17/05/1978 - 251 - Salmo 6

17/05/1978

205. Salmo 6

17 maggio 1978

Il problema del peccato e il problema del dolore.

Del dolore che ci appesantisce proprio perché siamo consci che abbiamo peccato e Dio ci sembra giustamente lontano da noi. La malattia nostra o di un caro, una disgrazia che capita in famiglia, uno stato di frustrazione o di malinconia. Dio dov\'è? Dio non ascolta più? Non si ricorda più di me? Momenti pericolosi.

Due cose: la tecnica di Dio e il modo di guardare ai nostri peccati.

1) Dio ascolta sempre l\'anima; il suo nome è «l\'Infinita Misericordia». Ci ascolta, ci cerca, si preoccupa di noi. Ma proprio perché Sapienza e Misericordia ha dei «suoi» modi che non coincidono con i nostri.

“Le tue vie non sono le mie vie”1. Di qui invocazione: “Fammi conoscere le tue vie”2. Ci vuol purificare e allora permette le ore buie, le ore dell’aridità spirituale, dell\'impotenza, di una stanchezza di cui non si sa la causa, dell’incomprensione di chi più ci dovrebbe capire.

Questo perché la nostra fede diventi più grande, più pura da tutte le infiltrazioni umane e sensibili,

perché ci distacchiamo da tutto,

perché acquistiamo dirittura di carattere,

perché ci vuole rendere forti per una missione futura, o per una tentazione futura.

È necessario allora fidarci di Dio, credere al suo amore, lasciarci condurre. La creta deve essere ben intelligente per lasciarsi modellare dal vasaio. Del resto ognuno che ha vissuto ne ha fatto l\'esperienza. Anche i fatti più ostici e incomprensibili sul momento hanno poi dimostrato ad evidenza che c\'era un filo d\'oro che ci conduceva, il filo d\'oro dell\'amore di Dio.

La Provvidenza non è un rifugio dei deboli, è una fede di coscienze forti: Dio è al volante, Dio è al timone. Non interviene solo nelle grandi decisioni della storia e dei popoli, è presente in tutta la vita della nostra anima.

Quindi evitare due pericoli: una concezione puramente passiva della vita, con il pretesto di affidarci alla Provvidenza, e un attivismo cieco che non tiene conto di chi invece è sempre presente.

Esiste un piano di Provvidenza per noi singolarmente e per tutto il mondo. La Provvidenza è il governo che Dio fa delle sue creature, di me sua creatura. La Provvidenza è la logica della creazione, di Dio che mi ha fatto suo figlio e mi vuole condurre nel suo amore. La sua redenzione tiene conto anche dei miei peccati e dei miei difetti. Il piano divino accoglie la nostra opera libera; la nostra libertà è accettata e non schiacciata dalla sua volontà.

Dio infinitamente ricco dà agli altri di essere ricchi e pertanto di contribuire con l\'opera loro in qualunque giusta direzione al suo piano.

San Tommaso «ha definito la Provvidenza la ragione dell\'ordine3, il riflesso del pensiero di Dio nelle cose e nella storia.[…]. Tutto dipende da un Verbo creatore.

[…]. Ha conferito al dolore stesso una sua utilità, suprema nell\'economia della croce e della Redenzione, ed ha concesso all\'uomo di recuperare il bene, e spesso un bene di natura superiore, in ogni nostra condizione per misera ed avversa che sia: “Tutto coopera in bene per chi ama Dio” (Rm 8,28), dice sa Paolo; e finalmente in Cristo Dio-Provvidenza, Dio-Amore ha vinto la morte».

(Paolo VI4)

È che noi vogliamo guardare troppo avanti e facciamo dipendere tutto dal nostro pensiero, dalla nostra preoccupazione: Sufficit diei malitia sua5 (Mt 6,34). Vivere alla giornata. Non siate solleciti del domani6. Noi ci straziano in tante angustie. La natura è così bella e noi non ce ne accorgiamo; non ci fermiamo a guardare e non ringraziamo il buon Dio. Abbiamo intorno tanti fratelli che potremmo rendere contenti, invece anche loro sono motivo di cruccio.

