28/02/1982 - 251 - Salmo 61 Ritiro Quaresima Giovani

28/02/1982

251. Salmo 61

Ritiro Giovani, 28 febbraio 1982

Il Salmo è tutto fiducia e abbandono pieno di speranza in Dio. Tutte le altre supposte sicurezze sono illusorie, gli uomini sono un soffio, “una menzogna tutti gli uomini, insieme, sulla bilancia, sono meno di un soffio”1. Quanto poco pesano!

Ancora, le ricchezze non valgono. Non bisogna attaccarci il cuore e la violenza prepotente niente può realizzare.

Ecco: solo il Signore è la “rupe di difesa”2, la pietra sulla quale si può essere saldi e non vacillare3. Egli è il “rifugio”4. Egli è il riparo. Per due volte è ripetuta questa espressione. Su questo vorrei particolarmente fermarmi. La Quaresima stessa ci invita. La Quaresima ci viene incontro come una grazia di incontro con Dio, di incontro sereno e forte, di preghiera confidente e piena. La Quaresima parla di deserto in cui si può meglio realizzare l’incontro con Lui, di silenzio provvidenziale e proprio.

A noi così agitati, così presi dalla convulsione stolta del mondo, dalla attrattiva assurda delle cose esteriori che giudichiamo così importanti e valgono tanto poco.

La Quaresima ricorda e vuole rivivere la vita di Gesù nel deserto. Entrare in Quaresima è entrare nel deserto. Vederne la necessità, l’enorme vantaggio, la purificazione, la gioia. Fare deserto è fare solitudine, silenzio. Accompagnare Gesù in questa esperienza di preghiera e di silenzio. Con amore e con slancio, con il suo amore e il suo Cuore. Perché tutte le opere di Gesù sono amore e anche questa è stata voluta solo nell’amore. Gesù ci ha voluto insegnare come si trova Dio, come il silenzio sia uno stato prezioso che contiene tanta dolcezza.

Dio stesso ha voluto il suo popolo nel deserto perché lì dimostrasse la sua fedeltà e si forgiasse come il popolo prediletto. Nel deserto riceve la legge, i comandamenti e compie l’Alleanza con Dio. E il ricordo di tutto questo sarà un perenne stimolo. I prodigi compiuti allora da Dio assicureranno per sempre della bontà e della provvidenza divina. Il passaggio del Mar Rosso5, la manna6, l’acqua sgorgata dalla roccia7 sono segni del suo prodigioso amore, sono sicurezza per tutto ciò che può avvenire.

Dirà il Deuteronomio: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant’anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore”8. Dio ha voluto provarlo per renderlo più forte e più ricco. Il deserto, ritenuto dagli Ebrei il simbolo più evidente della maledizione divina, terra spaventosa, desolata e sterminatrice, diventa la terra in cui si prova la fede, in cui fidandosi solo su l’aiuto di Dio l’uomo impara a dipendere da Lui e vivere con fedeltà al suo servizio, nella rinuncia alle proprie comodità che aveva nel paese di Egitto. La storia posteriore sentirà sempre tutto il fascino di questa vita di servizio.

Ricordate un famoso passo di Osea: “Oracolo del Signore. Perciò, ecco, la attirò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. […]. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto” (Os 2,15 sq.).

E il deserto e il silenzio riappaiono agli albori della Redenzione.

Giovanni Battista si ritira nel deserto e là predica la conversione e la penitenza, perché il regno di Dio è vicino9, sta per arrivare il Messia.

E in Gesù la vicenda dell’Esodo diventa realtà nella persona di Lui. Prima di ritornare in Palestina, Gesù Bambino deve passare del tempo in Egitto, perché in Lui si ripete la storia di Israele e giunge a perfetto compimento. Gesù restò in Egitto “fino alla morte di Erode, affinché si compisse ciò che era stato detto dal Signore mediante il profeta: Ho chiamato il mio Figlio dall’Egitto” (Mt 210).

