066. «La Comunità»
Bisogna essere ben responsabili in questo momento della vita della Chiesa.
Il fenomeno del recente «spontaneismo» ha rivelato il suo limite ed è da considerarsi legato a un atteggiamento reattivamente ingenuo.
Perché la Comunità sia
a) una vera ricchezza nella vita organica e articolata della Chiesa,
b) sia una espressione di quella pluralità di doni e di servizi che è segno di Spirito Santo,
c) e concorra a rendere più adeguata ed efficace l’unica missione della Chiesa,
alcune condizioni:
1. In se stessa è un mezzo non un fine. È per favorire la realizzazione della vocazione personale e di rendere più agevole ed efficace l’apporto alla vita e missione della Chiesa.
Perciò non chiudersi in se stessa,
non una vita autonoma,
non autosufficiente.
Non è la Chiesa, ma una espressione al suo interno; è un itinerario ad un sempre più consapevole senso della Chiesa.
2. Non è necessario che abbia una propria giustificazione teologica. Deve ricercare il suo motivo nella santificazione dei suoi membri e sul piano pastorale.
Deve promuovere una maturità di fede,
deve promuovere una coscienza di Chiesa,
coordinare apporti e contributi di idee, di esperienze, di iniziative.
3. Non un immobilismo acritico. Non è l’anagrafe che deve dire se è valida.
4. In dialogo continuo con tutte le componenti della vita ecclesiale. Essere in dialogo e in ascolto. Qualificarsi o nella globalità dei fini propri della pastorale in modi particolari e originali, o in fini particolari o ambientali.
5. Non considerarsi privilegiati o migliori degli altri.
In servizio nell’interno della comunità, in servizio per gli altri. Ogni dono, ed è dono appartenervi, è la misura di un compito, di un debito, di un servizio.
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