199. Morte
1. La nozione cristiana deriva immediatamente dalla nozione cristiana della vita come relativa a un’altra vita, la vera, l’eterna. I pagani non conoscono veramente un’«altra» vita: se ammettono una immortalità si tratta di una vita come questa prolungata, anche in condizioni che la rendono più pietosa che desiderabile. Per loro è la fine lamentevole e lamentata della vera vita. Per noi è essenzialmente relativa all’altra, e l’altra, quella che la segue, o meglio quella che le coesiste e la penetra già, è veramente un’altra vita. Una vita di un altro mondo, di un altro ordine, la vera vita la vita di Dio.
Per loro la morte è la nemica della vita, ne è la negazione brutale, ne è la fine, cioè il termine, l’arresto; la vita presente vale in se stessa e per se stessa, rappresenta un vero valore. Per noi la morte è amica della vita, non è concepita al di fuori della vita, ma nel suo rapporto con lei; ne è la fine, se si vuole, ma nel significato di finalità, di scopo, non di arresto.
Un cristiano vive per morire perché la vita non vale in se stessa e per se stessa, ma nel suo rapporto con la vita eterna e per se stessa. Per noi “la morte è un guadagno” (Fil 1,21). Rappresenta l’ingresso nella vita, il «passaggio» (“Gesù, sapendo che era giunta l’ora di passare…”1): passaggio al Padre, ritorno nel seno del Padre come al nostro focolare e alla pienezza della vita. Quello che cambia tutto è questa tangenza, questa presenza della vita eterna, che è propriamente la vita di Dio, alla nostra vita umana e temporale.
La vita presente si trova in rapporto immediato con la vita eterna, che vi è una tangenza continua di questa a quella; la morte realizza l’incontro in modo totale, ultimo e definitivo; si fissa per sempre. Così nella nostra visione delle cose, in cui il rapporto di presenza (come cosa offerta) e di tangenza della vita eterna con la presente è il valore essenziale, vi sono due momenti importanti e veramente sovrani: l’istante presente e quello della morte. Perché in essi si incontra Dio: “Oggi se voi ascoltate la sua voce…” (Cfr Eb 3,7; 4,13).
Gli uomini sono chiamati ad entrare “nel riposo di Dio”2. La spiritualità cristiana è spiritualità del momento presente e dell’ora della morte. Non garanzie per il domani (“Non vi preoccupate…”3), non preoccuparsi del passato (“Lasciate che i morti, ecc...”4), ma di vivere secondo Dio l’istante presente, il giorno che ci è concesso (“Continuerei a giocare…5). L’importante per noi è il rapporto con Dio e questo non è stabilito, come le relazioni con le cose terrestri e umane, sul piano orizzontale e nell’ordine del continuo (ricordi del passato, previsioni dell’avvenire), ma sul piano verticale e nell’ordine dell’immediato, del discontinuo, dell’applicazione al presente.
Si stabilisce da noi a Lui in ogni momento una relazione di grazia di santità che in ogni istante ci dispone a entrare «nel suo riposo» cioè nella sua presenza, nella sua amicizia, nella sua benevolenza, cosa che si compirà definitivamente nell’ultimo istante. Dio sia il nostro fine, orienti, governi, ispiri tutti i nostri atti. Dio è là e ci guarda in ogni istante fino all’ultimo. Allora saremo stabiliti nella gioia, nella sua «Presenza».
Poi non siamo soli di fronte a Dio: questo rapporto di ogni giorno si realizza «nel Cristo». Un rapporto molto intimo e profondo con il sacrificio del Cristo che la Messa ci rappresenta e ci rende presente ogni giorno.
Il centro del sacrificio della Messa è da parte nostra l’offerta interiore che facciamo di noi stessi a Dio in unione con il Cristo. Non è soltanto Gesù ad essere offerto ma siamo noi con lui, la nostra vita con la sua presentata a Dio sulla patena, la nostra piccola povera adorazione con la sua.
Mettere la vita nella Messa: includiamo nello stesso tempo tutti gli istanti e tutti gli oggi. A queste Messe di tutti gli oggi la morte mette molto di più di un punto finale: mette il sigillo definitivo.
È il Venerdì Santo che dà il suo significato al Giovedì e alla Eucarestia in quel giorno celebrata. La nostra morte sigilla e consacra il pieno valore di tutte le Messe.
Preparazione. I primi cristiani, nella coscienza vivissima del trionfo della vita sulla morte conquistato dopo la risurrezione di Cristo, sfuggivano completamente al terrore della morte: “Noi siamo passati dalla morte alla vita” (1Gv 3,14). La morte non è mai rappresentata nelle Catacombe in cui si riunivano coloro che tuttavia erano continuamente “votati alla morte” (1Cor 4,9).
Non si tratta di «un apparecchio alla morte»6, di consacrare tempo a questa preparazione. La sola adeguata preparazione è il nunc7 ogni istante nella fedeltà, in grazia di Dio. La Vergine non consacrava lunghe ore a meditare sulla morte. La vita prepara alla morte. Tutto ciò che è dato è come il profumo della Maddalena ad sepeliendum8.
“Noi siamo una lettera del Cristo, scritta […] dallo Spirito del Dio vivente” (2Cor 3,3).
(Dal Congar, Le Vie9, p. 384 ss.)
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