08/02/1982 - La grazia nell' educazione alla volontà

08/02/1982

103c. La grazia nell’educazione della volontà

8 febbraio 1982

Per educare la volontà, per avere la forza di sostenere le grandi difficoltà che si presentano quotidianamente, perché il ragazzo sappia sostenere questa lotta oscura nell’intimo della sua anima bisogna prima di tutto dargli le grandi ragioni perché possa amare Dio e fuggire il peccato.

Per l’educatore è una posizione di prima e assoluta necessità. Se si trascura questa, si va incontro a una serie di fallimenti sconcertanti.

Voler fare di un ragazzo un vero uomo e un vero cristiano senza porgergli adeguate luci è posizione assurda.

Quale l’insegnamento è più necessario e fondamentale in questa pratica educazione della vita che ha un cristiano in sé che è la grazia? Non è la grazia la sorgente della vera felicità per l’esistenza presente e l’eterna? Quante volte viene spontaneo ripetere le parole di Gesù: “Se tu conoscessi il dono di Dio”1. E il grande dono è la fede, più la grazia. È tesoro immenso. Vale quanto Dio. Conoscere la grazia per stimarla, per amarla, per custodirla e difenderla, per viverla.

Non è facile per l’educatore la catechesi della grazia. È una realtà così sublime e trascendentale che male si esprime nel linguaggio umano e più difficilmente si capisce dal ragazzo.

Porta dal Battesimo questo dono, bisogna renderlo consapevole di ciò che ha nel cuore, altrimenti verrà il demonio e glielo porterà via facilmente perché non ha ancora cominciato a capirne qualcosa.

Bisogna ripetergli: “Guarda, il regno di Dio è dentro di te”. È necessario prima di tutto che ne siamo ben persuasi perché anche noi tante volte senza volerlo subiamo le influenze della scuola laica che educa l’uomo per la terra e con mezzi proporzionati. Noi educhiamo, la nostra pedagogia è indirizzata al fine delle cose celesti.

Intanto stasera cerchiamo di capirla bene.

Gesù ha parlato di sorgente di acqua viva2, di vite e tralci3, di nuova nascita di acqua e Spirito Santo4; discorso dell’Ultima Cena5.

Questa vita divina è il risultato di una misteriosa, profonda e vitale circolazione d’amore che partendo dal Padre per mezzo del Figlio incarnato ci viene trasmessa nello Spirito Santo. Alcuni punti:

1) La salvezza è opera di tutte le Persone della Santissima Trinità.

L’iniziativa è del Padre. Gesù è la manifestazione dell’amore eterno, gratuito e misericordioso del Padre. Gesù ci ha amato e ha compiuto6, perché il Padre ci ama. I frutti ci sono comunicati nello Spirito Santo che ci rende capaci di chiamarlo «Padre», avendoci trasformati in figli.

2) La grazia, elevando all’ordine soprannaturale, rende capaci di una particolare conoscenza e di un particolare amore ai Tre che vengono ad abitare in lui. “Nessuno conosce il Figlio ecc…”(Mt 11,27). “La vita eterna è questa: che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). È una conoscenza illuminante capace di orientare efficacemente la vita e l’attività degli uomini, i quali, osservando i Comandamenti, danno prova di saper amare ciò che hanno conosciuto e hanno la prova di essere amati da coloro che essi stessi amano (Gv 14,20-21: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anche io lo amerò e mi manifesterò”). In questa intimità di conoscenza e di amore nasce una comunità di vita tra l’uomo e i Tre che vengono ad abitare in lui (Gv 14,22-23). Un’intimità così profonda da rendere l’uomo capace di compiere le stesse opere di Gesù Cristo (Gv 14,12: “Chi crede in me compirà le opere che io compio”).

Di conseguenza:

a) La grazia in quanto vita divina non può essere capita che come intima partecipazione alla vita trinitaria, quell’unica vita che è vissuta simultaneamente dalle Tre Persone in un mutuo scambio di conoscenza, di amore e di opere.

Naturalmente, essendo una partecipazione, la nostra vita divina è di un ordine diverso da quello della vita trinitaria, ma la sua dinamica interiore è perfettamente analoga alla nostra.

b) La grazia che ci introduce nel mistero trinitario non può essere intesa come un dono che lascia isolati i singoli uomini. È impossibile partecipare alla vita nella quale si stabilisce la comunità delle Tre Persone senza formare una comunità, una famiglia soprannaturale di cui Dio è Padre, Gesù è il primogenito e lo Spirito Santo è il vincolo che lega.

