251. Salmo 72
24 aprile 1985
Il Salmo tratta del problema gravissimo del dolore. Il dolore non è stato voluto da Dio, perché è buono, perché Dio è amore. Chi ha creato il dolore è stato il peccato, rottura e ribellione a Dio. Rifiutare Dio è rifiutare la gioia e la pace.
Gesù è venuto a redimerci e ha reso il dolore strumento di redenzione e di salvezza. Egli più di tutti ha sofferto e ci ha insegnato come vincere il dolore, ci ha insegnato come si fa a soffrire, e come è possibile il soffrire con gioia, dando alla propria sofferenza una grande finalità.
“Per quelli non vi sono fastidi”1. Prima di tutto non bisogna scandalizzarci; “Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi”, ha detto Gesù2. Gli uomini misurano dal momento, e si ribellano perché si sentono trattati non secondo i loro meriti. I cattivi – e li giudichiamo severamente – hanno commesso tante colpe e non sono puniti. Chi giudica è il Signore e noi non possiamo sostituirci a Lui. Infinita sapienza e infinito amore ha un metro che ci sorpassa. Chi è zizzania al tempo del raccolto verrà bruciato3.
Dà a ciascuno il suo. Voler vedere nel dolore solo un castigo, misurare noi stessi e i nostri supposti meriti è una posizione essenzialmente sbagliata.
“Invano ho conservato un cuore puro”4. Anche coloro che sono innocenti soffrono. E Gesù è stato il più innocente e ha sofferto più di tutti. E la grande risposta che il Padre ci ha dato: la Croce.
“Finché non entrai nel santuario”5. Il dolore ha uno scopo medicinale, perché purifica, distacca dalle cose e fa vedere quali sono i veri valori. Il dolore ci educa perché ci evidenzia la fragilità della nostra esistenza e che siamo fatti per l’eternità, che la nostra vera patria è il cielo6. È essenziale: se non capiamo e non sentiamo l’esilio, non possiamo prepararci al Paradiso dove ogni lacrima sarà asciugata7.
“Ed era una fatica ai miei occhi”8. Il dolore ci educa ancora alla carità, a comprendere i fratelli che sono nella prova e nell’angustia. Chi non ha sofferto ha il cuore freddo e duro e rischia di restare fuori dalla beatitudine della carità. “Avevo fame ecc...”9. Il dolore ci educa al vero amore.
La funzione redentiva del dolore. Gesù ci ha salvato così. Diede se stesso (Gal 2,20). Abbiamo la redenzione mediante il suo sangue (Ef 1,7).
“Entrai nei segreti di Dio”10. Gesù ha dato un senso nuovo al dolore. Il dolore è mezzo di vita. E tutti quelli che sono di Gesù si uniscono a Lui per la salvezza dei fratelli.
“Compio nella mia carne ciò che manca alla passione di Cristo a vantaggio del Corpo di Lui che è la Chiesa”11. Diceva Paolo VI: “Allora il sofferente non è più inerte e di peso negativo per la società umana e spirituale a cui appartiene; è un elemento attivo; è uno, come Cristo, che patisce per gli altri; è un benefattore dei fratelli, è un ausiliario della salvezza. Solo che questa estrema valorizzazione del dolore esige due condizioni: l’accettazione e l’offerta, l’accettazione paziente e capace d’intuire […] la mano paterna (i suoi perché); e l’offerta […] perché sia espressione dell’amore che si offre”12.
Diceva santa Elisabetta: “La sofferenza è qualche cosa di così grande, di così divino! Mi sembra essere una leva così potente sul cuore di Dio”13.
“Li metti in luoghi scivolosi”14. Come è triste la sofferenza senza Gesù, come il dolore porta alla disperazione. Invece quale fonte di grazia per chi fa della sua croce, la Croce di Gesù. “Portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la sua vita si manifesti nel nostro corpo” (2Cor 4,10). Il rapporto tra il cristiano e Gesù, tra il Capo e le sue membra, non è di semplice imitazione esteriore ma è condivisione, partecipazione, comunione. Il cristiano soffre in Lui. E da Lui riceve meraviglioso l’aiuto.
“Mi tenevi per la mano destra”15. Dal cuore di Gesù si riversano tesori di misericordia. Creature fragilissime e debolissime vincono anche le più atroci sofferenze. Fa Alleanza con noi. Non siamo mai soli; c’è sempre la sua mano che prende la nostra mano. È facile la tentazione di smaniarci o di irritarci perché quella sofferenza non la vorremmo proprio, quella altra sì. La solitudine diventa tentazione, diventa angoscia. Sentire le sue meravigliose attenzioni. Che Lui non ci lascia e veglia su di noi. Non siamo preda del caso. Allenarci dunque nella fede. Imparare ad accogliere le piccole sofferenze, quelle esigite soprattutto dal nostro progresso nella virtù. Quelle che chiamiamo mortificazioni.
Si legge in Luca 13,22...
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