Quaderno 15 - Santi Esercizi Spirituali

QUADERNO 15

Santi Esercizi Spirituali

Introduzione

Pensare di essere in casa di Simone il Fariseo di Magdala al momento in cui Gesù seduto a mensa, concede alla peccatrice il perdono. Raccoglierò la parola rivolta dal Maestro a Simone ed a me: “Habeo tibi aliquid dicere”1, volendo additare Maria Maddalena quale modello di penitente. Domanderò la grazia di poter dire ora e in tutti i giorni degli Esercizi, come Simone e anche meglio di lui: Magister dic2, per poi fare quello che Egli mi avrà detto. (Marchetti) Oppure penserò di essere chiamato dal mio Angelo Custode con le parole: Ecce, Magister adest et vocat te3. Adorarlo protestando di ascoltarlo: verba vitae aeternae habes4. Oppure mi immaginerò di essere tra gli Apostoli e di ascoltare le parole del Maestro: Venite … in desertum locum et requiescite pusillum5. Lui stesso ne aveva dato l’esempio di amore alla solitudine passando trenta anni nella casetta di Nazaret e al momento di iniziare il ministero pubblico ritirandosi nel deserto. Sedete in civitate, quoadusque induamini virtute ex alto6. Gli Apostoli nel Cenacolo modello di tutti i Ritiri. (-B) Oppure penserò di salire con Gesù il monte della Trasfigurazione. Noi i suoi amici. Vos dixi amicos7; Ipsum audite8; Bonum est nos hic esse9. Non habet amaritudinem conversatio illius, nec taedium convictus illius10 (Sap 8,16). Noi non lo conosciamo: Tanto tempore vobiscum sum et non cognovistis me?11 Venite seorsum … et requiescite pusillum12 (Mc 6,31). Neminem viderunt nisi solum Iesum13. In omnibus Christus14 (Col 3,11). Alter Christus. Bisogna andare in alto: in montem excelsum seorsum15. Sforzo, agire, esercitarsi. Ducam in solitudinem et loquar ad cor eius16 (Os 2,16). Audiam, quid loquatur in me Dominus Deus17 (Sal 84,9).

1 “… ho da dirti qualcosa” (Lc 7,40). 2 “Di’ pure, maestro” (Lc 7,40). 3 “Il Maestro è qui e ti chiama” (Gv 11,28). 4 “Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). 5 “Venite … in un luogo deserto, e riposatevi un po’” (Mc 6,31). 6 “Voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49). 7 “Vi ho chiamato amici” (Gv 15,15). 8 “Ascoltatelo!” (Lc 9,35). 9 “È bello per noi essere qui” (Lc 9,33). 10 “… la sua compagnia non dà amarezza, né dolore il vivere con lei” (Sap 8,16). 11 “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto?” (Gv 14,9). 12 “Venite voi soli … e riposatevi un po’” (Mc 6,31). 13 “non videro nessuno, se non Gesù solo” (Mt 17,8). 14 “Cristo è tutto in tutti” (Col 3,11). 15 “… in disparte, su un alto monte” (Mt 17,1). Oppure: Ez 37,1-12: Facta est super me manus Domini et eduxit me in spiritu Domini; et dimisit me in medio campi, qui erat plenus ossibus; et circumduxit me per ea in gyro: erant autem multa valde super faciem campi, siccaque vehementer. Et dixit ad me: «Filii hominis, putasne vivent ossa ista?». Et dixi: «Domine Deus, tu nosti». Et dixit ad me: «Vaticinare de ossibus istis et dices eis: Ossa arida, audite Verbum Domini. Haec dicit Dominus Deus ossibus his: Ecce ego intromittam in vos spiritum et vivetis... Factus est autem sonitus prophetante me et ecce commotio; et accesserunt ossa ad ossa: unumquodquead ad iuncturam suam… «A quattuor ventis veni, spiritus, et insuffla super interfectos istos et reviviscant». Et prophetavi sicut praeceperat mihi: et ingressus est in ea spiritus et vixerunt: steteruntque super pedes suos, exercitus grandis nimis valde. Et dixit ad me: «Fili hominis, ossa haec universa, domus Israel est. Ipsi dicunt: Aruerunt ossa nostra, et periit spes nostra, et absicssi sumus. Propterea vaticinare et dices ad eos: Haec dicit Dominus Deus: Ecce ego aperiam tumulos vestros et educam vos de sepulcris vestris, popolus meus; et inducam vos in terram Israel»”18.

1° Punto: Che cosa sono gli Esercizi19. Sant’Ignazio: «Per questo nome di Esercizi spirituali s’intende una qualche maniera di esaminare la coscienza, di meditare, di contemplare, di fare

16 “… la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,16). 17 “Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore” (Sal 85 [84], 9). 18 “La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare tutt\'intorno accanto ad esse. Vidi che erano in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte inaridite. Mi disse: «Figlio dell\'uomo, potranno queste ossa rivivere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai». Egli mi replicò: «Profetizza su queste ossa e annunzia loro: Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete» (…). Sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l\'uno all\'altro, ciascuno al suo corrispondente (…). «Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano». Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato. Mi disse: «Figlio dell\'uomo, queste ossa sono tutta la gente d\'Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti. Perciò profetizza e annunzia loro: Dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d\'Israele»”. 19 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Gli Esercizi non consitono nell’ascoltare prediche, recitare preghiere, assistere a funzioni sacre. Non devono essere un acquazzone. Non sono una dottrina, sono un metodo. Una pianta «anastatica sacra» si nutre solo d’acqua, sa orientarsi nel deserto. Così noi. Gli Esercizi Spirituali non sono solo prediche (illuminano solo), non solo confessioni straordinarie (non basta demolire), né giorni di riposo o di noia, ma giorni in cui avviene un incontro personale e dai quali può dipendere tutta la vita. Gesù verrà incontro con un’ansia indicibile per mezzo di prediche, ispirazioni, sacerdote. Gesù vuole che anche noi gli andiamo incontro con silenzio, riflessione, preghiere. Per mano della Madonna. orazione vocale e mentale ed altre azioni spirituali, secondo che poi si dirà; giacché come passeggiare, camminare e correre sono esercizi corporali, così ancora tutte le maniere di preparare e disporre l’anima a togliere da sé tutte le affezioni disordinate, e toltele, cercare e trovare la divina volontà nella disposizione della propria vita per la salute dell’anima si chiamano Esercizi spirituali»20 (1 annotazione). «Esercizi spirituali per vincere se medesimo, e per ordinare la propria vita senza determinarsi per affezione alcuna che ordinata non sia»21. Gli Esercizi sono dunque l’esercizio delle facoltà spirituali dell’uomo, intelletto e volontà, rafforzate dalla fede e dalla grazia, e applicate con ordine sapientemente prestabilito e rigorosamente osservato alle cose che riguardano Dio e l’anima. (M.) Sono una dottrina ispirata dallo Spirito Santo, tratta dalle Sacre Scritture e distesa dietro la pratica della vita spirituale, approvata dalla Sede Apostolica come piena di pietà e santità, disposta nel modo più acconcio in ordine a muovere santamente le anime e utilissima al profitto delle medesime. Gli Esercizi sono operazioni nelle quali si deve occupare lo spirito e che condurranno a vincere se stesso e stabilire la maniera del vivere senza affetti disordinati. Se uno vuole potrà sicuramente vincere se stesso, acquistare la pace del cuore, e ordinare la vita in modo che lo conduca a salvezza. (A.)22

Scopo23 sommamente pratico e fattivo che li distingue, cioè il togliere dall’animo tutte le affezioni disordinate, e fatto questo cercare e trovare la

20 SANT’IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi Spirituali, n.2. 21 SANT’IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi Spirituali, n.21. 22 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Gli Esercizi sono un vero «tesoro» (Blosio). «Un grande mezzo di santificazione, miniera inesauribile e ricca di ogni genere di tesori a cui tutti possono attingere secondo i loro particolari bisogni; l’albero della vita, valevole a conservare sempre vigoroso e vivace il primitivo spirito della propria vocazione» (Pio XI, Enciclica sugli Esercizi, Mens nostra) (B). «Fratello che fai nel mondo tu, che sei più grande del mondo? Fin quando ti fermerai tra gli affumicati ergastoli della città? Credimi: io qui vedo più luce! Qui l\'anima, libera dalle cose terrene, prende il suo volo verso i cieli di Dio» (San Girolamo a Eliodoro dal deserto della Calcide). 23 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: «Allontanare l’uomo dal rumore e dalla dissipazione; sottrarlo per alcuni giorni dall’elemento ove si agita la vita occupata e distratta tanto dai piaceri quanto dalle cure materiali; collocarlo in faccia a Dio e a se stesso; svelargli lo scopo e il fine prossimo della vita presente; fargli scrutare il suo avvenire e il suo cuore; umiliarlo dinnanzi alle sue colpe e farlo risorgere in nome di Gesù Cristo come modello da copiare; indicarglielo come un Re di cui egli è soldato, un Salvatore, un Dio, ch’egli deve servire, amare, possedere; alternare la preghiera, il sacrificio, la silenziosa riflessione, la parola di Dio ed il lavoro personale per giungere all’affrancamento dell’anima, alla vittoria di se stesso, alla trasformazione dell’uomo in cristiano e in apostolo» (Olgiati). Scopo: combattere una religione superficiale che si esaurisce in un formalismo esteriore e non ha le sue radici nelle intimità delle coscienze. Molti edifici religiosi sono costruiti sulla sabbia, solo abitudine, una vernice, qualcosa di appiccicato, di estrinseco: c’è poco di serio, di coerente, di organico. Esercizi: volontà di Dio nella disposizione della propria vita in ordine all’eterna salute dell’anima propria. Quindi non si riducono a passare qualche giorno in santo fervore ma a convertirsi decisamente, a scegliersi un metodo di vita più perfetta o nello stato già scelto o in uno migliore. (O.) Scopo preciso dunque: conoscere la volontà di Dio. L’unica ragione d’essere dell’uomo sulla terra è di fare la volontà del Suo Creatore. Varie manifestazioni della sua volontà: coscienza, Mosè, Vangelo, Chiesa. Ma volontà specialissima sopra di ogni e singola anima. Egli non le crea in blocco, ma una per una: e sopra ciascuna forma disegni di sapienza e di amore per l’attuazione dei quali prepara le grazie necessarie. Una la vuole dedita in modo eminente a questa virtù, l’altra all’altra virtù; l’una la vuole imitatrice di Gesù Cristo in una misura, e l’altra in un’altra; l’una la vuole santa a tal grado e l’altra a tal altro: varietà meravigliosa dei Santi. Quale la volontà di Dio sopra di me? Se non conosco i suoi disegni non li posso attuare e sciuperei le grazie che Dio mi tiene preparate. (M.) Il Regno di Dio nel Vangelo è presentato come una ricerca decisa di un bene prezioso. Volontà che non si ferma davanti ad ostacoli pur penosi pur di acquistare l’oggetto agognato. Ricerca in desiderio cocente, affannoso. Il mercante che cerca la perla, l’uomo che trova il tesoro24. Bisogna cercare; metodo di ricerca: gli Esercizi. Metodo efficacissimo.

2° Punto: Necessità degli Esercizi25. Considerare lo stato dell’anima per conoscere il grande bisogno: specialmente di chi vive in mezzo al mondo, in cui, per le massime false, per gli esempi cattivi, per le occasioni continue è più facile peccare e più difficile ravvedersi coi mezzi ordinari. (A). «Nonne dormis in terrae pulvere, fili? Evigila, surge; et illuminabo te. Veni in solitudinem, et loquar ad cor tuum. Ignem misi in te; at si ligna certo tempore non subieceris, extinguetur. In via quae ad vitam ducit, te constitui; at nisi passim confortatus fueris et stimulatus, non curres, sed lassus gradum sistes, non proficies, sed deficies. O fili! Quam facile obliviscitur animalis homo eorum quae Dei sunt! Quam facile infirma caro a primo fervore recedit! Quam facile emoritur et frigescit spiritus, quam facile corruptae naturae cedit! Quaere igitur tempus aptum vacandi tibi… Certe sanctiores te, fortiores te fuerunt maximi Sanctorum; ipsi tamen sine periodicae recollictionis

lavorare in profondità, liberarsi da un vizio, rompere catena di una abitudine, inziare una vita di grazia conservata senza tradimenti, fuggire da una tiepidezza, progredire nella vita interiore, prepararsi all’apostolato = ospedale delle anime. 24 Cfr Mt 13,44-46. 25 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Un sapiente indiano, Sadhu Sundar Singh, portò in un suo libro un paragone tanto interessante che dovrebbe essere meditato da ogni cristiano. Egli scrive: Un giorno stavo seduto alla riva di un fiume. Presi dall’acqua un bel sasso rotondo e lo spezzai. L’interno ne era asciuttissimo. Questo sasso giaceva da lunghissimo tempo nell’acqua, ma l’acqua non vi era penetrata. La stessa cosa succede agli uomini in Europa. Da secoli li circonda il Cristianesimo, vivono nel Cristianesimo, ma il Cristianesimo non vi è penetrato, non vive in loro. L’errore non sta nel Cristianesimo, ma nel cuore dei cristiani. adminiculo se in prima caritate perseverare posse non crediderunt… Quinimmo, fili, ego ipse, ego Iesus Deus tuus, in deserto per diis quadraginta solitarius volui manere: ut et tu pari modo disceres te santificare»26 (Arvisenet). Ne abbiamo necessità per riparare il male passato, per correggere il presente, per prevenire il futuro. Per il passato: Troverai forse molte e gravi colpe e nessuna penitenza o dubbia assai. Confessioni mal sicure perché fatte senza dolore e senza sincerità, specialmente su certi punti. Comunioni arrischiate, perché fatte con la coscienza in tumulto. Peccati e sacramenti; sacramenti e peccati, omissioni, mormorazioni, scandali, ingiurie ed altre partite che bisogna saldare. Non accada dissimulare quando si cammina sul falso, anzi basta il poterne solo dubitare. Si tratta di sprofondare in un’eternità di guai infiniti. (A.) “Fili, fili, redde tibi rationem tuae villicationis! Recogita, non annos pristinos quos in peccatis consumpsisti…”27. Per il presente: Forse ti credi buono per un po’ di bene che fai. Ma l’instabilità nei buoni propositi ha da far tremare. Le orazioni senza fervore, le divozioni senza merito, i sacramenti senza frutto… a fare i conti giusti poco valgono e forse sono di scapito. Forse vivi spensierato di Dio, dell’anima, dell’eternità come di cose che nulla importino e sei occupato del mondo, quasi che vi abbia a restar sempre. Quali sono i tuoi affetti? Quali le opere? Dissipazione continua, principi falsi, disegni vani, passioni sfrenate, abiti inveterati, peccati senza numero; ecco in poco di che tessi la tua vita! Il demonio ti aggira a suo talento sempre di male in peggio. E se intanto ti coglie la morte? È somma temerità saper di poter morire ad ogni momento e vivere un solo momento in peccato mortale! Che sarà viversi mesi ed anni? (A) “Numquid omnia bene fecisti? Nonne saepius habuisti, nonne adhuc habes, coelestium rerum nauseam? Nonne inveteratum orationis teporem? Nonne dissipatae mentis effusionem? Nonne tibi inest vitiosus consueta opera obeundi modus? Quae tibi tentationum cura et pugna? Quis peccati timor?

26 “Non dormi forse nella polvere della terra, o figlio? Svegliati, alzati; ed io ti illuminerò. Fai silenzio ed io parlerò al tuo cuore. In te ho posto il fuoco; ma se non avrai messo legna per un certo tempo, si spegnerà. Ti ho posto nella via che conduce alla vita; ma se non sarai stato rinforzato e stimolato da tutte le parti, non correrai, ma stanco ti fermerai, non avanzerai, ma verrai meno. O figlio! Quanto facilmente l’uomo vivente si dimentica delle cose che sono di Dio! Quanto facilmente la carne debole si allontana dal primo fervore! Quanto facilmente lo spirito si spegne e si raffredda, quanto facilmente cede alla natura corrotta! Cerca dunque il tempo adatto da dedicare a te… I più grandi tra i Santi certamente furono più santi di te, più forti di te; gli stessi tuttavia senza l’aiuto di un raccoglimento periodico non credettero di poter perseverare nella prima carità… Ché anzi, figlio mio, io stesso, Gesù tuo Dio, volli rimanere da solo nel deserto per quaranta giorni: affinché anche tu imparassi in egual modo a santificarti” (PADRE CLAUDE ARVISENET, Memoriale Vitae Sacerdotalis, Caput LXXXVI, 1). 27 “Figlio, figlio, rendi conto a te della tua amministrazione! Rifletti, non gli anni passati che hai trascorso nel peccato…” (PADRE CLAUDE ARVISENET, Memoriale Vitae Sacerdotalis, Caput LXXXVI, 2). O fili! Forsan ni te vetus homo integre adhuc vivit, et non attendis: forsan multa bona oministi, et non vides. Forsan multa mala fecisti, et non observas; forsan in statu gratiae non es, et non formidas. Forsan graves regulas neglegisti et parum curas. Securus manes et confidis, quia nomen habes, quod vivas. Verum, fili, saepe meliores in aestimatione hominum gravius periclitati sunt propter nimiam suam confidentiam. Redi ad cor, veni in solitudinem, scope spiritum, ut, si odio dignus fueris, amore dignus efficiaris. Dixi tibi, fili: esto perfectus sicut Pater tuus coelestis perfectus est. Numquid anhelas, fili? Numquid conaris? Quid de officio? Quid de ministerio? Quid de humilitate? Quid de patientia? Quid de obedientia? Quid de carnis mortificatione? Quid praesertim de Dei amore? Num Deo et proximo vixisti? Num Dei honori promovendo, saluti proximi procurandae, debito modo fuisti intentus? Num peccata impedivisti? Animas santificasti? Et si iam moriendum tibi esset et coram justo judici apparendum, num posses dicere: Quae debui facere feci? O fili, veni in solitudinem, ut videas quae defuerunt, et quae videris defuisse, suppleas. Veni: et intelligere te faciam, cur post tot missarum celebrationes, quarum unica potuisset te sanctum efficere, adhuc sis adeo tepidus, cur post tot confessiones sis tam parum emendatus, cur post tot gratiarum receptionem sis adhuc adeo pauper. Videbis, erubesces, confunderis, lugebis, revivisces sanctiorisque vitae fundamenta statues. Veni in solitudinem, fili: et ibi non tantum aquam mundam, ut ab ominibus iniquitatibus tuis emunderis, effundam super te: verum etiam gratiarum pretiosissimarum flumen, cuius impetus animam tuam laetificabit. Ibi sublimem aeternarum veritatum cognitionem tibi dabo; ibi meam voluntatem notam tibi faciam; ibi manu victrici tardam tuam naturam ad bonum movebo”28.

