29/03/1982 - 251 - Salmo 65

29/03/1982

251. Salmo 65

29 marzo 1982

È tutto un canto di lode e di ringraziamento a Dio, di stupore ammirato per le sue opere. Ricorda i prodigi dell’Esodo e gli innumerevoli interventi nella storia del suo popolo e nella storia personale. Riconoscenza che si manifesta nell’esultanza del culto pubblico, nella testimonianza di una lode che come canto si alza continuamente dal cuore.

È un Salmo che dobbiamo fare nostro. Noi lo sappiamo: tutto quello che abbiamo è suo, è un prodigio continuo di amore. Troppo spesso dimentichiamo e cadiamo in quella specie di indifferenza che ci è tanto più nociva quanto più ci abitua a pensare alle cose come dovute a noi e come proprietà esclusiva nostra.

Tutto in noi deve diventare lode e ringraziamento: tutta l’anima e le sue facoltà, il corpo e le sue proprietà. Tutto. Guardate invece quale profanazione; i doni ricevuti sono piuttosto occasioni per andare contro Dio e le sue leggi. Noi siamo creature, cioè non siamo venuti da noi stessi; la causa di me è fuori di me, prima e sopra di me è Dio.

Come per l’opera di Dio ho cominciato a esistere, così ancora per opera di Dio continuo a esistere. Dio non ha dato l’essere una volta per tutte al mio corpo, alla mia anima, ma continua a farlo anche adesso e continuerà a farlo per ogni istante della mia esistenza donandomela continuamente. Per togliermela non avrebbe bisogno di un atto positivo; basterebbe che cessasse di agire. Siamo suoi.

Ogni respiro e ogni battito del mio cuore sono suo dono. Si arresteranno quando Lui vorrà, quando avranno raggiunto il numero stabilito da Lui. Completa e essenziale dipendenza.

Dice Isaia (45,9-11): “Potrà forse discutere con chi lo ha plasmato un vaso tra altri vasi d’argilla? Dirà forse la creta al vasaio: «Che fai?» oppure: «La tua opera non ha manichi?». […]. Dice il Signore, il Santo d’Israele, che lo ha plasmato: «Volete interrogarmi sul futuro dei miei figli e darmi ordini sul lavoro delle mie mani?»”. Dipendenza essenziale, inalienabile. Dominio il suo assoluto.

Dio però ci ha creati liberi, noi siamo responsabili delle nostre azioni. Abbiamo la facoltà di scelta. Riconoscere questa totale dipendenza e non essere soggetti che a Lui, a nessuna altra cosa. Essere suoi, in tutto suoi, solamente suoi.

Qui sta la nostra gloria: lodare, rispettare, servire Dio.

Abbiamo da fare mille cose, ma in realtà una sola ed è servire Dio. La nostra sorte eterna, la nostra salvezza dipende proprio da qui. Vivere per Iddio e non per noi stessi, non in un posto solo e in un momento o nell’altro ma dappertutto e sempre.

Bisogna che educhiamo noi stessi alla lode a Dio. Creati a immagine e somiglianza di Lui, in Cristo abbiamo ricevuto la dignità di figli e sotto l’azione dello Spirito Santo possiamo compiere la nostra perfezione e la nostra missione. Fare la lode, cioè eseguire nell’amore la volontà del Padre; farla nel modo migliore in una collaborazione libera e piena.

Superare la istintività egoistica e infantile e rendere la volontà agile e pronta al dovere. Realizzare con pienezza la gioia di essere in sintonia con la volontà di Dio. E sentire profondamente la chiamata a dare il proprio contributo alla lode universale nella carità per i fratelli vera e concreta, quella di tutti i giorni e delle circostanze che la Provvidenza ci presenta. La lode che è un atto continuo di fede. Dobbiamo esprimere il credo in Dio che ci ha creati, corpo, anima, energie vitali, perché tutto è dono suo da accettare con grande riconoscenza e rispetto. Così anche il corpo deve partecipare alla lode.

