01/04/1981 - 251 - Salmo 55

01/04/1981

251. Salmo 55

1 aprile 1981

Il Salmo esprime l’angoscia di chi si trova solo in mezzo a dei nemici, che non gli lasciano tregua. La paura prende l’animo e lo attanaglia. Da chi si può sperare salvezza se non da Dio? L’uomo calpesta e qual è la confidenza se non in Dio che è sempre misericordioso?

Ci fa venire in mente la nostra condizione spirituale. Diceva già Giobbe: “La vita dell’uomo su questa terra è tempo da soldato, è tempo di combattimento”1. Ogni uomo è tentato da mille tentazioni e da mille prove che devono dimostrare, se vinte, la nostra fedeltà a Dio. Anche Gesù ha voluto subire l’umiliazione di essere tentato. “Fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo” (Lc 4,1-2); “Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del mondo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed aver sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,17-18). Ci ha voluto istruire, presentandosi come modello, darci una grazia, indicarci un conforto.

Però noi dobbiamo seguirlo. Se ha fatto penitenza Lui, la dobbiamo fare anche noi. La strada è questa. Non bisogna venire a patti. Il Signore ci ha indicato la decisione come necessità assoluta. La tentazioni si affermano in noi e ci sopraffanno perché scendiamo a patti. “Se la tua mano destra, se il tuo occhio ti sono di scandalo, […], piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” (Mt 5,29).

La penitenza è veramente necessaria.

«Ascesi» è una parola che ritorna spesso nel linguaggio cristiano e significa che è necessario un continuo sforzo personale, faticoso, continuo per difendersi dagli attacchi del maligno e per raggiungere la perfezione a cui Dio ci chiama. E Lui non manca mai della sua grazia. Ma vuole da noi questa collaborazione che sta a dimostrare il nostro amore, un amore vero e fedele che supera ogni forma di egoismo. Un itinerario di vita che richiede un alacre lavoro di preghiera, di mortificazione, di lavoro, di rinuncia, di distacco.

L’amore non si può ridurre a una parola. “Diceva a tutti: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23); “Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra […]. Anche voi un tempo eravate così […]. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo” (Col 3,5 sq.).

Dobbiamo educare noi stessi, formarci per riuscire a realizzare in noi stessi un comportamento in questa vita terrena per raggiungere la nostra patria celeste. Bisogna che mai cediamo all’illusione. La vita cristiana è un forte combattimento. Vi è una lotta incessante tra la parte inferiore di noi e la parte superiore. Il disordine creato in noi dal peccato originale è stato accresciuto dai nostri peccati personali, dalla persistenza nel peccato e dalla nostra scarsa decisione.

Dobbiamo dunque ordinare noi stessi perché non prevalga la cattiva tendenza; e questa lotta non cessa mai, dura tutta la vita. Vigilare: considerarsi sempre in stato di guerra. Tanto maggiore il combattimento quanto più è rinfocolato dai cattivi esempi, dalle cadute degli altri, di quelli cui meno avremmo pensato. Il mondo preme con i suoi scandali, il principe di questo mondo, il demonio, agisce con grande forza. “L’anima – dice san Giovanni della Croce – deve essere propensa non al più facile, ma al più difficile”2. Dura la lotta, ma necessaria; altrimenti si è vinti.

Liberarsi per amore di Dio, di tutto quello che non è Dio. Questo non vale solo per la prima conversione dal peccato, ma per progredire nella vita spirituale. Troppe anime sembrano dei paralitici che non riescono a muoversi e a camminare. Abbiamo un modo di vita troppo esteriorizzato che ci toglie le energie e il gusto della lotta interiore.

Abbiamo ricordato recentemente quel caro san Domenico Savio che il giorno della sua Prima Comunione aveva fatto il proposito: “La morte ma non peccati”; e l’aveva rinnovato il giorno dell’Immacolata del 1854: “Maria vi dono il mio cuore, fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria siate voi sempre gli amici miei; ma per pietà, fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato”. E per adempiere tali propositi, diventati come la guida delle sue azioni fino alla fine della sua vita, quale spirito di rinuncia, quali pratiche ascetiche e quante penitenze non ha fatto o tentato! Nota nella sua vita san Giovanni Bosco: “Egli sapeva che difficilmente un giovane può conservare l’innocenza senza la penitenza, e questo pensiero faceva sì che la via dei patimenti per lui sembrava coperta di rose. Per penitenza non parlo del sopportare pazientemente le ingiurie e i dispiaceri, non parlo della mortificazione continua e compostissima di tutti i suoi sensi nel pregare, nello studio, nella scuola, nella ricreazione; queste penitenze in lui erano continue. Io parlo solamente delle penitenze afflittive3 del corpo”4. E questo in un innocente. In un peccatore c’è la necessità della riparazione, di restaurare qualcosa che si è rotto, di accettare il nemico che si è fatto più forte.

“Molti sono quelli che mi combattono”5. Non bisogna attendersi e non bisogna pretendere dei miracoli. Chi ha peccato riceve il perdono se è pentito, ma deve realisticamente tener conto che è diventato più debole e più fragile e che quindi non deve meravigliarsi delle tentazioni, e perciò si deve difendere con le armi ascetiche. Il suo amore deve dolersi di non aver amato. E l’amore fiorisce sulla croce nell’unione con Gesù. Dobbiamo guardare al nostro modello Gesù e saper essere molto attivi, perché solo così vinciamo i nostri nemici. Molti sono i doni ricevuti nel Battesimo: la grazia che santifica, i doni dello Spirito, le virtù infuse.

Bisogna allora lavorare, combattere e allontanare tutti gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di quella pienezza di vita. Chi non lavora con impegno rimarrà molto indietro. Santa Teresa dice a chi non si sforza, alle anime che non si impegnano nell’esercizio della virtù: “Rimarrete sempre delle nane. E piaccia a Dio che vi limitiate soltanto nel non crescere, perché su questa via chi non va avanti torna indietro. Tengo per impossibile infatti che l’amore, quando vi sia, si contenti di rimanere sempre in uno stato” (Castello 7)6.

“Perché io cammini alla tua presenza nella luce dei viventi”7. È la beatitudine evangelica di una vita veramente generosa e donata. Lo Spirito Santo la introduce nella pace e nella dolce unione con Dio. Incorporata a Cristo sa di vivere nella Chiesa per il bene di tutti, sa che la salvezza di molti dipende dalle sue preghiere e dai suoi sacrifici e ha la gioia di spendersi. Sa che in questo sforzo di ascesi ha le gioie della santità, la perfetta letizia di san Francesco: “Se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali noi dobbiamo sostenere per lo suo amore, o frate Leone, scrivi che in questo è perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Leone. Sopra tutte le cose e grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per l’amor di Cristo, sostenere pene, ingiurie, obbrobri, oltraggi”8.

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