28 “Hai forse fatto bene ogni cosa? Non hai avuto più spesso, e forse ancora hai, disgusto delle cose celesti? Forse il tepore inveterato della parola? Forse la sfrenatezza di una mente dissipata? Forse ti appartiene quella maniera viziosa di affrontare le fatiche abituali? Quale cura e lotta hai delle tentazioni ? Quale timore del peccato? O figlio! Forse in te vive ancora integralmente l’uomo vecchio e non vi presti attenzione: forse hai desiderato molte cose buone, ma non le vedi. Forse hai fatto molte cose cattive, ma non le consideri; forse non sei in stato di grazia, ma non temi. Forse hai trascurato regole importanti e poco te ne curi. Tu te ne stai tranquillo e ti senti sicuro, poiché hai il pretesto che tu viva. In verità, figlio mio, spesso i migliori nella considerazione degli uomini sono stati messi più duramente alla prova a causa della troppa fiducia in se stessi. Ritorna al cuore, stai nel silenzio, esamina lo spirito affinché, se sarai stato meritevole di odio, tu sia reso degno d’amore. Io ti dissi, o figlio: sarai perfetto come è perfetto il Padre tuo celeste. A cosa aneli dunque, figlio mio? Che cosa intraprendi? Quale dovere? Quale servizio? Quale umiltà? Quale pazienza? Quale obbedienza? Quale mortificazione della carne? E soprattutto quale amore di Dio? Hai vissuto per Dio e per il prossimo? Sei stato attento in debito modo a promuovere l’onore di Dio, a curare la salvezza del prossimo? Hai impedito i peccati? Hai santificato le anime? E se tu dovessi morire e presentarti davanti al giudice giusto, potrai forse dire: ho fatto le cose che avrei dovuto? O figlio, stai nel silenzio affinché tu veda le cose che sono mancate e supplisca alle cose che ti sembra di aver mancato. Vieni: e ti farò capire perchè, dopo tante celebrazioni di Messe, una sola delle quali potrebbe renderti santo, tu sia ancora tanto tiepido, perché dopo tante confessioni tu sia così poco irreprensibile, perché dopo tante grazie ricevute tu sia ancora tanto misero. Vedrai, ti vergognerai, sarai turbato, piangerai, rinascerai e porrai le fondamenta di una vita più santa. Mettiti in silenzio, figlio: e lì non solo effonderò acqua pura su di te, “Veni in solitutine, ne ulla boni doni particula te praetereat. Fili si tibi dicerem, Veni in solitudinem, et ego terrenas divitias, mundanos honores super te cumulabo, venires utique, et festinanter venires. Si tu coecus, vel surdus, vel mutus, vel claudus, vel alias infirmus esses, diceremque, Veni in solitudinem, et tibi sensum ac membrorum usum restituam, mundaberis a lepra, sanaberis ab omni infirmitate, certe venires, et festinanter venires; nec per paucos, sed per multos, dies piissime recollectus libenter maneres. Tardus corde ad credendum! Nonne dixi tibi, quia in recollectione anima tua infirma sanabitur, immunda mundabitur, caeca illuminabitur, surda auditum, muta loquelam, clauda gressum accipiet? Nonne dixi tibi, quia non sanaberis tantum, sed et santificaberis? Et quid est sanitas corporis, quid omnis mundanus honor, quid sunt omnes orbis divitiae in conspectu sanctitatis, quae aeternam beatitudinem lucratur? Certe arena exigua. Veni ergo et sequere me in deserto”29. Per il futuro: Non occorre essere profeta per sapere il peggio che ti sovrasta, se vai innanzi così. La ragione e l’esperienza lo dicono chiaro. Un torrente quanto più si inoltra, tanto più si ingrossa, e quanto più si ingrossa, tanto più è difficile guadarlo. Una passione sola col tempo basta a portarti in perdizione. E poi ascolta la minaccia di Dio, inorridisci: Sei tiepido? Iddio si prepara a ributtarti da sé. Quanti migliori di te a poco a poco si sono perduti! Sei peccatore? Diventerai peccatore indurato, né ti convertirai in morte. Tu non puoi fare altri conti. Iddio li può fare quando e come vuole. E tu devi tremare e provvedere ora che è tempo alla tua salute. (A.) Quae … retro sunt, obbliviscens, ad ea vero, quae ante sunt extendens me, ad destinatum persequor30 (Fil 3,13-14). Caritatem tuam primam reliquisti. Memor esto itaque unde excideris; et age paenitentiam, et prima opera fac:

affinché tu sia purificato da tutte le tue iniquità: ma anche un fiume di grazie preziosissime, il cui impeto allieterà la tua anima. Lì ti darò conoscenza elevata delle verità eterne; lì ti renderò nota la mia volontà; lì per mano vittoriosa muoverò la tua natura tarda al bene” (PADRE CLAUDE ARVISENET, Memoriale Vitae Sacerdotalis, Caput LXXXVI, 2-4). 29 “Stai in silenzio, affinché non ti sfugga alcuna particella di bene. O figlio, se ti dicessi: stai nel silenzio, ed io accumulerò su di te ricchezze terrene e onori mondani, tu ci staresti sicuramente e immediatamente. Se tu fossi cieco, o sordo, o muto, o zoppo, o infermo per altre ragioni, ed io ti dicessi, stai nel silenzio, ed io ti restituirò l’uso dei sensi e delle membra, sarai mondato dalla lebbra, sarai sanato da ogni infermità, tu ci staresti certamente e immediatamente; e volentieri rimarresti raccolto assai devotamente non per pochi, ma per molti giorni. Tardo di cuore nel credere! Non te l’ho forse detto che nel raccoglimento la tua anima inferma sarà sanata, immonda sarà mondata, cieca sarà illuminata, sorda riceverà l’udito, muta la parola, zoppa il passo? Non ti ho forse detto che non solo sarai risanato ma anche santificato? E che cos’è la salute del corpo, che cosa ogni onore mondano, che cosa sono tutte le ricchezze della terra alla presenza della santità, che guadagna la beatitudine eterna? Sicuramente misera sabbia. Vieni dunque e seguimi nel deserto!” (PADRE CLAUDE ARVISENET, Memoriale Vitae Sacerdotalis, Caput LXXXVI, 5-6). 30 “… dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta” (Fil 3,13-14). sin autem venio tibi, et movebo candelabrum tuum de loco suo, nisi paenitentiam egeris31 (Ap).

3° Punto: Disposizioni per gli Esercizi. Prima: Degno concetto dell’opera a cui ti accingi. Hai per le mani una cosa che non solo appartiene all’anima tua, ma è tutto, è la sola cosa propria dell’anima tua. Si tratta di fissare e disporre il modo del viver tuo in guisa che t’incammini con sicurezza, ti avanzi di giorno in giorno, e arrivi finalmente all’eterna salute. Ti pare che possa darsi per te cosa di maggiore importanza? Pensaci bene e comprendilo. (A.) Anima spalancata perciò e cuore puro. «Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Devi vuotare quello che il vaso conteneva; e lo stesso vaso va lavato»32 (Sant’Agostino). A rispecchiare i raggi del sole non basta avere uno specchio, ma occorre che lo specchio sia terso. Mondezza perciò dal peccato mortale, dal veniale e da ogni affetto disordinato. Il giovane del Vangelo “va, vende quae habes, et da pauperibus … et veni sequere me”33. (M.) Seconda: Solitudine e silenzio. La voce di Dio è voce sottile, sottile, leve, leve. Quando vuole sa parlare tra il rombo dei tuoni e lo scroscio delle folgori, come sulle cime del Sinai, oppure nel fragore del vento impetuoso e il guizzo delle lingue di fuoco come nella Pentecoste. Ma questa non è la sua consuetudine, quando tratta intimamente con le singole anime. Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius34. Se quindi c’è molto silenzio, si percepisce la voce di Dio; se non c’è, impossibile percepirla. A noi adattarci alle esigenze di Dio. D’altra parte, facciamo così anche noi. Non è lecito parlare mentre l’interlocutore parla, perché in tal modo non capirebbe né l’uno, né l’altro. Quando parla uno l’altro deve tacere. Dio segue ancor più questa regola. Se parliamo con gli uomini, Egli tacerà. (M.) Le più grandi rivelazioni di Dio avvennero nella solitudine. L’impedimento ordinario alle manifestazioni di Dio è la dissipazione: per questo, la vita divina è detta anche vita interiore. Del resto Dio è padrone dei suoi doni: li potrebbe legare anche a condizioni che a noi sembrano indifferenti (es. i Sacramenti, Naaman Siro) (X). Terza: Attività, silenzio attivissimo35.

31 “Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, convertiti e compi le opere di prima. Se invece non ti convertirai, verrò da te e toglierò il tuo candelabro dal suo posto” (Ap 2,4-5). 32 SANT’AGOSTINO, Commento alla lettera di San Giovanni, IV,6. 33 “… va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri … e vieni! Seguimi!” (Cfr Mt 19,21). 34 “… la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,16). 35 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Ansia, desiderio intenso di verità. Anelare alla luce. Ad te de luce vigilo e sitivit in te anima mea (Sal 63,2) [All’aurora ti cerco. Di te ha sete l’anima mia]. Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia. Bernarde ad quid venisti? [“Bernardo, cosa sei venuto a fare?”; episodio della vita di San Bernardo molto citato dai predicatori. Cfr JEAN BAPTISTE MASSILLON, Prediche sopra i Non bastano tutte le prediche e tutti i libri, ci vuole la nostra applicazione e il nostro sforzo. Approfondire la materia proposta e applicarla alla propria anima, col metodo di Sant’Ignazio. (M.) Quindi spirito di fede nell’ascoltare la parola del sacerdote. «Non siamo qui per dirci dei complimenti, né per vedere come si potrebbe condurre una predica; ma siamo qui per vedere le cose dell’anima con quel lume con cui le vedremo in punto di morte» (San Giuseppe Cafasso). I Santi non sono stati uomini di molte verità o teorie; poche verità bastano a fare un santo: ma bisogna che siano profondamente sentite per quella luce che non può venire che da Dio solo. (X) Quarta: Generosità. Esclamare col cieco di Gerico: Rabbuni ut videam36 (Mc 10,51), ch’io veda e veda tutto anche le cose spiacevoli e penose. E allora seguirà la generosità di volontà pronta a tutto accettare e tutto fare quello che si sarà conosciuto come volere di Dio: Domine … doce me facere voluntatem tuam37. (M) Dunque generosità di mente e di cuore. Voler vedere, voler fare. Offerisciti a Dio senza riserva affinché Egli faccia di te e delle tue cose conforme alla sua santissima volontà. Abbi un solo desiderio, e sia di conoscere quello che Dio vuole da te; e una sola risoluzione, e sia di fare in tutto e per tutto quello che Dio vuole da te. San Francesco Saverio quando fece per la prima volta gli Esercizi si pose avanti a Dio con le mani e i piedi strettamente legati protestando con tale atto di darglisi come schiavo e di essere tutto ai suoi cenni per eseguirli… Armati di coraggio e risolvi di vincere tutte le difficoltà che potrai incontrare, il demonio farà del tutto per disturbarti e impedirti il bene. Sta’ attento! Ricordati che fai gli Esercizi non già per godere dolcezze di spirito, ma per combattere i tuoi nemici. Noli esse pusillaminis in oratione tua38 (Sir 7,9). (A) Quinta: La preghiera. Costante elevazione della mente a Lui, continuo e fiducioso ricorso. La tua forza è la speranza in Dio. Beato te se speri molto:

principali misteri di Gesù Cristo e della Santissima Vergine e in lode di alcuni santi, Venezia 1790, p. 184) «Il direttore degli esercizi non fa prediche, non detta meditazioni. Ai tempi fissati gli propone brevemente l’argomento da meditare e gli spiega il modo da seguire. Ma chi medita, chi contempla, chi si esercita insomma è l’esercitando, con l’insistere nella riflessione, nella preghiera, nelle diverse industrie suggeritegli per meglio raggiungere quell’intensa commozione che accompagna inevitabilmente la rinascita dell’anima alla grazia e all’amore di Cristo e il raggiungimento di nuovi gradi di perfezione» (Olgiati). L’anima degli Esercizi Spirituali è e deve essere sempre l’attivismo dell’esercitando. Sant’Ignazio fu sempre un maestro di energia ed il suo libro fu sempre una scuola di volontà. Non entusiasmi, ma convinzioni; non incitamenti, ma ragionamenti; non tirate ispirate e liriche, ma concetti profondi da cui si sprigiona una eloquenza singolare che volge tosto all’opera. Vittoria di Cristo su anime simili a fortezze con l’applicazione di un piano. La nostra anima dovrà essere tutta protesa o verso la conversione o verso la conoscenza della volontà divina o verso il proprio rinnovamento ed il perfezionamento verso l’una o l’altra virtù (Olgiati). 36 “Rabbunì, che io veda di nuovo” (Mc 10,51). 37 “Signore … insegnami a fare la tua volontà” (Sal 143 [142], 9-10). 38 “Non essere incostante nella tua preghiera” (Sir 7,10). e tanto più beato quanto speri. La misura della misericordia di Dio con te è la speranza che avrai in Lui. Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quemadmodum speravimus in te39. Preghiera in amore. L’amore distrugge in un momento tutti gli insetti (San Francesco di Sales). Il concordato di Garçia Moreno con la Santa Sede: un foglio di carta bianca già firmato; così dobbiamo fare con Dio. Non abbiate paura del Signore: non vi farà nulla di male (San Francesco di Sales).

Conclusione: Ecce nunc dies salutis40. Invochiamo Maria Santissima. Gli Esercizi sono una scuola; essa è Sedes Sapientiae; sono una clinica: essa è la celeste Infermiera, Salus infirmarum; sono una lotta contro l’Inferno: essa è il terrore dell’inferno, terribilis ut ecc…41; sono un Cenacolo: con Lei e per Lei invochiamo lo Spirito Santo, Veni, Sancte Spiritus, et emitte caelitus lucis tuae radium… Lava… riga… sana… Flecte… fove,…, rege… Da virtutis meritum, da salutis exitum, da perenne gaudium42. (X) Signore scrivete nel mio cuore quello che voi volete. In solitudine aer purior, coelum apertuis, familiarior Deus43. Intrate toti, manete soli, exite alii44 (San Bernardo). Non loquatur mihi Moyses, aut aliquis ex Prophetis, se potius Tu loquere, Domine Dei45. (Imitazione di Cristo) Audiam quid loquatur Dominus Deus in me. Beata anima, quae Dominum in se loquentem audit, et de ore eius verbum consolationis accipit! Beatae aures, quae venas divini susurri suscipiunt et de mundi huius susurrationibus nihil advertunt! Beatae plane aures, quae non vocem foris sonantem, sed interius auscultant Veritatem loquentem et dicentem!. Beati oculi, qui exterioribus clausi, interioribus autem sunt intenti! Beati qui interna penetrant, et ad capienda arcana coelestia, magis ac magis per quotidiana exercitia se student praeparare!46 Loquere Domine, quia audit servus tuus. Servus tuus sum ego, da mihi intellectum, ut sciam testimonia tua. Inclina cor meum in verba oris tui, fluat ut ros eloquium tuum. Dicebant olim filii Israel ad Moysen: Loquere

39 “Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo” (Sal 33 [32], 22). 40 “Ecco ora il giorno della salvezza” (2Cor 6,2). 41 “Terribilis ut castrorum acies ordinata – terribile come un vessillo di guerra” (Cfr Ct 6,4). 42 Cfr SEQUENZA Veni Sancte Spiritus. 43 “Nella solitudine l’aria è più pura, il cielo più aperto, Dio più famigliare” (ORIGENE, Homilia 4, In Exodum). 44 “Entrate con tutto voi stessi, rimanete soli, uscite altri”. 45 Imitazione di Cristo, III. 2: “Non mi parli Mosè o alcun altro profeta: Tu invece parlami, o Signore Iddio”. 46 Imitazione di Cristo, III. 1: “«Darò ascolto a quello che stia per dire dentro di me il Signore» (Sal 84,9). Beata l\'anima che ascolta il Signore che le parla dentro, e accoglie dalla sua bocca la parola di consolazione. Beate le orecchie che colgono la preziosa e discreta voce di Dio, e non tengono alcun conto dei discorsi di questo mondo. Veramente beate le orecchie che danno retta, non alla voce che risuona dal di fuori, ma alla verità, che ammaestra dal di dentro. Beati gli occhi, che, chiusi alle cose esteriori, sono attenti alle interiori. Beati coloro che sanno penetrare ciò che è interiore e si preoccupano di prepararsi sempre più, con sforzo quotidiano, a comprendere le cose arcane del cielo”. nobis tu, et audiemus: non loquatur nobis Dominus, ne forte moriamur. Non sic, Domine, non sic oro, sed magis cum Samuele Propheta humiliter ac desideranter obsecro: Loquere Domine quia audit servus tuus47. Esercizi Spirituali, ora di Dio, Dio e io. Veni in hortum meum, soror mea, sponsa… Vox dilecti mei pulsantis: «Aperi mihi, soror mea, amica mea»48 (Ct 5). Praebe, fili mi, cor tuum mihi49 (Pr 23). Ecce sto ad ostium et pulso. Si quis audierit vocem meam et aperuerit ianuam, introibo ad illum et cenabo cum illo, et ipse mecum50 (Ap 3,20).

47 Imitazione di Cristo, III.2: “«Parla, o Signore, il tuo servo ti ascolta» (1 Sam 3,10). «Io sono il tuo servo; dammi luce per apprezzare quello che tu proclami» (Sal 118,125). Disponi il mio cuore alle parole della tua bocca; il tuo dire discenda come rugiada. Dissero una volta a Mosè i figli di Israele: «Parlaci tu, e potremo ascoltarti; non ci parli il Signore, affinché non avvenga che ne moriamo» (Es 20,19). Non così, la mia preghiera, o Signore. Piuttosto, con il profeta Samuele, in umiltà e pienezza di desiderio, io ti chiedo ardentemente: «Parla, o Signore, il tuo servo ti ascolta» (1 Sam 3,10)”. 48 “Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa… La voce del mio amato che bussa: «Aprimi, sorella mia, mia amica»” (Ct 5,1. 2). 49 “Fa’ bene attenzione a me, figlio mio” (Pr 23,26). 50 “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).

I Meditazione Dio e le sue perfezioni

Introduzione. Mi piace mettere a fondamento degli Esercizi la contemplazione di Dio. Il frutto degli Esercizi è in diretto rapporto dell’idea più o meno grande che un’anima si fa di Dio. Noi parliamo continuamente di Dio, ma cerchiamo nella nostra pochezza di farci un’idea meno imperfetta possibile di Lui? Gli uomini peccano perché non lo conoscono, perché non riflettono alla sua immensità, alla sua grandezza. Perdono il senso della distanza, non hanno più il senso della proporzione. Comunemente si dimentica. Si confonde la mancanza di rispetto con la confidenza e l’amore. Che cosa ci dice la Sacra Scrittura? Il nome di Dio ineffabile (Jahvè51) per fare esaltare la grandezza di Dio. Le magnifiche espressioni: Excelsus Dominus52; Magnus Dominus et laudabilis nimis53; terribilis super terram54; Quis sicut Dominus Deus noster?55; Quonim Dominus excelsus terribilis. Rex magnus super omnem terram56; Rex meus et Deus meus!57; Quis est iste Rex gloriae? Dominus fortis et potens58; Magnus vivens Domine in aeternum59; Quia ego cognovi quod magnus est Dominus60; Adonai Domine magnus es tu et praeclarus in virtute tua et quem superare nemo potest61; Magnus Dominus noster et magna virtus eius et sapientiae eius non est numerus62; Deus autem Rex noster ante saecula63. Et cognescant quia nomen tibi Dominus, tu solus Altissimus super omniam terram64; Domine Deus virtutum, quis similis tibi?65 «Adoriamo Iddio nella cognizione perfetta che Egli ha della sua eccellenza e nel sentimento di beatitudine ineffabile che ne è frutto. Nel Verbo Egli contempla le sue perfezioni infinite, nello Spirito Santo le ama, e questa duplice operazione, compiuta ab aeterno, senza interruzione né

51 YHWH. 52 “Eccelso è il Signore” (Sal 138 [137], 6). 53 “Grande è il Signore e degno di ogni lode” (Sal 145 [144], 3). 54 Cfr Sal 47 [46], 3. 55 “Chi è come il Signore, nostro Dio…?” (Sal 113 [112], 5). 56 “… perché terribile è il Signore, l’Altissimo, grande re su tutta la terra” (Sal 47 [46], 3). 57 “… mio re e mio Dio” (Sal 5,3). 58 “Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e valoroso” (Sal 24 [23], 8). 59 “Benedetto Dio che vive in eterno” (Cfr Tb 13,2). 60 “Sì, riconosco che il Signore è grande” (Sal 135 [134], 5). 61 “Signore, grande sei tu e glorioso, mirabile nella potenza e invincibile” (Gdt 16,13). 62 “Grande è il Signore nostro, grande nella sua potenza; la sua sapienza non si può calcolare” (Sal 147 [146], 5). 63 “Eppure Dio è nostro re dai tempi antichi” (Sal 73 [74], 12). 64 “… sappiamo che il tuo nome è «Signore»: tu solo l’Altissimo su tutta la terra” (Sal 83 [82], 19). 65 “Chi è come te, Signore, Dio degli eserciti?” (Sal 89 [88], 9). successione, costituisce in pari tempo la sua essenza, la sua vita, il suo riposo e la sua felicità. Rallegriamoci in Lui e con Lui perché è infinitamente grande, infinitamente perfetto, infinitamente santo e perché possiede lui solo, la pienezza dell’essere: Ego sum qui sum66. Adoriamo altresì i trasporti dell’anima santa di Gesù, Verbo incarnato, e l’esultanza provata da lei quando contemplò per la prima volta l’essere di Dio svelato e vide spiegarlesi davanti il quadro immenso delle sue perfezioni adorabili. Uniamoci agli atti religiosi di adorazione, di ammirazione, di lode e di amore ch’ella rese a Dio e renderà per tutta l’eternità. Infine onoriamo l’espressione dei medesimi sentimenti e atti religiosi negli angeli e nei santi. Sciolti dalle immagini che sottraggono ai nostri sguardi l’essenza divina, e ammessi a contemplarla immediatamente e senza velo, trovano la loro felicità immergendosi e inabissandosi in quell’oceano di bellezza, di grandezza, di maestà. A questo spettacolo di cui godono e godranno eternamente senza stanchezza e senza noia, il loro cuore si effonde in benedizioni e azioni di grazia. Clamabant alter ad alterum: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus onnipotens67. Regnavit Dominus, Deus noster omnipotens. Gaudeamus et exsultemus et demus gloriam ei68. In questa vita, mio Dio, non vi posso conoscere che come in una notte oscura: videmus nunc per speculum in aenigmate69 (1Cor 13,12). E ciò nonostante anche nelle infermità dello stato presente, con quale splendore il vostro volto divino si manifesta alla mia ragione e alla mia fede e come le perfezioni che io scopro in Voi me lo elevano sopra tutto quello che la creatura mi presenta di grandezza e di eccellenza! Posso dunque, o Signore, esaltare la vostra bellezza: Exaltabo te, Deus meus rex, et benedicam nomini tuo in saeculum et in saeculum saeculi70. (144) (Branchereau)

I° Punto. Dio è grande. Possiamo conoscerlo. Con la nostra ragione e con la nostra fede. Conoscerlo è vita. Tanto più lo si conosce, tanto più saremo ricchi. Il conoscere Lui val più di tutte le scienze umane. Certo risuonano alle orecchie le parole del Santo Giobbe: Che vuoi tu fare? Dio è più alto dei cieli; più profondo degli abissi: come lo potrai tu conoscere?71 (Gb 11,8). Il fulgore della sua maestà ci

