Quaderno 11 - Poliantea A 1938

QUADERNO 11 «Poliantea» A1

1 Titolato così da don Pietro per indicare una raccolta di pensieri eterogenei.

Il peccato - Tre esempi illustrativi.

1) Si racconta che in un paese al Nord della Francia vi sono delle sabbie mobili dove un incauto può restare inghiottito dalla terra che cede sotto i suoi piedi. Immaginiamo un uomo che imprudentemente procede su quella terra infida. Egli dapprima non se ne accorge neppure, solo nota che il terreno su cui cammina sembra quello che si trova dopo che è piovuto. Ma egli procede oltre; però comincia ad avvertire che il terreno non è molto stabile e che man mano si fa sempre più pericoloso; tuttavia egli si avanza ancora sperando che quello sia un punto superabile e che dopo venga la terra soda. E procede, procede sempre colla sicurezza che man mano gli scompare dal cuore; quand’ecco arriva ad un punto in cui la terra gli manca e comincia a poco a poco a inghiottirlo, adagio ma inesorabilmente. Egli non può più tornare indietro, la terra fatale lo tiene strettamente avvinto a sé e ben presto lo seppellirà nelle sue nere spire. Così è del peccato e della strada al peccato; colui che si lascia impigliare, non se ne avvede ma precipita per una china sulla quale non potrà più fermarsi, se non nel baratro orrendo da cui invano tenterà di uscire.

2) Alcuni imperatori romani facevano in questa maniera per fare morire i loro nemici. Li invitavano ad un banchetto; alla fine di questo cominciava a scendere dall’alto una pioggia di petali di rosa. La lieta pioggia era accolta dai convitati con applausi, era bello sentirsi inebriati dal dolce profumo della rosa. E la pioggia di petali continuava sempre a cadere. Ormai quel profumo che si faceva sempre più acuto cominciava a stancare, ma i petali continuavano sempre a cadere. Già si sentivano venir meno coloro che poco prima applaudivano a quella pioggia. E seguitavano sempre a cadere quelle rose con una monotonia spaventosa fin a che quei miseri convitati morivano asfissiati da quell’acuto profumo. Così è del peccato; esso è una morte. Ma una morte però che per un istante sembra una gioia, una felicità. Ma ecco dopo un istante, il peccato si rivela quello che è: la morte, la infelicità, la disperazione. Poiché fuori di Dio non vi può essere le gioia e la vita. Egli stesso l’ha detto: “Io sono la via, la verità, la vita”2; colui che cammina lontano da me, cammina nelle tenebre3.

2 Gv 15,6. 3 Cfr Gv 8,12. 3) Noi siamo come viaggiatori nel deserto, nel deserto di questa povera vita. Ci raccontano coloro che hanno percorso i deserti un fenomeno strano. Quando dopo aver camminato ore e ore sotto un sole cocente, con la sabbia bruciante sotto i piedi, il viaggiatore stanco e spossato cerca attorno a sé una pianta all’ombra della quale riposarsi e un ruscello d’acqua dove bagnare le labbra riarse, egli girando attorno a sé gli sguardi dapprima non vede altro che la sabbia bruciante, poi fissando attentamente gli occhi all’orizzonte gli pare di vedere, anzi è certo, là in lontananza una fresca e bella oasi. Allora egli corre, s’affatica per potervi giungere; invano, non trova niente, quell’oasi era un’illusione. Così pure anche noi nel deserto di questa vita, quando il desiderio di godere ci tormenta, cerchiamo nel peccato un’oasi dove poter riposarsi. Ma è un’illusione, una chimera, poiché fuori di Dio non vi può essere allegrezza. Dopo il peccato anzi siamo più infelici, più assetati, più stanchi della vita. Proprio come il viaggiatore del deserto che dopo quell’istante di gioia che ha nel credersi già vicino all’oasi del conforto sente ancora più crudele la sete, più bruciante il sole mentre lo sconforto invade l’animo.

San Francesco di Sales4 Sentenze scritturali da potersi applicare Pastor meus es tu, et omnem voluntatem meam complebit5 (Is 44,28).

Deriventur fontes tui foras, et in plateis rivi aquarum6 (Pr 5,16).

Sapientia foris praedicat in plateis dat vocem suam, in capite viarum frequentium clamitat, in floribus portarum profert verba sua7 (Pr 1,20-21).

In verbis gratiae quae procedunt de ore eius (Lc 4,218).

In tentatione inventus est fidelis. Ideo iure iurando statuit illi benedici gentes in semine eius, crescere illum quasi terrae cumulum et ut stellas exaltare semen eius9 (Eccl 44,21-23).

Omnibus omnia factus sum ut Christi lucri facerem10 (1Cor 9).

Omnibus omnia factus sum, ut omnes facerem salvos11 (Ibid).

Quam dulcia faucibus meis eloquia tua super mel ori meo12 (Sal 118).

Requiescet super eum spiritus Domini, spiritus sapientiae et intellectus13 (Is 11,2).

Dedit …ei latitudinem cordis quasi arenam quae est in litore maris14 (1Re 5,9).

4 Le seguenti citazioni, insieme a quelle successive (“Sentenze dei Santi Padri”), sono state tratte dal libro Raccolta di panegirici per le feste dei santi, 1827, volume V, pp. 303-310. 5 “Io dico a Ciro: «Mio pastore»; ed egli soddisferà tutti i miei desideri”. 6 “Non si effondano al di fuori le tue sorgenti e nelle piazze i tuoi ruscelli”. 7 “La sapienza grida per le strade, nelle piazze fa udire la voce; nei clamori della città essa chiama, pronuncia i suoi detti alle porte della città”. 8 Nella NOVA VULGATA: “… et mirabantur in verbis gratiae, quae procedebant de ore ipsius − ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca” (Lc 4,22). 9 “Nella prova fu trovato degno di fede. Per questo Dio gli promise con giuramento di benedire le nazioni nella sua discendenza, di moltiplicarlo come la polvere della terra, di innalzare la sua discendenza come gli astri” (Sir 44,21-23). 10 “Mi sono fatto tutto a tutti per guadagnare a Cristo” (cfr 1Cor 9,21-22). 11 Nella NOVA VULGATA. “… omnibus omnia factus sum, ut aliquos utique facerem salvos − mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1Cor 9,22). 12 “Quanto sono dolci al mio palato le tue promesse, più del miele per la mia bocca” (Sal 119 [118], 103). 13 “Su di lui si poserà lo Spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza” (Is 11,2). 14 “Dio concesse a Salomone […] una mente vasta come la sabbia che è sulla spiaggia del mare” (1Re 5,9). Humilium et mansuetorum semper tibi placuit deprecatio15 (Gdt 8,20).

Sustentant mansuetos Dominus, humilians autem peccatores usque ad terram16 (Sal 147).

Deus deludet illusores, et mansuetos dabit gratiam17 (Pr 3).

Responsio mollis frangit iram, sermo durus suscitat furorem18 (Ibidem 15).

Mansueti haereditabunt terram et delectabuntur in multitudine pacis19 (Sal 36).

Fili, in mansuetudine opera tua perfice, et super hominem datorem diligeres20 (Eccl 3).

Super quem requiescet spiritus meus, nisi super humilem?21 (Is).

Qui reprehendit, docet et erudit quasi pastor dirigens gregem suum22 (Eccl 18).

Vidi cunctum Israel dispersum in montibus quasi oves non habentes pastorem23 (1Re 22).

Ego congregabo reliquias gregis mei de omnibus terris, ad quas eieicero, et convertam eos ad rura sua, crescent et multiplicabuntur24 (Ger 23).

Zelo zelatus sum pro Domino, Deo exercitum quia dereliquerunt pactum tuum filii Israel, altaria tua destruxerunt25 (1Re 19).

15 Nella NOVA VULGATA: “Non enim in multitudine virtus tua, nec potentia tua neque datum tuum in fortibus, sed humilium es Deus et minorum adiutorium − Perché la tua forza non sta nel numero, né sugli armati si regge il tuo regno: tu sei invece il Dio degli umili, sei il soccorritore dei derelitti, il rifugio dei deboli” (Gdt 9,11). 16 “Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi” (Sal 147 [146], 6). 17 “Dei beffardi egli si fa beffe e agli umili concede la sua benevolenza” (Pr 3,34). 18 “Una risposta gentile calma la collera, una parola pungente eccita l’ira” (Pr 15,1). 19 “I poveri invece avranno in eredità la terra e godranno di una grande pace” (Sal 37 [36], 11). 20 “Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso” (Sir 3,17). 21 Nella NOVA VULGATA: “Ad hunc autem respiciam, ad pauperculum et contritum spiritu et trementem sermones meos − Su chi volgerò lo sguardo? Sull\'umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi teme la mia parola” (Is 66,2). 22 “Egli rimprovera, corregge, ammaestra e guida come un pastore il suo gregge” (Sir 18,13). 23 “Vedo tutti gli Israeliti vagare sui monti come pecore che non hanno pastore” (1Re 22,17). 24 “Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò ritornare ai loro pascoli, saranno feconde e si moltiplicheranno” (Ger 23,3). 25 “Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari” (1Re 19,10). Quasi ignis fulgens et quasi tus ardens in igne26 (Eccl 50,9).

Praevenisti eum in benedictionibus dulcedinis27 (Sal 20).

Docebit mites vias suas28 (Sal 24).

26 “Come fuoco scintillante e come incenso su un braciere” (Sir 50,9). 27 “Gli vieni incontro con larghe benedizioni” (Sal 21 [20], 4). 28 “Insegna ai poveri la sua via” (Sal 25 [24], 9).