Dio ha operato la salvezza comunitariamente e non singolarmente. Uomo fatto a immagine, lo diventa in termini assolutamente nuovi mediante l’elevazione allo stato di grazia.

La storia della salvezza è, prima, storia del popolo d’Israele; e poi, della Chiesa. Non è fatta da tanti individui che, chiamati da Dio, vanno verso di Lui, per conto proprio, ma da una comunità di salvezza.

Il Battesimo è anche porta della Chiesa. Perciò l’uomo rinato alla vita divina, mediante la sua aggregazione al Popolo di Dio, non può sviluppare la sua vita soprannaturale che a condizione di mantenersi unito alla comunità ecclesiale. La maturità soprannaturale mediante la Cresima e l’Eucarestia che hanno la struttura comunitaria. Dio ha messo la grazia a disposizione di tutti. Ma la misura nella quale si riceve oltre alle disposizioni dipende dai disegni della Provvidenza per realizzare la missione di ognuno. Tutti chiamati alla santità, ma non tutti dello stesso tipo. Le diverse forme sono volute da Dio perché assieme costituiscono una perfetta imitazione di Gesù Cristo così che la Chiesa possa considerarsi anche in questo senso un vero prolungamento nel tempo della presenza di Cristo.

Bisogna stare attenti di presentare la grazia come statica, che sarebbe presentazione equivoca. Lampada, faro, vasi comunicanti; siamo fuori del contesto evangelico, privo del dinamismo evangelico7.

È un germe in sviluppo: “A quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio”8. Concilio: vita di grazia, promanazione del Mistero Pasquale in intima connessione con la storia della salvezza, in continuo progresso e perfezionamento in quanto è la vita del nuovo popolo di Dio in cammino.

Ri-creato dopo il peccato; la grazia è la Pasqua di Gesù in noi, cioè siamo inseriti nel dinamismo della morte al peccato come liberazione da ogni male e nella risurrezione alla nuova vita, come possesso dei beni messianici e comunione di vita divina. Come Israele fu liberato, così per noi. Dio compie il suo passaggio tra noi e attraverso il sangue dell’Agnello ci libera.

Come Israele, dopo il passaggio del Mar Rosso, inizia il cammino per il possesso della terra promessa; è diventato padrone della propria indipendenza, si sente «nazione». E Dio è presente e stabilisce con esso il patto di Alleanza.

Con la grazia abbiamo tutti i beni messianici che sono riconciliazione con Dio (2Cor 5,19), accesso al Padre (Ef 2,18), pace (Ef 2,14-15), giustizia e nuova creazione (2Cor 5,14-17). Con la «vita divina in noi» si ripetono le cose meravigliose che Dio ha compiuto per la salvezza del suo popolo, cioè diventiamo figli di Dio (Gv 1,11) e lo chiamiamo Padre, siamo amici di Dio (Gv 15,14), Dio abita in noi (1Cor 3,16), e vi abita la Santissima Trinità (Gv 14,23), Dio diventa per noi rifugio, rocca (Sal 169; 18), siamo eredi del Paradiso.

L’inserimento nella morte e risurrezione di Gesù produce la rigenerazione cioè rinnovamento dell’essere spirituale. Essere in grazia è essere risorti. Diventiamo poi figli della luce per le virtù teologali, avviene il miracolo del cieco nato.

E, accanto a questa dimensione pasquale, quella ecclesiale, perché siamo inseriti come comunità. E Gesù è la guida del mio esodo. Chi segue Gesù diventa santo, perché ha sviluppato il germe posto nel Battesimo. Come avviene questa imitazione.

Vivere è muoversi. Il ragazzo sente la vita, vuol fare, realizzare. Ma per vivere è necessario morire, sacrificarsi, rinunciare a qualche cosa. Cammino pasquale (cfr Rm 6: “Non sapete che noi, battezzati in Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte ecc...”10).

“Noi siamo dei pesciolini e nasciamo nell’acqua a somiglianza del nostro Pesce11 Gesù Cristo e siamo salvati solo se rimaniamo nell’acqua. Il serpente non ha altro modo per far morire i pesciolini che trarli fuori dall’acqua” (Tertulliano12).

Pratica della carità. Vivere il mistero pasquale.

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