66 “Io sono Colui che sono!” (Es 3,14). 67 “Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!” (Cfr Is 6,3). 68 “Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria” (Ap 19,6-7). 69 “Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio” (1Cor 13,12). 70 “O Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre” (Sal 145 [144], 1). 71 Cfr Gb 11,7-8:“Credi tu di poter scrutare l’intimo di Dio o penetrare la perfezione dell’Onnipotente? È più alta del cielo: che cosa puoi fare? È più profonda del regno dei morti: che cosa ne sai?”. abbaglierà, ma ci farà capire quanto sia stolto andar contro alla sua grandezza. Alla nostra debolezza più che gli inni audaci si addice l’adorazione in silenzio. Il silenzio è la vera lode di Dio. Silentium tibi laus72. Non si può definire l’essere divino, sfugge ogni definizione, perché non vi è intelligenza che lo comprenda e se potessimo vedere l’essenza divina, il nostro intelletto non potrebbe per se stesso esprimere l’oggetto della nostra visione perché è impossibile che un’intelligenza creata rappresenti tutta la perfezione divina (San Tommaso). Quali sono le vie per arrivare a Lui prima di contemplarlo nella visone beatifica? Sono le stesse vie che ci portano all’affermazione di una causa prima. Tutto ciò che esiste negli effetti deve essere in un modo più eccellente nella causa massimamente allorché questa causa è prima, universale è totale. Affermiamo di Dio in grado sommo tutto l’essere che esiste nelle creature; neghiamo a Dio ogni imperfezione e qualunque limite del suo essere. Dio è l ’essere . Le creature esistono però nessuna possiede in se stessa la ragione della sua esistenza. Esistono, ma un giorno non esisteranno: esistono, ma se la sorgente avesse racchiusa in se stessa l’onda dell’essere, non esisterebbero. Esistono ma esse hanno ricevuto tutto ciò che hanno di essere e in questo punto cesserebbero di essere se cessassero di ricevere. Al contrario la sorgente non riceve nulla; la sorgente non può non essere perché senza di essa non esiterebbe nulla; la sorgente non ha sorgente, il principio non ha principio, il primo autore non ha autore, la sorgente è sorgente a se stessa, il principio è principio a se stesso, il primo autore è autore di se stesso. “Io sono colui che sono”73. L’essere al di sopra di ogni essere (Το όν υπέρ το ειναι) e le creature per quanto grandi sono infinitamente al di sotto. Dio è l’immenso oceano dell’essere (πέλαγος τής ουσίας, Gregorio Nazianzeno) e la creatura è appena il lieve vapore di una nube uscita dal suo seno senza punto scemarne la pienezza. Esse verum, esse sincerum, esse germanum74 (Sant’Agostino). Dio è colui che è: la creatura ciò che non è. Dio è infinito e perfetto. Essere per essenza, essere senza restrizioni e senza limiti, racchiude perciò medesimo in sé ogni perfezione. Dio è perfetto, possiede cioè eminentemente e sommamente la bontà, la bellezza, la beatitudine. È un oceano immenso di grandezza, di potenza, di maestà, di sapienza. Hanno tutta la loro perfezione gli astri superbi che danzano nella distesa del firmamento e me lo mostrano nella loro luce sfavillante e nell’armonia infallibile dei loro movimenti. Ha la sua perfezione la terra che mi sostiene e me la dispiega sotto gli occhi nell’immensa varietà del suo ammanto e nella prodigiosa fecondità del suo seno. L’ha l’oceano vasto e profondo. L’ha il fiore. Ma tutti questi beni mancano del loro compimento negli esseri che li posseggono, mancano

72 “Te decet hymnus, Deus, in Sion – Per te il silenzio è lode, o Dio, in Sion”. (Cfr Sal 65 [64], 2). 73 Es 3,14. 74 “Il vero essere, il genuino essere, il puro essere” (Cfr SANT’AGOSTINO, Discorso VII, 7). cioè della felicità. Perché sono destinati all’uomo che deve farli suoi col conoscerli e arricchirne la vita. Questo è il grande potere dell’anima che coglie il mondo, lo trasforma lo rende partecipe della sua dignità e con sé lo trasporta nella sfera senza sponde delle eterne cose. Oh! quanto essa è bella allorché inondata dagli splendori della scienza e delle virtù aspira alla quiete suprema di tutte le sue facoltà. Se a noi fosse data vederla - dice Platone - noi ne saremmo talmente rapiti che i più magnifici spettacoli della natura non avrebbero forza di strapparci alla contemplazione di noi stessi. (Monsabrè). La fede mi scopre nell’innumerevole moltitudine degli angeli, degli spiriti di ordine superiore, un mondo nuovo mille volte più perfetto di quello in cui viviamo. Iddio possiede tutto questo e infinitamente di più. Infatti tutte queste creature così belle e perfette sono appena ruscelli sgorganti da quella sorgente inesauribile di ogni perfezione. Ma se, o mio Dio, non essendo che un’ombra di quanto siete voi, esse mi si presentano ricche di doni così preziosi, che siete voi, dunque, e che sono le ricchezze della vostra natura divina: Si tantae sunt illae, quantus iste? E se, comunque imperfette, mi allietano e mi esaltano, quale non sarà la gioia di contemplarvi, voi, perfezione somma, bellezza immacolata, lume senza nube, pienezza d’ogni bene? Per tutta l’eternità gli angeli e i santi contempleranno codesto spettacolo estasiante dell’infinità divina; e lungi dal recar loro conla sua continuità noia o fastidio, sarà per essi una fonte perenne di rapimento e di felicità, poiché continueranno a scoprire nelle perfezioni dell’Essere sommo nuovi aspetti e orizzonti, abissi ignoti di verità, di sapienza, di amabilità, tesori inesplorati di misericordia e di santità. La rivelazione sempre nuova degli attributi divini non si esaurirà mai e Dio sarà eternamente per essi la bellezza sempre antica e sempre nuova: Pulchritudo tam antiqua et tam nova75 (Sant’Agostino). Conclusione dunque: Magnus Dominus et laudabilis nimis!76 Nosse te consummata justitia est77(sap 15). Fate adunque, o Signore, che io vi conosca sempre meglio, affinché meglio conoscendovi vi ami di più: Noverim te, Domine, ut amem te78. Divertite il mio sguardo dagli oggetti vani sui quali si riposa troppo spesso e fissatelo unicamente in voi: Averte ocuolos meos, ne videant vanitatem79. Ma sopratutto penetratemi per la vostra essenza adorabile di quella riverenza religiosa che è il dovere primo e più fondamentale della creatura ragionevole. Confige timore tuo carnes meas80. Fate dunque o Signore che io vi rispetti. Vi rispetti nei miei pensieri rimanendo davanti a voi compreso del sentimento della vostra eccellenza! Vi rispetti nelle mie parole, pronunziando sempre il vostro santo nome con pia riverenza, impiegando la mia lingua e le mie labbra nel lodarvi, esaltarvi e benedirvi. Vi rispetti negli atti miei e in tutte le mie mosse ricordandomi

75 “Bellezza così antica e così nuova” (SANT’AGOSTINO, Confessioni, X. 27. 38). 76 “Grande è il Signore e degno di ogni lode” (Sal 48 [47], 2). 77 “Conoscerti, infatti, è giustizia perfetta” (Sap 15,3). 78 Sant’Agostino; citato in: ADOLFO TANQUEREY, Compendio di Ascetica e Mistica, I. V. 408. 79 “Distogli i miei occhi dal guardare cose vane” (Sal 119 [118], 37). 80 “Per paura di te la mia pelle rabbrividisce” (Sal 119 [118], 120). di essere sempre sotto il vostro sguardo divino e studiandomi di non far nulla indegno di Voi: Ambuletis digne Deo81 (Col 1). Regi saeculorum immortali, invisibili, soli Deo honor et gloria82 (Branchereau).

II° Punto. Io sono di Dio Opus manuum tuarum83. Di quel Dio così grande (che noi abbiamo contemplato) siamo opera. A un dato momento, nel tempo Dio esce da se stesso e crea. Crea per amore. “Non per avere a sé di bene acquisito ch’esser non può: ma perché suo splendore potesse, risplendendo, dir: Subsisto, s’aperse mi nuovi amor l’Eterno Amore”84. Noi veniamo da Dio. Ci ha fatto dal nulla con la sua potenza infinita. Opera della sua intelligenza, opera del suo amore. Come noi così tutte le creature sono in ipso. Il cielo. Quoniam videbo coelos tuos opera digitorum tuorum, lunam et stellas quae tu fundasti85. Questa terra coi regni della natura. Il mio corpo e i suoi organi. L’anima che pensa ed agisce, che conosce non solamente le cose che cadono sotto i sensi ma anche le cose astratte, la bellezza, la sapienza, la giustizia, anzi anche l’infinito perché sa conoscere Dio. (M.) Anima dotata di volontà e di libertà e dotata di quella fiamma misteriosa che si chiama l’amore. Anima che non contenta delle cose create e limitate sente il bisogno d’amare l’infinito. Domini sumus86! Lui ci ha dato quelle particolari doti di anima e di corpo. Lui ci ha fatto nascere in un determinato ambiente, a contatto di determinate persone. Lui alla nascita gli assegna un determinato numero di giorni, di minuti di vita. Costituisti terminos eius qui praeteriri non poterunt87. Lui sorveglia attentissimamente la sua vita e tutto il suo svolgersi. Vede tutto, azioni buone e cattive, nota anche i pensieri più reconditi, ascolta tutte le parole. Qui plantavit aures non audiet?88 «È la filosofia perenne. Filosofia dell’essere che ci dimostra che ogni e qualsiasi essere dipende dall’Essere degli esseri. Ogni cosa che esiste, ogni persona, ogni realtà di qualsiasi ordine dal granello di sabbia alle acque dell’oceano, dal filo d’erba alle stelle, dalla Cordigliera delle Ande ad un nostro atto di volontà, dipendono da Lui nel loro essere e nella loro attività. E non solo Dio è presente in ogni luogo, in ogni cosa, in ogni cuore, perché è il creatore di tutto, ma anche perché tutto conserva. Se il dito della sua onnipotenza non toccasse il tasto di quel mirabile piano che è la realtà, cesserebbe subito il suono armonioso di essa. L’azione creatrice,

81 “Perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore” (Col 1,10). 82 “Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria” (1Tm 1,17). 83 “L’opera delle tue mani” (Gb 14,15). 84 DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Paradiso, canto XXIX. 85 “Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato” (Sal 8,4). 86 “… siamo del Signore” (Rm 14,8). 87 “Hai fissato un termine che non può oltrepassare” (Cfr Gb 14,5). 88 “Chi ha formato l’orecchio forse non sente?” (Sal 94 [93], 9). conservatrice e governatrice di Dio penetra tutta la natura degli esseri, cosicché non v’è parte o momento, o perfezione d’un essere, in cui non sia presente Dio, né è possibile un’azione libera o necessitata senza l’influsso di Dio che si esercita secondo la natura di colui che agisce. Dio perciò, insegna la filosofia cristiana, è in ogni e qualsiasi realtà • mediante la sua potenza (per potentiam), in quanto tutto domina regge e governa, ed ogni forza è a Lui sottomessa; • mediante la sua presenza (per praesentiam) in quanto tutto si svolge al suo cospetto e tutto Egli vede, dal minimo avvenimento alla pieghe più riposte e per noi insondabili delle coscienze; • mediante la sua essenza (per essentiam), in quanto, per l’azione immediata con cui crea e sostiene l’essere ed esercita il suo influsso, la sua essenza è in ogni momento del reale» (Olgiati)89. Io non mi sono dato l’esistenza da me. Operatio sequitur esse: prima bisogna esistere e poi si opera. Forze fisiche e meccaniche? no. Un effetto spirituale non può avere causa materiale e per il corpo - causa cieca - il corpo è mirabile nel suo insieme e nelle sue parti, poi la fissità della meraviglia in tutti i corpi umani. I genitori allora? Se lo fossero, sarebbe per la virtù plastica e germinativa che è causa fisica. Rimarrebbe sempre a spiegare l’anima spirituale perché i genitori non possono aver dato un passato della anima indivisibile. E per il corpo? Un quadro è di un celebre pennello. Linguaggio metaforico. Sono strumenti. Non sanno neppure che cosa è la vita e come fare quello che non si sa che cosa è? Come strumenti, ma non come primi operatori. Per di più intanto operano in quanto sono sotto l’azione del principale agente. Cessata questa azione, non possono più far niente, come il pennello deposto. Dopo l’azione generativa non potrebbero certo trasfondere un’altra volta la vita nel figlio morto, perché il primo operatore non si serve più di loro. Dobbiamo dunque arrivare alle conclusioni della fede: Dio. E la creazione non è solo un fatto statico avvenuto nel momento in cui noi entrammo nella vita, ma un fatto perdurante. Conservazione = continua creazione. Fiat lux, et lux facta est90. Ma se dopo Dio avesse fatto silenzio,sarebbe il nulla, deve continuamente ripetere la parola. Così per l’uomo. Poi ordine soprannaturale. Ancor più tutto da Dio. Mio Dio vi voglio chiamare col dolce nome di Padre: due volte Padre, e perché mi hai creato, dandomi esistenza e vita, e perché mi hai fatto tuo figlio di adozione, dandomi la grazia santificante. Umilmente ma insistentemente ti chiedo di capire che non son mio, ma sono tuo e a Te unicamente deve esse indirizzata quella vita che tu solo mi hai dato.

III° Conseguenze: a) Grande idea di Dio: Noverim te, Domine.

89 Don Francesco Olgiati, collabortatore alla Rivista di filosofia neoscolastica. 90 “«Sia la luce!». E la luce fu” (Gen 1,3). Sete ardente di conoscerlo sempre di più. Siamo tanto abituati a pronunciarlo quel nome, ma ci pensiamo un po’ a che cosa racchiude? Solo Dio è grande! È grande per la sua onnipotenza per cui muove i cieli, per la sua sapienza a cui nulla sfugge, per la sua immensità per cui è dappertutto e tutte le cose sono in lui, per la sua giustizia tanto terribile e per i castighi, tanto amabile per le ricompense. Dio è grande indipendentemente dai nostri omaggi, è grande sotto ogni aspetto e senza alcuna diminuzione, non perderà mai nulla della sua grandezza91. Dio è grande particolarmente per la sua bontà, bontà universale che tutto abbraccia senza esaurirsi, che ricompensa il servo fedele ed ama perfino i sudditi ribelli, bontà gratuita che impartisce le sue grazie ai cristiani fervorosi, come agli indifferenti e ai peccatori induriti, bontà magnifica nell’ordine della natura e della grazia, bontà paterna che ci ama con tenerezza malgrado le nostre miserie, che ci punisce a malincuore nonostante la nostra ingratitudine, bontà dolce e paziente e che ci aspetta e che non si stanca. (Th) Grande così, sentiamolo dunque così: infinito e tutto nostro, onnipotente e misericordioso. Larga parte dunque nella nostra preghiera sia per la contemplazione delle sue infinite perfezioni. Se le sentiremo, capiremo come siamo grandi ancor noi fatti a immagine e somiglianza sua. Capiremo che cosa vuol dire: Dio si è fatto uomo; Dio è nascosto in una piccola ostia; Dio ha dato il suo sangue per me. Adorare, avere lo spirito di adorazione. Venite adoremus. La Chiesa ripete spesso, è un atteggiamento fondamentale. Venite adoremus et procidamus et genua flectamus ante Deum92. Durante la vita sentirsi attori di adorazione. Lo spirito del mondo è invece spirito di stolta autonomia e di ributtante superbia. Si arriva fino all’orrendo oltraggio di Dio per una cosa all’incontrario (bestemmia). Restare sempre in umiltà davanti a Dio e alle sue adorabili disposizioni. Adorazione che sia elevazione d’amore. Ad te, Domine, levavi animam meam93. Confitemini Domino quoniam bonus!94 b) Sentirci creature. Senso della proporzione. Noi siamo proprietà di Dio (De Maistre). Dio è padrone assoluto, noi siamo servi. Dobbiamo servire a Lui sempre, dovunque, senza restrizioni di sorta perché gli apparteniamo. Siamo suoi non di noi. Mettersi profondamente questo pensiero nella nostra anima. Efficacia per vincere il peccato. Questo atteggiamento di umiltà ci farà essere sereni qualunque sia il trattamento che ci usa. Lui ha voluto. Lui ha fatto. Sia benedetto. Dominus dedit, Dominus abstulit… sit Nomen Domini benedictum!95

91 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Dio è Signore. I suoi assoluti e inalienabili diritti. 92 “Entrate: prostàti, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore” (Sal 95 [94], 6). 93 “A te, Signore , innalzo l’anima mia” (Sal 25 [24], 1). 94 “Rendete grazie al Signore perché è buono” (Sal 118 [117], 1). 95 “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore” (Gb 1,21). Servite Domino in timore et esultate ei cum tremore96. O Domine quia ego servus tuus97. Umiltà che si trasforma in fortezza. Umiltà che è gioia perché noi gli apparteniamo e Lui ci tiene in amore. Gioia perché ci ha fatto a sua immagine e somiglianza. «Davanti a queste parole ammirabili innalza te stesso al di sopra dei cieli, più in alto dei cieli dei cieli, o anima ragionevole, poiché Iddio non si è proposto alcun modello all’infuori di Lui. Non ai cieli, non agli astri, non al sole e neppure agli angeli, né agli arcangeli, né ai serafini ha voluto renderti simile. Dio con tali parole esprime tutta la bellezza della natura ragionevole e insieme tutte le ricchezze di cui per sua bontà l’ha rivestita. Cristiani innalziamoci fino al nostro modello e non aspiriamo ad altro che a imitare Dio. Siate perfetti ecc…98. Ci chiederà un giorno: Di chi è questa immagine e questa iscrizione? E risponderemo: di Dio. A Dio ciò che è di Dio99. Se un’immagine fosse intelligente non cesserebbe di avvicinarsi il più possibile al suo originale, lineamento per lineamento… Studio e fatica nostra deve essere di renderci a Lui sempre più somiglianti, di fare ogni cosa per Lui, di riportare a Lui tutto quello che siamo» (Bossuet). c) Sentire la creazione opera di Dio. Ogni creatura lo manifesta. In ogni creatura c’è un raggio di Lui, del suoVerbo: omnia per ipsum facta sunt100, «sapiunt» di Lui. Vultum tuum, Domine, requiram!101 Sentirsi in una casa che ci ha preparata Lui e per amore. «Le creature devono essere come specchi in cui si riflettono le perfezioni di Dio: la sua bellezza, la potenza, la bontà. L’uomo è come il sacerdote della creazione: deve prestare alle creature irragionevoli la sua mente, il suo cuore, la sua voce affinché anch’esse lodino ed esaltino la grandezza del Signore. Le anime sante sanno innalzarsi sempre. Le creature sono per esse come altrettanti gradini per sollevarsi a Dio. E per noi la natura è eloquente o muta? È per noi, come era per SantaTeresa del Bambino Gesù “il libro d’immagini di Papà, il Buon Dio”? ([…]102). Benedicite, omnia opera Domini, Domino, laudate et superexaltate eum in secula103. Perché la Chiesa ce lo fa recitare dopo ogni Messa? «I tre grandi libri che rivelano le verità agli uomini sono: la Natura; la Sacra Scrittura, la Chiesa. Fermiamoci a mirare la bellezza, la sapienza e l’amore di cui ci parla la natura, la quale è luce, luce di Dio.

96 “Servite il Signore con timore e rallegratevi con tremore” (Sal 2,11). 97 “Ti prego, Signore, perché sono tuo servo” (Sal 116 [114-115], 16). 98 Cfr Mt 5,48 99 Cfr Lc 20,22-25. 100 “… tutto è stato fatto per mezzo di lui” (Gv 1,3). 101 “Il tuo volto, Signore, io cerco” (Sal 27 [26], 8). 102 Riferimento non comprensibile. 103 “Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli” (Dan 3,57). Meraviglia del nostro corpo: formato di miliardi di cellule, ciascuna delle quali è piccolo mondo vivente, autonomo che unendosi alle altre, forma i vari tessuti, poi gli organi del corpo, adattando la propria individua finalità a quella unica di tutto il composto. Il tessuto liquido del sangue che arriva a tutte le cellule le nutre di continuo: ciascuna elegge ed assimila quegli elementi che le abbisogna e lascia gli altri, affida e scarica i prodotti di rifiuto. Globuli rossi assorbono ossigeno, emoglobina ricca di ferro, piante che assorbono il ferro è per noi. Corpo che continuamente si trasforma. La morte diventa seminario della vita; quanto più un terreno è ricco di elementi in putrefazione tanto più è rigogliosa la vita vegetale. Nonostante tutte le modificazioni sentiamo di essere sempre gli stessi: anima immutabile. Materia e spirito armonizzati insieme. Il pensiero pesa i mondi, scruta le leggi della natura e si serve di organi materiali. Nella vita intellettiva dell’uomo la materia si sublima ed arriva al grande scopo della creazione: conoscere e lodare Dio, Autore della Natura. La nostra parola vestita di forma materiale contiene un’idea spirituale. L’anima parla col pensiero spirituale. Se unisco alla materia questo pensiero spirituale e di queste due cose, che hanno proprietà tanto e irreconciliabili, ne faccio un composto meraviglioso, ho la parola, una delle più alte meraviglie dell’universo. Un rapido sguardo ai cieli materiali. Terra attorno al Sole km 29,5 al secondo e compie l’orbita in 365 giorni. Rotazione su se stessa in 24 ore. Gli altri pianeti attorno al Sole: Marte in 687 giorni, Venere in 224 e mezzo, Mercurio in 88, Giove in 11 anni e 315 giorni, Saturno in 29 anni e 181 giorni, Urano in 84 anni e 90 giorni, Nettuno in 164 anni e 226 giorni. Luna attorno alla Terra in 27 giorni 7 ore 47’, 11.5’’. Numeri precisi e costanti (si preannunciano le eclissi). Nello stesso tempo il sole corre verso il centro della Via Lattea a 300 km al secondo trascinando con sè tutto il corteo dei pianeti. Nello stesso tempo la Via Lattea, questo immane sistema stellare, si sposta a velocità vertiginose verso la costellazione del Capricorno. Ecco il grande segno sensibile dell’onnipotenza di Dio: tanta armonia calcolata con la massima precisione negli innumerevoli movimenti del cielo stellare ci rivela una Intelligenza che dirige, una Bontà che governa, un Dio che l’immenso spazio non può contenere. Così meraviglie nell’atmosfera perché si conservi quella data composizione della miscela che permette la vita. Vegetali e animali, carbonio, ossigeno. Acqua, abbondanza, volume gelando, maggiori calorie per sgelarsi. Composizione dell’acqua nel mare. Fauna e flora marina. La Luce, prima delle creature di Dio, creatura più universale nel cosmo e indipendente dal sole, è costituita da vibrazioni di inconcepibile frequenza da 45 trilioni al secondo per il rosso a 75 per il violetto. Velocità 300.000 al secondo. In un secondo fa sette volte il giro della terra; 18 milioni di km in un minuto primo, un miliardo e 80 milioni di km ogni ora, 25 miliardi e 920 milioni in un giorno; 9 trilioni e 467 miliardi in un anno. Per arrivare dal Sole (150 milioni) 8’ 15’’. Dalle stelle più vicine: dall’alfa del Centauro 4,31 anni (41.100 miliardi); dalla 61° del Cigno anni 8,81 (83.300 miliardi); dalla stella polare anni 46,55 (440.500 miliardi). E si va a migliaia di anni luce senza raggiungere i confini dell’universo. L’astronomia è una delle migliori maestre dello spirito. I cieli cantano la gloria di Dio104. Dall’atomo alle stelle, dal filo d’erba al cedro del Libano, dal fiore all’insetto, dalla mosca all’elefante, dall’atmosfera all’acqua, dalla luce alla vita, tutto ci parla di Dio e scioglie il grande inno della natura alla gloria del Creatore. La natura è come una materna veglia d’amore di Dio sopra le creature» (Mons. Socche). d) Presenza di Dio. Cammina alla mia presenza e sarai perfetto105. L’empio non riflette che l’occhio di Dio vede tutte le cose e non sa che lo sguardo del Signore è assai più luminoso del sole e giunge fin nel profondo del cuore umano (Ecclesiasticus106). Dio vede tutto, non come uno spettatore che guarda dall’alto, ma nella loro causa, conoscendo perfettamente se stesso conosce perfettamente la sua potenza e tutto ciò che da questa dipende. Vede i movimenti più grandiosi della materia e le sue più imperscrutabili vibrazioni, gli stupendi svolgimenti della vita e i suoi primi fremiti nell’atomo di essa si impadronisce per trascinarlo nella sua corrente. Le nostre posizioni pubbliche e quelle che nascondiamo nelle profondità dell’anima. Vede il male,il passato, presente, il futuro ancora. Conosce ciò che non esisterà mai e che potrebbe esistere se volesse107. A questo pensiero si adora, si è smarriti, si spera. Adoriamo l’oceano di luce, l’ampiezza e la profondità che superano ogni immaginativa, ogni concetto, ogni parola. Siamo smarriti dinanzi al raggio abbagliante che penetra fino in fondo alla mia miseria. Speriamo in colui che a lato del male di cui ci pentiamo, vede il bene che facciamo e che vorremmo fare. O scienza di Dio che spaventosa minaccia per i peccatori. Un perfido sonno sulla loro coscienza, credono sepolti nella tomba dell’oblio i loro delitti passati, sono imbaldaziti per l’impunità; dicono: Va bene tutto. Ma lassù si veglia. Un giorno voi, o Dio terribile, vi manifesterete a questi miserabili e direte loro: Sono io; ho veduto tutto, so tutto: il male che avete dimenticato, il male che avete nascosto, il male che avete sperato: eccolo. Invece quanta gioia per il

