13/06/1978 - 251 - Salmo 9

13/06/1978

251. Salmo 9

13 giugno 1978

Leggiamo solo la prima parte.

Il salmo si può distinguere in tre parti o tre composizioni. Le prime due omogenee, la terza completamente distinta. Nel testo ebraico del Salmo 9 se ne fanno due distinti: il Salmo 9 e il Salmo 10; di qui la diversa numerazione.

Le tre composizioni:

la prima, vv. 1-11;

la seconda, vv. 12-21;

la terza, vv. 22-39.

È un grande inno di ringraziamento, azione di grazia anticipata (vv. 2-13) per tutta la sua mirabile provvidenza, per tutti i suoi interventi nella storia.

Dobbiamo avere il senso della storia. Noi non viviamo isolati, staccati. Siamo tanto presi dall’egoismo che ci immaginiamo soli in un dialogo con Dio. E perciò dimentichiamo che la dimensione ecclesiale è vitale per un cristiano.

Che cosa ha fatto anche per noi Dio in passato? Quali sono state le cose meravigliose che ha operato? E quali cose sta facendo? Quale storia stiamo vivendo? Che farà?

Il salmo ci invita a considerare le vittorie di Dio, specialmente per mezzo di Cristo, del suo mistero pasquale; e a gioire, ad accrescere la nostra speranza. Bisogna che ce ne persuadiamo: è nostro dovere lodare perché Dio è infinitamente degno di lode, e lodarlo con tutto il cuore perché è giusto, perché è vero, perché è bello, perché sarà la nostra occupazione per l’eternità, perché nella lode vi è la contemplazione, è il compiacimento, è vedere Dio come deve essere visto, è porci nel giusto punto di vista.

Gesù ha detto: “Conoscere Te è la vita eterna”1; Dio lo conosciamo dalle sue opere.

Lodarlo è riconoscere che tutto il bene viene da Lui, che tutta la vittoria viene dalla sua potenza e dal suo amore. I “nemici sono sconfitti”2.

Noi contempliamo Gesù come Re3, cioè come sovrano indiscusso su tutto e tutti: “Io sono Re”4.

Con la sua risurrezione è diventato il Signore ed è assiso alla destra del Padre. Quelli che immaginano d’averlo vinto sono in una illusione tremenda. Beffano, come i Giudei, ai piedi della croce e non si accorgono che sono beffati, che il fallimento di Cristo non è in realtà che la sua strepitosa vittoria. E i nemici cadono proprio in quella fossa che hanno scavato, nella opera delle loro mani. Sempre così: è una costante. Dei Giudei, di ieri e di oggi, nella vita dei popoli e nella vita delle nazioni e nella vita di ogni individuo. Quando ci apriamo al male e crediamo di fare tante cose, di avere tante soddisfazioni, ci sbagliamo.

La via del male porta sempre alla infelicità.

E così della Chiesa corpo di Cristo.

Quando disobbediamo al Signore, abbiamo sempre delle terribili conseguenze. Questo con certezza. Ce ne dobbiamo ben persuadere. E siamo duri a convincerci. Perché troppo spesso crediamo di essere felici o di avere delle soddisfazioni uniche nell’accontentare le nostre passioni, nel fare i nostri comodi a danno degli altri.

E tutte le volte tocchiamo con mano che non è vero.

Eppure tanto è il nostro istinto che ci ricadiamo. Il demonio ci dipinge la vita di vera donazione e di virtù come difficile e arida; ci fa vedere la vita in Dio come il cammino in un deserto arido. Crediamo che la felicità sia sempre nel possedere, che dare, che dare tutto agli altri nella carità sia una pazzia, che certi principi siano delle utopie buone per delle persone poco equilibrate. Noi facciamo consistere l’equilibrio in un egoismo da persone che in questo mondo sanno evitare tutti gli estremismi e sono definite persone dabbene. E allora tutto diventa un compromesso.

Non ci accorgiamo invece di essere degli sciocchi, perché diciamo di credere al Vangelo, ad ogni parola uscita dalla bocca di Dio, e non è vero perché facciamo tutto il contrario. E cadiamo nella rete che abbiamo teso.

E poi ci spaventiamo del rumore che fa il male, delle chiacchiere, di quello che dice il tale o il tale altro o genericamente la gente.

Dobbiamo ben aver fede. Il granello di senape per sradicare ciò che è rappresentato dal gelso5. Realizzare un piccolo grado almeno di umiltà. Di considerarci creature, di sentirci la nullità della creatura, il suo essere effimera. Tutti sono mortali. E come l’uomo nulla può senza Dio6, ancor più contro Dio.

Abituarci alla dipendenza, al senso della dipendenza e arrivare alla gioia di una lode convinta, di una gioia che prende giustamente motivo da tutta l’opera di Dio nel mondo e nella Chiesa. Sentirci nel disegno di Dio da entrare nella beatitudine delle persecuzioni7, perché siamo nella Chiesa e viviamo la nostra epoca, la nostra ora. E non vogliamo essere degli spettatori ma degli artefici.