Gesù è spinto dallo Spirito di Dio nel deserto per essere messo alla prova (Mt 4,1). Però Egli, l’autentico Israele, supera la prova e resta fedele al Padre suo, preferendo la parola di Dio al pane, la fiducia al miracolo, il servizio di Dio ad ogni miraggio di dominazione terrena11.

E il popolo cristiano deve seguire Gesù. Noi dobbiamo seguirlo. Liberarci di tutto quello che non è Dio. Bisogna che ci facciamo una spiritualità del deserto. E siccome non abbiamo un deserto vero, dobbiamo crearci un clima vero di silenzio. Non un luogo ma uno stato della mente e del cuore.

Questi deserti si possono trovare nel centro della città e nel quotidiano della vita. Il vero silenzio per l’uomo è la ricerca di Dio. Il vero silenzio è un ponte sospeso che ci unisce a Dio, è un colloquio tra di Dio che ci ama e il nostro cuore che ha compreso. Questo silenzio non è prerogativa dei conventi, deve essere il clima in cui si matura una spiritualità forte e generosa.

Troppo spesso la nostra giornata è priva di silenzio. Il rumore ci stordisce. Troppa confusione. Tutto fa chiasso. Siamo presi da una moltitudine di cose che prendono noi a noi stessi. Non siamo più padroni delle nostre anime. Non cerchiamo più Dio, perché le cose ci hanno portato via. Fuggiamo Dio e perciò fuggiamo anche a noi stessi. La Scrittura dice che dovremo dare conto anche di ogni parola inutile12. Il silenzio è stato ucciso nelle città, nei paesi, per le strade, di giorno e di notte.

Questo è stato possibile perché prima è stato ucciso in noi stessi. Le macchine vanno all’impazzata, le motociclette a scappamento aperto, la televisione e la radio a tutto volume. Non si può stare un momento in silenzio. Il juke-box e le radioline, lo stereo, perché ogni momento abbia rumore in abbondanza.

Si ha paura di restare in silenzio, come si ha paura del vuoto. Invece dobbiamo amare il silenzio. Perché appena cominciamo a fare il silenzio, cominciamo una relazione valida con noi stessi, a vedere le cose nella verità. Soprattutto ci si può veramente incontrare con Dio, rientrare in noi stessi per incontrare Dio-Trinità che abita in noi. Per farsi una vera spiritualità. Perché è importante parlare a Dio, e ancora più importante ascoltare Dio, la sua voce, i suoi richiami, le sue verità, il suo amore. Dio ci tocca solo nel silenzio.

Non basta allora il silenzio della bocca e dell’udito. Ci vuole il silenzio della fantasia, delle emozioni e delle preoccupazioni, quello del cuore. Perché il silenzio diventi creativo. Per acquistare il gusto delle cose interiori, delle cose di Dio, per valutare il valore delle cose e rifiutare ciò che in realtà non vale. Regole pratiche.

Le prime parole che abbiamo di Gesù interrompono il suo silenzio: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”13. Era tutto teso alla gloria del Padre.

Amare il silenzio, cercare il nostro dovere in umiltà e fede.

“Una parola ha detto Dio, due ne ho udite”14. Egli solo è potente, egli solo è padrone. Io l’ho ben udito, e non una volta sola, che egli detiene la forza e dispone della misericordia. L’ascoltarlo produce allora la vera fede e la retta condotta.

Il tempo di Quaresima è tempo di ascolto, è tempo di preghiera.

Guardiamo a Gesù: “Salì sulla montagna, solo, a pregare” (Mt 14,23); “Se ne andò sulla montagna e passò la notte in orazione” (Lc 6,12); “Egli si ritirava in luoghi solitari a pregare” (Lc 9,18); “Si staccò, si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava” (cfr Lc 22,41).

Poi, anche la Madonna tesa tutta al compimento della sua missione guidata dallo Spirito Santo aveva una vita di preghiera intima e continua in un grande silenzio. “Maria poi conservava con cura tutte queste cose meditandole in cuor suo” (cfr Lc 2,5115). Ascolta, a parlare16, ma rimane silenziosa. Maria ha portato nel suo seno il Figlio dell’Altissimo17. Che cosa non ha sentito? Quante cose avrebbe potuto dire. Ascolta i pastori18, non dice una parola ai Magi19, ascolta Simeone e Anna20. Solo Giuseppe entra a far parte del suo segreto come del suo silenzio21.