104 Cfr Sal 19 [18], 1. 105 Cfr Gen17,1: “Cammina davanti a me e sii integro”. 106 Cfr Sir 23,19. 107 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Dio è come affacciato alla corte della sua eternità. Da questa partono tre vie: presente, passato, futuro. Egli vede tutte le cose che sono per queste tre vie colla vista lunghissima della sua immensità. Gli uomini hanno inventato raggi che vedono fino all’interno del corpo, ma non nell’anima. Dio invece vede. Iddio è come il vento che passa: si sente dovunque e non si vede in nessun luogo (Normand). La presenza di Dio è ritegno dal peccato e stimolo alla virtù. Un ragazzo che teneva dei cattivi pensieri: se tu avessi la testa di vetro e tutti potessero vedere i tuoi pensieri… Dio vede. giusto. Voi sapete, o Signore, anche se gli altri non sanno, anche se interpretano male» (Da Monsabrè). Quaerite Dominum et confirmamini; quaerite faciem eius semper108. È come essere beati fin da quaggiù. Un esercizio dei principali nell’Antico Testamento e nel Nuovo Testamento. Providebam Dominum in conspectu meo semper109. In ogni azione e in ogni pensiero ricordiamoci che Dio è presente e computiamo come tempo perduto quello in cui non abbiamo pensato a Lui. (San Bernardo). Ogni santo con il suo metodo. I Padri del deserto (brevi aspirazioni, per santificare il lavoro e per vincere le tentazioni). Sant’Agostino: Quando io Signore considero attentamente che mi state guardando sempre e vegliando su di me notte e giorno, con tanta cura, come se in cielo e in terra voi non aveste altra creatura da governare che me solo: quando considero bene che tutte le mie operazioni, pensieri e desideri, sono potenti e chiari dinnanzi a Voi, mi riempio tutto di timore e mi copro di vergogna...Dio è da temersi in pubblico e in segreto. Tu cammini ed Egli ti vede. Entri in casa e ti vede ancora. Splende una lampada e ti vede. La lampada si spegne e ti vede. Penetri e ti intrattieni col tuo cuore e ti vede. Temi Colui, la cui premura è di vedere te, e temendolo sii casto. Si peccare vis quaere ubi Deus te non videat et fac quod vis110. Dunque grande efficacia per non peccare. Se la presenza di un uomo grave ci fa stare composti, che farà la presenza di Dio? Memoria Dei excludit cuncta flagitia111. Certe quando peccamus, si cogitaremus Deum videre et esse praesentem, numquam quod ei displicet, faceremus112. Un proposito dunque: quando stiamo per peccare dire: Dio mi vede. I cattivi: Non proposuerunt Deum ante conspectum suum113(Sal 53). Et dixisti: non est qui videat me114 (Is 47). Non videbit novissima nostra115 (Ger 12). Non est Deus in conspectu eius116. Declinaverunt oculos suos, ut non viderent caelum117 (Dan 13). Certi barbari adoravano il sole, i loro delitti li commettevano di notte, il sole non ci vede. Coraggio non c’è nessuno: due soldati che vicino alla tenda parlavano male del capo: Andate un po’ più lontano che non vi senta. Impiegato che si da alla bella vita. Agente che lo fotografano. Se avesse saputo. Un bambino che con una lente vede attraverso i muri. Ha scoperto tesori, ma anche tanti delitti. Dio non ha bisogno.

108 “Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto” (Sal 105 [104], 4). 109 “Io pongo sempre davanti a me il Signore” (Sal 16 [15], 8). 110 Sant’Agostino, citato in: SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI, Selva di materie predicabili, parte III, cap.VII – Delle figure di sentenze. 111 “Pensare a Dio preserva da tutti quanti i peccati” (SAN GIROLAMO, Commento ad Ezechiele, IV). 112 “Certamente se quando pecchiamo pensassimo che Dio è presente, non faremmo mai qualcosa che gli dispiace” (SAN GIROLAMO, Commento ad Ezechiele, III, 35). 113 “… non pongono Dio davanti ai loro occhi” (Sal 54 [53], 5). 114 “…dicevi: Nessuno mi vede” (Is 47,10). 115 “Dio non vede la nostra fine” (Ger 12,4). 116 Cfr Sal 10 [9], 4: “Dio non ne chiede conto, non esisite!”. 117 “… distolsero gli occhi per non vedere il cielo” (Dan 13,9). Grande forza nelle tentazioni: si combatte sotto il suo sguardo certi del suo aiuto. Aiuta ad acquistare la perfezione. Operaio che faceva la piccola statua da mettere su una cattedrale. Chi mai la vedrà dal basso? Non mi importa, basta dall’alto. San Giovanni Crisostomo a Eudossia: Credi di spaventami? Non sai che Dio è presente dappertutto? Mi spaventerei se tu mi potessi cacciare in un luogo dove Dio non ci fosse. Non enim longe est ab unoquoque nostrum. In ipso enim vivimus, movemur et sumus118. Immaginarsi Dio non lontano, ma vicino, mondo pieno di Dio; spugna in mezzo al mare. Si ascendero in coelum tu illic es: si descendero in infernum, ades. Si sumpsrero pennas aurorae et habitavero in extremis maris, etiam illuc manus tua deducet me, et tenibit me dextera tua119. In pratica: «Assimilare con la meditazione e lo studio la verità della presenza di Dio sia dal punto di vista soprannaturale che naturale. Prendere libri di meditazione e di lettura che ne trattino. A poco a poco bisogna procurare di mutare la visione superficiale che abbiamo della realtà. L’azzurro del cielo, i venti e le pioggie, la primavera e l’autunno tutto deve dirci la presenza di Dio. Benedicite, omnia opera Domini, Domino120. Nelle vicende liete e nei dolori dovremo adorare Dio che permette o che vuole, che premia o che punisce. Dobbiamo non già straniarci dalla realtà, bensì guardare la realtà come essa è in rapporto con Dio. È Dio stesso che ci parla con le cose e gli eventi: Egli è il benefattore che ci porge in ogni cosa un suo dono con la sua mano e che continuamente opera a nostro vantaggio. La natura e la società allora si trasfigureranno ai nostri occhi e noi tutto vedremo alla luce della presenza di Dio. Considereremo noi stessi come case e templi di Dio e coglieremo ovunque il palpito divino. A tale scopo può servire: un minuto di quando in quando di silenzio e di raccoglimento, tuffandoci nell’oceano di Dio, nel quale siamo e viviamo ed approfittando di quei ritagli di tempo in cui si è meno occupati nelle cose esteriori per occuparci di Dio nell’intimo del nostro cuore. L’uso delle giaculatorie memori che le anime buone in ogni tempo hanno risolto in questo modo semplice il problema dell’unione con Dio. Anche l’offerta al Signore di ogni azione, grande o piccola che sia all’inizio di essa, orienta l’animo di chi lavora o mangia o si diverte a vivere alla presenza di Dio. A tale visione nuova della realtà corrisponderà una trasformazione della nostra vita. Non solo questa sarà organizzata in relazione a Dio che darà un significato unico alla moltiplicità di quanto facciamo o di quanto ci avviene; non solo ad ogni tentazione dovremo riflettere che Dio ci vede; non solo il monito di San Paolo – “santo è il tempio di Dio che siete

118 “… benchè non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,27-28). 119 “Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali del’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra” (Sal 139 [138], 8-10). 120 “Benedite, opere tutte del Signore, il Signore” (Dan 3,57). voi”121 – dovrà impedire le piccole o grandi profanazioni, alle quali il mondo, il demonio o la carne ci sospingono; ma dobbiamo sentirci spronati alla virtù, al lavoro, al bene dallo sguardo di Dio presente, abituandoci a compiere il nostro dovere, non perché altri ci guarda, ma perché ci guarda Iddio. La preghiera sarà evidentemente ispirata dal pensiero fondamentale della presenza di Dio. Senza spirito di raccoglimento non si può ricordare che Dio è presente. Ed ogni volta che saremo indulgenti verso qualche dissipazione, ci dimenticheremo dell’Unico Necessario. Ricorreremo a Dio con filiale confidenza in ogni circostanza perché la sua potenza è presente e di nulla temeremo. Pregare come se tutto dipendesse da Dio; agire come se tutto dipendesse da noi (Sant’Ignazio), ma la stessa nostra azione non la separeremo da Dio. Non saranno solo i libri di pietà che ci parleranno di Dio. Il cielo stellato, il sole, il mondo tutto saranno non più per noi una scrittura etrusca indecifrabile, ma in ogni cosa bella saluteremo l’immagine della bellezza di Dio, in ogni cosa grande l’orma della sua infinita grandezza, in ogni cosa buona una eco del suo amore. Impareremo a vivere, come voleva San Paolo «cantando e salmeggiando nei nostri cuori al Signore»122. Non si deve pretendere d’arrivare a un tratto: - con pazienza e perseveranza cominciare a ricordarsi di Dio alcune volte al giorno, • a rendere reale e non fittizio l’atto di metterci alla presenza di Dio nella meditazione, sotto l’occhio divino, • a esaminarsi a mezzogiorno, alla sera, prima della confessione, a essere fedeli all’esame in iscritto. In tal modo gradatamente la stato d’animo si cambia. Dapprima eravamo rivolti alla superficie delle cose, quasi che fossero l’unica realtà; poi, adagio adagio, insistendo sulla necessità di considerare Dio nelle cose, ci orienteremo verso di Lui, utilizzando le stesse distrazioni involontarie che le cose ci causeranno, poiché dalla visione superficiale delle cose passeremo alla visione profonda; e pur non facendo consistere l’unione con Dio nel numero materiale degli atti coi quali ci rammenteremo della sua presenza, otterremo quell’unione virtuale per cui senza pur fare continui atti di fede e di amore a Dio presente, tuttavia l’anima sente che pensa a Dio e che gli vuole bene. Poiché ciò che deve costituire la nostra preoccupazione non deve essere una ripetizione meccanica di atti, ma uno stato d’animo che senza sforzo si dischiude come il bocciolo della rosa al bacio del sole divino. Non tam saepe respirare, quam Dei meminisse debemus123 (San Gregorio Nazianzeno). Guai se non respirassimo! Eppure non ce ne accorgiamo neppure eccetto quando abbiamo i polmoni ammalati. Così l’anima deve

121 1Cor 3,17 122 Cfr Ef 5,19. 123 “Non siamo tenuti a respirare tanto spesso quanto a ricordarci di Dio” (SAN GREGORIO NAZIANZENO, Orazione 33). respirare Dio senza una tensione dannosa alla pace e alla serenità interiore» (Olgiati, Pietà cristiana124).

124 FRANCESCO OLGIATI, La pietà cristiana. Esperienze e indirizzi, Vita e Pensiero.

II Meditazione La Grazia santificante

Introduzione. «Ci insegna la fede che Dio abita in noi mediante la grazia, la quale ci fa partecipi della natura divina e ci fa veramente rami uniti alla pianta, ossia a Cristo Gesù, e ci invita ad esclamare: Vivo ego, iam non ego: vivit vero in me Christus125. Era questa buona e consolante novella che riempiva di sole l’anima dei primi credenti e sempre ha fatto sussultare di purissima gioia i veri cristiani, consapevoli del donum Dei. Era questa l’idea che ispirò ogni riga di San Paolo e costituì il concetto fondamentale della predicazione dei Padri e dei Dottori della Chiesa» (Olgiati). Noi ammiriamo gli eroi delle Fede i grandi santi. Chi non si è entusiasmato davanti alla generosità dei martiri, davanti al candore dei vergini, davanti alla vita di penitenza dei confessori? Viene spontaneo paragonarli ai piccoli mortali in mezzo a cui quotidianamente viviamo, intenta la più parte a risolvere senza un soffio di ideale il problema della pagnottella e pare quasi un sogno o una leggenda la loro vita. Ed è invece storia! Ne è da credere che questi santi siano uomini d’un’altra razza, superuomini. Erano inizialmente come noi: ma essi seppero accettare e introdurre nella loro vita un elemento meraviglioso, un siero efficacissimo, un lievito potente che a poco a poco li purificò, li elevò e trasformò sino a farli tali eroi da parere leggendari. Sapete che cos’è? La Grazia, null’altro che quella semplice e altissima cosa che è la Grazia di Dio! Il dono che è offerto anche a noi ma che noi forse trascuriamo, che non sappiamo far fruttare, si che in noi intisichisce o muore del tutto, e l’essere nostro ne rimane mortificato insieme. Se così meschino e piccino vi pare il mondo in cui vivete e gli uomini che accostate la ragione è proprio questa: tali uomini vivono ignari della Grazia, fuori del governo di essa, e quindi nel trionfo di tutti i meschini egoismi della natura. [(...)]126. Oppure: «Le ore passavano tacite, anche sul morbido tappeto. Anche le stelle che nelle profondità occhieggiavano con vividi sguardi curiosi ora sembravano baluginare come assonnate. Qua gli Apostoli sonnacchiosi; là dalla parte d’oriente, dove l’alba bussava con rosee dita, Gesù in preghiera sotto il fogliame il quale carezzava, come folla di piccole mani, il cielo di seta. Tutta la notte scuotendosi a vicenda, gli apostoli avevano visto così il Maestro. Quando tornò a loro, bello come la rugiada sotto il primo raggio di sole, gli corsero incontro e gli dissero la parola pensata forse in tutte quelle lunghe ore: Signore insegnaci a pregare. E Gesù, assentendo con gli occhi specchianti ancora lucore del cielo, sì a lungo fissato, nel quale

125 “e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). 126 Riferimento non comprensibile. passava Dio tra confine e confine: Quando fate orazione, dite: Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome, venga il Tuo regno… E continuò tessendo la più alta e la più semplice preghiera che sia sotto il cielo». Qualità di Dio «Padre» è un’idea ricorrente in episodi e simboli svariatissimi su le labbra di Gesù. A Dio Padre accennò nella parabola dell’importuno che bussava all’amico di notte per averne un pane (quanto più il Padre vostro darà lo spirito buono, a chi glielo domanderà)127; di Dio padre parlò portando il simbolo alla sua massima tensione di espressività nella parabola del figliol prodigo128. Dio è padre tuo. Lo sai, te lo han ripetuto mille volte da quanto te lo cesellava nell’anima la mamma tua. Però il cuore non ti sussulta più di gioia e quella parola non ti dice nulla. Pensi intento: Essere figlio di Dio se non è una metafora significa che tu hai qualcosa di divino in te. E questo qualcosa non può comprendere solo le ricchezze di Dio depositate in te, ma esattamente una tal quale divinizzazione di questo tuo essere. Come quel Glauco che mangiò dell’erba «che il fe’ consorto in mar de gli altri dei»129 (Paradiso, C. I). Qualcosa di divino in me! Io quasi divinizzato!. Tu corrughi la fronte «forse qualcosa di… diabolico, magari non lo negherei in me. C’è proprio; ma di affinità o parentela con la divinità, neppure l’odore». Non ti stupire. Anche Dante non capiva: «Trasumanar, significar per verba non si poria»130. E il suo trasumanar era certo di meno di quello che io voglio insegnarti. Seguimi attentamente: scopriremo oggi i titoli della tua alta nobilità. Continenti nuovi. L’aspirazione a divenire Dio l’uomo l’ha avuta sempre, dalla sua prima origine. Questa e non altre la determinante della disobbedienza di Adamo, «Sarete come dei»131. Ribellione degli Angeli: «sarò simile all’Altissimo». Tale aspirazione rimane insopprimibile negli uomini, come nostalgico e inesausto ritorno dell’anima al Dio che l’ha creata e inviata su la terra. Del resto la Gigantomachia, la Titanomachia, il mito di Prometeo che tentò con la sua fiaccola di carpire una favilla al sole e addurre così la vita su la terra – privilegio di Dio solo – l’apoteosi o indiazione degli eroi uomini, attestano l’uomo che esprime dalle profondità dell’io questo senso di scalata verso l’altezza divina. La terza ode pitia di Pindaro celebra la punizione spietata di Asclepio che volle ridestare la vita, piegando come un dio le forze della natura: «Quando Asclepio, lusingato dal lucro, resuscitò un cadavere, Giove non tollerante che fossero violate le leggi della natura incenerì con un fulmine lui e il risuscitato; ammonimento agli uomini che si tengano nei limiti loro segnati. Fulmini pertanto e maciullamento di fegato su le rupi del Caucaso a chi volle uguagliarsi a Dio nel paganesimo. Certezza incrollabile di cercare con gli occhi Iddio nel cielo, trovarlo e gridargli con espansiva

127 Cfr Lc 11,5-8. 128 Cfr Lc 15,11-32. 129 DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Paradiso, I, 67. 130 DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Paradiso, III,70. 131 Cfr Gen 3,5. esattezza: Padre. Ecco invece la forza che ha creato il cristianesimo e la sua storia» (S. Galli). Oppure. Un pastore patulae recubans sub tegmine fagi132, un giorno vide passare un re: Vorresti venire con me per sempre? Dopo un anno trombe e cannoni salutarono il pastore diventato figlio di re con dichiarazione regale. Tu battezzato hai avuto una investitura superiore. Quel Dio che i cieli non comprendono, che l’eternità non esaurisce, un giorno guardò nella valle della nostra miseria. E ti vide caduto e giacente in tua lenta mole. Ti vide e ti volle. Con sé, per sempre, come suo. E sottoscrisse una dichiarazione dinnanzi ai cieli e alla terra: questi è figlio mio. La firma, a guardarla era rossa di sangue, del sangue di Gesù Redentore che ci aveva acquietati e presentati al Padre come fratelli. La data gloriosa di questa tua eccelsa adozione? Quella in cui ti si battezzò. Prima di allora tu non eri figlio a Dio, come non lo sono i pagani. Eri appena creatura di Dio, a guisa della pietra, dell’erba, dell’uccellino, degli alberi, degli animali. E non un titolo esteriore ma Dio immise nel tuo spirito qualcosa di trasformante la tua massa umana; inserì insomma qualcosa della Sua natura divina in te. Non ti chiami solo figlio di Dio, tu sei figlio di Dio. Di quale amore ci ha amato il Padre di poterci chiamare ad essere di fatto figli di Dio (1Gv)133, partecipi della natura divina. Questo lievito gagliardo, questa potenza attiva di trasformazione che ha dato alla tua anima riflessi e profumi di divino, ha un nome sintetico: grazia» (Galli).

