121 - Eucarestia - Eucarestia e Chiesa - Cardinal Congar

121. Eucarestia

1. Eucarestia e Chiesa.

Il disegno di Dio presente fin dalla creazione annunciato ad Abramo, effettivamente posto in opera per la mediazione di Mosè, è di formare per sé con gli uomini un popolo che sia il suo popolo; di estendere all’umanità la comunione della vita che è in Lui, il godimento di quei beni patrimoniali che sono la sua presenza, la sua pace, la sua gioia. Si precisa sotto Mosè nell’Esodo. Ciò che è avvenuto è un’immagine di ciò che accade nella Chiesa. Il popolo di Dio è chiamato continuamente dall’Egitto-mondo; è risparmiato per l’Agnello e marcia verso la vera Patria. È un popolo testimonio, figura profeta. E la Chiesa è sostanzialmente l’annuncio (la convocazione), il mistero, la realtà di questo passaggio, poi il godimento.

Allora era una metastoria avente una specie di valore di sacramento, almeno nell’ordine dell’annuncio e dei segni.

Ora il tempo è definitivo; non nel senso che il mondo sia prossimo alla fine, ma che siamo entrati in un ordine di cose definitivo, dopo il quale non vi sarà un altro sostanzialmente nuovo. I beni comunicati non sono beni terrestri, ma della vita filiale, proprio quelli di cui Dio gode, la sua vita, la sua comunione, la sua gioia, la sua gloria, il suo Spirito. Questi non ce li poteva dare un profeta, lo poteva fare solo il Figlio. Dal momento che l’eredità promessa ad Abramo non è che il bene di famiglia di Dio stesso, il vero erede non può essere che il Figlio, divenuto nostro capo, e il nostro passaggio filii in Filio1 se siamo “trovati in lui”2 membri del suo corpo; si filii et haeredes3.

Questa identità mistica si realizza per mezzo della fede e dei sacramenti della fede, specialmente dell’Eucarestia. Così ci attira e ci assimila a Sé. Con la fede sostituisce il suo spirito al nostro spirito. “Cristo vive in me” (Gal 2,20). Parecchi viviamo una stessa vita, unum corpus multi sumus4.

Con l’Eucarestia Gesù ci assimila a Sé, come il vivente il cibo, perché è Lui il vivente, il più forte, il più attivo, fino a renderci un solo vivente con Lui. Così si realizza il nostro passaggio dal primo al secondo Adamo, da una condizione terrestre a una celeste, e nella nostra identità Gesù sceso dal cielo sale di nuovo al cielo. Ecco il movimento del piano di Dio. Noi utilizziamo per esprimere il nostro sforzo di far ritorno al seno del Padre le oblazioni del pane e del vino. Ma ecco che questi umili segni del nostro ritorno divengono con la Transustanziazione i segni efficaci di quello del Figlio prediletto compiuto per noi una volta per tutte; l’espressione, il Sacramento del nostro «ritorno» si cambia per la Consacrazione nella espressione del suo ritorno, nel sacramento del suo passaggio. Egli si fa nostra Pasqua, nostro passaggio sostanziale. Noi diventiamo il suo corpo misticamente assimilandoci tutti a Lui.

La Chiesa è in situazione intermedia tra la Sinagoga e il Regno; vive già delle realtà definitive, ma è ancora in un cammino lontano dal Signore (2Cor 5,6), perciò mette in opera i suoi strumenti. Realtà di via. Ogni giorno rinnoviamo l’alleanza nel suo sangue.

La Chiesa non è un fine, ma un mezzo.

Essa stessa è un sacramento, cioè una realtà sensibile il cui effetto è interiore e invisibile; tutto deve essere indirizzato al Cristo che siede alla destra del Padre. Il Cristo dei nostri crocefissi non ci faccia dimenticare che il Signore è glorioso. Rinnoviamo una spiritualità del Cristo glorioso ovunque presente e agente nella Chiesa. Non trattiamo l’Eucarestia come termine o oggetto, ma come mezzo della congiunzione, unione e assimilazione al nostro Capo che è nei cieli, che vi regna, che ci chiama lassù.

Celebriamo nella Messa il suo passaggio al Padre, ma che noi dobbiamo a nostra volta e in virtù di ciò che egli ha fatto per noi compiere un giorno dopo l’altro nelle nostre vite, fino al momento della consumazione con il nostro «passaggio» supremo. Tutta la spiritualità della Messa si pone in questa prospettiva. L’Eucarestia è il sacramento del passaggio di Gesù a suo Padre, compiuto per noi e nel quale noi compiamo il nostro.

Ciò che è stato fatto per noi, deve essere ancora fatto da noi, attuato dalle nostre vite. Se fossimo completamente salvati senza la nostra collaborazione, senza che ci fosse qualche cosa da fare anche per noi, non si potrebbe capire perché c’è una celebrazione sacramentale del sacrificio della croce, fino a quando ritornerà. Ma se dobbiamo ancora effettuare il passaggio che Gesù ha aperto una volta per tutte nella sua carne, allora si capisce come il sacrificio di Cristo debba essere applicato a noi e debba per questo essere celebrato, reso sacramentalmente presente e attivo. Ma questo passaggio di Gesù è indissolubilmente morte e risurrezione.

L’Eucarestia, sacramento del passaggio di Gesù e del nostro passaggio, procura la divinizzazione e la resurrezione (Gv 6,39-40) solo attraverso una morte.

La Chiesa è il popolo di Dio in cammino, in servizio, in conquista della sua eredità. Servo e testimone davanti al mondo. Popolo sacerdotale di un sacerdozio universale, di offerta di sé, della vita, della testimonianza (Es 19,4-6; 1Pt 2,4-5. 9-10).

E vi sarà anche un sacerdozio ministeriale: ministri della comunità, di Gesù Cristo, di ciò che viene dall’alto. Il sacerdote è un delegato dalla comunità quando è presidente dell’assemblea di preghiera, ma quando consacra e assolve è di più, è il ministro di Gesù Cristo

(Da Congar5, Le vie, p. 165 sq.)

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