San Giuseppe l’uomo del servizio e del silenzio. Non abbiamo una sola parola di lui. I Vangeli nominano Giuseppe quattordici volte, gli dedicano ventisei versetti, ma non citano una sola parola. La sua morte non verrà nemmeno menzionata. Scomparirà, non sappiamo come, prima della vita pubblica di Gesù.

Vi ricordate? “Giuseppe suo sposo, poiché era un uomo giusto, pensò di dimetterla segretamente”22. Colpisce non tanto la rinuncia ai suoi diritti, quanto quella di non cercare di scoprire un segreto che lo toccava tanto intimamente ma che Dio e Maria si erano riservati.

I segreti di Dio; come ci dobbiamo sentire piccoli e rispettarli.

San Giuseppe, che amava teneramente Maria, decise di rinunciare a lei quando gli sembrò che non fosse conforme alla volontà divina, e con la più grande delicatezza rispettò l’intimità e la libertà della sua sposa. “Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”23. Il suo silenzio diventa ancora più meraviglioso. Prima ignorava e non ha fatto nulla per sapere, ora sa e non fa nulla per far sapere. Prima ha rispettato il silenzio di Dio, ora lo custodisce. Vive tanti anni con Gesù e Maria, non lo rivela ad alcuno; solo umiliazioni e fatiche.

Giuseppe è l’uomo e il maestro di una profonda vita interiore. Perché seppe amare, e il suo amore crebbe sempre di più dalla prolungata comunanza di vita e di lavoro con Gesù e Maria. Per l’amore paterno che portava a Gesù offrì intera la vita per Lui e condivise; visse insieme i misteri di Gesù straordinariamente ricchi: la nascita, la circoncisione, presentazione, fuga in Egitto, la vita nascosta di Nazaret.

Ricevette una grande partecipazione alla grazia di questi misteri, partecipò in un grado inimmaginabile all’amore del Cuore di Gesù. Pio XII nell’Enciclica Haurietis dice: “Palpitava altresì d’amore il Cuore del Salvatore, sempre in perfetta armonia con gli affetti della sua volontà umana e con il suo amore divino, quando Egli intesseva celestiali colloqui con la sua dolcissima Madre, nella casetta di Nazaret, e col suo padre putativo Giuseppe, cui obbediva prestandosi come fedele collaboratore nel faticoso mestiere del falegname”24. È difficile per noi comprendere l’ampiezza e la profondità della conoscenza concessa a Giuseppe nella contemplazione di Gesù, la verità stessa. “A voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato”25; “Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non lo udirono”26. Quanto san Giuseppe.

San Giuseppe il Signore l’ha trovato secondo il suo cuore e gli ha confidato con piena sicurezza il più misterioso e sacro segreto del suo cuore. L’amore di san Giuseppe per Gesù era caritas veritatis27, contemplazione della verità. Impariamo l’umiltà di servizio.

Quello che a noi molte volte manca è l’autentica umiltà, cioè conoscere ciò che è vero e volerlo. San Paolo ci dice: Tutto ciò che hai lo hai ricevuto. Di che cosa ti puoi gloriare?”28. Alla radice di tutti i nostri peccati sta proprio la pretesa di essere qualchecosa, di poter fare, di poter disporre a nostro capriccio mentre tutto ci viene da Dio. Sentire la nostra condizione e vivere in dipendenza da Dio, a servizio della sua volontà. Le autonomie blasfeme. Dio è tutto.

Accettare la nostra posizione. Fare il nostro dovere, tutto il nostro dovere; sentire la grandezza di fare il proprio dovere. Non sono grandi i sogni, è grande il dovere. Gli ozi, le sciocchezze ci deprimono. Vedere la grandezza della vita semplice e attiva. Qui dove sta la penitenza sta anche la grandezza. San Giuseppe e il dovere.

Una Quaresima di dovere. Ogni giorno senza storie, senza le facili evasioni.

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