I Punto. Che cos’è la grazia. È quel dono sopranaturale inerente all’anima nostra e perciò abituale che ci rende santi, cioè giusti, amici e figli adottivi di Dio, fratelli di Gesù Cristo ed eredi del Paradiso. Sono Innumerabili i doni che riceviamo da Dio. «Noi abbiamo ricevuto l’esistenza, questa natura che ci sopravanza alle altre creature e ci fa immagini di Dio a cagione dell’anima spirituale; da Dio l’ingegno; da Dio le cose che ci conservano la vita, da Dio ogni bene esterno ed interno. Né possiamo vantare diritti, poiché avanti d’essere mancava anche il soggetto al diritto. Sono dunque questi doni la grazia o le grazie? La grazia, in senso proprio e principale, è una qualità soprannaturale da Dio immessa nell’anima per la quale noi veniamo trasportati in ordine superiore alla natura, rivolti a Dio come fine da possedersi svelatamente, qualità che costituisce il primo principio di una vita soprannaturale, vita che si estrinseca mediante le virtù che parimenti infuse, sono come le potenze di questa seconda anima che è la grazia» (Card. Minoretti). Soprannaturale. «Anche nel mondo nostro avviene questo superamento di una natura. La natura inorganica diviene in qualche modo soprannaturale quando entra a far parte della vita vegetativa: l’azoto, il carbonio, l’idrogeno che è nella terra e nell’aria diventano sostanza della pianta che hanno alimentato. Queste piante sono cibo degli animali e diventano sostanza dell’animale. La vita animale è soprannaturale relativamente alla

132 “Sdraiato all’ombra di un ampio faggio” (VIRGILIO, Bucoliche, I, 1). 133 Cfr 1Gv 3,1. vita vegetativa. Ma qui il soprannaturale è relativo. Il nostro invece è qualcosa di assoluto e supera l’esigenza di ogni natura creata o creabile. Dio non può mettere al mondo una creatura che abbia per natura esigenza ad entrare in tale rapporto con Dio» (Ravaglia). «La grazia è realmente e formalmente una partecipazione della natura divina, appunto in quanto divina, una partecipazione della Deità, di ciò che fa sì che Dio sia Dio, della sua vita intima134. Come la razionalità fa sì che l’uomo sia uomo, la Deità è il costitutivo formale di Dio tal quale è in sé. La grazia ne è una partecipazione misteriosa che sorpassa ogni cognizione naturale. Le pietre, per il solo fatto che esistono, hanno già una somiglianza remotissima con Dio, in quanto egli è essere; anche le piante gli rassomigliano molto da lontano in quanto egli è vivente; l’anima umana e l’angelo sono naturalmente ad immagine di Dio e gli rassomigliano analogicamente in quanto egli è intelligente; ma nessuna natura creata o creabile può rassomigliare a Dio in quanto precisamente è Dio: solo la grazia può farci partecipare realmente e formalmente alla Deità, alla vita intima di Colui del quale essa ci fa figliuoli. La Deità che resta inaccessibile ad ogni cognizione naturale creata è superiore a tutte le perfezioni divine conoscibili, superiore all’essere, alla vita, alla sapienza, all’amore; tutti questi attributi divini s’identificano in lei senza distruggersi; sono in lei formalmente ed eminentemente, come tante note di un’armonia superiore la cui semplicità ci sorpassa. A questa Deità, a questa vita eminente e intima di Dio, la grazia ci fa partecipare realmente e formalmente, poiché essa è in noi il principio radicale di operazioni propriamente divine, che

134 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: «Translati sumus de morte ad vitam [“Siamo passati dalla morte alla vita”] (1Gv 3,14). Sorprendente la bellezza d’un corpo umano ma quale dignità assume l’anima posseduta, penetrata da Dio. Quanta bellezza di Dio si manifesta nelle profondità già luminose della sua vita spirituale. Consorti della natura divina “siamo assunti in Dio” (Sal 88) diveniamo gens sancta. La sorgente della Vita eterna traboccando nella corrente della nostra vita naturale ne assimila tutti gli elementi trasformandoli, divinizzandoli talmente che per miracolo incomprensibile, noi siamo e operiamo per partecipazione quello che Dio è e opera per essenza. In questo flusso e riflusso della vita di Dio in noi e della vita nostra in Lui, siamo realmente trasfigurati, in noi è il principio e la luce dell’attività con le disposizioni a tutte le bellezze d’amore, a tutte le magnificenze di gloria. Infatti la grazia ci prepara all’atto che è proprio di Dio: conoscerlo e contemplarlo svelatamente nel lume della gloria e amarlo con un amore rispondente alla soprannaturale visione… Tutto in esso (cristiano) è vita divina, germinazione divina, fecondità divina. Tutto ha valore e proporzioni divine. Così la grazia è la profondità nostra in Dio, è la sua bellezza in noi; è la sua luce, la sua verità, la sua sapienza, la sua onnipotenza, la sua eternità, la sua carità in noi; è Lui stesso regnante in noi con l’infinito della sua gloria. Omnis gloria eius filiae regis ab intus [“Tutta la gloria della figlia del re sta dentro”] (Cfr Sal 44,14). La pienezza della gloria divina inabita nell’anima giusta trasfigurandola in una luce di santità. La grazia dunque è l’amplesso con Dio, è la Bellezza della sua vita e della sua gloria in noi: venit lumen tuum et gloria Domini super te orta est [“Viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te (Is 60,1)]. Eravamo tenebre, ora siamo luce nel Signore (Efesini 5,8). Vidimus gloriam eius… plenum gratiae et veritatis [“E noi vedemmo la sua gloria… pieno di grazia e di verità”] (Gv 1,14)» (Ferrari, Fonte di vita). finalmente consisteranno nel vedere Iddio immediatamente com’egli vede se stesso e nell’amarlo come ama se stesso. La grazia è il germe della gloria, semen gloriae; per conoscere internamente la sua essenza bisognerebbe aver veduto l’essenza divina di cui essa è la partecipazione. Per essa noi siamo veramente nati da Dio: come dice San Giovanni. È quello che fece dire a Pascal: «Tutti i corpi insieme e tutti gli spiriti insieme con tutte le loro produzioni non valgono il minimo movimento di carità; questo è di un altro ordine infinitamente più alto». La grazia non solo ci vivifica e ci spiritualizza, ma ci deifica «come solo il fuoco può rendere incandescente un corpo (San Tommaso) così Dio solo può deificare le anime». Ne segue che il minimo grado di grazia santificante è infinitamente superiore al miracolo sensibile che è solo soprannaturale per la sua causa, per il suo modo di produzione (quoad modum) non per la sua intima realtà; la vita resa ad un cadavere risuscitato è solo la vita naturale, infima in confronto con quella della grazia; il paralitico riceve infinitamente di più della sua guarigione quando gli sono perdonati i peccati. A Lourdes le più grandi benedizioni non sono quelle che guariscono i corpi, ma quelle che guariscono le anime. Il soprannaturale modale o il preternaturale non conta per così dire in confronto del soprannaturale essenziale. Ne segue ancora che il minimo grado di grazia santificante è infinitamente superiore al fenomeno dell’estasi, alla visione profetica degli avvenimenti futuri o alla cognizione naturale dell’angelo più elevato. La cognizione naturale dell’angelo supremo potrebbe nel suo ordine naturale, crescere sempre, all’infinito, in intensità, e mai, non arriverebbe alla dignità della cognizione soprannaturale della fede infusa o del dono della sapienza, mai non raggiungerebbe neanche oscuramente la vita intima di Dio; proprio come il progresso indefinito dell’immaginazione non raggiungerebbe mai l’intelligenza, come la moltiplicazione indefinita dei lati del poligono inscritto nella circonferenza non raggiungerebbe mai questa, perché il lato per piccolo che sia mai non diventerà un punto» (Garrigou - Lagrange). «Un uomo ama il suo cane in modo indicibile, lo ama come un figlio ed è disposto a fare per il suo fedele animale qualsiasi sacrificio. Quel padrone sente in cuor suo la sofferenza di non potere far godere al suo cane le gioie che il suo spirito e la sua intelligenza godono di fronte all’arte, alla verità, alla bontà e a tutto ciò che riflette il genio e la bontà umana e divina. Egli soffre di non poter comunicare per mezzo del pensiero col suo caro animale, perché essendo di natura inferiore non lo può intendere… Ciò che non può fare l’uomo verso gli animali lo può ben fare Iddio verso gli uomini. Se la vita dell’uomo è superiore a quella degli animali, la vita di Dio è imparagonabilmente e infinitamente superiore a quella dell’uomo. La distanza è infinita, e la vita di Dio in se stessa e rispetto a quella dell’uomo è la vera vita soprannaturale. Ora Dio per un grande e infinito amore verso l’uomo, essendo onnipotente e buono, ha deciso di dare la sua vita all’uomo, di far partecipare l’uomo alla sua natura, alla sua vita. Quando Dio dona all’uomo la Sua vita si dice che l’uomo ha ricevuto la vita soprannaturale, la Vita divina, che è in Grazia di Dio» (Nosengo). La Vita divina viene a noi per mezzo di Gesù Cristo, quindi l’uomo che ha la vita soprannaturale si chiama cristiano. Vite e tralci. Innesto. Olivo. Grandissima dunque la nobilità di un’anima in grazia. Vale più un idiota in grazia che non tutti i geni senza grazia. San Benedetto Giuseppe Labre glorificato dalla Chiesa. Per questo vita di gioia, né grettezza è la vita cristiana, né malinconia. «La grazia santificante è di un ordine del tutto soprannaturale; possiamo in terra averne solo un’idea analogica mescolata ad idee e concetti imperfetti. È una partecipazione alla natura stessa di Dio, ma una partecitazione creata; divinae consortes naturae135. Lo Spirito Santo dandoci la grazia ci unge come di un unguento divino che è la sua natura divina. Questo unguento conserva il soave profumo dello Spirito Santo e lo comunica alla anima nostra. Ecco perché SanPaolo ha detto: “Noi siamo il buon odore di Cristo”136. Gesù Cristo, prosegue l’Apostolo, ci ha messo la sua impronta ed ha posto nei nostri cuori la grazia dello Spirito Santo. Questa impronta conserva in noi l’immagine di Cristo, e tutti coloro che sono segnati di questo divino suggello conservano in se stessi questa divina rassomiglianza. È una impronta vivente, perché il suggello divino che è lo Spirito Santo è vivente e comunica la sua propria vita, la sua propria vivente immagine. Tale suggello è impresso dallo Spirito Santo nella sua essenza stessa della nostra anima, la penetra fino alle più intime profondità finché questa non l’offenda mortalmente. Questa impronta, questa partecipazione alla natura stessa di Dio diventerà sempre più fedele e precisa quanto più l’anima ama Iddio. La grazia santificante che lo Spirito Santo ci comunica è una partecipazione alla grazia santificante creata che santifica l’umanità di nostro Signore. Dio ce ne fa parte ma senza diventare povero. Il sole mandando per tutta la terra la sua luce ed il suo calore non impoverisce. Ogni cristallo esposto ai suoi raggi è penetrato e risplendente della medesima luce del sole. Così tutte le anime che partecipano alla grazia di Gesù Cristo sono partecipi della sua bellezza, della sua luce, senza che questo Sole divino perda alcunché del suo splendore. Così è quaggiù; così sarà in Cielo: Lucerna est Agnus137» (Schegvers, Principi vita soprannaturale, p. 114). «Sappiamo dalla Rivelazione tre cose: 1. Dio è l’oceano della vita. E questa vita, che è luce e amore, ha sete di espandersi e di darsi. Il Padre eternamente si dà al Figlio, e il Padre e il Figlio insieme si danno allo Spirito Santo comunicandogli la loro unica Divinità. Ecco la Trinità. 2. Eternamente ancora per un’innefabile misericordia Iddio risolse di comunicare la sua vita santa e beatifica alla creatura, di darle il suo Verbo, di darle il suo spirito, di farla comunicare con la sua natura divina nella Luce e nell’Amore. Ecco l’Incarnazione138 in primo luogo, poiché prima di traboccare su tutte le creature, la vita infinita comincia con effondersi tutta quanta in

135 “… partecipi della natura divina” (1Pt 1,4). 136 2Cor 2,15. 137 “Sua lampada è l’Agnello” (Ap 21,23). 138 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Gesù con l’Incarnazione venne inserito nel genere umano facendo effettivamente parte della nostra famiglia iniziata da Adamo e, come realmente appartenente a tale Colui che è il primogenito delle creature, Cristo Gesù, la cui Santa Umanità, in virtù della sua unione con la Persona del Verbo, riceve la partecipazione dei beni infiniti, quanto è possibile ad una natura creata. Tutta la vita divina fluisce in Lui. Dio volle che la pienezza della divinità abitasse in Lui. Noi l’abbiamo veduto tutto pieno di gloria e di verità. Collocato alla sommità di tutto, introdotto nell’adorabile Trinità, Gesù comunica senza misura con la Vita, la quale inonda il suo Cuore e l’Anima sua e sommerge tutte le sue potenze di intelligenza e di amore, per modo che Egli diventa alla sua volta l’oceano della vita (Bernardo). 139

famiglia, potè ricapitolarla in sé e sostituirsi ad essa nell’espiazione in modo da redimerla dando ai suoi patimenti un valore infinito. Ci ha potuto comunicare così la grazia (Sussidi). 139 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Iddio ci ha chiamati a diventare uomini nuovi in Cristo. Egli ci conferisce nel Battesimo una nuova vita soprannaturale: ci rende partecipi della sua vita la quale però non deve rimanere quieta e celata come un segreto nel fondo dell’anima ma deve condurci alla trasformazione di tutta la nostra persona. Poiché il fine cui Dio ci ha chiamati non è solo una perfezione morale, che non sarebbe qualitativamente diversa da quella naturale ricevendo soltanto un significato soprannaturale dalla grazia nascosta, bensì è la pienezza soprannaturale di virtù del Cristo, la quale anche qualitativamente costituisce qualche cosa di completamente nuovo in confronto di qualunque virtù puramente naturale. Ut annuntietis virtutes eius, qui vocavit vos de tenebris in admirabile lumen suum [“perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce”] (1Pt 2,9). Quasi tutte le orazioni dell’Anno liturgico si riferiscono alla via che dobbiamo percorrere, via che partendo dal conferimento del principio di vita che ci è dato nel Santo Battesimo, ci conduce fino alla trasformazione in Cristo, alla piena vittoria di Cristo in noi in cui consiste la santità… La vita soprannaturale deve penetrare nell’ethos della persona, bisogna che si formi in noi quella vita che è illuminata dal volto dell’uomo nuovo in Cristo… Bisogna far risaltare la misteriosa grandezza della vocazione che si contiene nelle parole del Signore: Sequere me, suscitare nell’anima l’anelito di trasformarsi in Cristo. L’essenziale è che noi riconosciamo “l’altezza, l’ampiezza e la profondità…” (cfr Ef 3,18) della misura della nostra vocazione; che penetriamo bene il linguaggio del Vangelo, il quale ci insegna non solo a diventare discepoli di Cristo e figli di Dio, ma a lasciarci trasformare in Cristo. Nos vero omnes revelata facie gloriam Domini speculantes, in eandem imaginem transformamur a claritate in claritatem, tamquam a Domini Spiritu. “Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore veniamo trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria, come per opera dello Spirito del Signore (2Cor 3,18). (Hildebrant, Introduzione). «Vestitevi dell’uomo nuovo creato da Dio nella vera giustizia e santità (cfr Ef 4,24). L’anima deve disporsi a lasciare se stessa e tutte le norme puramente umane per consentire alla sua integrale metamorfosi da parte di Cristo. Un consenso illimitato. Ma non basta. Bisogna sentire l’ardente anelito di diventare un uomo nuovo in Cristo: avere la volontà appassionata di morire a se stesso per lasciarsi trasformare in Cristo, il che presuppone uno stato di duttilità del nostro essere, tale da ridurci quasi molle cera sulla quale possa essere impresso il volto del Redentore» (id. p. 13). Non una trasformazione entro certi confini: se spogliano di quelle tendenze che ritengono pericolose, ma non hanno la volontà né la disposizione a ridiventare totalmente «un uomo nuovo, a rompere con le consuetudini puramente naturali, per considerare tutto nella luce soprannaturale, non intendono decidersi alla completa metanoia, alla vera e propria conversione» (id. p. 12). 3. Cristo però non è isolato. Egli ci ha redento dai peccati nostri e ci ha uniti a Lui. Mediante il Battesimo noi siamo innestati in Cristo, diventiamo tralci, un unico corpo. Egli è il Capo e la Chiesa è il suo corpo (San Paolo). Dalla sua pienezza noi tutti riceviamo (San Giovanni). La Vita che dalla Trinità adorabile s’era effusa nella sua umanità, trabocca di nuovo, s’estende, si propaga. Il mistero nascosto ai secoli ma rivelato ai santi cioè Cristo in voi (San Paolo). Voi siete un’unica cosa con Cristo (Gal). (Olgiati)

II Punto. Vita di grazia. Come vita naturale così vita soprannaturale: deve crescere. Nel punto in cui è infusa la grazia santificante è un semplice embrione che già comprende tutte le virtù e tutti i doni infusi simultaneamente e che si svilupperanno. La ghianda contiene la quercia (Schegvers)140. Bisogna crescere. Vivere il Battesimo vuol dire vivere la grazia accrescendo la grazia. Non restare eternamente bambini. La maturità e la grandezza di un’anima è data dal suo grado di grazia. Il peccato è la morte. Ma non basta accontentarsi di vivere una prima vita. 1) Prima di tutto bisogna avere la coscienza e la sensazione di una vita in noi, di quella vita. Notare la differenza tra chi vive una vita puramente umana e chi vive una vita in unione a Cristo. «Ai nostri giorni si va diffondendo sempre più un falsissimo umanesimo essenzialmente pagano e materialista radicalmente avverso alla concezione cristiana della vita; è necessaria questa educazione, la consapevolezza di quello che si è con la Grazia. Solo chi è conscio della sua nobilità divina e della sublimità del suo ultimo fine, nutre grandi pensieri, grandi propositi ed è proteso a compiere opere grandi per la vita eterna. Occorrono idee grandi per formare caratteri nobili e coraggiosi fino all’eroismo e nessuna idea è più grande di quella della nostra sublime dignità. Purtroppo oggi spesso vi si vive ai margini essendo per molti questa verità che tanto ci sublima, superficiale, vaga, fredda, addirittura ignorata» (Sussidi 50 – 304). «Formarsi un’idea limpida e teologicamente precisa della verità rivelata altrimenti non costruiremmo sul dogma, ma sulla fantasia e sul sentimentalismo» (Olgiati). 2) Non solo conservare, ma aumentare la grazia evitando le colpe veniali che pur non spegnendo illanguidiscono la fiamma della grazia. Vivere il Battesimo cioè aver coscienza di una vita nuova, animata dal pensiero che un cristiano deve vivere una vita divina e non puramente umana. Consepulti ergo sumus cum illo per baptismum in mortem, ut

140 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: «La vita di un essere umano non è da principio che un embrione contenente in sostanza il corpo collo sviluppo che più tardi prenderà e l’anima colle sue facoltà e la loro attività. Così nel punto in cui viene infusa nell’anima la grazia è un semplice embrione che già comprende tutte le virtù e tutti i doni infusi simultaneamente e che a suo tempo si svilupperanno. La ghianda contiene già la quercia e il grano di frumento la spiga. La libera volontà farà fruttificare con la grazia i doni deposti». Schegvers, Principi vita soprannaturale (p. 215). quemadmodum suscitatus est Christus a mortuis per gloriam Patris, ita et nos in novitate vitae ambulemus141 (Rm 6). Il Battesimo ci dà dunque: a) una grazia di morte al peccato, di crocifissione spirituale; b) una grazia di rigenerazione che ci incorpora a Gesù Cristo, ce ne fa partecipare alla vita, ci aiuta a vivere secondo i sentimenti e gli esempi di Gesù Cristo (Tanquerey142). «Per operare e svilupparsi la vita soprannaturale richiede delle facoltà di ordine soprannaturale: le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo. Le prime sotto la direzione della prudenza ci abilitano a operare soprannaturalmente col concorso della grazia attuale. I doni ci rendono così docili all’azione dello Spirito Santo che guidati da una specie di istinto siamo mossi e diretti. Questo perché le facoltà naturali non possono produrre che atti del medesimo ordine, quindi devono essere perfezionate e divinizzate da abiti infusi che le elevino e le aiutino a operare soprannaturalmente» (Tanquerey). Le virtù infuse sono teologali e morali. Queste virtù ci danno non la facilità, ma il potere soprannaturale prossimo di fare atti soprannaturali. La fede ci unisce a Dio suprema verità e ci aiuta a vedere tutto e a tutto giudicare alla sua divina luce. La speranza ci unisce a Colui che è la sorgente della nostra felicità e pertanto a darci aiuto. Atti di confidenza e di abbandono. La carità ci eleva a Dio somme buono in se stesso e sotto il suo influsso ci compiaciamo delle infinite perfezioni più che se fossero nostre e desideriamo che siano conosciute e glorificate, stringiamo con lui una santa amicizia (Tanquerey). Se Dio ci ha comunicato la sua vita noi dobbiamo corrispondere. Essere riconoscenti. È nostro interesse. Dio ci ricompenserà secondo i meriti e la nostra gloria corrisponderà ai gradi di grazia. Altrimenti ci castigherà ne in vacuum gratiam Dei non recipiatis143. Terra enim saepe venientem super se bibens imbrem et generans herbam opportunam illis, propter quos et colitur, accipit benedictionem a Deo; proferens autem spinas ac tribulos reproba est et maledicto proxima144. È necessario utilizzare tutto l’organismo soprannaturale di cui siamo dotati e che lo perfezioniamo. α) Lottando contro i nemici: la triplice concupiscenza, il mondo, il demonio. Vincere l’uomo vecchio. Il cristiano è un atleta145; β) poiché questo organismo ci è stato dato per produrre atti deiformi, meritori della vita eterna, dobbiamo moltiplicare i nostri meriti. Ogni

141 “Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinchè, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). 142 La presente e le seguenti citazioni sono tratte da: ADOLPHE TANQUEREY, Compendio di teologia ascetica e mistica; volume presente nella biblioteca di don Pietro. 143 “… non accogliere invano la grazia di Dio” (2Cor 6,1). 144 “Infatti una terra imbevuta dalla pioggia che spesso cade su di essa, se produce erbe utili a quanti la coltivano, riceve benedizione da Dio; ma se produce spine e rovi, non vale nulla ed è vicina alla maledizione” (Eb 6,7-8). 145 Cfr 1Cor 9,24-25. opera buona fatta liberamente da un’anima in stato di grazia per un fine soprannaturale. possiede un triplice valore: meritorio, col quale aumentiamo il nostro capitale di grazia abituale e i nostri diritti alla gloria; soddisfatorio, ci propizia Dio e ci inclina a perdonare, espia cancellando le colpe, soddisfa annullando in tutto o in parte la pena dovuta al peccato. Per meritare, alcune condizioni. I. Essere in grazia e quanta più grazia si possiede, tanto più a parità di condizione siamo atti a meritare. II. Il grado di unione a Gesù Cristo. “Io sono… la vita…” (Gv 14,6). In ipso, cum ipso, per ipsum. Vivere in noi, ispirare i pensieri, le azioni. III. Purità d’intenzione o perfezione del motivo. Basta motivo soprannaturale, San Tommaso dice influsso virtuale della carità (timore, speranza) e questo si avvera in tutti coloro che sono in stato di grazia e compiono un atto lecito. Ma se vogliamo che diventino meritori quanto più possibile, occorre una purità d’intenzione molto più perfetta. Soprattutto «per amore» che è la regina delle virtù. Proporsi più intenzioni soprannaturali si aumentano i meriti. Ripeterle e rinnovarle spesso le intenzioni, perché un atto cominciato per Dio continui sotto l’influsso della curiosità, della sensualità o dell’amor proprio, perde una parte del suo valore anche se non tutto, dato che queste intenzioni sussidiarie non distruggono la principale. IV. Intensità o fervore con cui si opera. Perché si può fare il bene con negligenza. V. Aumentano aumentando l’eccellenza dell’oggetto. Più nobili virtù teologali delle morali; atti di religione più perfetti perché tendono direttamente alla gloria di Dio, di quelli diretti alla nostra santificazione. VI. La quantità (elemosina). VII. La durata. VIII. La difficoltà dell’atto. Necessità dunque di santificare tutte le azioni dal mattino alla sera: pensieri, parole, atti. Non c’è un mezzo più efficace, più pratico, più facile a tutti per santificarsi che rendere soprannaturali le azioni. Si può in breve tempo elevarsi al più alto grado di santità. Ogni atto è germe di grazia e di gloria. Mezzo pratico: raccogliersi, rinunziare a ogni intenzione naturale o cattiva, unirci a Gesù Cristo nostro modello e mediatore, col sentimento della nostra impotenza, e offrire per mezzo di Lui le azioni a Dio per la gloria sua e per il bene delle anime. γ) Coi Sacramenti,che significano e producono nell’anima la grazia. È di fede che contengono la grazia che significano e che la conferiscono a coloro che non vi pongono ostacoli e ciò non unicamente in virtù delle disposizioni del soggetto ma ex opere operato. Oltre la abituale anche la sacramentale che non è significativamente distinta ma vi aggiunge un vigore speciale e dà un diritto alle grazie attuali.