Ma non è il corpo il corpo di morte? Certamente avere un corpo ci lega alla creazione, non solo, ma anche al peccato e alla morte che domina il mondo. Ma non è il corpo che ci fa cattivi, è il cuore soggetto al peccato e alla concupiscenza1; è dal cuore che escono i buoni e i cattivi desideri. A causa del peccato una profonda rottura si è verificata, che è espressa da san Paolo con l’immagine dell’uomo vecchio e dell’uomo nuovo2. Ma noi sappiamo che Cristo ha preso un corpo vero e reale come il nostro, e la certezza di avere un corpo come il suo ci manifesta come il corpo ha una grande dignità e può essere messo come elemento della gloria che dobbiamo a Dio.

Lo Spirito Santo pone la sua presenza in noi e la sua azione. La coscienza di essere tabernacoli ci fa sentire tutta la nostra sacreità. Gesù è stato un uomo perfetto e ha usato in pienezza il suo corpo per compiere la missione di salvezza. I suoi gesti rendono al Padre una lode infinita, ma sono per tutti sorgente di vita.

Bisogna adorare Dio in spirito e verità3. In verità, cioè mettendo al servizio di Dio tutto ciò che ci ha dato. Far partecipare il nostro corpo alla preghiera. Manifestare Gesù risorto ed essere portatori di Dio. Perché per mezzo del suo corpo crocefisso e risorto il nostro corpo non è solo carne, ossia peccato e corruzione, ma diventa soggetto di resurrezione.

San Paolo (Rm 7,4-6): “Fratelli miei, anche voi mediante il corpo di Cristo siete stati messi a morte quanto alla legge, per appartenere a un altro, cioè a colui che fu resuscitato dai morti, affinchè noi portiamo frutti per Dio. Quando infatti eravamo nella carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutto per la morte. Ora però siamo stati liberati dalla legge, essendo morti a ciò che ci teneva prigionieri, per servire nel regime nuovo dello Spirito”.

La liturgia ci insegna come dobbiamo partecipare alla lode anche con il nostro corpo, con i nostri gesti. I sacramenti rappresentano segni sensibili che sono efficaci di grazia.

Le parole dell’Apostolo – “Glorificate Dio nel vostro corpo (1Cor 6,20)”; “Il vostro corpo è tempio dello Spirito” (1Cor 6,19); “Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo” (1Cor 6,15) – ci indicano come tutto in un certo senso fa parte di una liturgia di lode. Tutto è per la lode.

E poi resta centrale l’idea che la Chiesa cui apparteniamo è il Corpo di Cristo. Cristo e comunità si identificano. Nella Cena del Signore il corpo di Cristo si fa presente sotto il segno del pane per legare a sé e fra loro i fratelli che ricordano la sua morte e attendono il suo ritorno. Uniti nel corpo di Cristo, essi si passano poi il calice del suo sangue, versato per la remissione dei peccati, segno efficace della nuova alleanza. Uniti attorno alla stessa mensa e nutriti dello stesso pane, diventano comunità, Chiesa; e nella stessa misura in cui la Chiesa si nutre di questo corpo e di questo sangue diventa in un certo senso Cristo risorto.

“Vi esorto dunque o fratelli, per la misericordia di Dio ad offrire i vostri corpi quale olocausto vivo, santo, gradito a Dio; è questo il culto spirituale che vi si addice” (Rm 12,1-2). Uniti nella grazia dello Spirito partecipiamo con tutti alla magnifica gloria che si innalza al Padre, a l’inno perenne di ringraziamento. Perché l’unione dei cristiani a Gesù non è solo morale ma ontologica: è l’unità di un corpo che diventa quello stesso di Cristo e che si ingrandisce di tutti i corpi umani che si uniscono a Lui nella fede. In Cristo ciascuno vive della sola e unica vita spirituale del corpo del Signore alla quale siamo introdotti con il Battesimo e che cresce in ciascuno di noi mediante la partecipazione all’Eucarestia e l’esercizio della carità.

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