225 - Carità e Povertà

225. Carità e Povertà1

1) Il termine «povero» passato da un significato di stato sociale ad un atteggiamento interiore.

Povero è colui che si rifugia in Dio, nel quale solo confida.

La povertà è disponibilità e servizio ai fratelli.

Non può essere che un risvolto della carità-comunione.

Praticare lo spirito di povertà. Vivere da poveri.

Carità affettiva ed effettiva.

Considerarci l’un l’altro un dono.

Aprirsi all’altro prendendolo in carico. Rinunziare al proprio giudizio. Sopportare di essere scomodati.

2) “Colui che ha spirito di povertà ha sempre troppo e tende sempre a eliminare; colui che ha spirito del mondo non ha mai abbastanza, non è contento ed ha sempre bisogno di qualcosa di più” (Chevrier2).

Non consiste tutta in fatti concreti, ma in un atteggiamento dell’animo.

Ammirare la povertà dei santi, ma scoprire la nostra povertà nel mondo che viviamo.

Il punto di partenza è la povertà di Gesù; riferirsi sempre a questa.

I legami tra noi e il mondo ci rendono difficile la comprensione delle cose celesti. Il moltiplicarsi delle attività è il segno del nostro attaccamento alle realtà che non sono Dio. Che spesso passa in secondo ordine.

La preoccupazione del domani diventa una nota dominante del nostro mondo. Non ammettiamo che Dio sia il padrone dell’avvenire; vogliamo esserlo noi.

La differenza tra le teorie umane di uguaglianza sociale e il Cristianesimo sta che la povertà non è «principalmente» un modo d’essere vicini agli altri, ma è invece un mezzo per incontrarsi con Dio: ho bisogno d’essere povero per capire e accettare Dio.

Il distacco è testimonianza della vita futura e il segno esterno di quanto noi crediamo.

Scoprire i nostri limiti anche nell’apostolato; affidare i risultati alla parola di Dio.

Le situazioni della vita, un continuo distaccarci (Ic 8. 7).

3) L’amore della povertà.

“Come è difficile per un ricco” (Mc 10,23; Mt 19,23).

La ricchezza è una forza da superare; è un rischio. Sentirsi saldi e sufficienti. Un fardello da scaricare. E se è un dovere, portarlo con fatica. Altrimenti per il ricco i bisogni aumentano: si vive come comporta l’ambiente.

La regola sarà quella della carità. Si considererà utile per sé ciò che ci permette di servire il prossimo. La povertà come virtù non è altro che il principio della carità applicato all’uso del denaro. Tutta la realtà cristiana ha la sua sorgente e il suo fine nella carità. Ora molte spese potrebbero essere ridotte, che non riguardano almeno indirettamente un’utilità del prossimo.

L’apprezzamento del denaro è diventato pagano non solo per i ricchi. Si lavora per arricchire, non per sostenersi. I valori dell’intelligenza e della cultura non si pagano col denaro.

Gesù al ricco non chiede di spogliarsi per i poveri, ma per la propria liberazione. Non è una rivendicazione sociale.

La povertà procura all’anima la libertà in rapporto a tutto ciò che è inferiore al Regno, prima di tutto all’ordine di cose che si procurano con il denaro. Serve il denaro per dare un’espressione alla carità.

Differenza con il Socialismo.

La povertà del Regno è essenzialmente serena e gioiosa.

È liberazione e libertà: San Francesco (Ic 8. 40).

4) Povertà in famiglia. Difficoltà. Accordo tra i due. I figli che devono capire e non impostare le cose irragionevolmente.

La numerosità dei figli. Confidenza in Dio. Non badare in commenti. Le difficoltà della vita.

Educare alla semplicità, ai veri valori. Tendere sempre a Dio. Essere liberi e gioiosi (Ic 8. 84).

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