III Punto. Le grandi conseguenze. 1) La Preghiera. Differenza tra la preghiera dell’uomo e del cristiano. Avere la consapevolezza che la nostra orazione è l’orazione di Gesù e che la povera nostra voce sale al Padre, fusa nella voce divina del Figlio e vivificata dall’amore dello Spirito Santo. Specialmente che preghiera liturgica sarà il campo delle nostre esercitazioni pratiche perché nella Messa o nelle altre esplicazioni della Liturgia è Cristo col Suo Corpo Mistico che prega. 2) Amicizia e fratellanza con Gesù146. Vero fratello, vero amico. Dedit socium147. «È una gioia incontrare quaggiù degli amici, di consultarli, di fare loro delle confidenze, di domandare dei consigli, di dir loro le proprie afflizioni, o anche di non dir nulla, ma di gustare in silenzio l’affetto sul quale noi facciamo assegnamento. E questa gioia è il miglior segno della vera amicizia. A più forte ragione come non sarà ripiena d’allegrezza l’anima che ha incontrato Dio, conosciuta l’immensità del suo amore? Per lei è la gioia di non essere più sola, la gioia d’avere, come Amico colui che presiede ai destini del mondo, la gioia di un amico fedele che non l’abbandonerà mai, la gioia di una vita sempre più intima, sempre più profonda in Lui e con Lui. Oh! La gioia delle gioie» (Or). Pensare al suo amore: «Gesù è nostro; egli si degna di mettersi a nostra disposizione; ci comunica di se stesso tutto quello che siamo capaci di ricevere. Egli ci ama di un amore indicibile, ci ama più di quello che la nostra intelligenza possa comprendere, più di quello che la nostra mente possa immaginare e accondiscendendo a desiderare con un amore vivo, ineffabile come il suo amore che noi l’amiamo. I suoi meriti possono dirsi tanto nostri che suoi. Le sue soddisfazioni sono tesori più nostri che suoi. I suoi sacramenti sono tanti mezzi inventati dal suo amore per comunicare se stesso alle anime nostre. Ovunque volgiamo lo sguardo nella Chiesa di Dio, vi è Gesù. Egli è per noi il principio, il mezzo, il fine di tutte le cose: è il nostro aiuto nella penitenza, il nostro conforto

146 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: L’amicizia aggiunge alle relazioni di padre e figlio una certa uguaglianza, una certa intimità, una scambievolezza di affetto che porta seco le più dolci comunicazioni. Iam non dicam vos servos … vos dixi amicos [“Non vi chiamo più servi… vi ho chiamati amici”] (Gv 15,15). Famigliarità, stessa mensa. Sto ad ostum et pulso; si quis audient vocem meam et aperuent mihi januam, intrabo ad illum, et coenabo cum illo et ipse mecum [“Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”] (Ap 3,20). Frequens illa visitatio,… dulcis sermocinatio, grata consolatio, multa pax, familiaritas stupenda nimis (Imitazione di Cristo) [“Per chi ha lo spirito di interiorità è frequente la visita di Cristo; e, con essa, un dolce discorrere, una gradita consolazione, una grande pace e una familiarità straordinariamente bella” (Imitazione di Cristo, Libro II, cap. I)]. (da Tarquerrey). 147 “Rese compagno” (Cfr INNO Verbum Supernum Prodiens). nell’afflizione, il nostro sostegno nella prova… Egli non ha risparmiato nulla per noi, non vi è facoltà della sua natura umana che non abbia contribuito alla nostra salvezza, non vi è membro del suo corpo che non abbia sofferto per noi… Noi sappiamo come ne siamo indegni ed Egli nutre amore per noi» (Faber). 3) Vita e etica di figli di Dio. Non più semplicemente degli uomini onesti. Una morale adatta ai figli di Dio. Elevatezza, gioia, serenità. La grande gioia sta qui. La grazia è luce, letizia, sorgente di vita. Sciocchezze del mondo. Falsa gioia. Falso concetto dell’ideale. L’invanirsi nelle cose esterne e nei divertimenti futili. Anche coloro che ci accusano di misureismo e esaltano le gioie pagane, talora confessano l’angoscia del loro cuore. Ad esempio Carducci in Nuove Rime:

… Ahi che nel cielo Impallidisce il sol, E mi circonda il gelo E si sprofonda il suol.

Come uno stuol di gufi A vecchio monaster Tra gli umidicci tufi Singhiozzano i pensier.

Per questo buio fondo Chi è chi è che va? Esiste ancora il mondo, La gioia e la beltà?

Ne’ lucidi paesi Ancora esiste amor? Io giù tra’ morti scesi Ed ho sepolto il cuor148.

Ordinando tutto l’uomo al fine soprannaturale ,la grazia non soltanto eleva a Dio la nostra mente, i nostri desideri e il nostro amore, ma abbellisce, perfeziona e santifica quelle abitudini morali che la natura può in noi produrre. Le quattro virtù cardinali divenire cristiane, virtù che non sono più semplici splendori di onestà umana e di saggezza umana ma riflessi delle perfezioni di Colui che è l’assoluta perfezione. Esse hanno una casualità, un vigore, uno scopo realmente divino che crea modi propri di vivere, di pensare, di giudicare, di operare, di soffrire, di godere, di morire. È efflorescenza di cose nuove improntate di eternità di cielo. La nuova creatura è caratterizzata da opere di bene

148 GIOSUÈ CARDUCCI, Rime Nuove, LVII, Brindisi funebre (vv. 45-60). che fruttificano per la vita eterna essendo la grazia di Dio “vita eterna in Gesù Cristo Signore nostro”149 (Rm 6) (Ferrari). La gioia è gioia di figli di Dio. Della gioia ineffabile che Dio gode in sé da tutta l’eternità emana la nostra. Come un torrente di voluttà che sgorgando dal seno di Dio si spande sull’intera creazione. Inebriabuntur ab ubertate domus tuae, et torrente voluptatis tuae potabis eos150 (Sal 35,9). Gioia grande151. superabundio gaudio in omni tribulatione nostra152. Alcuni santi l’ebbero così viva che scongiuravano che fosse diminuita. 4) Vita e devozione Trinitaria. Vita cristiana: unione intima, affettiva, santificante, famigliare con la Santissima Trinità. Antichi cristiani: devozione famigliare, diminuita per le controversie ariane. Ora pochi sanno praticamente che l’oggetto primario d’ogni adorazione è la Trinità. Se si glorifica Cristo è per glorificare in lui il Figlio di Dio e per il Figlio e con il Figlio, il Padre e lo Spirito Santo. Mentre tutta la Rivelazione ci canta il mistero principale della nostra fede; mentre il dogma ci insegna che noi siamo figli del Padre per adozione, incorporati in Cristo e possediamo lo Spirito Santo che in noi abita, noi non ricordiamo mai la Trinità sacrosanta. Le nostre azioni non sono compiute nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il Dio vivo e vivificante è in noi; ma noi non sappiamo stare con lui. Esempio della Chiesa: preghiere private, liturgiche, Santa Messa (da Olgiati). Dio abita naturalmente nelle creature in tre modi: con la sua potenza, con la sua presenza, con la sua essenza. Ma la sua presenza «per la grazia» è di ordine molto superiore e più intimo. Non è solo la presenza del Creatore e del Conservatore ma è quella della Trinità quale ci è rivelata dalla fede: il Padre viene in noi e vi continua a generare il Verbo; con lui riceviamo il Figlio perfettamente uguale al Padre che ama e ne è riamato; dal quale mutuo amore procede lo Spirito Santo. La particolarità di questa presenza è che Dio non solo è in noi, ma «si dà» a noi, perché noi possiamo godere di lui. Si dà come padre, come amico, come collaboratore, come santificatore e così diviene il principio stesso della nostra vita interiore, la sua causa efficiente ed esemplare. Naturalmente Dio è in noi come creatore e padrone e noi non siamo che suoi servi, sua proprietà, cosa sua. Ma nell’ordine della grazia si dà a noi come nostro Padre e noi siamo suoi figli adottivi in modo molto più perfetto che non facciano gli uomini con l’adozione legale. Questi possono bene trasmettere il nome e le

149 Cfr Rm 6,26. 150 “… si saziano dell’abbondanza della tua casa: tu li disseti al torrente delle tue delizie” (Sal 36 [35], 9). 151 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Gesù ne fu inondato dal primo istante anche nella Passione e specialmente nella Risurrezione. 152 “… pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione” (2Cor 7,4). sostanze, ma non il sangue e la vita; è una finzione: come fosse loro figlio, e la società riconosce. Ma la grazia dell’adozione divina è una realtà. Dedit eis potestatem filius Dei fieri153. Ut filii Dei nominemur et sumus154. Entriamo in possesso della natura divina. Questa vita divina è in noi solo una partecipazione, una somiglianza, un’assimilazione che fa di noi non degli dei, ma degli esseri deiformi. Ma non è una finzione, ma una realtà, una vita nuova, non uguale, ma simile a quella di Dio. Videte qualem caritatem…155. Vive in noi come intimo amico, e vi opera come il più potente collaboratore, luce, forza. Non saremo mai soli, saremo invincibili. È santificatore. Trasforma l’anima nostra in un tempio. Sorgente infinita di vita divina non chiede che farci partecipare alla sua santità. Diventa un sacro recinto riservato a Dio. Possedendo tanto tesoro bisogna pensarvi spesso, ambulare cum Deo intus156. Tre sentimenti: adorazione, amore, imitazione. a) Adorazione: glorificate et portate Deum in corpore vestro157; benedire, glorificare, ringraziare l’ospite divino. Maria ricevuto il Verbo ebbe una vita perpetuo atto di adorazione e riconoscenza: Magnificat. Ostia di lode alla gloria delle Tre divine persone. Consacrare ogni azione: In nomine Patris ecc… Preghiere liturgiche atte: Gloria in excelsis Deo, Sanctus, Te Deum. Riconoscere intera dipendenza e rendere lode nell’unione e nello spirito di Gesù. b) Amore: penitente, riconoscente, d’amicizia e generoso. Praebe, fili mei, cor tuum158. c) Imitazione: rispettare il corpo e l’anima. Nescitis quia templum Dei estis? Templum enim Dei sanctum est, quod estis vos159. Modello di perfezione la stessa Trinità. Estote ergo perfecti, sicut pater vester160. Nobiltà obbliga (Dal Tanquerrey 92 sq.).

Molte anime di fronte al mistero della Santissima Trinità mute e indifferenti; vi considerano l’atto speculativo, accettano con umiltà ciò che non comprendono, ma il loro atto di fede non discende a riscaldare il cuore, o almeno non sanno come farlo discendere. Chiunque aspira alla vita eterna deve abbracciare la vera fede, integralmente, inviolabilmente; e la vera fede è quella che adora Dio, Uno nella Trinità e Trino nell’Unità (Simbolo Atanasiano).

153 “… ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). 154 “… per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente” (1Gv 3,1). 155 “Vedete quale grande amore…” (1Gv 3,1). 156 “Camminare con Dio nell’anima” (Imitazione di Cristo, Libro II, VI. 4). 157 “Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (Cfr 1Cor 6,20). 158 “Fa’ bene attenzione a me, figlio mio” (Pr 23,26). 159 “Non sapete che siete il tempio di Dio? Perché santo è il tempio di Dio che siete voi” (1Cor 3,16-17). 160 “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro” (Mt 5,48). Mistero dei misteri, in cielo primo oggetto della visione e del gaudio, in terra sostanza della fede e vita della carità. Non basta credere a Dio che rivela, non basta credere Dio-Trinità, bisogna credere in Dio-Trinità cioè tendere nell’oscurità della fede verso la contemplazione e il possesso di queste realtà divine. Sostanza diventa la fede così delle cose sperate, cioè principio di vita eterna. Credere in Patrem. Tendere al Padre vuol dire riconoscere in Lui la fonte della Divinità e dell’essere, della bontà e della vita, della giustizia e dell’amore; vuol dire far rifluire a Lui tutto il divino, tutto l’essere, tutta la bontà e tutta la vita, cioè tutte le perfezioni di natura e di grazia che sono diffuse nel creato; vuol dire adorarlo e amarlo come Padre nostro «che ci ha generati con atto spontaneo della sua volontà, mediante il Verbo di verità, affinché fossimo in certo qual modo le primizie delle sue creature»161 (San Giacomo),vuol dire sentirsi figli di Dio, partecipi della sua natura, chiamati a godere la sua stessa beatitudine; vuol dire sentirsi di casa quando parliamo con Lui, perché «il Padre stesso vi ama», ha detto Gesù. Credere in Filium: tendere al Figlio vuol dire riconoscere in Lui l’immagine sostanziale del Padre, l’eterna Parola che esprime adeguatamente la perfezione del Padre, il Verbo generato dalla conoscenza che il Padre ha di se stesso e di tutte le cose, l’Idea unica e semplicissima secondo la quale tutte le cose sono pensate e volute da Dio; vuol dire riconoscere nel Figlio di Dio, Colui che solo conosce il Padre e che può comunicare la nozione del Padre; riconoscere in Lui il Rivelatore del Padre, e sentirsi discepoli del Verbo, considerar solo Lui come vero Maestro che ha parole di vita da comunicarci. Credere in Filium Iesum Christum vuol dire mettersi nella corrente della Redenzione aperta dal suo Cuore trafitto; vuol dire sentirsi membra vive del suo Corpo; vuol dire riprodurre la vita stessa di Cristo, perché il Padre «ci ha predestinati a diventar simili all’immagine del Figlio suo, ad essere suoi Figli adottivi in Cristo Gesù» (San Paolo162); vuol dire «rimanere in Lui» affinché tutta la vita di Lui si manifesti in noi: vita di croce e di morte, durante l’esilio; vita di gloria e di beatitudine nella Patria futura. Credere in Spiritum Sanctum: tendere allo Spirito Santo vuol dire riconoscere in Lui l’Amore sostanziale che porta il Padre verso il Figlio e il Figlio verso il Padre, il Bacio eterno della Trinità nell’Unità, la consumazione della Vita divina; vuol dire sottomettersi alla sua azione che crea la vita divina, che purifica, illumina e consuma fino all’unione perfetta; vuol dire entrare nello Spirito di Cristo per servire Dio con la devozione di Cristo, per conoscere il Padre con la visione che ci viene da Cristo, per amarlo con il Cuore stesso di Cristo. (B LA – 554)

161 Cfr Gc 1,18. 162 Cfr Ef 5,1.

III Meditazione Il Fine dell’uomo

Introduzione. Troppo spesso gli uomini non pensano alla cosa più importante. Si preoccupano, si tormentano, si agitano per tutto. Ogni problema ha i suoi cultori e anche ogni sciocchezza trova uno che la fa centro di vita. Al di sopra di ogni problema, al di sopra di ogni realtà sta per noi l’interrogativo: ma che cosa è questa vita, che senso, quale finalità può avere? Perché siamo al mondo? Noi chiamiamo pazzi coloro che non hanno la ragione e perciò non sanno giudicare né di sé, né delle loro azioni; non sanno dare a se stessi una giusta finalità. Quanti pazzi nel mondo! Episodio del pazzo in treno. «Non vi è mai capitato che sul treno poco prima che stia per partire, uno che è seduto da un po’ nello scompartimento vi domandi: Questo è ben il treno per Milano?. Si dice che una buona vecchia signora in pieno oceano, alla cameriera di bordo domandasse: Dica, è proprio questo il piroscafo che va a Nuova York? Un po’ tardino per una informazione. Ma nella vita si fa sempre così” (Sussidi 70 - 345). È possibile conoscere la finalità della nostra esistenza? Sì, ci dice la ragione; sì, ci dice la fede.

I Punto. Dio è il fine nostro163.

163 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: 1) L’uomo si deve servire dell’intelligenza per conoscere Dio, fine ultimo. a) Il fine dell’uomo non può essere il mondo. Finis est optimum [“Il fine è il bene più grande”] (Aristotile). Il fine suppone qualche cosa di migliore di quello che si ha. L’uomo è intelligente, il mondo no; perciò il mondo è inferiore. b) Il fine dell’uomo non può essere l’uomo. Finis est primum principium [“Il fine coincide col primo principio”] (Aristotile). Noi esseri finiti di cui l’esistenza ha avuto inizio; e quanta insoddisfazione in noi. c) Il fine dell’uomo non può essere che Dio. Finis est ultimum rei [“È il fine ultimo della realtà”] (Aristotile). Dio il primo principio: ex quo omnia [“dal quale derivano tutte le cose”]; Dio l’ottimo per essenza, l’essere in omni perfectione infinitum [“infinito in ogni perfezione”] (AN 49-50). Excelsior di Longfellow: un giovane è deciso a piantare una bandiera sulla più alta vetta delle Alpi. Parte. Lungo il cammino lo assale il freddo e la neve vorrebbe impedirgli il passaggio. Persino un pastore cerca di intimidirlo e per ultima una fanciulla avvenente vorrebbe adescarlo e fermarlo. Ma il giovane prosegue ardito e raggiunge la vetta. La nostra vetta o il fine del nostro viaggio è lui, Dio. Bisogna superare ogni altra cosa. a) L’uomo è stato creato per amare Dio. Il fine unico della volontà non può essere che Dio. È un vanto e gloria per l’uomo. La volontà segue l’intelligenza, ma questa addita Dio: dunque la volontà per potersi appagare ha bisogno d’incontrarsi con Dio. La ricchezza rende inquieti e lascia insoddisfatti. b) La gloria è incerta e peritura (es. Gratry). L’uomo è stato creato da Dio. Ci deve essere un perché. Dio non è stato necessitato a crearci ed è sommamente ragionevole e buono. Dio dopo aver creato le cose, ha cura e provvidenza di tutto, “le conserva e dirige al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita”164. Dio non crea a caso (sassi nell’acqua) e non abbandona le sue creature. “Le pietre stanno ferme al loro posto e si lasciano tagliare, trasportare e utilizzare dall’uomo. Le piante vivono più o meno; poi si tagliano e si gettano nel fuoco. Gli animali stanno a servizio dell’uomo ma una volta morti non hanno più niente da sperare, anche se hanno lavorato molto e per molto tempo: Iddio li ha fatti per l’uomo. Ma l’uomo per chi lo ha fatto? Per qual fine? L’uomo è più perfetto delle pietre che non sentono, dei fiori che non si muovono dal loro posto, degli animali che non parlano. Perciò il fine dell’uomo dev’essere più perfetto di quello di tutte le creature materiali. Iddio ha dato all’uomo un fine così bello e così sublime che non ce n’è, ne ce ne può essere uno più elevato. È Dio stesso. Sì, noi siamo fatti per Iddio. Tutto è fatto per l’uomo, ma l’uomo è fatto per Iddio. Dio ha fatto l’uomo così bello e perfetto perché l’ha fatto per Sé, e un giorno se lo vorrà portare con Sé in Paradiso. Ma non tutti lo sanno e molti non lo capiscono. Se domandassi a un muratore, a un contadino ecc… perché stanno su questa terra sapete che risponderebbero: Per lavorare, per guadagnare, per godersi la vita ed essere felici… Ma hanno ragione? Episodio di Filippo e studente… e poi? … poi dovrò morire. e poi? ... non rispose, pensò che dopo la morte c’è il Giudizio di Dio e poi c’è un Paradiso o un inferno” (Sussidi 52 -134). Siamo per la «gloria» di Dio. Gloria clara cum laude notitia165. Gloria di Dio intrinseca: si conosceva e si lodava. Gloria estrinseca166: volle che ci fossero altri esseri capaci di conoscerlo, amarlo, lodarlo e poi farlo conoscere, amare, lodare.