Sentenze dei Santi Padri

Potestatem regiam magis adhibuit prohibendo, quam exercendo vindictam29 (Sant’Agostino).

Illi petebat veniam, a quibus adhuc accipiebat iniuriam30 (Sant’Agostino).

Nihil Deo tam gratum, tam amabile est, quam mitis anima et mansueta31 (San Giovanni Crisostomo).

Omnes amabat sicut genuisset, quin etiam majorem praeferebat charitatem, quam quivis pater32 (Id.).

Nullum Omnipotenti Deo tale est sacrificium quale est zelus animarum33 (San Gregorio in Ez 4,12).

Attulit veritatem ut doctor, mansuetudinem ut liberator, justitiam ut cognitor34 (Sant’Agostino, in Sal 44).

O quibus ardoribus cor illud flagrat! O quanto spiritus igne sacerrima illa ara succenditur35 (San Tommaso).

Totus flagrabat amore divino, totus ardebat ut Seraphim36 (Id.).

Regat disciplinae rigor mansuetudinem, et mansuetudo ornet rigorem; et sic alter commendetur ab altero, ut nec rigor sit rigidus, nec mansuetudo dissoluta (San Gregorio37).

29 “Del suo potere regale si servì più per proibire che per esercitare la vendetta” (SANT’AGOSTINO, De Patientia, libro I, 9.8). 30 “Per essi, che ancora lo insultavano, chiedeva perdono” (SANT’AGOSTINO, In Evangelium Ioannis Tractatus, 31,9). 31 “Nulla è tanto gradito a Dio, tanto amabile, quanto un’anima mite e docile” (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia 3, De poenitentia. 32 “Amava tutti come se li avesse generati, anzi mostrava un amore maggiore di qualsiasi padre” (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, In Epistulam ad Romanos, Proemio). 33 “Nessun sacrificio è tale a Dio Onnipotente quale è lo zelo delle anime”. 34 “Portò la verità come un maestro, la mansuetudine come un liberatore, la giustizia come un difensore” (SANT’AGOSTINO, In Evangelium Ioannis Tractatus, 33,4). 35 “O di quali ardori quel cuore brucia! O da quanto fuoco dello spirito è acceso quel santissimo altare!”. 36 “Tutto bruciava d’amore divino, tutto ardeva come i Serafini” (SAN TOMMASO D’AQUINO, A Villanova, In festo S. Joannis Baptistae, Concio secunda, VII). 37 “Il rigore della disciplina guidi la mansuetudine, e la mansuetudine adorni il rigore; e l’uno si affidi all’altra così che il rigore non sia severo, nella mansuetudine dissoluta” (SAN GREGORIO MAGNO, Moralium, 19. 1). Malum hominem tacendo melius vincis, quam respondendo; quia malitia non instruitur sermonibus, sed irritatur (San Giovanni Crisostomo38).

Mel semper sit in ore; per ora mittamus nihil nisi mellitum, nihil asperum, nihil amarum, sed omnia coelis digna39 (Id.).

Non facile ullum invenies qui audiens laudare hominem mansuetum, illum videre, et osculari non desideret ut non habeat in aliqua lucri parte, eius amicitia posse frui40 (Id.).

Quid mihi prodest carere sceleribus, nisi fuero mitis atque mansuetos?41 (Sant’Ambrogio).

Beatus qui severitatem et mansuetudinem tenet, ut altero disciplina servetur, altero innocentia non opprimatur42. (Id.).

Clemens dicitur animus, quando est tener ad compatiendum, facilis ad remittendum, promptus ad subveniendum43 (Ugo da San Vittore).

Nihil arduum est humilibus, nihil asperum mitibus44 (San Leone Magno).

Neque enim hominibus sine lenitate, non plus quam Deo sine fide placere possibile est45 (San Bernardo).

Mansuetudo fructus est crucis, atqui fructus arborem redolet, a quo productus est46. (Scripti Salesius).

Amor, ubi advenit, coeteros in se traducit affectus47 (San Bernardo).

38 “Domini l’uomo malvagio più col tacere che col rispondere; poiché la malvagità non è ammaestrata dai discorsi, ma ne è provocata” (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, In Mattheum Homiliae, Homilia 36). 39 “Ci sia sempre dolcezza sulla bocca; con la bocca non esprimiamo nulla se non di dolce, nulla di aspro, nulla di amaro, ma ogni cosa degna dei cieli”. 40 “Non troverai facilmente alcuno che, sentendo lodare un uomo amabile, non desideri vederlo, e baciarlo e poter godere della sua amicizia, così che non ne abbia un qualche profitto” (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia De mansuetudine). 41 “A che mi serve essere privo di scelleratezze, se non sarò stato mite e benevolo?” (SANT’AMBROGIO, Epistula ad Vercell. Episc). 42 “Beato colui che possiede l’austerità e la mitezza, affinché con l’una sia mantenuta la disciplina, con l’altra non sia repressa l’innocenza” (SANT’AMBROGIO, Ad Clementem, lib. V, Epistula LXII). 43 “Si dice di animo clemente quando è delicato nella compassione, facile al perdono, pronto al soccorso”. 44 “Nulla è difficile agli umili, nulla è aspro ai miti” (SAN LEONE MAGNO, Sermo 5, De Epiphania). 45 “Non è infatti possibile essere graditi agli uomini senza la mansuetudine, non più di quanto a Dio senza la fede” (SAN BERNARDO, Sermo 5, In vigilia Nativitatis Domini). 46 “La mitezza è frutto della croce, ebbene il frutto profuma dell’albero da cui è stato prodotto” (SAN FRANCESCO DI SALES, Introduzione alla vita devota). 47 “L’amore, dove arriva, attira a sé tutti gli altri affetti”. Amor fortis non quaerit causam, nec fructum: amo, quia amo; amo, ut amen48 (San Bernardo).

Vulneratus charitate amat dulciter, amat sapienter, ama fortiter (San Bernardo49).

Amat, quod amat, et nihil aliud novit, nisi amare50 (Id.).

48 “L’amore forte non cerca la causa né il frutto: amo, perché amo; amo per amare” (SAN BERNARDO, Sermones super Cantica Canticorum, Sermo 83.2). 49 “Colui che è stato ferito dall’amore ama con dolcezza, ama con saggezza, ama con forza” (SAN BERNARDO, Sermones super Cantica Canticorum, Sermo 20). 50 “Ama, poiché ama, e non conosce altro che l’amore”.

La destinazione soprannaturale (esempio)

Il mio tema è la destinazione sovrannaturale dell’uomo come ultima meta del pellegrinaggio terrestre. Per molti giorni penso a questo tema; mi chiedo come fare per renderlo apprendibile ai ragazzi. Ecco che mi viene un’idea: Parlerò della noce. Ma come?… Essa porta invisibilmente in sé l’albero futuro… l’uomo il germe della vita eterna. Solo da essa può nascere un albero se arriva intatta alla terra e può germinarvi; anche l’uomo viene messo nella terra dopo la morte e allora dalla sua vita terrena nasce la vita eterna; ma se il peccato ha danneggiato l’uomo, dalla sua vita terrestre non nascerà quella eterna. Il parallelo si può anche continuare. L’involucro verde, le esteriorità della vita; su esso si batte, si martella, affinché si rompa, ma il mallo resiste vittoriosamente. Anche contro l’uomo si mena colpo su colpo: i bisogni della vita, debolezze, tentazioni, peccato ecc…, egli deve resistere ecc… Dunque parlerò della noce e subito mi eleverò nel mondo sovrannaturale all’altezza della sorte umana. E vesto in parole la legge della noce: «intatta, intiera, deve arrivare alla terra», e proietto l’idea sull’uomo. Difficilmente il ragazzo dimenticherà la noce e l’applicazione fatta dal Sacerdote sulla destinazione sovrannaturale dell’uomo e sull’esterna lotta per essa. (Toth Tihamer)

