132. Fede
1° Volerla vivere.
a) Intanto la difficoltà del credere, la quotidiana fatica di credere.
La fede non è mai stata facile per nessuno; non lo è stata per la Madre di Gesù, non lo è stata per gli Apostoli e discepoli, per i santi e nemmeno per noi.
Per questo la fede è meritoria, per questo c’è uno sviluppo, una crescita e anche una possibile involuzione e smarrimento.
Non si crede una volta per sempre anche se è un dono, anche se è una «virtù», cioè un’attitudine interiore permanente.
Perché si esige un atteggiamento interiore di costante presa di coscienza, un continuo riproporsi a se stessa come una sorgente che rimane tale nella misura in cui non cessa di gettare acqua.
b) Il rapporto stabilito dalla Fede non è con un avere – Dio non è un oggetto che sta davanti a me di cui impossessarmi o no, di cui affermare la presenza –, ma con un essere, cioè con una Persona.
Credere non significa tanto accettare delle cose o delle verità da credere, quanto piuttosto accettare, aderire, porsi alla sequela di una Persona, e di questa Persona accettare la volontà, i desideri, i criteri, il modo di pensare e di giudicare, gli atteggiamenti interiori, i valori, le proposte, i messaggi.
Rapporto di comunione, di amicizia, di intimità di vita. Un atto di fiducia, di abbandono, di adesione totale e senza riserve. Un atto di amore, non di calcolo o un puro e semplice atto di conoscenza.
c) Profonda ricchezza dell’atto di Fede.
Credere in Deum1 (dinamismo del tendere verso Dio).
Credere Deum2 (termina non ad una formula ma ad una Persona).
Credere Deo3 (appoggiarsi su Dio, fidarsi di Lui).
“Chi beve tornerà a bere, ma chi beve dell’acqua che io gli darò…” (cfr Gv 4,13-14).
d) La Fede è dono. Tutto ciò che nella Fede non è in funzione di incontro personale, di comunione di vita o è mal posto o è periferico e marginale. Può essere orientamento o condizione, ma non è Fede.
All’origine di questo incontro c’è una sua chiamata, una vocazione, un dono, una proposta. Non è opera mia, è una iniziativa di Dio, assolutamente gratuita. Non solo perché è dono soprannaturale ma perché è un gesto libero d’amore che sollecita una altrettanto libera adesione. Il dialogo non è solo conseguenza, è nella Fede stessa.
Per primo ci ha amati (San Giovanni4).
Resta sempre ricerca spesso drammatica, ma prima di essere una nostra scoperta e conquista di Dio è una conquista nostra che fa Dio.
Accettare la fede significa lasciarsi trovare, lasciarsi afferrare da Dio (“perché anche io sono stato afferrato da Gesù Cristo”; San Paolo5). Non diminuzione di libertà, ma arricchimento, come ogni incontro di dialogo e di amore.
Nella “quotidiana fatica del credere” questo pensiero reca serenità e fiducia, dice che la nostra fatica si incontra con il desiderio stesso di Dio che la sollecita e la feconda.
Di conseguenza, vivere la Fede significa: testimoniare, esistere e vivere sempre in presenza di Dio, di Cristo, della Chiesa; dunque non solo avere la Fede, ma vivere lo spirito di Fede cioè pensare, volere, agire sempre secondo la dimensione della Fede, sentire e vedere tutto in essa.
2° Viverla com’è.
a) Bisogna essere contro tutti i tentativi di umanesimo cristiano che finiscono per dimenticare o mettere tra parentesi lo “scandalo della croce”6. Non c’è Cristianesimo senza il mistero della Croce.
La salvezza portata da Gesù passa per la Croce. E la Croce significa – umanamente – stoltezza, sconfitta, negazione di tutto ciò che costituisce la logica dell’affermazione umana. Nel cuore della Fede c’è sempre questa zona di mistero, in contraddizione con l’attesa dell’uomo.
Sottrarvisi, accettando della Fede solo ciò che combacia coi nostri criteri e con i nostri desideri, significa non solo impoverire la Fede, ma ucciderla.
b) Per incontrarsi con Lui bisogna avere occhi limpidi e puri e un cuore sgombro di pregiudizi (puri di cuore, fanciulli).
Poi una grande disponibilità interiore e uno spirito di distacco (lasciare cose e persone per seguirlo).
Accettare le croci nostre di ogni giorno e seguirlo.
Saper dire «Amen».
Gesù è il «Sì» di Dio (Gesù Cristo non è stato «sì» e «no», ma solo il «sì»; 2Cor 1,19).
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