c) Non il piacere soddisfa “che dopo il pasto ha più fame di pria” (lupa dantesca). Leopardi: Ogni piacere finisce prima dell’istante che vi soddisfa. d) Ma Dio solo, Lui solo è l’amore, caritas, per essenza, totale, che non viene meno mai. Non solo possiamo, dobbiamo amarlo. Non sogno ma dolce realtà. Et nos credidimus caritati (1Gv 4,16). Crediamo, amiamo, ringraziamo l’amore. 164 Cfr Catechismo di Pio X. 165 “La Gloria consiste in una chiara fama accompagnata da lode” (SAN TOMMASO D’AQUINO, Somma Teologica, 1. 2. q. 2. a1\'. 5. lib. 83. q. 51). 166 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Esempio. Un Re tre figli; regalo tre cofani. Il primo sceglie quello sul quale è scritto «Impero» lo apre e lo trova pieno di sangue; il secondo sceglie dove è scritto «gloria»: è pieno di cenere; il terzo sceglie dove scritto «Dio»: v’è perla preziosa. Una preghiera ardente infuocata come il caldo del Sahara (Carlo de Foucauld). “Ti chiedo o Signore la grazia di essere logico cioè coerente”. Aiutami a vivere nella realtà ciò che ho trovato vero con la mia mente (AN 49,50). Esempio di Gesù. Dominus pars haereditatis, ecc [“Il Signore è mia parte di eredità”] (Sal 15 [16], 5). Quid mihi est in caelo et a te quid volui super terram?... Deus cordis mei et pars mea Deus in aeterunum (Sal 72,25-26: “Chi avrò per me nel cielo? Con te non desidero Fine dell’uomo non è vivere, mangiare, bere, riprodursi, arricchirsi, divertirsi ecc…, non è fine, ma mezzi al fine. Uccello ha le ali non per camminare; pesce pinna per nuotare. Dio ha dato intelligenza e volontà; perché? Per vivere di senso e di carne? Bastava lo avesse creato come un cane. Per verità e amore, conoscere Dio e amarlo. Non amore che si esaurisce in carezze, ma in conformità di volontà: servire. E questo per un cristiano nell’ordine soprannaturale. Fede. Carità. Sant’Ignazio: Ut laudet Deum, Dominum nostrum, ei reverentiam exhibeat, eiuque serviat167. Lode orale e in opera. Amore di amicizia. Per conoscere Dio: bisogna studiare. Catechismo. Vangelo. Prediche. Meditazione. Lettura spirituale. Per amare Dio: non far niente che Gli dispiaccia, far tutto quello che gli piace. Per servire Dio: fare la sua volontà. Conosciamo la volontà di Dio con la coscienza e la legge di Dio. II Punto. La salvezza dell’anima.

nulla sulla terra… Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre”). Dopo aver adorato la maestà infinita di Dio che si svelava alla sua intelligenza e avergli fatto omaggio dell’essere suo e delle sue prerogative, si unì a Lui con atto d’amore purissimo e ardentissimo, dirigendo a questo termine divino i pensieri, i palpiti, gli impeti della volontà. Tutta la sua vita non fu che la manifestazione di questo trasporto di amore, come la gloria in tutto ne è la corona e la manifestazione sempre e in ogni occasione, in Dio e solo in Dio si riposa, si compiace, si diletta, spera e confida. Vado ad Patrem. Andò al Padre in tutti i suoi misteri, in tutte le sue gioie, in tutte le amarezze, in tutti i desideri, parole, passi della sua vita. Scient gigas ad currendam viam [“Esulta come prode che percorre la via” (Sal 18 [19], 6]. Noi cerchiamo la verità, c’è sete, anelito di verità, bisogno. Piccoli raggi ora, nel fondo delle nostre tenebre intravediamo la luce infinita che brilla in Lui. Satiabor cum apparuerit gloria tua [NOVA VULGATA: “Satiabor, cum evigilavero, conspectu tuo – Al risveglio mi sazierò della tua presenza” (Sal 17 [16], 15)]. In noi c’è bisogno di perfezione che ci preme e ci stimola. Dio è la regola di santità, la legge suprema cui ogni volontà creata deve uniformarsi per essere veramamente buona, il tipo di ogni bellezza morale, il modello. Estote perfecti sicut est Pater [“Siate perfetti come il Padre…”(Mt 5,48)]. Credo che Dio è il mio fine, ma la mia vita è espressione di queste credenza? Dio è lo scopo unico al quale dirigo in tutte le cose? Il cuore trova in Lui tutte le compiacenze e disprezzando tutto il resto trova la gioia e la felicità solo in Lui. E se in complesso la vita ha tale direzione, quante volte al giorno devio nei particolari di azioni, affetti, desideri? Quanti palpiti che non hanno per oggetto Dio! quanti attacchi! Quante ricerche e sollecitazioni di amor profano, di curiosità, di sensualità! Inclina cor meum in testimonia tua. In via tua vivifica me! [“Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti… fammi vivere sulla tua via” (Cfr Sal 119 [118], 36-37)]. Ricordarsi spesso che Dio è fine ultimo. Al principio del giorno proporre di tendervi. Sradicare attacchi e affetti. (Br 1 -12). Vivere summe Deo in Christo Iesu [“Vivere unicamente per Dio in unione a Gesù Cristo”]. 167 “Per lodare Dio, il nostro Dio, (l’uomo) esprima a Lui rispetto e Lo serva” (Cfr SANT’IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi Spirituali). Tendendo a Dio fine ultimo noi salviamo l’anima. «L’opera grande che dobbiamo compiere sulla terra, l’opera necessaria, l’unica necessaria è salvare l’anima. Se la salviamo anche perdiamo tutti i beni della terra, parenti, reputazione, ricchezze, tutto è salvo: perché riavremo in cielo tutto ciò che abbiamo perduto centuplicato e lo riavremo per tutta l’eternità» (Tanquerey).) Il servizio di Dio non è libero e facoltativo ma obbligatorio. Il servizio di Dio non è basato su un contratto come in humanis, ma sul fatto della creazione. Io sono servo di Dio perché sono creatura di Dio. E come non avvererà mai che io cessi di essere creatura di Dio, così non avvererà mai ch’io cessi di essere suo servo. Neppur il peccatore si può sottrarre; un soldato disertore resta sempre un soldato. Servirà la giustizia di Dio. 1) Opera assolutamente necessaria: a) Per il bene che ci offre, bene supremamente necessario, sopra ogni espressione ogni idea, infinitamente perfetto. Dio è infinita e unica felicità. Le cose: Vidi cuncta quae fiunt sub sole et ecce universa vanitas et afflicto spiritus168. La felicità è: status omnium bonorum aggregatione perfectus169 (Boezio). Avere tutto e simultaneamente fino a farne uno stato di vita. Dio felicità perfetta e grande. E le vergini che tardano non possono più entrare170 e i convitati che ricusano sono esclusi171. b) Per l’inevitabile alternativa d’una tremenda sciagura se non si ottiene la felicità. Tra il cielo e l’inferno non v’ha nulla di mezzo. Per un onore si rinuncia al sommo onore e si va incontro alle umiliazioni più vergognose, per la ricchezza ecc..., per il piacere ecc... Non si tratta di oro o di argento, si tratta di Dio. Non si gioca col tempo che passa ma con l’eternità che rimane. Il solo bene è la salvezza dell’anima, il solo male la perdita di essa (San Francesco Saverio). Mie sorelle una anima e una eternità (Santa Teresa). Se non raggiungo tutto è perduto: perdidimus omnia, quid prodest homini ecc... Quid profuit nobis superbia? Aut divitiae cum iactantia quid contulerunt nobis?. Quod aeternum non est nihil est. Nulla nimia securitas ubi periclitatur aeternitas172. Qualunque insuccesso o disgrazia si risolvono in bene se si salva l’anima. c) Per il valore dell’anima stessa. La nostra parte più nobile, massimo tesoro. Immagine di Dio, fornita di intelletto e volontà, capace di conoscere e amare l’infinito, partecipe della natura divina, figlia con diritti di sovranità. Quam dabit homo commutationem pro anima

168 “Ho visto tutte le cose che si fanno sotto il sole, ed ecco: tutto è vanità e correre dietro al vento” (Qo 1,14). 169 “La beatitudine perfetta è la pienezza di ogni bene” (SEVERINO BOEZIO, De consolatione philosophiae, 3). 170 Cfr Mt 25,1-12. 171 Cfr Mt 22,1-14. 172 “Abbiamo perso tutto, che cosa serve all’uomo?... Quale profitto ci ha dato la superbia? Quale vantaggio ci ha portato la ricchezza con la spavalderia? (Sap 5,8). Ciò che non è eterno non vale niente. Quando è messa a rischio la vita eterna non c’è alcuna vera sicurezza”. sua?173 È già una pazzia cedere per tutto il mondo, ma perdere la grazia e la gloria per un piccolo frammento? Stima che ha avuto Dio per la nostra anima. Proprio Filio suo non pepercit174. Gesù per essa ha sofferto una vita di martirio. I santi han dato tutto, i martiri, i confessori. Il mondo moderno ha svalorizzato l’uomo, lo ha reso mezzo (nella industria ecc…); lo hanno detto ventre, stomaco, una espressione verbale, una estrazione anche se erano filosofie insorte arrogantemente, dicevano, per la difesa e l’elevazione dell’uomo. Perché si è dimenticata l’anima, il nostro grado di parentela con Dio, il costo della nostra Redenzione, il Sangue di Cristo. Catechista con Pastore protestante 200 pietre, altre 50, altre 300, no il valore dell’anima se puoi. La nostra grandezza sta proprio in questo segreto mondo dello spirito tanto dimenticato. Potrai essere povero, mangiare patate lesse, guadagnare una miseria, essere considerato un nulla; però sempre immenso è il tuo valore di Figlio di Dio. Difendi la tua dignità di uomo, erede del Cielo (Or 1 – 620). Quanta cura mostra la Chiesa per l’anima! Non che negliga il corpo che considera tempio dello Spirito Santo, mezzo diretto per cui i Sacramenti portano salutare azione sull’anima, ne ha cura dalla culla alla tomba. Ma che sarebbe il corpo senza anima? Una dinamo inerte per mancanza di corrente, un molino fermo, una locomotiva ferma. Con il grasso di un corpo si potrebbero fare sette pezzi di sapone, con il ferro un chiodo mezzano, con lo zucchero dolcificare una tazza di caffè, con il fosforo 2200 cappocchie di zolfanelli. Il magnesio basterebbe a prendere una fotografia. Aggiungete un po’ di potassa e avrete il prezzo di un corpo. Ma il prezzo di un’anima è tale per il quale bisogna sacrificare tutto, i martiri il corpo, i Missionari partire, Suore per essa curano corpi ammalati, creata da Dio, animata dalla Grazia, nutrita dalla carne e dal sangue di Gesù, destinata al Cielo. E si abbellisce ogni giorno con i meriti, è un gioiello cesellato dal sacrificio, e un fiore che scintilla sotto la rugiada delle lacrime. L’anima ha una sola unità di misura: Gesù Cristo. Racconta un poeta latino che un giovane preso dalla follia di scialacquare, stemperò nell’aceto una perla preziosissima e la bevve in un sorso. Ma che diranno gli Angeli quando vedono gli uomini perdere la propria anima per una boccata di piacere acetoso? Esempio di Moi, calpesta la Croce, d’argento, d’oro, non basta, tanto da salvare l’anima. Esempio della Regina a cui si rompe il filo della collana di perle e tutti si chinano a raccoglierle. Non ne vale la pena, signori. Per noi non vale davvero la pena chinarci a terra per i beni di questo mondo. Vi è sola una perla degna è la nostra anima che brilla e rosseggia più del rubino perché redenta dal Sangue di Gesù. Magnifico e prezioso è il sole, bella la luna e le stelle, ma non

173 “O che cosa potrà dare un uomo in cambio della propria vita?” (Mt 16,26). 174 “Egli che non ha risparmiato il proprio figlio” (Rm 8,32). costarono il suo Sangue. Ricca è la terra, fecondo il mare ma Gesù non ha dato per loro il sangue. Solo per l’anima Gesù si sacrificò, così grande, nobile, preziosa ella è. (La Domenica). 2) Opera necessaria per tutti qualunque stato, qualunque età, qualunque condizione. 3) Opera strettamente personale per la quale non si può venir sostituito come negli impieghi della vita civile e privata. Nessuno può farci garanzia, quaggiù si può pagare un debito per un amico, condividere i pesi, scusare; per l’anima no. È tanto personale che Dio stesso rispetta la volontà dell’uomo. 4) Opera che non si può rimandare perché possiamo morire ad ogni momento e il nostro nemico il diavolo macchina incessantemente la nostra perdizione e non aspetta il domani. Tutti gli altri affari terminano con il tempo e così le pene, ma per l’anima no. 5) Opera per la quale non si deve risparmiare nessun sacrificio. a) Pensare spesso alla propria salvezza. È dovere, è prudenza, è riconoscenza a Dio che ci ha chiamati a godere di Lui. b) Attendervi decisamente subordinando ogni altra cosa, riferendovi ogni altra cosa, sacrificando ogni altra cosa. Non mendicando scuse, e per il temperamento, e per le tentazioni, e per l’ambiente, e per le amicizie. La Sacra Scrittura dice che la vita dell’uomo è una continua battaglia; l’anima è una vigna che bisogna coltivare, una dramma da ricercare. Il cielo non si riceve che in ricompensa; è un regno che premia il valore. La via è aspra, ingresso difficile, nemici numerosi accaniti ed attenti. Regnum coelorum vim patitur, et violenti rapuit illud175. Quam angusta porta et arta via, quae ducit ad vitam176. Le passioni ci tiranneggiano? Bisogna domarle. Salvare l’anima è un dovere di fronte al quale nessuno ci può dispensare: siamo al mondo per quello. Il mondo ci tenta in mille modi (discorsi, stampa, divertimenti) è necessario essere forti. Non giocare sull’orlo dell’abisso. Se l’uomo in terra non vuole glorificare il suo Dio, allora Dio si procurerà violentemente la sua gloria nella pena. Lo respingerà da sé e lo inabisserà nell’inferno dove dovrà per forza riconoscere la giustizia e la potenza di Dio e con in suoi dolori e i suoi strazi annuncerà a tutto l’universo queste perfezioni di Dio che prima aveva disconosciute e disprezzate. A tutti i costi salvar l’anima. Vada tutto ma non l’anima. Esempio del filosofo greco con l’indovino che stringe in pugno una passera. 6) Opera sulla quale non dobbiamo ascoltare le opinioni del mondo. Lot non si uniformava ai costumi di Sodoma e Abramo ai costumi di tutti gli altri. I Santi: unica legge il Vangelo. Non c’è discussione o opinione.

175 “Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,12). 176 “Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita” (Mt 7,14). Tesoro nascosto nel campo177. Disprezzare le frivolezze, le sciocchezze chiamate grandi cose. Non per il piacere noi siamo o per la vanità. Esempio di San Filippo col cappello cardinalizio. Buttò in alto anche la povera berretta che aveva in capo. Che cappello, che cappello! Il Paradiso, il Paradiso. Sì io voglio il Paradiso. Mi basta il Paradiso. 7) Opera non difficile. Dio vuol salvi tutti gli uomini. L’Agnello si è immolato per noi, è sempre pronta per noi la sua grazia. Abbiamo la Chiesa, la Parola, i Sacramenti. Grande fiducia come tutto dipendesse da Dio, grande energia come tutto da noi. Perciò se l’anima è una perla nulla si deve tralasciare per averla salva; se è un tesoro bisogna lavorare sodo, se salva è corona d’immortalità combattere coraggiosamente e morire con le armi in mano. Via la vita mediocre, a base di pericolosi compromessi. Si dice: «salvarsi l’anima», siamo d’accordo, ma con misura, discrezione, moderatezza, cercando di non imporsi gravi sacrifici e rinuncie ma di barcamenarsi nel giusto mezzo. Un piede in due staffe: spassarsela quaggiù anche con peccatucci da dozzina (siamo di carne, siamo fragili, ecc… ecc...) e godersela con un tempestivo motorizzato pentimento, lassù. Tanto si dice: Dio è buono, chiuderà un occhio e tutto si accomoda. Totalitarismi evangelici andavano bene per i rustici ferrigni monaci. Noi siamo più raffinati, educati alla vita. Tempo del caucciù e non del ferro. Resta però la parola evangelica a infastidire la nostra ignavia: chi vuol salvare la sua anima deve perdersi178. Bourdaloue esortava un nobilone malato a pensare alla salvezza dell’anima. Sì lo voglio - disse il conte - ma desidererei salvarmi elegantemente. Signore per salvarsi bisogna rinunciare alla ultima parola del periodo. Giacchè elegantemente non significa nobilmente ma solo piacevolmente cioè mediocremente, insufficientemente. E piacevolmente in omaggio ai comodi dettami della discrezione e ballando in un’elasticità leggerissima si capitombolerà nel buio dove c’è pianto e stridore di denti (Or 2 – 10). Primas sollicitudinis partes, salus, quae prima est, vindicet. Haec nos cura occupet, non jam plane prima, sed sola. Periat mundi lucrum ne fiat animae detrimentum179 (San Eucherio di Lione).

III Punto. La scelta dei mezzi. Dio che ci ha creati per un fine, ci ha dato anche i mezzi per raggiungerlo. Questi mezzi sono tutte le cose che stanno tra Dio e l’anima. Reliqua… sunt propter hominem, et ut eum adiuvent in prosecutione finis…180. Le cose che circondano l’uomo sono innumerevoli. Interne nell’uomo: doti dell’anima, del corpo, di ordine soprannaturale, grazia santificante, virtù infuse, abitazione dello Spirito Santo, i suoi doni, i caratteri dei sacramenti, i meriti.

177 Cfr Mt 13,44-52. 178 Cfr Mt 16,25. 179 “La salvezza, che è la cosa più importante, rivendichi il meglio di noi. Lo zelo per la salvezza ci pervada davvero non solo in modo primario, ma esclusivo”. 180 “Tutte le cose sono per l’uomo, e per aiutarlo nel preseguimento del fine” (Cfr SANT’IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi Spirituali). Esterne: mondo fisico, ricchezza, onori, piaceri, ecc… ecc...; soprannaturali, Gesù Cristo, Maria Santissima, Angeli, i santi, la Rivelazione, il Vangelo, la Chiesa. Tutto è da Dio: molte per volontà creativa, per pena dei peccati, per prova di virtù, per volontà permissiva (Dio ha creato le cause seconde ciascuna con la propria natura e il suo proprio modo d’agire; potrebbe opporsi ma ordinariamente non lo fa perché altrimenti sarebbe stato inutile creare le cause seconde). Tutto è per Dio. La gloria di Dio è la conoscenza e l’amore per Lui, facile quindi il dire come possa una creature intelligente glorificarlo. Ma le creature non intelligenti? come raggiungere il loro fine che è glorificare Dio? Unicamente per mezzo dell’uomo che ammirato sale da loro a Dio. Esemplificare (stelle, mare). Cioè le cose sono mezzo all’uomo per glorificare Dio. L’uomo è: poeta, usufruttuario, sacerdote, penitente, santo, apostolo, re dell’universo. I mezzi sono innumerevoli: impossibile adoperarli tutti e specialmente tutti insieme. Bisogna scegliere. Criteri per scegliere bene. Esempio del pittore: a caso, per piacere, per l’utilità. «In tanto l’uomo deve valersi dei mezzi, in quanto gli giovano al fine; e in tanto deve sbarazzarsene in quanto gli impediscono il fine. Questo mezzo in questo momento mi porta alla conoscenza, all’amore, al servizio di Dio, alla sua glorificazione e alla salute della mia anima? Allora me ne valgo; altrimenti no a qualunque costo. In tanto in quanto: né più né meno, perché alla ragione non si mescoli la passione. A scegliere sempre quello che giova al fine ed in tanto in quanto giova è indispensabile la perfetta indifferenza a tutti i mezzi. Arrivarci all’indifferenza modificando i giudizi umani, domando le passioni, frenando le fantasie, moderando affetti del cuore, crescendo l’energia e lo sforzo della volontà» (Marchetti). Dunque: a) l’uomo fu creato «signore» di tutto il mondo sensibile: servo di nessuna creatura; b) le creature in sé sono buone e bellissime; c) ma sono buone e belle in quanto sono serve. Come il denaro così tutte le creature sono ottime serve, ma pessime padrone; d) le creature devono servire l’uomo nella sua vita fisica e morale, soprattutto per elevarsi a Dio con la cognizione, con l’amore, col servizio; e) le creature non sono vanità se non quando non sono fatte servire allo scopo per cui Dio le ha date. In ogni abuso della creatura vi è una tendenza all’idolatria: eritis sicut dii181. Il mondo il grande idolatra: orgoglio, libertà, ricchezze, piacere; servierunt creaturae potius quam Creatori182 (Rm 1,25). Si osò pubblicare che Eva fece bene ad indurre l’uomo al peccato perché così acquistasse la sua libertà, la sua dignità, il senso estetico, il fremito divino della passione.

181 “… sareste come Dio” (Gen 3,5). 182 “… hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore” (Rm 1,25).