La leggenda del manto di Cristo

Quando Cristo morì, sotto la croce i soldati tirarono a sorte il suo manto. Lo vinse Marco della Pannonia. Il manto di Cristo era fatto di grezzo panno rosso, tagliato tutto d’un pezzo. Lo cucì la stessa Maria quando Cristo aveva sette anni. Sul panno rosso gocciolarono le sue lagrime ardenti, mentre pensava alla sofferenza e alla morte del figlio. Non fu più possibile cancellare quelle lagrime; si scorgono ancora oggi. Cristo indossò il manto e non se lo tolse per venticinque anni. Man mano Egli cresceva il manto cresceva miracolosamente con Lui. Lo portò mentre consolava gli infelici, perdonava i peccatori, curava i sofferenti, risuscitava i morti. Lo portò anche quando pianse lagrime di sangue sul monte degli Ulivi e quando ascese la via del Golgota. Dunque Marco della Pannonia si coperse col manto di Cristo, per far mostra di sé ai soldati. Ma appena indossatolo si sentì male al cuore e i suoi occhi videro. Si liberò della spada, non sentì le derisioni e neppure le male parole e andò dove lo spingeva la rivelazione. Conobbe l’ingiustizia che prima ignorava; vide che erano alleggeriti dalle sofferenze coloro che partecipavano alle altrui sofferenze e portavano ai deboli la croce e capì che la loro ricompensa sarebbe stata eterna, di un’infinita felicità; vide infine il millenario regno di giustizia benedetto da Dio. Così camminò di paese in paese e la sua parola fu il Vangelo. Ai poveri portò la ricchezza, agli ammalati la salute, agli infelici la gioia. Ai pusillanimi diceva: Tutta la colpa è nei vostri cuori; purificato il cuore, dov’è la colpa? Egli stesso, Marco, non sentiva la sofferenza del pellegrinaggio, non la fame, non la sete, non il freddo. I suoi occhi guardavano verso il regno eterno e la sua anima era sazia ed abbeverata di speranza. Morì povero e stanco, lo seppellirono dietro ad una siepe. Terminata la sepoltura, si guardarono e dissero: «A chi la sua sostanza?». La sua sostanza era il mantello di Cristo. Discussero e mercanteggiarono a lungo, infine decisero: «Tagliamo questo manto rosso e prendiamoci ognuno un pezzo, quanti siamo? Tu gli hai dato del pane, io dell’acqua, tu la paglia per la notte e tu l’hai seppellito. È debitore di tutti, che paghi tutti!». E così fecero. Tagliarono il manto di Cristo in nove pezzi e il manto glorificò nove convertiti. Poiché vi erano rimaste le lagrime di Maria e il sangue di Cristo. Appena il peccatore toccò il manto, vide e comprese; il peccato è nell’ingiustizia, l’ingiustizia è nel cuore. E in quell’ora assaggiò la dolcezza della sofferenza, tutto il bene nasce da essa. In alto sul Golgota davanti a tutti gli occhi del mondo è stato rivelato; soltanto la sofferenza vincerà la sofferenza. Soffrire e non soffrirai, muori e vivrai. Andarono per il mondo gli eredi del manto di Cristo, annunciando il regno eterno. Soffrirono e morirono nella gioia della sofferenza. La loro ricchezza era rimasta e gli eredi erano molti. Si diffusero, si sparpagliarono in tutta l’immensità della terra. Eredi tutti ricchi, proprietari del manto di Cristo. Andò con loro il Vangelo della sofferenza e della sua vittoriosa glorificazione. Man mano che soffrivano e morivano nella sofferenza i loro eredi erano a migliaia, erano infiniti. Non era monte così alto, non valle così profonda da non sentire le loro voci. Fratello perché piangi? Rallegrati e grida dalla felicità; anche tu porti il manto di Cristo, come lo porto io. Come me e come infiniti milioni di sofferenti. Ma verrà il momento, e non è lontano, che sarà rivelato definitivamente che la nostra sofferenza non è stata versata come acqua sulla sabbia ma che ha concimato, intriso e salvato per la vita eterna. Quando sarà rivelato che ognuna delle nostre lagrime ne ha asciugate delle altre migliaia, quando infine sarà rivelato che siamo noi tutti, noi i vincitori che abbiamo sofferto per la verità e portato il manto rosso di Cristo… (Ivan Cankar) (Dall’“Osservatore romano della Domenica” − Aprile 1938).

De Anima

Si narra di un antico imperatore romano che amava grandemente un cervo e per timore che glielo catturassero e glielo uccidessero aveva fatto esporre degli avvisi nel parco ove si trovava l’animale, anzi gli aveva fatto mettere al collo una placca d’oro con una scritta: Noli me tangere, Caesaris sum51. Anche nell’anima nostra inciso non nell’oro ma in qualcosa di ben più nobile vi è un motto: «Noli me tangere, Christi sum»52. Siamo la conquista di Cristo e il suo amore; non permettiamo mai che false lusinghe vengano a strapparci dal suo amplesso; Egli è il Padre nostro, il nostro Pastore. Nell’anima nostra è profondamente impresso che siamo suoi; vi è un carattere che la nostra perfidia non potrà togliere mai. Nel giorno che ci comunicò la sua vita, nel giorno che ci diede il primo bacio, impresse nella nostra anima di fanciulli un segno che non si cancellerà mai e che risplenderà a nostra gloria o a nostra confusione eterna.

51 “Non mi toccare, sono dell’imperatore”. 52 “Non mi toccare, sono di Cristo”.

Natalis Domini

1) E finalmente venne. Un giorno, nel centro del mondo e nella pienezza dei tempi, quaranta secoli dopo la creazione, nella grande unità materiale che il popolo romano aveva formata, apparve la grande unità religiosa: Il Verbo si fece carne ed abitò tra noi. Noi l’abbiamo veduto dice l’apostolo San Giovanni, l’abbiamo ascoltato, l’abbiamo toccato con le nostre mani, abbiamo riposato rapiti sopra il Suo Cuore!... O Dio! Tutti i sogni si sono avverati! I sogni insensati delle nazioni… i sogni sublimi delle anime!… Ma essi vi desideravano, o Signore, queste nazioni insensate! Vi presagivano, o Signore, queste anime sublimi! Sì, Voi eravate l’oggetto della loro aspettazione e non dovevate deluderla! E il Verbo si è fatto carne ed ha abitato tra noi. I piccoli lo hanno veduto, e i poveri l’hanno toccato; Egli ha voluto che i fanciulletti si assidessero sulle sua ginocchia e non ha rimosso da sé neppure i peccatori. Lasciamo per ora di dipingere queste scene auguste dell’umanità che s’accosta a Gesù Cristo. D’altronde chi potrebbe dirne a parole la bellezza, l’umiltà, la purità, la delicatezza infinita? Ora, come quella povera donna ammalata, era il lembo della sua veste che ella tentava di baciare. Ora prendevasi ardimento dall’amore, dal pentimento; si abbracciavano i suoi piedi, i puri e sacri piedi del Figlio di Dio; si bagnavano di lagrime e vi ci si purificava sotto mille baci. Altra volta attingendo nella propria innocenza, nel proprio amore, nella solennità dell’ora che correva, una più grande famigliarità, si saliva fino al suo Cuore, si reclinava la testa sul suo petto, vi si addormentava nell’estasi. E questo durò tre anni. Dopo di che per finir di rapire i cuori e per eternamente commuoverli, Egli salì sul Calvario, nella gloria di una bellezza che né Omero né Fidia avevano immaginato, perché era composta di sofferenza, di Divinità, di amore. E mentre Egli così moriva per rilevare53 all’umanità la misura della sua tenerezza, l’umanità era stritolata e sopraffatta dal dolore ai piedi della Croce nella persona di Maria; pendeva dalle sue ferite nella persona di Maddalena; fissava nel suo costato aperto lunghi ed amorosi sguardi nella persona di San Giovanni; Lo distaccava dalla Croce, e prima di calarlo nella tomba, Lo ricopriva di mille baci. E fu il secondo incontro di Dio con l’uomo; il secondo dei giorni solenni e augusti nei quali Dio si accostò all’umanità e si unì ad essa. (Mons. E. Bougand)

2) Il Verbo divino Figlio unigenito del Padre, vivo raggio della sua luce, immagine sostanziale della sua bontà e specchio senza macchia della

53 Rivelare. infinita sua gloria, il Verbo divino promesso dai Profeti, sperato dai Patriarchi, desiderato da tutte le genti; il Verbo divino è venuto per alzare la nostra natura, per espiare la nostra colpa, per vincere i nostri spirituali nemici. Verbum caro factum est, et habitavit in nobis54. I cieli hanno dato la loro rugiada, la terra si è aperta ed è germogliato il Salvatore; la verga di Iesse ha recato il suo odoroso fiore sopra cui riposa lo spirito del Signore. Gioiscano gli Angeli, si consolino i peccatori a cui la Redenzione è vicina. Un insolito misto d’amore, di riverenza, di giubilo si agita nei nostri cuori. Quando pensiamo a Dio l’eccesso della sua bontà ci confonde, quando pensiamo all’uomo ci consola la grande felicità che gli è sopravvenuta. Volgiamoci a Gesù e adoriamone l’umiliazione, contempliamo Maria e ammiriamone l’esaltazione. Tre cose da considerarsi: Chi è che s’incarna (Filius Patris); per qual fine s’incarna (propter nos homines); per mezzo di chi compie questa sua grande opera (ex Maria Virgine). Senza dubbio è un mistero impenetrabile la nascita nell’eternità del Figlio dal Padre: Figlio in niente inferiore al Padre, né nella natura, né nella gloria. Ma anche grande mistero è che questo Figlio generato avanti la stella del mattino diventi uomo, scenda su questa povera e misera terra. Generationem eius quis enarrabit?55. L’eterna nascita si alza sopra alla capacità umana, la temporale non si comprende tanto infinito è l’abbassamento. Siamo come gli Israeliti abbagliati dal Dio del Sinai, ma non meno dal Dio che copriva con una folta caligine il Tempio. Videns parvulum, cogita magnum56 (San Bernardo). Secondo i sensi vi è un piccolo bambino in tutto uguale agli altri, anzi nella maggiore povertà, tanto che essa è un contrassegno per conoscerlo (Gli Angeli ai Pastori: un bambino posto ecc...57). Ma agli occhi della fede è il bambino atteso dai secoli sulle cui spalle è il principato; egli è l’ammirabile, il consigliere, il principe della pace, il padre del futuro secolo, il forte, il potentissimo, Dio58: cogita magnum. La sua estrema povertà, la paglia, la diroccata capanna dove si trova non ci siano d’impedimento a risalire coll’animo all’alto luminosissimo trono di Dio nella pienezza della sua gloria. Sotto le spoglie visibili riconosciamo l’invisibile Dio, la presenza del Verbo che da principio era con Dio, e Dio era lo stesso Verbo.