“Voi siete stati con me nelle tribolazioni”8. Ci dobbiamo meritare per l’eternità questo riconoscimento.

Salmo 9 (dal v. 22)

“Perché?”9. È uno dei salmi dove è presentata in forma drammatica la tragedia del male e l’apparente silenzio di Dio. Noi siamo sconcertati, elettrizzati dalla potenza e dall’estensione del male: perché il male se Dio è infinitamente buono? Perché lo permette?

Proprio perché Dio è amore, vi è il male. Perché Dio, amando le sue creature, dona loro il più grande dono che è la libertà. Chi ama rispetta e quanto più ama più rispetta.

“Fa piovere e sorgere il sole su i buoni e i cattivi”10. Egli chiama, ma non costringe. Potrebbe farlo, sarebbe un nulla per Lui. Non lo vuole fare.

La sua sapienza e la sua potenza sono adoperate da Lui per inventare nuove meraviglie dell’amore per attirare il cuore delle sue creature.

Dal male saprà trarre tanto bene, tanta redenzione dal dolore che il male provoca.

La risposta più completa al problema del male viene dalla Croce di Cristo. E il salmo si pone giustamente sulle sue labbra durante la Passione. Chi più buono di Gesù? più benefico? Chi non ha accolto e non ha consolato?

Guardiamolo in mano agli strumenti di Satana. Solo parole di perdono11. Un’infinita pazienza. E i nemici non disarmano, gongolano di gioia. Un piccolo gruppetto: Maria Santissima, san Giovanni, le pie donne12.

“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”13. Il Padre tace. Il Padre è assente. L’unico Figlio è torturato tremendamente, muore.

Ma la risposta verrà più tardi, una risposta meravigliosa: “Tu vedi, tutto tu guardi e prendi nelle tue mani”14. È la risposta della Risurrezione.

Gesù è il Risorto nei secoli, è il Signore in tutta la sua gloria e il suo splendore.

Ed è il primogenito di molti fratelli. Anche noi coinvolti nella sua sofferenza, nella sua lotta contro il male. Anche noi dobbiamo pagare. Anche noi dobbiamo soffrire molto per vincere il male.

Chi pensa di poter fare del bene senza soffrire, si illude. Nella colossale del lotta tra il bene e il male dobbiamo assumere quella parte che la Provvidenza ci ha assegnato. E saper soffrire; e, se Iddio vuole, anche morire. La Chiesa, che il Corpo di Cristo, è continuamente perseguitata. I martiri rappresentano quella parte della Chiesa che più evidentemente paga con il sangue ciò che è voluto per la Redenzione.

Evangelizzare è donare ed è mettersi sulla sua strada. E non sappiamo quanto bisogna dare e fin dove siamo chiamati ad essere simili a Lui. Prolungare Cristo è prolungare il Redentore, è prolungare la Croce. È entrare con Lui nell’Orto degli Ulivi, è associarci alla sua agonia, ai suoi tormenti. È entrare con Lui nel Pretorio, è esporsi alle beffe e alle irrisioni. È metterci la Corona di spine che ci rende la testa dolorante per una continua trafittura da non poterla più muovere; è prendere la Croce sulle spalle dopo avere subito la sentenza di condanna; è lasciarci inchiodare alla Croce, e stare sospesi e prolungare l’agonia di morte. È accettare la morte senza consolazione, è morire in solitudine. Così hanno avuto i veri amici della Croce, coloro che hanno voluto salvare il mondo.

La vocazione all\'evangelizzazione piena può voler dire tutto questo. Comprendiamo dunque cosa vuol dire dare tutto e imprestare a Cristo le proprie membra perché Lui salvi. I Santi ci sono modelli. Salvare non si ottiene con gesti clamorosi che fanno chiasso. È un lento morire, è un lasciarsi crocifiggere.

Ogni anima generosa sa che nella misura in cui si lascia afferrare da Cristo si aprono gli orizzonti di un amore meraviglioso. Amare tanto i propri fratelli da soffrire per loro, da sapere anche morire per loro. Diceva san Paolo: “Vorrei essere anatema per i miei fratelli”15. E sappiamo che cosa hanno sofferto e soffrono le anime sante per collaborare alla redenzione, per dare delle anime a Cristo strappandole dal male. Gli stigmatizzati.

La serenità e la forza: non incuta più timore l\'uomo fatto di terra. Dio non dimentica.

Infine umiltà: perché troppe volte anche noi abbiamo fatto il male e siamo diventati dei complici.

Abbiamo creduto al successo del male, alla felicità che ci presentava il male. Abbiamo creduto positiva l’esperienza che ci poteva venire dal male. Il Salmo deve darci una rinnovata fiducia in Dio, nella sua verità e nel suo amore, nelle sue opere e in ciò che Egli tollera. Troppe volte noi vogliamo giudicare la sua Provvidenza.

Tornano le parole dette a Giobbe nel capitolo 38.

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