15/02/1982 - 251 - Salmo 60

15/02/1982

251. Salmo 60

15 febbraio 1982

Il Salmo esprime viva fiducia in Dio. Davide sa che il Signore non gli può mancare. Con lui ha ottenuto vittorie innumerevoli e grandi. Profondo è il suo senso di riconoscenza, ma sa che deve restare sempre in invocazione.

Dal Signore devono venire tante altre grazie. Vi è una rupe, fortezza inaccessibile, solo con Dio si potrà conquistare, altrimenti “il mio cuore vien meno”1. Vi è un avversario che non smobilita. Con il Signore si potrà aver pace e tranquillità e essere al riparo “all’ombra delle sue ali”2.

Il re potrà avere così una vita lunga “sotto gli occhi di Dio”3 e l’inno potrà innalzarsi lieto e perenne.

La situazione possiamo applicarla anche a una nostra situazione. Abbiamo ottenuto delle vittorie, abbiamo vinto nel dinamismo della vita spirituale non per nostra forza ma perché il Signore Gesù ha trionfato in noi. L’opera però non è compiuta, restano tante cose da vincere; ci sono dei difetti che sembrano una rocca inespugnabile, le tentazioni non ci danno tregua e ci sentiamo tanto deboli e incoerenti, tanto che alle volte proviamo un’amarezza che rischia l’avvilimento. Questi nostri difetti così tenaci e risorgenti. Non li possiamo propriamente chiamare vizi, perché non ci opponiamo con assolutezza alla virtù, ma sono abitudini che non sono conformi alla vera virtù e ci bloccano, tanto da sembrare invincibili. Molte volte abbiamo chiesto perdono, ci siamo confessati. Ma non li abbiamo sradicati e li troviamo sempre uguali e attivi.

Il giorno del Battesimo, lo Spirito Santo ha posto nel nostro cuore un seme prezioso che si deve sviluppare. È questione del terreno, ed è proprio su questo terreno che dominano i difetti che ci impediscono il reale progresso. “Quelli che ricevono il seme tra le spine sono coloro che hanno ascoltato la parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto” (Mc 4,18-19).

È necessaria tutta una lotta, quell’aspetto della vita spirituale che viene chiamato «dinamico-negativo».

La prima cosa è conoscerli bene come tali. Vi è il superficiale che teme di scendere in profondità nell’anima per non trovare delle realtà spiacevoli. Vi è l’orgoglioso che non vuole vedere ciò che lo umilia. Vi è chi manca di introspezione e confonde la mancanza di energia con la dolcezza evangelica, o la durezza e l’ottusità con la fortezza.

Per cui sarà necessaria la pratica dell’esame di coscienza: di vedere alla luce della parola di Dio, un confronto realizzato nella preghiera, la nostra vera situazione. La parola di Dio ci illumina e ci stimola. Dobbiamo armarci di coraggio e volere la autentica mortificazione. Perché i nostri difetti nascono dalle nostre passioni che non siamo riusciti a mettere sotto controllo. Dice san Bernardo: putata repullulant, effugata redeunt, reaccenduntur extincta et sopita denuo excitantur4.

La lotta è perciò di tutti i giorni, sostenuta dal pensiero che non siamo in questo mondo per fare la nostra volontà, ma quella di Dio. “Cristo non cercò di piacere a se stesso” (Rm 15,3). È la ricerca di Dio e del suo amore.

Esclamava sant’Alfonso nella sua tenerezza e semplicità: “Amato mio Redentore, o amabile Infinito, poiché voi siete disceso dal cielo per donarvi tutto a me, che altro voglio io andar cercando sulla terra e nel cielo fuori di voi che siete sommo bene, l’unico bene degno di essere amato? Voi dunque siete l’unico Signore del mio cuore, voi possedetelo tutto, e l’anima mia solo voi ami, a voi solo ubbidisca e cerchi di piacere. Si godano pure gli altri le ricchezze di questo mondo, io solo voi voglio; voi siete e sarete la mia ricchezza in questa vita e nell’eternità”5.

Questa decisione di amore è fondamentale per tagliare i difetti alla radice. Un confronto chiaro e continuo con quello che ha fatto Dio e quello che facciamo noi. Santa Teresa, nel Castello Interiore, dice: “Credo che non arriveremo mai a conoscerci se insieme non procureremo di conoscere Dio. Contemplando la sua grandezza, scopriremo la nostra miseria; considerando la sua purezza, riconosceremo la nostra sporcizia; e innanzi alla sua umiltà vedremo quanto ne siamo lontani”6.

Bisogna riempirci dello spirito di Gesù Cristo. Diceva san Paolo: “Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. […]. L’uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito” (1Cor 2,12-14).

Lo spirito del mondo ci spinge a stimare l’oro e l’argento, le cose che splendono e le sciocche vanità. Lo spirito di Gesù ad amare la semplicità, la schiettezza e la povertà. I nostri difetti denotano spesso un fondo, un attaccamento alle cose futili e terrene, alla eccessiva stima di noi stessi. “Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!” (1Gv 2,15 sq.).

Dobbiamo dunque guardare al Cuore Santo di Gesù, al suo spirito di purezza, di umiltà, di dolcezza. Ed è principalmente nell’Eucarestia che troviamo tutto questo, è l’Eucarestia il grande rimedio di tutte le nostre debolezze, è l’Eucarestia che ci dà il gusto delle cose divine, è lei che ci preserva dal gusto di una sapienza che non viene dall’alto, – come dice san Giacomo – che è “terrena, carnale, diabolica”7. È lei che ci guarisce a poco a poco e ci preserva da un cronicismo che è sempre molto pericoloso perché porta alle più gravi cadute.

Vi è una pianta parassita nell’America Meridionale chiamata «apuizeiro» (ficus fagifolia). È seminato dal vento: per attecchire gli basta un piccolo incavo in un albero. In principio è fragilissimo, ma diventa presto dominatore e carnefice della pianta. Prima si accontenta di poco. Poi striscia lungo il tronco fino a toccare la terra. Allora le sue forze si moltiplicano e i tentacoli si allungano fino ad abbracciare il tronco e a stringerlo in una morsa mortale. Questi tentacoli sono forniti di spine dure come chiodi, che riescono a penetrare anche nel legno più duro. Penetrano in profondità e succhiano tutta la linfa vitale. Col passare dei mesi, i tentacoli aumentano, si sovrappongono, si tendono fino a formare una cintura solida, stretta attorno al tronco dell’albero che inesorabilmente muore.

Non avvenga così dei nostri difetti. Ma uniti al Cuore di Gesù possiamo attingere alla grazia della sua Pasqua, e allora canteremo “inni al suo nome”8.

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