3) Infinita fu nell’Incarnazione l’umiliazione del Verbo; Egli apparve sotto le sembianze del peccatore, venne a farsi nostro mallevadore59, a soddisfare per i nostri peccati, ad essere in luogo nostro la vittima della

54 “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). 55 “Chi narrerà la sua generazione?” (NOVA VULGATA, Is 53,8). 56 “Vedendo il piccolo, pensa al grande”, SAN BERNARDO, Laudes Virginis Matris. 57 Cfr Lc 2,12. 58 Cfr Is 9,5. 59 Colui che garantisce l\'adempimento di una obbligazione assunta da un\'altra persona; garante. giustizia di Dio. Perché non è solamente nell’Orto, nel Pretorio e sul Calvario che Egli ha cominciato a figurare peccatore, ma dalla stalla di Bethlem e fin dal primo istante della concezione Egli prese sopra di sé le nostre iniquità. Giacobbe si mise sotto le sembianze di Esaù per ricevere la benedizione del padre60, Gesù invece prese le spoglie umane per addossarsi tutti i peccati della terra e poterli così espiare; e questo fece sapendo di dover incorrere nell’ira del Padre e di tirare sopra di sé la vendetta che è riservata al peccato. Christus autem redemit nos de maledicto legis, factus pro nobis maledictum61 (Gal 3,13). E coll’esempio di sì profonda umiltà sotto gli occhi vi sarà chi ardisca sentire altamente di se stesso, inorgoglire sopra gli altri e voler essere preferito in tutto? Qualunque sia la tua pretesa di ricchezza, di ingegno, di scienza che cosa sei o uomo paragonato a Dio? Per il corpo sei un impasto di vermi, un pugno di ceneri; quanto all’anima un abisso di ignoranza, un inviluppo di passioni. Se tutto questo non basta per abbassare la tua superbia ed incitarti all’umiltà, pensa al tuo Dio che si umiliò fino alla tua miseria escluso il peccato, e che non aspettò neppure un istante a predicarci l’umiltà colla sua nascita oscura, coi suoi esempi, colle sue parole.

4) L’Incarnazione ha dato più gloria a Dio che tutte le altre opere divine perché ha fatto risaltare la sua sapienza, la sua misericordia, la sua immensità, la sua onnipotenza, il suo infinito amore per noi e la sua giustizia. Ed è ancora l’Incarnazione che innalza l’uomo ad una grande altezza, consorte della natura divina. Noi ora abbiamo due capi: Adamo e Cristo; Adamo ci ha dato la sua natura, Gesù Cristo ha preso la nostra. Siccome adunque abbiamo avuto parte nell’umiliazione del primo, così dobbiamo aver parte nell’esaltazione del secondo. Se chiunque si gloria bisogna che si glori nel Signore, in Gesù sia la nostra gloria, perché grande è la gloria di aver avuto un capo così grande. L’uomo ingrato e superbo aneli una volta di farsi simile a Dio nella sapienza e Dio è venuto vicino a te e ti ha preso pel figlio. Oserà ancora l’uomo da figlio di Dio degradarsi al livello di schiavo del demonio per mezzo del peccato? Dice bene San Pier Crisologo: «Sarai o uomo così vile negli occhi tuoi, tu che sei negli occhi di Dio sì prezioso? − Homo quare tibi tam vilis es, qui tam pretiosius es Deo?»62 Deh! Riconosci la tua dignità!

5) L’Incarnazione non avvenne solo nella pienezza dei tempi, ma anche nella pienezza della iniquità umana. Quando più profonda era la decadenza e la miseria dell’umanità allora venne misericordioso il medico divino. Oh! ammirabile amore di Dio! Ma noi come siamo riconoscenti a chi ci ha salvato?

60 Gen 27,1-29. 61 “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi”. 62 SAN PIETRO CRISOLOGO, Sermo 148, (PL 52, 596). Non avremmo difficoltà a dimostrare i sensi del nostro amore a chi ci avesse salvato dagli abissi di un disperato naufragio o dalle fiamme d’un ardentissimo incendio. Ma il Signore da un più profondo abisso quale è il peccato, da un più terribile fuoco, quello acceso dalla divina giustizia. Misericordiae Domini, quia non sumus consumpti63. Ah! non sia vero, adorabile mio Gesù, che io mi dimentichi di ciò che avete fatto per me. Questo continuo ricordo alimenti ed ecciti la mia gratitudine, la mia confidenza, il mio zelo; la mia gratitudine per corrispondere col mio amore alla vostra infinita bontà; la mia confidenza per appoggiare alla efficacia dei vostri meriti la mia debolezza; il mio zelo per animarmi a compiere i vostri precetti ed imitare i vostri esempi.

6) Uno dei più stupendi miracoli operati da Gesù Cristo nella sua vita mortale fu la guarigione del cieco nato. Prese un po’ di fango e ne spalmò gli occhi del cieco che al contatto di quel rimedio subito fu guarito64. Ma ad un altro cieco Gesù aprì gli occhi che da tempo non vedevano più la luce, aprì gli occhi al genere umano che giaceva nelle tenebre e nelle ombre di morte. E come Egli applicando colle sue mani il fango agli occhi del cieco nato gli diede la vista, così proponendo a noi per mezzo della fede la sua umanità per mezzo di essa ci innalzò fin nelle radiosità della luce: De corpore suo collyrium fecit luminibus nostris65 (Sant’Agostino). Innanzi tutto ci fece conoscere Dio nella sua vera luce, concetto che dopo la caduta era venuto a poco a poco oscurandosi. Tre occhi − dice Ugo da San Vittore − aveva l’uomo nello stato d’innocenza. Il primo era l’occhio del corpo col quale vedere il mondo, le cose sensibili delle quali doveva servirsi discrezionalmente: hic est oculus carnis. L’altro era l’occhio della ragione con cui guidarsi razionalmente nei suoi costumi: hic est oculus rationis. Il terzo era l’occhio della contemplazione con cui vedere Dio stesso e il culto a lui dovuto: hic est oculus contemplationis. Ma col peccato originale l’occhio della contemplazione si chiuse, quello della ragione si oscurò; solo l’occhio della carne si acuì maggiormente a fissare lo sguardo nelle cose di questo mondo sicché l’uomo affascinato da esse perdè66 la giusta idea di Dio. Non era però del tutto cancellata ma era come una antica pittura di cui a stento si scorgono alcune linee, e solo gli esperti vi vedono gli avanzi di un eccellente disegno. E l’uomo era tanto attaccato e immerso nella terra che immaginava lo stesso Dio materiale, cercava Dio nelle creature. Humi oculis defixis, in generatione rebusque sensibilibus Deum requirebant67 (Sant’Atanasio). Fu dunque necessario che Dio volendo salvare l’uomo apparisse a lui sensibilmente e corporalmente: ecco

63 “Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie” (Lam 3,22). 64 Cfr Gv 9,1-7. 65 “… e del suo corpo ha fatto un collirio per i nostri occhi” (SANT’AGOSTINO, In Evangelium Ioannis Tractatus, 35,6). 66 Perdette. 67 “Con la mente completamente rivolta alla terra, gli uomini cercavano Dio nelle creature carnali e nelle realtà terrene”. quanto ha fatto nell’Incarnazione il Verbo: extenuavit se incapacibus sui68 (San Leone). Ma anche coloro che avevano la giusta idea della spiritualità di Dio, come gli Ebrei, avevano un grande desiderio di vederlo questo Dio. Così i Patriarchi, così Davide. E venne l’atteso: più non v’era bisogno di raffigurare Dio, egli stesso si era mostrato. L’idolatria perdette ogni attenuante, perché già c’era il Dio visibile: Deo in figura humana falso adorato, Deus verus homo factus est, ut in seipsum cultum omnem transferret69 (San Cirillo, Catechesi). Scese su questa terra e agli uomini assetati portò la verità. L’uomo poco conosceva di Dio, poco della sua stessa natura e del fine a cui era destinato, l’Agnello solo venuto dal Cielo poteva aprire il libro in cui v’era la sapienza. Quanto fu grande il suo dono! Ci insegnò a non chiudere il nostro orizzonte sulla terra ma ad alzarci su, su fino al Cielo, a non porre il nostro fine quaggiù, ma nella visione di Dio. Gesù per noi è tutto: senza di lui non sapremmo di dove veniamo, non sapremmo chi siamo, non sapremmo dove andiamo.