«Accanto alla nostra strada corre la gioia, come in un immenso limpido silenzioso fiume e noi moriamo di sete, noi la cerchiamo in torbidi rigagnoli […].

La quale gioia non è una cosa metafisica, eroica, stellare: sta in un nonnulla e ne è pieno il mondo quando l\'anima nostra non fosse così vanamente turpe e stregata e invasata dalle sue nere e scimunite passioni. Svegliamoci alla gioia: è il dono nuziale che ha dato il Padre alle nostre anime. È più forte del dolore ed è bella quanto l\'amore. Perché è anch\'essa amore».

(De Luca)

2) E c’è un modo di guardare i nostri peccati che è da pagani: è quello che ci rende malinconici di una malinconia che paralizza e rende pusillanimi. Non si osa guardare avanti perché si sa che tutti i propositi saranno infranti, tutte le parole dette solennemente non conteranno nulla, tutte le promesse saranno dimenticate. Una tristezza solitaria.

E invece il nostro dolore ci deve condurre a Lui, il nostro Redentore, perché attraverso le nostre colpe ci è venuto incontro, Lui Buon Pastore. Si piange in due.

L\'amore che si sente perdonato diventa fortissimo. Se vogliamo pentirci bene dobbiamo ricorrere a Lui, è un suo dono. E senza di Lui non potremmo riparare nulla, né farci più bravi. Se ricordiamo i peccati del passato, se li tocchiamo uno per uno è solo per celebrare il suo amore che ce li ha fatti superare, che tutti ce li ha perdonati ridandoci ogni volta la sua amicizia. È un esercizio di umiltà, non di irritazione, di rabbia di un orgoglio ferito.

Ecco perché ad ogni liturgia ripetiamo il nostro «Confesso», il nostro «Signore pietà»: perché tutte le volte ripetiamo la sua misericordia, ricordiamo la sua onnipotenza che ancor più che nella creazione si manifesta nel perdonare, cioè nel rinnovare i prodigi di vita nelle anime ferite dal peccato. Questa certezza che il Signore ascolta la voce del mio pianto dà tanta serenità e tanta pace. Allora è la piena scoperta di Dio Amore, del Cuore di Dio nella Parola di Dio.

Lo Spirito Santo ci conduce con queste parole fino a Gesù, la manifestazione dell\'Amore Trinitario.

Allora sappiamo come Gesù ha ascoltato la nostra voce. Noi ci troviamo nei suoi miracoli, nei suoi richiami, nella sua tenerezza. Noi sentiamo di essere nella casa di Betania, con Lazzaro, Marta e Maria, noi ci sentiamo investiti dalla sua misericordia con Zaccheo il pubblicano.

Diceva un antico manoscritto: «Voglio dirvi come ho fatto la sua conoscenza. Avevo sentito parlare di Lui ma non ci facevo caso. Mi mandava ogni giorno regali, ma non lo ringraziavo mai. Più di una volta mi parve che desiderasse la mia amicizia, ma io restavo freddo. Ero senza casa, infelice, affamato, in pericolo ed egli mi offriva ricovero, comodi, cibi, sicurezza, ma io persistevo nella ingratitudine. Alla fine incrociò la mia strada e, con il pianto negli occhi, cerco di dirmi: “Vieni a stare con me”.

Voglio dirvi come ora mi tratta: colma tutti i miei bisogni, mi dà più di quanto oso chiedere, anticipa ogni mia necessità, mi supplica a chiedere sempre di più, mai si ricorda della mia passata ingratitudine, mai mi respinge per le mie passate follie.

Voglio dirvi anche cosa penso di Lui: è tanto buono quanto è grande, il suo amore è tanto vivo quanto vero, prodigo nelle promesse come è fedele nel mantenerle, geloso del mio amore quanto lo merita; in ogni cosa sono il suo debitore, eppure Egli mi comanda di chiamarlo amico».

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