251. Salmo 58
29 aprile 1981
Il Salmo comincia con un grido di invocazione. Il salmista è assediato da molti nemici rabbiosi e cattivi. La sua anima è angosciata; da tutte le parti è assalito e non pare che possa avere scampo. Di qui il suo gridare al Signore perché lo soccorra: “Levami in alto, liberami”1. I traditori, alleati con i nemici, scorazzano come un branco di cani ringhiosi2 e urlano offese tali che non sembrano parole quelle che escono dalla loro bocca, ma spade affilate3. Ma Dio non ha paura e sa mirabilmente difendere chi confida in lui, e lascia in preda alla tristezza del suo peccato l’ostinato nel male.
Di qui prorompente esce dal cuore a fiotti la riconoscenza: “Ma io canterò la tua potenza”4. Dio è il Dio della salvezza.
Anche ogni anima ha i suoi nemici e sa che la vita è un duro combattimento. Dannoso è farsi illusione. “Quando lo spirito immondo esce da un uomo, se ne va per luoghi aridi cercando sollievo, ma non ne trova. Allora dice: «Ritornerò alla mia abitazione da cui sono uscito». E tornato la trova vuota, spazzata e adorna. Allora va, si prende sette altri spiriti peggiori ed entra a prendervi dimora; e la nuova condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima” (Mt 12,43-45). Sono parole terribili che ci devono far pensare e darci uno stile di combattimento per la nostra vita. Per questo una vigilanza, un controllo continuo dobbiamo esercitare sui problemi quotidiani della nostra anima. Le tentazioni sono sempre urgenti e non ci possiamo concedere vacanza o rimanere passivi. Il confronto con la Parola di Dio ci illuminerà e ci stimolerà, è nella sua luce che si potrà vedere. La Parola di Dio è una meravigliosa forza, particolarmente celebrata nell’azione liturgica, dove è il Verbo di Dio che ci parla in modo sempre nuovo.
Ogni celebrazione è un evento nuovo in cui la Parola diventa Carne e prende dimora in noi per trasformarci con la comprensione di Lui nella sua stessa immagine. E in Lui ci conosciamo e vediamo i nostri pericoli e la nostra situazione. Perché la Parola di Dio non resta mai una realtà puramente esteriore, ma la sua proclamazione nella Chiesa e dalla Chiesa provoca l’interiorizzazione, l’accettazione di ciò che Gesù ha detto e ha fatto. Ognuno è chiamato a dimorare nella Parola mentre la Parola è in Lui.
La celebrazione liturgica realizza tre trasformazioni:
1) trasforma il pane e il vino;
2) trasforma l’assemblea in Corpo Mistico del Signore;
3) trasforma la Parola di Dio in sacramento di salvezza.
La Parola di Dio è detta «luce»5 e ci fa uscire dalle tenebre. È detta «cibo»: “Mio cibo è fare la volontà del Padre”6; “Ecco verranno giorni, oracolo del Signore, nei quali invierò la fame di Dio” (Am 8,11).
E poi l’esame di coscienza personale nella quiete della sera, un esame che realizzerà l’umiltà, poiché vedremo il sentimento del nostro nulla, della nostra impotenza, della miseria profonda fondata sulla conoscenza di noi stessi. Se non fossimo ciechi sul nostro vero essere e ci conoscessimo come ci conosce Dio, non saremmo tentati né dall’infatuazione dell’orgoglio né dalla voglia delle lodi né dall’eccessiva fiducia in noi stessi, madre di vanità e di presunzione. Rientrando in noi stessi, nelle profondità della nostra anima, scandagliando gli abissi, scoprendone i misteri. Alla superficie di questo mondo interiore, debolezze, imperfezioni, colpe senza numero si moltiplicano ogni giorno e ogni momento.
L’anima che non si esamina, o solo in fretta, non ha per così dire coscienza; appena tiene conto di alcune mancanze notevoli sulle quali non si può illudere.
Quella invece che si esamina davanti a Dio si riconosce rea di molte colpe. Scopre omissioni più o meno volontarie di doveri difficili, negligenze che si sarebbero evitate con un po’ più di riflessioni, distrazioni nella preghiera, sensualità lievi, molto egoismo, riguardi personali, capricci che non osa sacrificare, vivacità, impertinenze, compiacenze o malinconie vanitose, tempo perso, parole oziose, immaginazioni vane e spesso strane. Per poco che studiamo noi stessi, sveliamo stupiti che quasi nessuno è senza difetti o nella sostanza o nelle circostanze. Ma vi sono altre cose da scoprire: le nostre inclinazioni cattive, le passioni che, anche non assecondate, hanno nel cuore un germe sempre vivo. Sentiamo di essere incapaci di fare il bene senza il suo aiuto, che né l’intelligenza né la volontà sono capaci per se stesse di salvarci. Ed è così che possiamo premunirci contro i nostri nemici.
I peccati possono essere causati o dalle seduzioni dei sensi e delle passioni o dalle sorprese o dalle illusioni. Questo confronto con la Parola di Dio ci libera da questo triplice pericolo. Salmo 90: “Non temerai i terrori della notte né la freccia che vola di giorno”7.
Troppi si illudono di essere in grazia di Dio e non lo sono. La zizzania sparsa di notte8. Prima lieve mancanza, poi dormite sempre più gravi, e si è nell’abisso senza avvedersene. Si crede ancora viva invece è morta: “Ti si crede vivo e sei morto” (Sardi); Ap 3,1. Guai a essere distratti.
E poi riceviamo spinta a desiderare la perfezione e a lavorare per acquistarla. Distacco dalle cose, percezione di che cosa si muove in noi, ci collega e si revisiona ciò che si è fatto nella meditazione. Perché non lo facciamo?
Le cause che più facilmente influiscono. Stanchezza, fretta, superficialità; tiriamo via ed è per questo che la santità resta sempre lontana, come un mito. La pazienza dell’artista che rifinisce. Forse perché non amiamo abbastanza e ci accontentiamo di un pressappoco. Il continuo desiderio di essere illuminati e purificati: qui corda fidelium9. In questa umiltà conosciamo Dio, e in Lui, nella sua Parola, conosciamo noi stessi.
Il pentimento assume allora la giusta tonalità. Sentiamo Dio che è tutto per noi, che è interessato alle nostre piccole cose e che non è mai un fatto piccolo quello che va contro a un così grande amore.
“Imponeva le mani su ciascuno di loro”10. Ognuno sente che Egli ha una speciale attenzione e che ripete il suo gesto di benedizione. Le nostre anime sono inferme e paralitiche. I suoi occhi nei nostri. Sentiamo che non siamo un’unità sperduta in mezzo a una moltitudine, che possiamo sentire le sue mani posate su noi, che ci sentiamo consacrati al suo servizio.
Diremo: Guariscimi, o Signore, con le tue mani redentrici che hanno creato l’universo; guariscimi dalla sonnolenza, dalle mie intemperanze. Difendimi fino al giorno dell’abbandono completo e totale. Nelle tue mani11.
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