7) Parabola del Samaritano. Totum enim genus humanum est homo ille qui iacebat in via70 (Sant’Agostino). Samaritanus miseratus est, id est ipse Dominus, qui miseratus est genus humanum71 (idem). Egli venne dal Cielo a risanare le nostre piaghe; ci aprì la mente alla conoscenza delle grandi verità, fortificò la debolezza della nostra natura e della nostra volontà: colla sua grazia ci sostenne, col suo esempio ci indicò la via. Non solo ci insegnò, ma fu il nostro aiuto. Venit hominibus magisterium et adiutorium72 (Sant’Agostino). La sua grazia è sovrabbondante: basta riposarsi e confidare in Gesù, il demonio niente può contro coloro che sono segnati col sangue divino. Ci indicò la via. Niente ci chiede che prima Egli stesso non l’abbia praticato contro i giudizi del mondo e della carne. Il mondo ama la ricchezza ed Egli nasce nella povertà; il mondo ama gli onori ed Egli nasce nel disprezzo; il mondo affetta la morbidezza e il lusso ed Egli nasce fra ogni disagio; il mondo non può tollerare il disprezzo ed Egli è non curato e la sua Madre non riesce a trovare un posto negli alberghi. Una cadente capanna è il suo ricovero, una mangiatoia è la sua culla dove Egli giace sulla paglia bisognoso per scaldarsi del fiato di due animali. Si racconta nella Sacra Scrittura di Eliseo che accondiscese alle preghiere di una madre afflitta che lo scongiurava di guarire il suo figlio. Il grande profeta inviò il suo servo Giezi con in mano la verga che tanti prodigi

68 “Abbassò se stesso alla condizione umana” (SAN LEONE MAGNO, I sermoni del ciclo natalizio). 69 “Avendo gli uomini adorato Dio in forma umana, Dio si fece vero uomo per orientare proprio in sé ogni genere di culto”. 70 “Quell\'uomo che giaceva sulla via tra la vita e la morte è indubbiamente l\'intero genere umano” (SANT’AGOSTINO, Sermo 171,2). 71 “… il Samaritano, cioè il Signore stesso, che ha avuto pietà del genere umano”. (SANT’AGOSTINO, In eundem Psalmum 30, Enarratio II,8). 72 “Venne agli uomini il maestro e il soccorritore” (SANT’AGOSTINO, Epistula 137,3.12). aveva fatto. Invano; il fanciullo non rivive. Allora Eliseo si reca egli stesso; entra nella stanza dove giaceva il morto bimbo e accorciandosi e impicciolendosi fino a diventare della stessa statura, mise la sua bocca sulla bocca del bimbo, le sue membra sulle membra, volto a volto. E il fanciullo ritorna a vivere73. Vera immagine questa di ciò che ha operato il Verbo verso il genere umano. Egli si impicciolì, si esinanì, perché fatto simile a noi in tutto, ci salvasse dalla morte. Membra contraxit, tamquam seipsum exinaniens, ut formam servi acciperet... Itaque in isto typo Christi prophetice expresso, suscitatus est mortuus, iustificatus est impius74 (Sant’Agostino).

8) Vox clamantis in deserto: «Parate viam Domini, rectas facite semitas eius»75 (Lc 3,4). Questa voce che facevasi sentire nei deserti della Giudea per avvertire di preparare la via al Signore risuona ora nelle nostre Chiese e ci avverte di essere pronti a riceverlo, di appianare il sentiero dei nostri cuori. Come un araldo precedeva Giuseppe per avvisare tutti di piegare le ginocchia davanti al Salvatore dell’Egitto76, così San Giovanni, novello araldo di giustizia, Praeco justitiae, viene dinnanzi al Figlio di Dio per dire al mondo che si prepari a riceverlo, che si prepari ad adorarlo. Ed eccolo è già vicino a comparire e nascere tra di noi; ecco lo sposo delle anime nostre che s’appressa, andiamogli incontro: Ecce sponsus! Exite obviam ei77 (Mt 25,6). È necessario che ci prepariamo bene alla festa della Natività di Nostro Signore. La misura del preparamento è la misura dei frutti; i misteri e le grazie del Figlio di Dio operano in noi in conformità alle disposizioni che trovano nel nostro cuore. Ed è proprio ora il tempo di prepararci: l’Avvento è il tempo della pietà, il tempo della penitenza. Ora particolarmente ci troviamo davanti ai più possenti motivi d’amare il Signore: vediamo Dio stesso per noi bambino in un abbassamento infinito. Inoltre il Signore spande in questo tempo una grande abbondanza di grazie; poveri noi se non ne sappiamo approfittare, saremmo più cattivi degli abitanti di Betlem che non conoscevano la santità e la grandezza della Madonna che chiedeva loro un luogo ove passare la notte. Ed invece noi conosciamo bene che Colui che vuol venire in noi è il Figlio dell’Eterno Padre, è il Re del Cielo, è il Salvatore del mondo; non sia il nostro cuore così duro. Sì non sia mai, o Gesù, che si abbia a dire che nel mio cuore v’è posto pel mondo, per la vanità, per l’amore alle cose di questa terra e che per Voi non vi è neppure un cantuccio!…

73 Cfr 2Re 4,18-37. 74 “Egli prese un corpo mortale, annullando se stesso per assumere la forma di servo… Pertanto nella persona di Cristo, annunciata dai profeti, i morti sono riportati in vita e i peccatori salvati”(SANT’AGOSTINO, Opera Omnia, Multis sermonibus ineditis aucta et locupletata, Tomus decimus septenus, Parent-Desbarres Editorem, Parisiis 1838). 75 “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Lc 3,4). 76 Cfr Gen 41,42-43. Come prepararsi? Colla preghiera, colla penitenza, col ritiro. Preghiera. Vox. Penitenza, Vox clamantis; detestare i peccati con una santa confessione. Ritiro, in deserto. Dio parla solo nel silenzio.

9) «Ecco ci è dato un pargolo, ci fu elargito un figlio»78. A noi il Padre dona il suo Figlio, e per noi lo fa nascere come un bambino. Cristo si fa debole per fortificarci, si fa piccolo per elevarci, si fa povero per arricchirci, si fa misero perché noi diventiamo felici, si fa uomo affinché noi divenissimo partecipi della sua divinità.

10) Lo dobbiamo a te, o nostro Salvatore, se abbiamo conosciuto la gloria di Dio. Prima di te, il mondo non conosceva il suo Creatore: solo qualche barlume tra le nebbie degli errori era venuto ad allietare il cuore dell’uomo. Gli stessi Giudei, il popolo eletto, non avevano una perfetta cognizione; Davide e Mosè avevano cantato sì di lui, e narrato le sue magnificenze, ma solo il Verbo poteva esaltare adeguatamente lo splendore del Padre. E gli uomini al presepio di Betlemme scorsero ciò che non avevano mai scorto allo sfolgorare degli astri. La culla del celeste Bambino meglio dei cieli raccontò la gloria di Dio, fu uno specchio in cui meglio potemmo contemplare le sue infinite perfezioni. L’uomo aveva visto i suoi capolavori, aveva ammirato il cielo opera delle sue mani; aveva compreso che immensa era la sua altezza e la sua gloria. Ma non aveva mai sospettato che Dio potesse discendere dal sommo della gloria fino al più profondo del nulla, che potesse accoppiare la sua maestà suprema con la nostra bassezza, la sua grandezza con le nostre miserie, che potesse unire l’infinito col finito, l’immenso col limitato, la sorgente degli esseri col nulla, l’immortalità con la morte. Ed oh! quale inno di gloria e di lode s’alza a Dio da quella culla! Angeli infiammati dell’amor suo, Serafini coperti dalle vostre ali, Cherubini assorti nei vostri rapimenti, Potenze e Dominazioni curvate davanti alla sua maestà, sacri vegliardi prostrati innanzi al suo terribile trono, il vostro cantico è un nulla di fronte a quello del nato Bambino! Ecco un Dio soggetto ed ubbidiente, un Dio che prega supplichevole! E chi è dunque mai, quanto non sarà mai grande quel Dio che ha un tale adoratore, che ha un tale omaggio? Ah! mio Dio come siete grande! E quanto è grande la vostra giustizia e la vostra misericordia! Come deve essere orribile il peccato se per cancellarlo è necessario un tanto Redentore, quanto è ineffabile la vostra santità davanti alla quale il sole non è abbastanza terso e gli angeli non sono senza macchia! Vidimus gloriam eius79. Chi è allora di noi che non accoglierà in pieno l’ardita espressione d’Origene: Christus est Deus et aliquid ultra80? Non già perché Dio sia

78 ALESSANDRO MANZONI, Il Natale, 1813. 79 “E noi vedemmo la sua gloria” (Gv 1,14). 80 “Cristo è Dio e anche qualcosa di più”. divenuto più grande ma perché più da vicino lo abbiamo conosciuto, perché abbiamo visto il raggio più bello della sua gloria.

11) Eccoci giunti a quell’ora suprema, termine e principio di tutti i tempi, a quell’ora che doveva comprendere in sé tutta l’eternità. Il messaggero celeste ha compiuto la sua ambasciata: l’umile serva del Signore ha dato il suo consenso: fiat. E a questa parola mille volte più feconda di quella della creazione, l’universo esce per la seconda volta dal caos; i cieli si inchinano verso la terra a piovere il giusto, la terra si apre e germoglia il suo Salvatore81. Eccoci giunti a quel giorno fortunato che Abramo cercava con sì grande desiderio di vedere, che tutti i giusti della terra sospiravano ardentemente coi loro gemiti e le loro lacrime. Alzati o Gerusalemme, rivestiti della tua forza, e prendi gli ornamenti della tua gloria. E voi, o ministri del santuario, che annunciate il vangelo a Sion, salite le vette dei monti e gridate a tutte le città di Giuda: Ecco, il vostro Dio, arriva! Portate questa notizia a tutti i popoli di cui è la speranza, a tutti i secoli di cui forma la gloria, a tutta quanta la natura di cui è il supremo bene e il supremo bisogno. Recate ovunque la grande notizia; grande per il Cielo, di cui si aprono le porte, grande per l’inferno i cui abissi si chiudono, grande per la terra sopra la quale regneranno da questo momento la pace e la felicità; grande per l’uomo la cui redenzione è vicina; grande per gli angeli che van lieti di nuovi compagni e finalmente grande per Dio stesso: Egli acquista un nuovo titolo che prima non aveva, diventa il Salvatore del mondo: Gaudium magnum… quia natus est hodie Salvator82. A Betlem noi troviamo il silenzio, la notte, la povertà, le lacrime, tutte le miserie dell’umana natura. Mosè per promulgare la legge del Signore aveva bisogno di gloria e di splendore sensibile che avvalorassero la sua persona agli occhi degli uomini. Gesù era così grande, così sublime, che non aveva bisogno per imporsi di un tale splendore. Tanta è più profonda l’oscurità in cui giace, tanto più grande è la sua gloria. Grande mistero quello del presepio: mistero di grazia e di salute, di gloria e di trionfo, capolavoro di potenza e di amore, oggetto di ammirazione e di riconoscenza, spettacolo quanto degno del Creatore tanto salutare alla creatura. Il Presepio esalta la grandezza e la maestà di Dio! Sembrerebbe uno scandalo che il Verbo si facesse carne; ma è appunto per questo che Egli viene esaltato; poiché si rende visibile ed è quindi più conosciuto, si umilia e per questo gli si rende più amore: si mostra in apparenza di debole e gli è data una gloria maggiore. Meglio che allo splendore degli astri gli uomini contemplarono le infinite perfezioni di Dio nella oscurità del Presepio. La culla del nato Bambino meglio dei cieli canta la gloria di Dio, più magnifica dei profeti narrerà al mondo le ineffabili perfezioni dell’Eccelso. Grande, immenso il suo potere; Egli ha unito due estremi incomparabilmente distanti, il nulla, l’uomo, e il tutto. Iddio, Sapienza sublime che si abbassa ad

