248. La Verginità
(Ritiro al 2° Vicariato
Madonna della Corona, 21 maggio 1970)
La verginità cristiana è la rinuncia al matrimonio e alla famiglia per una dedizione più grande a Dio e al prossimo.
La verginità la si trova già prima e al di fuori del Cristianesimo.
In India si considera la continenza perenne come un mezzo per unirsi alle forze cosmiche. Secondo le considerazioni magiche greco-romane la continenza rende possibile il possesso di forza e di fecondità, uno sposalizio mistico con Dio e l’estasi profetica. L’unione di giovinezza fiorente e di austera innocenza, che possiedono già in se stesse una forza religiosa, sembra trasmettere alla verginità una particolare attitudine al culto sacro.
Entrano certo in gioco concezioni dualistiche (impurità e contaminazione demoniaca attraverso il rapporto sessuale) e concezioni utilitaristiche.
L’Antico Testamento: la verginità come stato permanente è talmente estranea alle concezioni; il matrimonio e la prole sono così onorati e desiderati che l’assenza di matrimonio e di prole è considerata come disonore e vergogna.
Il Nuovo Testamento introduce un mutamento decisivo: Gesù nacque da una vergine ed è vissuto vergine. Non ha pensato che questa sua scelta lo separasse dagli altri uomini ed è noto che concetto avevano della verginità gli Ebrei. Non è stata una limitazione dell’Incarnazione. A prima vista si potrebbe ritenere che per vivere pienamente la vita umana nel modo più adatto all’ambiente il matrimonio sarebbe stato migliore. Fondando una famiglia, l’uomo non può comprendere maggiormente i problemi della vita familiare e simpatizzare più profondamente con le situazioni umane più correnti?
Il celibato sembra implicare una freddezza e una austerità che tendono ad allontanare più che attirare gli altri; impone una solitudine che rischia di chiudere l’individuo in se stesso e isolarlo dagli altri.
Il celibato di Cristo non era accidentale; entrava nel piano divino che desiderava assicurare l’Incarnazione più completa. Il celibato appartiene veramente al mistero stesso dell’Incarnazione. Lungi dall’intralciare la vicinanza di Dio con l’umanità, l’ha favorita.
Così la verginità di Maria non l’ha resa meno umana; ella si è allineata a Gesù perché l’Incarnazione si compisse più perfettamente e la presenza di Dio nell’umanità fosse la più intima possibile.
Per mezzo del celibato il Figlio di Dio poteva appartenere più completamente a tutti gli uomini. Ha voluto una apertura più universale per la sua vita e il suo cuore. Una famiglia particolare l’avrebbe tolto in parte a tutte le altre famiglie e a tutti gli altri uomini.
Figlio dell’uomo; tutto a tutti (1Cor1); “Ecco mia madre”2; Cana; “Era loro sottomesso”3: sono segni della funzione che l’Incarnazione attribuisce alla famiglia.
Poi Cristo se ne libera per dare un orientamento più largo, per formare un’altra famiglia molto più vasta, quella che fa la volontà del Padre, la comunità di coloro che “onorano in spirito e verità”4.
Vivere nel celibato significa fondare la famiglia più larga che vi sia. Nulla di negativo; non tirarsi in disparte per proteggersi dai pericoli e sottomettere la carne ad un’ascesi severa. Gesù ha vissuto in mezzo agli uomini senza separarsi da essi con una barriera; contrariamente al Battista, mangiava e beveva.
Il suo celibato non fu una reazione «contro» qualche cosa. Fu un atteggiamento della sua vita, un contatto più vasto con il suo popolo, un bisogno di donarsi senza riserve al suo popolo, al mondo.
In Mt 19,12 egli parla di taluni che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. La verginità non appare come rinuncia e mortificazione. Gesù non parla qui di assenza di matrimonio, ma di incapacità al matrimonio come conseguenza dell’essere presi dal regno dei cieli e dall’impegno di una imitazione più stretta. Questa incapacità a sposarsi deve essere «data» e poi accettata liberamente, ma solo per il regno dei cieli, cioè per raggiugere più sicuramente la salvezza o per poter meglio servire alla salvezza degli altri.
In 1Cor 7, Paolo indica la vita verginale come migliore della vita coniugale. Come mostra l’esempio stesso della sua vita, essa rende possibile la donazione indivisa a Dio e al suo regno. Non perché il matrimonio sia una contaminazione (Ap 14,4). La verginità importa una totale dedizione a Dio come l’oggetto immediato e totale del proprio interesse e del proprio amore. La rinuncia al matrimonio è rinuncia al rapporto affettuoso, ad una persona; è rinuncia a quella comunicazione particolarmente profonda e umana che gli sposi esperimentano nell’unione personale, per un dono più diretto all’amore di Dio e all’amore di tutti gli uomini. È rifiuto di quel condizionamento naturale dell’amore umano che si dovrebbe aprire a tutta l’umanità, ma che a causa del suo limite carnale rischia sempre di particolarizzarsi e di restringersi. È rifiuto perché nella sua radice, nella sua essenza, la verginità ha già realizzato la presenza dell’amore nella sua forma più pura. Non vuole questa rinuncia che tocca l’essere nell’intimo del cuore che per una scoperta totale dell’amore di Dio.
Viene proclamato con ciò che tutto può esserci chiesto per affermare il posto assolutamente unico che Dio occupa nella nostra vita, che nel mondo attuale la legge della vita in Dio è la rinuncia totale. Solo questa rinuncia a ciò che forse è l’elemento più profondo nel cuore umano può far comprendere l’incomparabile grandezza di Dio.
La divisa della verginità è “Dio solo”. Non ci si può dare totalmente a Dio senza donarsi a tutti gli uomini. Prima, dedizione a Dio; poi, in Lui a tutti.
La verginità non è lo stato di un’anima che non si è sposata, ma lo stato di una sposata a Cristo. L’essenza della verginità è in questa dedizione sponsale a Cristo nella fede e nella speranza e che aspetta l’avvento dello sposo. La perfezione cristiana non sta nella verginità, ma nella carità.
La verginità è «un mezzo». Non è un assoluto; è una forma di virtù teologale.
Raffigurazione di Cristo sacerdote; continua la generatio spiritualis5. Cristo maestro.
Non è sottovalutazione della sessualità. Libertà dalle cose terrene. La persona si rivolge in totale pienezza e immediatezza a Dio; raffigura l’essere in via6; avere come non si avesse.
Sul celibato, cfr: Lettera di Paolo VI all’Episcopato olandese. Civiltà Cattolica 1970, p. 274 (fascicolo 3).
Lettera di Paolo VI al Card. Villot e commento. Civiltà Cattolica 1970, p. 313 (fascicolo 4).
Le conferenze episcopali e la lettera pontificia sul celibato. Civiltà Cattolica 1970, p. 316 (fascicolo 6).
Le origini del celibato ecclesiastico. Idem, p. 45 (fascicolo 13).
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