una misteriosa partecipazione della sua maestà divina. E questo è stato fatto da Gesù, e ci ha liberato.
Lo Spirito Santo lavora nel mondo a edificare il Regno nella nostra storia che perciò non è destinata al fallimento e alla morte ma è destinata a sbocciare nelle pace e gioia di Dio: l’uomo, il mondo, la storia sono già salvi sia pure nella speranza (Rm 8,24), una speranza che non può andare delusa. Perciò gioia nella speranza (Rm 12,12). Gioite nel Signore (Fil 4,4). La gioia è talmente necessaria che è un frutto dello Spirito che abita nel mondo e dirige tutta la sua attività.
Al mondo i cristiani non devono solo annunziare il lieto messaggio ma devono dare testimonianza di gioia. Non devono essere scoraggiati o tristi, o insensati e tardi di cuore (Lc 2423); testimoni della gioia, della speranza, testimoni delle Beatitudini, anche nelle tribolazioni.
Infelices feliciter24 (Sant’Agostino).
3 meditazione.
“Signore apri le mie labbra”25. La preghiera è essenzialmente uno slancio verso il Signore di cui per la fede esperimenta la presenza e la bontà. Bontà che si manifesta in mirabilia26.
Non è un dovere, una specie di tassa onerosa da dare alla maestà infinita di Dio anche controvoglia, è l’elevazione spontanea, entusiasta. Vede in ogni avvenimento un intervento di Dio, celebra il memoriale delle mirabilia nella storia della salvezza, è convinto che Dio è potente, buono, fedele alle sue promesse, implora con fiducia.
Lo stupore, l’ammirazione, l’entusiasmo entrano come base della preghiera che si esprime in adorazione, ringraziamento, ecc... Lode giubilante. Se è stanca e stentata è perché abbiamo smarrito il candore e la vivacità della fede, ci lasciamo paralizzare dall’abitudine, dall’irriflessione, dalla monotonia meccanica. Anche gli atti più sconvolgenti della vita spirituale non si sentono più. Dio ci benefica così largamente e continuamente che facciamo indifferenza alla sua presenza, non avvertiamo più la presenza dei suoi doni. L’uomo di fede non si abitua a nulla, passa di novità in novità, di meraviglia in meraviglia; ogni evento esteriore o interiore assume ai suoi occhi una trasparenza tale per cui vede al di là di ogni apparenza la presenza di Dio che opera meraviglie. Tutto appare come un dono attuale, omne divinum novum27, che scioglie il cuore nella tenerezza e invita al cantico di ringraziamento. Est et fides alia ferventior, ut vinum; alia lucidior, ut succus est lactis28 (Sant’Ambrogio).
Tenere presente che preghiera non è semplicemente opera dell’uomo, ma opera di Dio che agisce in noi mediante il suo Spirito che ci dona all’atto del Battesimo e invita alla lode (At 10,46).
L’azione dello Spirito Santo si traduce in un sentimento sempre più cosciente della loro filiazione. È lo Spirito che suggerisce anche il contenuto della preghiera, ispirandoci ciò che dobbiamo domandare e intercedendo lui stesso perché veniamo esauditi. Egli ci fa comprendere che l’amore di Dio è un amore di Padre così che la preghiera ne esce impregnata di spirito filiale, donde la sua efficacia. Tutto va al Padre per il Figlio nello Spirito Santo. La preghiera ne esce così rinnovata. Il Cristianesimo è l’innesto dell’uomo in Cristo per mezzo dello Spirito, perciò ogni preghiera è prolungamento dell’unica preghiera gradita a Dio, quella di Cristo. Cristo prega in noi e noi in Lui e con Lui nello Spirito.
Ecco perché la preghiera non può essere semplicemente abbandonarsi all’estro, alla spontaneità dei singoli e dei gruppi.
Con maggior ragione per la preghiera liturgica, perché Dio ha fatto di noi tutti una sola famiglia, in un’unica Chiesa, in un unico Corpo Mistico. I figli di Dio non possono realizzare il fine per cui sono consacrati – la gloria di Dio –, se non inseriti organicamente nel Corpo Mistico dal quale ricevono vita, sviluppo, perfezione, pienezza; è legge fondamentale: la salvezza in comunità.
Di qui la preghiera comunitaria. Il cristiano non è un isolato in nessun tempo, in nessun atto della sua vita, ma sempre partecipa alla vita di tutto il corpo al quale è inscindibilmente unito dal vincolo della fede, della grazia e del sacramento.
Esercizio del sacerdozio di Cristo.
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