81 Cfr Is 45,8. 82 “Una grande gioia… perché è nato oggi il Salvatore” (Cfr Lc 2,11-12). ammaestrare l’uomo sicché l’ultimo discepolo di Cristo sia più saggio che non tutti i più alti sapienti del mondo. Giustizia e misericordia infinita che esige così alta riparazione del peccato e ne dà il modo sublime. Ma una nuova grandezza fa conoscere il Presepio: manifesta Dio come amore e dagli uomini strappa l’amore per Dio. Gli antichi immaginavano che una catena d’oro legasse il Cielo alla terra, Dio cogli uomini. Ma ecco una nuova catena che Dio solo poteva trovare quella dell’amore. In passato dovevano solo dire: davanti a te o Signore le nazioni sono come se non fossero; ora con gioia possiamo esclamare: non vi è alcuna nazione che abbia tanto vicine a sé le sue divinità come a noi il Dio nostro83. In passato era il Dio delle battaglie, che folgorava dall’alto del Sinai; ora è il Dio che ama e vuole essere amato. Un Dio che per farsi maggiormente amare piange in una culla, ci commuove e ci trasporta di più di quando crea i mondi. Dobbiamo dire con San Bernardo: Così volle nascere colui che volle essere amato. Nella creazione io ero l’opera delle sue mani, nel mistero del Presepio io sono l’opera del suo cuore; nella creazione noi eravamo suoi sudditi, nel mistero del Presepio noi siamo suoi figli. Ora possiamo veramente dire: Dio è amore, Deus caritas est! Amore si ricambia con amore. Ille prius dilexit nos84. L’unico ricambio che gli è gradito, l’unico che possiamo dargli è offrigli tutto l’amore che riusciremo a torchiare dai nostri cuori devastati. Avessimo pur mille cuori in petto che palpitassero sempre in estasi di Cherubini non potremmo rimeritarlo del più piccolo dei suoi sospiri. Ed in questo è posta la sua gloria nel costringerci per così dire ad essere ingrati colla grandezza dei suoi benefici; d’insegnarci che Egli solo sa amare, che Egli solo può amare senza misura e senza confini. Ma, se anche questo nostro miserabile cuore fosse a lui negato, allora la nostra iniquità sarebbe tremenda. «Montagne ascoltate e voi colline udite: i più stupidi animali riconoscono il loro possessore e la casa del loro padrone; ma Israele ha dimenticato il suo Dio, il mio popolo solo è insensibile».

12) Quando noi amiamo una persona è perché scorgiamo in lei delle qualità degne d’amore. Ma quando Dio amò il mondo tanto da dare il suo Figlio Unigenito che cosa vide di bello e di amabile negli uomini? Che qualità, che meriti poté trovare degni di tanta tenerezza d’affetto e di misericordia? Se amò, amò perché era Dio. Amò vinto dalla sua misericordia. Apparuit benignitas salvatoris nostri Dei, non ex operibus iustitiae, quae fecimus nos, sed secundum suam misericordiam salvos nos fecit85 (Tt 3,4). Dio è l’infinita ricchezza; Egli gode di far traboccare

83 Cfr Dt 4,7. 84 “Non quasi nos dilexerimus Deum, sed quoniam ipse prius dilexit nos – Non siamo stati noi ad amare Dio, ma lui per primo ha amato noi” (1Gv 4,10). 85 “Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia” (Tt 3,4- 5). su di noi i suoi immensi tesori. Egli è la bontà per essenza che ama senza nulla sperare, senza aspettare inviti, cerca il merito nelle creature poiché amandole le fa degne del suo amore. Ma non solo Dio ci amò senza nessun nostro merito, ma ci amò che eravamo figli della ribellione, coperti di peccati, noi i suoi nemici. Cum adhuc inimici essemus!86 Ed è quel Dio che odia infinitamente il peccato?

13) Nello stato in cui trovavansi gli uomini era loro necessario una norma e una attrattiva. Gesù Cristo nascente è la regola più perfetta per insegnarci la via della salute, è la attrattiva più efficace per farci abbracciare la via della salute. Gesù ci insegna la via della salute col suo esempio: Apparuit… erudiens nos. Via di abnegazione e di rinuncia: abnegantes impietatem et saecularia desideria87. Ci dà ancora la forza per seguirlo. Un Dio fatto uomo ci precede: chi esiterà di seguirlo?

14) Dona, piccolo Nato di Betlem, purezza di pensieri ai giovani, slanci generosi, nobili sensi, intenso desiderio di bene, di azione, di elevazione morale. Ai buoni, che sanno essere la loro esistenza missione e apostolato, dona le pure soddisfazioni del lavoro e del dovere spesso aspro e contrastato; pace ai forti; vittoria a chi combatte per una nobile causa; conforto a chi piange; forza all’animo debole e vacillante… Grazia per lo spirito ribelle, che rinnega e bestemmia; per chi infedele sta per abbandonare la sua vocazione; pel misero che si sente travolgere dall’onda perigliosa del piacere. Pietà di coloro che lottano contro le difficoltà della vita e sono sul punto di abbandonarsi allo smarrimento e all’oblio dei propri doveri; pietà di coloro che il mondo attira, dei felici che non conoscono il dolore – il quale tempra a fortezza –, pietà di coloro che non sanno amare, di coloro che l’invidia rode, il rimorso lacera, la febbre del piacere consuma. Pietà, piccolo Nato di Betlem, di tutte le tristezze della terra! Sollievo alle membra straziate, conforto ai cuori afflitti, pace alle anime! (Alpigiana)

15) La Culla di Betlemme e il Santo Tabernacolo. Quanto è cara per il cuore del credente la solennità del Santo Natale! Dal bambino che si vede sorridere innanzi la vita, al vegliardo vicino alla tomba, tutti celebrano con festa e provano un’insolita letizia allorché ritorna al terminare dell’anno il Santo Natale. Perché questa gioia? Perché prova questa gioia non solo l’innocente, non solo il giusto, ma altresì il peccatore? E anche colui che non crede, che ha l’anima divenuta come di fango, perché rispetta questa festa, e la celebra direi quasi forzatamente col sospendere i suoi lavori e prendere

86“Cum adhuc peccatores essemus – mentre eravamo ancora peccatori” (Rm 5,8). 87 “Apparuit enim gratia Dei salutaris omnibus hominibus erudiens nos, ut abnegantes impietatem et saecularia desideria – È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani” (Tt 2,11-12). parte al riposo e alla gioia dei buoni cristiani? Perché tutto questo? Perché è nato il Redentore del mondo, perché il cielo si è rappacificato colla terra; perché scese dall’altezza dei cieli il Figliuolo di Dio, e lasciata la maestà divina, prese la forma di servo e si fece uomo. Or questa gioia dei cristiani perché deve essere breve? Perché deve durare solo dei giorni e non prolungarsi a dolce conforto dei nostri affanni e a salutare vantaggio delle anime nostre? Sì: essa deve durare… e noi abbiamo ben ragione di farla durare non l’annata intera, ma per tutta la vita. La culla di Betlem si è perpetuata tra noi: Maria presenta sempre alle nostre adorazioni il suo diletto Figliuolo; noi coi pastori e coi Magi possiamo ogni giorno recarci innanzi a Lui e offrirgli i nostri omaggi. Il Tabernacolo del santo altare nel quale si rinchiude sotto le speci sacramentali il Figlio di Dio non è la culla di Betlem che lo accolse bambino, depostovi dalle pure mani della sua santissima Madre? E non c’è anche Maria che ce lo addita dal cielo e ci dice, madre del bello amore e della santa speranza: Andate, andate dal Figlio mio che tanto vi ama; andate e troverete la consolazione per l’anime vostre? Oh! sì, la culla di Betlem si è perpetuata tra noi. Il santo Bambino aspetta sempre ai suoi piedi i Pastori, i Magi e i Betlemiti: coloro che obbediscono alla sua legge e coloro che vengono da lontani paesi ed adorano gli idoli. Egli tutti accoglie con benevolenza, a tutti sorride, gradisce i doni di tutti purché offerti con cuore sincero; e a tutti lo mostra la santa sua Madre. Oh! Che gioia è per noi poter ogni giorno dell’anno venire alla grotta di Betlem e adorare Gesù tra le braccia di Maria! Non vi è invero altra nazione più grande, né più fortunata che abbia così vicino il suo Dio. Il cristiano può venire ogni giorno, più volte al giorno anche durante la notte ai piedi del suo Gesù e quivi sfogare il suo cuore, versare le sue lacrime, offrire i suoi omaggi, e ricevere dal suo Dio sollievo alle pene, benedizioni e doni. Veniamo adunque a questa Fonte di vita, di grazia e di soavità: alla novella culla di Betlem. Veniamo a questo Dio che è amore, anzi il solo vero amore che abbia amato gli uomini fin dai giorni dell’eternità. (Dal «Regno di Dio»)

Pasqua!

