103b. La Speranza
9 febbraio 1981
La virtù della speranza mette alla prova la consistenza della nostra fede. Noi cristiani dobbiamo essere pieni di speranza.
Dio non ci ha mai lasciati senza speranza. Anche nel castigo ci dona il rimedio, vuole che abbiamo speranza. Cristo Signore ha inchiodato alla sua Croce il decreto del peccato e ha vinto totalmente il nemico che mai nessuno ha vinto: la morte.
In Gesù Risorto, il Signore, vi è la base di tutto il nostro ottimismo. Alleanza. Ci è vicino, ce lo ha promesso, non può mancare. Noi sappiamo che la sua grazia è meravigliosa. Dio non può mancare alle sue promesse. E ci ha promesso di darci gli aiuti suoi per le cose piccole e per le cose grandi.
E quale cosa più grande di compiere il nostro compito di educatori? Di questa, perché si vedono molti educatori pessimisti e scoraggiati; e altri presuntuosi e superficiali.
Sono i due eccessi che vanno contro la speranza. I primi, eccessivamente preoccupati, sono sempre tesi; particolarmente quando i figli si affacciano alla pubertà, rischiano di cadere nell’angoscia e diventano irosi e sfiduciati con i loro figli.
L’esercizio della speranza conferisce a un cristiano quella serenità, quella visione serena che gli permette di esercitare bene la sua missione. Sa che è con il Signore, che il Signore infallibilmente lo aiuta a compiere il proprio dovere. Non gli verranno a meno le forze e le grazie di ispirazione. Sa ancora che neppure ai figli mancherà la grazia dello Spirito Santo a corrispondere. Sa che coi figli stanno eseguendo un progetto divino e magnifico.
La speranza dona umiltà all’educatore, perché non pretende di sostituire la propria parola a quella di Dio, la propria proposta a quella di Dio. Si riconosce nel ruolo di profeta, colui che trasmette il volere del Signore; la propria autorità vale solo perché rappresenta Dio. E si sforzerà a poco a poco di farlo capire ai bambini che avranno fiducia e ubbidiranno proprio in questa visione di fede, quella che insegna il Catechismo citando san Paolo: “Non c’è autorità se non da Dio, e chi resiste all’autorità resiste all’ordinamento di Dio”1. È in questo modo che si realizzeranno e diventeranno liberi e responsabili davanti a Dio e agli uomini.
Il bambino capirà che non è per un capriccio, per un comodo, perché è lui2 il grande e può fare quello che gli viene in mente, ma è perché tutti dobbiamo eseguire il piano di amore che Dio ha preparato per tutti. Un piano che costa, che può in certi momenti costare molto, ma un piano cui genitori e bambini devono partecipare. E che lui3 è fortunato, perché Dio gli dà moltissimi aiuti; tra questi sono i genitori che vengono incontro alla sua debolezza.
Guardare allora al bambino con realismo ma con tanta fiducia. Perché vi è un realismo sbagliato quando si ferma solo a una situazione naturale e umana, a una considerazione solo di forze e di contingenze umane.
Guardarlo nella speranza cristiana è poterlo aiutare meglio, consentirgli di dare i giusti frutti, di usare i suoi talenti, di vincere le proprie difettosità. “Voi – ha detto Gesù – non siete soli”4. Solo nella speranza si entra veramente nella posizione giusta dell’autorità che è vero servizio.
È emblematico nel gesto del genitore che solleva il bambino da terra e lo porta con affetto in alto. Si prendono con autorità ma non per umiliarli ma per poterli portare in alto, all’incontro vivo della paternità di Dio che è la più entusiasmante di tutte le esperienze, perché Dio sublima tutte le cose che ci ha date e ci rende veramente liberi.
Allora nella speranza si ha il coraggio di prendere la propria croce e di seguire Gesù. La Croce sta nei sacrifici innumerevoli che comporta l’educazione, sta nello smaltire con energia il peso delle molte preoccupazioni che abbiamo fuori di casa, le noie, il peso del lavoro, che non dobbiamo lasciare pesare su di loro. Sei stato fedele nelle piccole cose5.
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