Viene da l’alto un suono di campane sciolto alla gioia, e su l’ali dei venti si diffonde come pioggia di perle tra i profumi primaverili, sui campi verdi, tra le piante fiorite lungo i declivi dei colli, festoso, osannante… Alleluia! Cristo è risorto! Ovunque sorge una croce, simbolo di redenzione, oggi è giorno di pace, di perdono, d’amore. L’armonia gioiosa di mille bronzi; dalle storiche torri delle marmoree cattedrali alle umili campane dei quieti villaggi, inneggia alla risurrezione di Cristo, alla risurrezione delle anime. Un fremito di commozione vibra in ogni cuore, che si schiude a nuovi sentimenti, e un’onda di vita novella invade la terra, che risorge essa pure verdeggiante e fiorita al bacio del sole, alla carezza dell’aria nuova. È Pasqua, la grande, la mistica festa del perdono, della pace; la rinascita delle coscienze, che dalle meditazioni, dalle lacrime, dagli squallori della settimana santa escono purificate, felici, piene di eterne speranze. Un senso di bontà, di purezza, di affetti gentili commuove le anime e le affratella. Le mani si cercano e si stringono amichevoli nella santità dell’ora, nella poesia delle fede: un generoso oblio getta un velo sul passato. Ognuno guarda la serenità dell’orizzonte sul quale luminosa sfolgora la Croce santa da cui suona la voce che inebria i cuori nella promessa delle divine misericordie. I giusti esultano, amando; ai traviati spunta sul ciglio una lagrima di pentimento, che si volge nelle gioie del perdono. Cristo è risorto! Ogni88 ha le sue angosce, ogni cuore la sua passione... Ma l’alba della resurrezione indora di sorrisi e di speranze il sentiero spinoso della vita, il Getsemani dello spirito. Dopo il Martire divino il dolore è elevazione morale, la croce un altare, la morte principio di vita, risurrezione vera. Alla luce della Fede, su la tomba aleggia la speranza, fiorisce la pace, sorride il premio. Primavera della natura risorgente in un canto di liete promesse, la Pasqua è la rinascita delle coscienze, che, sprigionate dalle catene della colpa, si slanciano frementi di amore, belle di pentimento nell’ampiezza dei cieli divini, incontro a nuovi ideali di bellezza morale. E fiori di nobili e forti risoluzioni, di propositi virtuosi, di generosi perdoni, di salutari sacrifici sbocciano a mille nel verde delle eterne speranze, nel fulgore della grazia, nella pace dello spirito. Pasqua, la dolce festa del perdono, ha per tutti un raggio di sole, un sorriso di giovinezza, un palpito di gioia nel risveglio santo della fede, delle pure aspirazioni, dei sacri sentimenti di virtù e di dovere. (Alpigiana, Sorriso in famiglia, 1919)

88 Ogni cuore.

Sull’Assunzione della Beata Vergine (Sunti da San Francesco di Sales89)

1. Molte bellissime e utili considerazioni Restringersi a due: a) in che maniera riceve la gloriosa Vergine Gesù quando discese dal Cielo nel suo seno; b) come Nostro Signore riceve lei quando lasciò la terra per andare al Cielo. a) Il Vangelo odierno ci dà molti argomenti. Racconto. Le due sorelle rappresentano la Vergine Santa. Marta serve Gesù. Maria lo ascolta in silenzio e solo è occupata ad amarlo. La Vergine Santa fece da Marta quando servì Gesù e lo provvide di tutto il necessario durante la sua infanzia (ad es. lo salvò da Erode). La Vergine Santa nella parte di Maria: silenzio suo in tutto il racconto del Vangelo: Betlemme, Re Magi, Egitto, Calvario. Da osservare come Gesù rimprovera Marta non del suo lavoro ma della sua preoccupazione. La Vergine Santa servì Gesù con estrema cura, ma con una cura placida e quieta. Così come gli Angeli di Dio hanno cura della nostra salute. Così dobbiamo fare noi. Fare quello che si deve senza turbamento: curarsi solo di piacere a Dio. Nella eccessiva preoccupazione vi è amor proprio: sentimento disordinato. Indifferenza ad ogni ufficio, a ogni condizione: unum necessarium 90: amar Dio, possederlo. b) Come Gesù ricevè Maria. La Vergine Santa nelle disposizioni di Dio morì per essere simile a Gesù. Dopo Gesù la morte è diventata dolce e soave e così desiderabile che gli Angeli si stimerebbero felici di poter morire. La morte della Vergine Santa fu morte d’amore (Mater pulchrae dilectionis91). La Madre di Cristo non ebbe estasi perché tutta la sua vita fu un’estasi d’amore. L’amore separò l’anima dal corpo. Le lampade odorose quando si spengono fanno sentire più intensamente il profumo, così i Santi (Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius92), così particolarmente la Madre di Cristo. Separata dal corpo l’anima della Vergine Santa fu accolta da Gesù nel trionfo. Se di Gesù fu detto: tanto melior angelis effectus, quanto differentius prae illis nomen hereditavit93, così di Maria Santissima. Immaginiamoci perciò la gloria della Madre di Cristo conformemente al suo nome di Madre di Dio. Ma come Gesù dopo tre giorni risuscitò, così il corpo della Vergine Santa. L’Arca dell’Alleanza era fatta di legno incorruttibile, quanto più

89 Cfr SAN FRANCESCO DI SALES, Sermone per l’Assunzione di Nostra Signora. 90 “… una sola cosa è necessaria” (Lc 10,42). 91 “Io sono la madre del bell’amore” (Sir 24,18). 92 “Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli” (Sal 116,15 [115,6]). 93 “… divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato” (Eb 1,4). conveniente che questa Arca fosse incorrotta dove si era posato non la legge ma l’Autore della legge. Surge, Domine, in requiem tuam, tu et Arca fortitudinis tuae94. Tutti dobbiamo divenire polvere. Maria no. Applicare a Gesù la promessa di Saul a chi uccidesse Golia: Ditabit Rex divitiis magnis et filiam suam dabit ei; et domum patris eius faciet absque tributo in Israel95. «Filia», gloria; «Domum», la Vergine Santa esente dal comune tributo. c) Frutti pratici. Imitare la Madre di Cristo nel corpo non potremo se non nel Giudizio Universale; nell’anima la possiamo imitare stando nell’atteggiamento di Maria: sedens secus pedes Domini audiebat verbum illius96. È l’esercizio del santo amore. In noi vi è l’uomo esteriore e l’uomo interiore. Difficile è la virtù perché è lotta contro questo uomo esteriore. Quante lotte per acquistare pazienza, affabilità, prudenza, carità. Amplificare questi sforzi con l’esercizio del santo amore, il quale continua in sé l’esercizio di tutte le altre virtù. Avere l’amore santo è avere tutte le virtù (Caritas benigna ecc…97). Si trovano conigli in gran numero, e mosche a milioni, ma sono molto rare le Aquile. L’elefante non genera che un elefante, e la leonessa che un leone: così l’esercizio di Marta ha quantità innumerevoli di atti, ma quel di Maria che è l’amore non ne ha che uno solo che è l’unione con Dio, il quale non di meno comprende tutti gli altri a causa della sua eccellenza. Conclusione. Non si vide mai quantità così grande di unguenti come quando la Regina di Saba venne a Gerusalemme. Mai si videro tanti meriti e tanto amore portato in Cielo da creatura come dalla Madre di Cristo. Perciò Iddio le diede altissimo grado di gloria e il potere e il privilegio di distribuire grazie ai suoi fedeli, degni della sua magnificenza reale.

2. L’Arca dell’Alleanza dopo essere stata parecchi anni sotto le tende venne da Salomone portata nel Tempio tra grandiose feste. Con quali feste sarà stata trasportata in Cielo l’Arca del Nuovo Testamento? Quando Dio creò il mondo fece due Luminari in Cielo: il Sole e la Luna. La seconda riceve la luce dal primo e toglie l’orrore delle tenebre. Dio volendo creare il mondo spirituale della sua Chiesa vi collocò due luminari, Gesù e Maria. Gesù Salvatore e Maestro: luce e splendore, sol justitiae. Venne al mondo e per trentatre anni l’illuminò. Ma giunto al tramonto per portare la sua luce nell’altro emisfero degli angeli, nella terra vi sarebbe stata troppa tenebra improvvisa dopo tanto splendore se non vi fosse rimasta la dolce e bella Luna: Maria Santissima.

94 “Sorgi, Signore, verso il luogo del tuo riposo, tu e l’arca della tua potenza” (Sal 132 [131], 8). 95 “Il re lo colmerà di ricchezze, gli darà in moglie sua figlia ed esenterà la casa di suo padre da ogni gravame in Israele” (1Sam 17,25). 96 “… seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola” (Lc 10,39). 97 1Cor 13,4ss. Per tre motivi rimase la Vergine Santa: per consolazione dei fedeli; perché potesse accrescere le immense ricchezze di meriti (supergressa es universas98); per confondere gli eretici che sostenevano non essere vero e reale il corpo di Gesù. Poi morì come ci insegna la Tradizione. E morì della morte del suo Figlio. Aveva la stessa vita di Lui, doveva avere la stessa morte. Se i primi cristiani erano un cuor solo e un’anima, che dire tra Gesù e Maria? Se San Paolo: vivo autem iam non ego, vivit vero in me Christus99 – e la relazione era tra servo e padrone – che sarà stata tra Madre e Figlio? E così morì anche della sua morte. L’aveva predetto Simeone: et tuam ipsius animam pertransiet gladius100. Tre spade possono colpire nell’anima: quella della parola di Dio, quella del dolore (Stabat Mater), quella dell’amore (Vulnerasti cor meum101 ecc…). Da queste tre fu colpita la Madre di Cristo, ma principalmente dall’ultima che comprende anche le altre. Nella Passione fu colpita dal dolore: ogni colpo dato al Sacro Corpo di Gesù era un colpo per l’anima della Madre di Cristo (Ricordare: Quis infirmatur, et non infirmor? Quis scandalizatur, et ego non uror?102; Anima Jonathan colligata est animae David103; se costoro, che cosa la Madre di Cristo?). Fu colpita dall’amore: vedere morire un Figlio che l’amava tanto e che Ella adorava. Dalle parole: tanto più dolci, tanto più pungenti. Quanto più una persona si dimostra cara, tanto più costa il perderla (parole a San Giovanni sotto la Croce). Morì subito di questi colpi la Vergine Santa? No: ma la piaga restò sempre aperta e di questa morì. Le capre di Candia mangiano un’erba che fa uscire dal corpo le frecce. Noi feriti dalla Passione di Gesù imitiamo quelle capre dandoci alle consolazioni mondane che ci fanno dimenticare l’Amore. La Vergine Santa no: ricevette i colpi e li tenne come la sua gloria sempre nel seno. Per questo morì. Morì d’amore a somiglianza di Gesù che non morì per i tormenti (specificare) ma per amore. Morì quando l’amore glielo comandò (oblatus est quia ipse voluit104, ego pono animam meam, ut iterum sumam eam. Nemo tollit eam a me105). Il sacrificio del Calvario fu un olocausto nel fuoco dell’amore. Dopo il Calvario la Vergine Santa languì sempre d’amore e portò le piaghe di Gesù nel cuore (o amor vulneris, o vulnus amoris106) sicché ne morì. La Fenice muore nel fuoco, la Vergine Santa nell’amore. La Fenice raccoglie legni odorosi e poi collo sbattere le ali li incendia. La Vergine Santa raccolta la Croce fu da questa bruciata d’amore. Ella aveva il cuore impresso con l’amore della Passione. «Ella certo non fu che Amore e

98 “… tu le hai superate tutte” (Pr 31,29). 99 “… e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). 100 “… e anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35). 101 Cfr Cantico Membra Jesu Nostri: “Hai trafitto il mio cuore”. 102 “Chi è debole, che anche io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?” (2Cor 11,29). 103 “La vita di Gionata si era legata alla vita di Davide” (1Sam 18,1). 104 “Maltrattato, si lasciò umiliare” (Is 53,7). 105 “Io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie” (Gv 10,17-18). 106 “O passione d’amore, o amore di passione”. 28 nella nostra lingua l’anagramma di Maria non è altro che amare107: sicché l’amare è Maria, e Maria è l’amare». Ma come la Fenice risorge, così la Vergine Santa è incorruttibile. Tu sei polvere fu detto ad Adamo ed Eva; ma al secondo e alla seconda no. La casa di Raab fu risparmiata dal saccheggio per avere albergato le spie ebree108. Tutto il mondo e gli abitanti consunti, ma il corpo della Vergine Santa no, perché aveva ospitato non delle spie per una notte, ma il vero Giosuè, Gesù per molte notti (Beatus venter, qui te portavit109). Abiatar ebbe vita salva da Salomone, perché aveva portata l’arca avanti a Davide110. Maria aveva portato non l’Arca, ma il Figlio eterno di Dio. Perciò fu esente da tutte le regole. Si racconta che le cicogne quando migrano portano con loro i vecchi. Gesù portato nel seno della Vergine portò lei verso il paese della luce. Udì gli Angeli che gli dicevano: Exsurge, Deus meus, in iudicio, quod mandasti 111. Se tu hai comandato di assistere i genitori, ora porta in Cielo Maria. Del resto quale Figlio, se lo potesse, non risusciterebbe la sua madre? La Vergine Santa morì d’amore e l’amore di suo Figlio la risuscitò. Quae est ista112… Chi è costei appoggiata al suo diletto? Mai si vide festa più bella in Cielo. Ella è profumata di ogni dono, sicut virgula fumi ex aromatibus myrrhae et ignis113. La Regina di Saba portò oro, profumi, pietre preziose in quantità tale che mai si vide. Così Maria portò tanto oro di amore, tanti profumi di virtù, tante perle preziose di meriti che mai nessun altro. Noi acquistiamo pochi meriti e poi anche tanti ne perdiamo. Ma la Vergine Santa, già piena di grazie nella sua concezione, andò sempre crescendo. Faraone disse a Giuseppe di dare a Giacobbe la miglior terra d’Egitto114. L’Eterno Padre avrà detto certo a Gesù: è venuta tua Madre; falla entrare nel più alto grado di gloria e nel posto più eminente del tuo Regno. Gesù nel venire al mondo aveva scelta la persona più umile. Ora Ella è esaltata al più alto luogo. Innixa super dilectum suum115. La Regina di Saba offrì tutti i suoi doni a Salomone116: la Vergine Santa consacrò alla gloria del suo figlio tutte le sue perfezioni, virtù, felicità, delle quali Egli era origine, autore, consumatore. La sua felicità fondata nella misericordia di Gesù. La sua purezza dal suo sangue. La sua carità pure. Colonna di fumo profumato che parte dalla Croce di Gesù. Innixa.

Non è dea, è creatura ma che deve essere trovata con cuori particolari perché è così santa, così perfetta, così strettamente imparentata, unita

107 In francese: (Maria) Marie; (amare) aimer. 108 Cfr Gios 2. 109 “Beato il grembo che ti ha portato” (Lc 11,27). 110 Cfr 2 Sam 6,1-6. 111 “Svegliati, mio Dio, emetti un giudizio” (Sal 7,7). 112 “Quae est ista… – Chi è costei…” (Ct 6,9). 113 “Che cos\'è che sale dal deserto come una colonna di fumo, esalando profumo di mirra e d\'incenso e d\'ogni polvere aromatica?” (Cfr Ct 3,6). 114 Cfr Gn 45,18. 115 “… appoggiata al suo amato” (Ct 8,5). 116 Cfr 1Re 10,10. 29 e congiunta a suo Figlio, e tanto amata e cara a Dio, che non si può amar bene il Figlio senza amare in estremo anche la Madre. La Vergine non è creatrice, ma una creatura di suprema eccellenza. Io però soglio dire è più creatura di Dio e di suo Figlio che tutto il rimanente del mondo. «Mentre Iddio ha creato in essa più perfezione che in tutte le altre creature; che ella è più riscattata che tutto il resto degli uomini mentre fu non solamente riscattata dal peccato, ma dal poter peccare, e dalla stessa inclinazione al peccato, e che riscattare la libertà di un’anima, che dovrebbe essere schiava avanti che ella sia, è grazia maggiore che riscattarla dopo che è stata fatta schiava». «Insomma noi chiamiamo bella la Santa Vergine, e più bella di tutte le creature, ma bella come la Luna, che riceve la sua gloria da quella di suo Figlio». Come la spezia Aspalato che non è odorosa se non quando è stata toccata dall’Arcobaleno, Maria ([…]117 etc.) ha il profumo del gran Arco del Cielo, quel gran segno della Riconciliazione tra Dio e gli uomini. Sempre tutta la cristianità per onorare nostro Signore ha tanto onorato sua Madre. Anche noi associamoci e in particolare: invochiamola e ubbidiamole. Due volte nel Vangelo si racconta che la Vergine Santa abbia parlato agli uomini: a Elisabetta118; e allora ha pregato per lei, perché la salute degli uomini non si ottiene che per la preghiera. E alle nozze di Cana: «Fate tutto quello che vi dirà»119. Anche a noi ripete questa parola: ubbidite ai suoi comandamenti, facciamo la volontà di Gesù. Vogliamo che la Vergine ci esaudisca? Ubbidiamola; volete che vi ascolti, ascoltatela. Betsabea andò da Davide per supplicarlo e gli chiese che Salomone regnasse120. La Santa Vergine vi chiede per dimostrare la vostra devozione che teniate suo Figlio per Re dei vostri cuori e delle vostre anime. O santissima Vergine che siete nella gloria e nella gioia abbiate pietà di noi che siamo nella miseria, aiutateci a sopportare i dolori, fate che siamo sempre appoggiati al Diletto, sostenete la nostra speranza, pregate per la Chiesa, per il Papa, i Vescovi ecc...

117 Due parole non comprensibili. 118 Cfr Lc 1,46-55. 119 Cfr Gv 2,5. 120 Cfr 1Re 1,15-21. 30 QUADERNO 11 - Poliantea A (s. d.) – SOMMARIO121

Il peccato - Tre esempi illustrativi 2 San Francesco di Sales: Sentenze scritturali da potersi applicare 4 Sentenze dei Santi Padri 7 La destinazione soprannaturale 10 La leggenda del manto di Cristo 11 De Anima 13 Natalis Domini 14 Pasqua! 25 Sull’Assunzione della Beata Vergine 26

121 Inserito in fase di redazione. 31

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