IV Meditazione Il Peccato Mortale

«Adoriamo Dio santità essenziale che si compiace d’essere chiamato il Santo. Gli Angeli: Sanctus etc… Adoriamo con riverenza profonda questa purità infinita inaccessibile a qualcunque macchia, questa opposizione essenziale e a quanto gli si avvina che è in Dio come il fondo della sua natura. Adoriamone la manifestzione più completa nel Verbo Incarnato, pontefice santo, innocente segregato dai peccatori. In Maria Vergine Immacolata, nei Santi che più piansero i loro peccati.

I Punto. La realtà del peccato mortale. Se il peccato mortale si presentasse con i suoi lineamenti odiosi che lo caratterizzano ci ispirerebbe tale orrore che mai lo commetteremmo. Ma non è così. Videt lignum bonum ad vescendum et pulchrum oculis aspectumque delectabile183» (Br). Scoprire la vera faccia del peccato. 1) È un male di Dio. Secondo il nostro modo di parlare (Dio non soffre). Perché è la negazione fatta dalla creatura, dell’esisitenza di Dio, della sua verità, della sua sovranità, della sua santità, della sua bontà. Nega praticamente che Dio sia la sovrana sapienza e che abbia il potere di stabilire delle leggi. Praticamente nega che Dio sia la somma potenza ed abbia il diritto di esigere obbedienza dagli esseri che gli devono la vita184. Nega che Dio sia la bontà suprema degna di essere preferita a

183 “… vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile” (Gen 3,6). 184 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: • Una sala magnifica, e un rapimento. Un istante, è il buio. Il peccato. • Un peccato solo? vi lascereste tagliare la testa una volta sola? Il peccato è morte. • La spada di Damocle e Dionigi di Siracusa. • Pawel (16 anni) comunista con una grossa bomba sotto la giacchetta per attentare nella Chiesa della Maddalena a Parigi. Gli sfugge la porta di mano e gli sbatte violentemente contro il petto. Sui gradini dei resti insanguinati. Il peccato è una bomba che ci costruiamo con le nostre mani e se scoppia improvvisamente è l’inferno. Peccatore tu porti l’inferno in te stesso (Bossuet). • Don Pietro Rossi, Braulins, Udine, ucciso da un certo Pietro Ferragotto cui aveva prestato cento lire. L’assassino ne spese 73 per la rivoltella con la quale uccise il suo benefattore. • Il peccato è chiamato vanità perché chi lo commette si elegge un bene immaginario; chiedere la durata a questo bene è un chiederla a qualche cosa essenzialmente transitoria e fantastica; aspettarsene qualche felice esito è illudersi; abbonarvisi è cosa infruttuosa. tutto ciò che non è lei stessa. Abbassa Dio al di sotto della creatura. Non serviam185. Lo grida con il suo atto. Il peccato è la negazione pratica delle perfezioni divine, il disprezzo pratico dei diritti di Dio. Praticamente se la cosa non fosse resa impossibile dalla natura della divinità quest’anima farebbe del male alla maestà e bontà infinita: distruggerebbe Dio. E non è forse ciò che è accaduto? Quando Dio ha rivestito una forma umana, il peccato non l’ha raggiunto fino a farlo morire? (Marmion). Opporsi alla volontà di Dio è opporsi a Dio perché in Lui atto purissimo non si distingue realmente la sua volontà dalla sua essenza (Marchetti). 2) Il peccato è inguria di Dio. Perché è disobbedienza, ingratitudine, disprezzo. È disobbedienza. È nostro dovere inviolabile e sacro rimanere sottomessi a Dio in tutto ciò che ci comanda. Iddio come creatore ha diritti di assoluta padronanza e dominio su tutte le sue creature, dominio che è ben più radicale di quello dell’artista sulla sua opera. È lui il padrone assoluto, il legislatore supremo, il principio e la sorgente di ogni autorità. Il suo volere ispirato e governato da una sapienza infinita è la regola stessa del bene. Tutto nel mondo ubbidisce a Dio. In cielo gli angeli sempre pronti ai suoi mandati; gli astri seguono la via tracciata; in terra dall’animale fino alla pianta, al grano di sabbia nascosto nella profondità dell’oceno, non ce n’è alcuno che gli resista; Dominus omnium es, nec est qui resistat maiestati tuae186(Est). Solo in questo concerto di ubbidienza il peccatore rifiuta a Dio la sottomissione. Lui così debole, lui che potrebbe essere annientato da Dio con una sola parola, lui la vita del quale è un sogno e che sarà ben presto trascinato dalla morte davanti al tribunale del Giudice supremo, lui in un eccesso di follia delirante osa mettere la sua volontà d’un giorno in contraddizione col volere di Dio (Brancherau). Chi sono io in paragone di tutti gli uomini? Un granello d’arena, una stilla d’acqua. Chi ne tien conto? Cammina il mondo con me e camminerà senza di me. Che sono in confronto di tutte le generazioni che furono, sono e saranno? Che sono poi tutti gli uomini in paragone degli Angeli e Santi del Paradiso? Qui si riguarda non tanto il numero quanto il valore

Il peccatore che abbandona Dio e vive in peccato vedrà dileguarsi ogni speranza di benedizione, non produrrà frutto, sarà privo della celeste rugiada della grazia e della sapienza, sarà abbandonato da Dio e dagli uomini, sarà comprato dai demoni e dalle passioni. • Eliogabalo sospettando tradimento di generali e cortigiani pensò prevenire e punire. Fece un convito e nel colmo della festa e della musica cominciò a piovere delle rose. Morirono asfissiati. Inganno della gioventù! • Leonardo da Vinci scelse Pietro Bendinelli per la figura di Gesù. Dieci anni aspettò perché non trovava Giuda. Finalmente trovò: era lo stesso, più peccato. 185 Cfr JOHN MILTON, Paradiso Perduto. 186 Cfr Est 4,17c. dinnanzi a Dio. Ed io quantità trascurabile, infinitesimale dinanzi agli uomini, che sarò dinanzi tutto il Paradiso? E che sono infine tutte le cose create in paragone di Dio? Nulla; perché nulla erano prima che fossero e in tanto sono in quanto Dio le sostiene nell’essere. Il mio corpo è fango. Quid superbit terra et cinis?187 (Eccl.). L’anima è come una piaga dalla quale scaturì tanto marciume di peccato. Ecco dunque che sono io: il nulla e il peccato. Dio è la stessa sapienza: et sapientiae eius non est numerus188 (Sal 146). Io la stessa ignoranza: nos quippe involvimur tenebris189 (Gb 37, 19).190 Dio è la stessa potenza: in manu tua virtus et potentia, in manu tua magnitudo et imperium ominum191 (1Cr 29, 12). Nulla io posso nella natura e nella grazia. Io sono la stessa debolezza: arundinem quassatum192 (Is 42,3). Dio è la stessa giustizia: justus et rectus Dominus. Io la stessa iniquità perché nego a Dio quello che è di Dio: il che è la massima delle ingiustizie. Dio è la stessa bontà.

187 “Perché mai si insuperbisce chi è terra e cenere?” (Sir 10,9). 188 “… la sua sapienza non si può calcolare” (Sal 147 [146], 5). 189 “Noi non siamo in grado di esprimerci perché avvolti nelle tenebre” (Gb 37,19). 190 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: • Noi pretendiamo da Dio tutto (l’essere, la vita, la forza per agire, l’intelligenza) tutto fino alla possibilità di rinnegarlo e di offenderlo. Per agire contro Dio abbiamo bisogno di Dio stesso! È tremendo (Or 560). • Racconta il Vasari del pittore Francialigio che, tardando a togliere il palco che nascondeva la pittura, i frati Servi di Maria tolsero essi il palco una notte. Tanto si arrabbiò il pittore che preso un martello si diede a disfare tutto, e tutto avrebbe disfatto se non lo avessero impedito. Quanti giovani sui loro capolavori di grandezza depositati nell’anima ricca d’immagine divina danno colpi vandalici di martello o per gioco o per orgoglio, sciupando i lineamenti di Dio impressi in loro (Or 572). • Il peccato è offesa di Dio Creatore. In gloriam meam creavi eum [“Per la mia Gloria l’ho creato”] (Is 43,7). Si oppone al fine per il quale Dio ha creato l’uomo: invece della conoscenza disprezzo, della lode offesa, del servizio ribellione. È offesa di Dio Legislatore. Confregisti iugum meum, rupisti vincula mea [“Hai infranto il mio giogo, hai spezzato I miei legami”] (Ger 2,20). È offesa di Dio sommo bene: violabunt me propter pugillum ordei et fragumen panis [“Voi mi avete disonorato presso il mio popolo per qualche manciata d’orzo e per un tozzo di pane”] (Ez 13,19). È offesa di Dio centro dei cuori: diliges Dominum Deum tuum etc… [“Tu amerai il Signore Dio tuo” (Dt 6,5)]. È offesa di Dio, unico nostro Dio. Non habebis deos alienos. [“Non avrai altri dei” (Es 20,3)] Quod est idolorum servitus [“Ciò è idolatria”] (Gal 5,20). È offesa di Dio benefattore: in caritate perpetua dilexi te [“Ti ho amato di amore eterno”] (Ger 31,3). Rursum crucifigentes sibimetipsis Filium Dei [“Crocefiggono di nuovo il Figlio di Dio”] (Eb 6,6). È offesa di Dio giudice e vindice (Marchetti) 191 “… nella tua mano c’è forza e potenza, con la tua mano dai a tutti ricchezza e potere” (1Cr 29,12). 192 “… una canna incrinata” (Is 42,3). Io la stessa malizia: quel guazzabuglio che si chiama il cuore umano (Manzoni193). E come io ho avuto l’ardire di levarmi a collo teso contro Dio: tetendit adversum Deum erecto collo194 (Gb 15,26)? (Dell’Olio). È ingratitudine: Iddio non è soltanto il nostro sovrano è il nostro benefattore più insigne. Quanto possediamo deriva da codesta sorgente infinita di ogni bene: omne datum optimum et omne donum perfectum de sursum est descendens a patre luminum195 (Gc 1,17), e se ci dicesse come il padre di famiglia tolle quod tuum est et vade196 (Mt 20,14), ci resterebbe un bel nulla. Il peccatore contro un tale benefattore. Lo insulta e lo bestemmia con le mani piene dei suoi doni. Verso qualunque altro anche più volgare sentirebbe obbligo. E Dio domanda solo il cuore e un po’ di amore. È una indegna viltà tale rifiuto. È disprezzo. È la mostruosa preferenza della creatura al Creatore, del creato all’Increato, dell’imperfetto al perfetto Perfetto, dell’essere finito a Dio. Non hunc sed Barabba197. Aversio a Deo per conversionem ad creaturam198 (San Tommaso). 3) Il peccato ancora è detrazione della gloria di Dio. Iddio tutto ha creato per la sua gloria: l’unico fine di Lui. E le creature esaltano la gloria di Dio col manifestare le sue perfezioni e col mantenere quell’ordine mirabile che rivela la sua infinita sapienza: coeli enarrant ecc...199; Benedicite omnia opera ecc...200. Ma il peccato sconvolge questo ordine e fa servire le creature contro il Creatore, detrae alla sua gloria e ne oscura lo splendore nell’universo (A. N.). Iddio facendo l’uomo gli dette il mondo, splendore del cielo e della terra. Tutto fu creato per l’uomo; esso è il centro verso il quale converge ogni cosa, il termine al quale tutto si riferisce: omnia vestra sunt201 (1Cor 3,22). Ma Iddio largendo tutte queste cose all’uomo vi mise per condizione che l’uomo a sua volta si desse a Dio. Così fu stabilito un ordine ammirabile per il quale l’uomo è l’intermediario che unisce e riconduce a Dio l’opera uscita dalle mani divine. Mercè l’economia di questo disegno quando noi andiamo a Dio, le creature a noi subordinate ci vanno anche esse. Allora il mondo è un sacrificio di lodi glorificante con noi il Creatore. Magnificate Dominum mecum202 (Sal 33,4).

193 Cfr ALESSANDRO MANZONI, I Promessi Sposi, cap X. 194 “… correva contro di lui a testa alta” (Gb 15,26). 195 “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce” (Gc 1,17). 196 “Prendi il tuo e vattene” (Mt 20,14). 197 “Non Costui, ma Barabba!”(Cfr Gv 18,40). 198 “Il distogliersi da Dio per il volgersi alla creatura”. 199 “I cieli narrano la gloria di Dio” (Sal 18 [19], 2). 200 “Benedite, opere tutte del Signore, il Signore” (Dan 3,57). 201 “… tutto è vostro” (1Cor 3,22). 202 “Magnificate con me il Signore” (Sal 33 [34], 4). Quando pecchiamo, staccandoci da Dio, distacchiamo da lui la creazione intera la quale solo per mezzo nostro lo può onorare, la trasciniamo con noi nel disordine e così è turbata l’armonia provvidenziale che associa tra loro le creature. Di più. La creatura diviene nelle mani del peccatore strumento di iniquità. Omnis creatura ecc..203 (Rm 8, 22). L’uomo sacerdote della Creazione ne diventa il profanatore (Brauncherau).

II Punto. Gli Effetti del peccato. 1) Meraviglie della grazia in un’anima (Fecit mihi magna qui potens est204). L’assassino in agguato per togliere i tesori di nobiltà e di grandezza, per spegnere la vita divina, per troncare le relazioni di nobiltà con la Santissima Trinità, è il peccato. Pagina del Figliol prodigo: aveva un padre che lo adorava, ora ha un aguzzino; compagnia di buoni amici, ora ha i porci; pane, ora ghiande. Lontano dal Padre. Ecco il più cocente rimpianto. Il peccato scaccia Dio dall’anima. La grazia lo aveva fatto scendere nel tuo cuore come nella sua casa. Dio si era donato come Padre e come Amico. Dopo il peccato c’è un vuoto immenso, un buio pauroso. Ora immersi fino ai capelli nelle miserie di quaggiù, è tanto difficile comprendere cosa voglio dire: essere senza Dio. Lo comprenderemo dopo la morte. Se dalla tua camera all’improvviso togliessero l’aria tu ti sentiresti mancare e colto d’asfissia ti slanceresti delirando con gli occhi sbarrati alla porta in cerca d’aria. Dio ti è più necessario dell’aria che respiri: Egli è la tua vita, la tua felicità, Egli è tutto per te. Il peccato non soltanto ti ruba il tuo Dio, ma te lo fa nemico. Pensa: essere nemico di un Dio onnipotente, che ci tiene nelle sue mani e può in ogni istante colpirci! Che cosa spaventosa è la degradazione! L’ufficiale traditore della patria, prima di essere fucilato, viene ammanettato, gli si bendano gli occhi e poi gli si strappano violentemente ad uno ad uno i distintivi del suo grado, le spalline, le decorazioni… È un’agonia, è l’infamia peggiore della morte. Il peccato è la degradazione di un figlio di Dio. Nobiltà, bellezza, meriti tutto è perduto. È il fallimento, è il disonore. Da figlio di Dio, schiavo di Satana, oggetto di abominazione. Virtù infuse, doni dello Spirito Santo, tutte le ricchezze sovrumane, tutto perduto. Il peccato è come un incendio, è come una tempesta. Certuni si vedono sorridenti immersi nei divertimenti: sono ruderi su cui ormai crescono solo le erbaccie e strisciano i vermi.

203 “Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi” (Rm 8,22). 204 “Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente” (Lc 1,49). Non è drammatizzare: è l’ombra della realtà. Sono cadaveri ambulanti, dei vivi morti. Prima il Padre celeste gli sorrideva, ora un miserabile tralcio secco per il fuoco. Prima tempio dello Spirito Santo, ora tempio sconsacrato. Prima nella famiglia di Dio, ora solo Solitudine paurosa205. 2) Il peccato è una degradazione spaventosa. Depravazione dell’intelligenza. Fatta per la verità, è fatta liberamente ordigno di errore. Depravazione della volontà. Lascia la regola divina del dovere, è assoggettata alla passione cieca e brutale. Depravazione del cuore. Chiamato alle gioie divine, si abbassa, si avvilisce, si disonora. Conseguenza di questa pertubazione delle facoltà più nobili dell’uomo è il turbamento e la rovina di tutto l’uomo. Toglie la pace del cuore e dà vergogna, paure, rimorsi, tristezze. Non est pax impiis206 (Is 57,21). Quem ergo fructum habebatis tunc, in quibus nunc erubescitis?207 (Rm 6,21). Iussisti enim et sic est, ut poena sua sibi sit omnis inordinatus animus208 (Sant’Agostino). 3) Il peccato causa gli stessi effetti nell’anima che la morte causa nel corpo209.

205 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Il peccato è il maggiore di tutti i mali: più che la perdita della fortuna, della reputazione, degli impieghi, dell’autorità, della salute, della vita; più grande di tutti i flagelli, della guerra, della peste, che la distruzione di tutti i mondi, che la riprovazione di tutti gli uomini. È un male essenziale, assoluto senza mescolanza di bene, nessuna cosa può mai scusare. Alle volte la morte è un bene, le malattie sono salutari, gli infortuni utili, le umiliazioni vantaggiose. Ma il peccato mai perché è male commesso contro Dio nonostante l’amore che ci porta, la riconoscenza che dobbiamo, il rispetto che dovremmo avere alla sua grandezza, la sottomissione alla sua autorità. Causa la perdita dei doni spirituali: 1) spezza i legami che univano a Dio; 2) priva dell’amicizia di Dio; 3) toglie la vita della grazia; 4) allontana i doni che Dio dà a chi lo serve; 5) priva delle consolazioni spirituali; 6) rende pericolosa la salvezza; 7) fa nascere l’accecamento dello spirito (San Tommaso.) A quo quis superatus est, huius est servus [“Uno è schiavo di ciò che ha vinto”] (2Pt 2,19). Qui facit peccatum servus est peccati [“Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”] (Gv 8,34). O te miserum si haec sentis; miseriorem si non sentis [“Te misero, se ti accorgi di questo; ma molto di più infelice se non te ne accorgi!”] (Sant’Agostino). 206 “Non c’è pace per i malvagi” (Is 57,21). 207 “Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate” (Rm 6,21). 208 “Hai stabilito infatti, e avviene, che ogni anima disordinata sia castigo a se stessa” (SANT’AGOSTINO, Le Confessioni, I.12.19). 209 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Gli uomini non muoiono ma si uccidono. È nato prima il suicidio (Adamo) e poi l’omicidio (Caino). Un peccato (non dire: affare privato e secondario, meglio possedere un godimento che non fare un peccato, oppure come il signore medioevale: preferisco fare 30 peccati che avere la lebbra) il peccato è sempre un a) Altera i lineamenti e la bellezza dell’anima. Bella nella sua natura e nei doni di grazia, il peccato la sfigura e la spoglia. La bellezza medesima di Dio splende in essa come in uno specchio. Dopo è un inferno. Cecidit corona capitus nostri: vae nobis, quia peccavimus210. b) Produce l’insensibilità. L’anima è paralizzata nelle sue più preziose attitudini, percepisce solo imperfettamente le cose di Dio. c) Produce l’immobilità. L’anima è piombata nell’inerzia e ridotta all’impotenza. Tutti gli atti suoi sono senza merito; mentre prima tutto era merito. d) Produce una specie di corruzione analoga a quella del cadavere. L’anima sente un sé come un potere ignoto che si sviluppa e produce il disordine e la ribellione211. e) Produce un’infezione212. Santità: Christi bonus odor sumus213 (2Cor 2,15).

suicidio della propria dignità, spesso del proprio benessere fisico e materiale (le malattie dell’anima frustano a morte il corpo), una rinuncia della propria libertà (chi commette un peccato è schiavo di esso), un rompere i rapporti con Dio che è vita. Ne consegue che la tristezza del peccato resa più disperante dalla solitudine in cui ci lascia l’assenza di Dio, porta spesso chi non sa trovare il cammino del pentimento all’atto tremendo e imperdonabile che fa di sé un carnefice di se stesso (Or 10). 210 “È caduta la corona dalla nostra testa. Guai a noi, perché abbiamo peccato!” (Lam 5,16). 211 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Nabucodonosor da gran re che era si trovò cambiato in bestia schifosa. Scacciato dalla sua reggia andava carponi a cibarsi di erba come un bue: sul suo capo che aveva portato la corona imperiale i capelli divennero irsuti come penne d’aquila; sulle sue mani che tennero lo scettro, le unghie s’alzarono come artigli d’uccello rapace (Dn 4,30). Questa pagina paurosa dei libri sacri si avvera troppo spesso tra noi: molti non comprendono l’onore di un’anima bella e la costringono coi peccati a diventare bestia schifosa (Colombo). 212 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Luigi IX col Duca di Champagne. La malattia peggiore la lebbra. E se doveste scegliere tra essa e il peccato? Il peccato. Sbaglio enorme, segue anche nell’altra vita. La lebbra toglie i capelli, sforma il corpo. Il peccato toglie ogni bellezza e sforma l’anima. Puzza di lontano. Il peccato manda triste odore. San Filippo Neri e Santa Caterina da Siena lo sentivano. La lebbra gonfia le estremità, il peccato impedisce di camminare. Fa fioca la pupilla e debole la voce. Rende deboli le preghiere e oscura la fede. Come Gerusalemme, rovinata e desolata. Quomodo sedet [“Come sta solitaria”] (Lam 1,1). Così l’anima. Lucifero horribiliorem me invenio. Ille nulla praecedente vindicta, peccavit superbiens; ego, visa eius poena, peccavi contemnens. Ille semel in innocentia est institutus; ego multoties in ea sum restitutus. Ille se erexit contra eum, qui se fecit: ego contra eum qui me refecit. Et si ambo contra Deum, ille tamen contra non requirentem se: ego vero contra morientem pro me [“Io mi trovo peggiore di Lucifero. Quello, senza nessuna precedente punizione, peccò inorgogliendosi; io, vista la pena di quello, peccai disprezzando. Quello è stato formato una volta sola nell’innocenza; io sono stato riportato in quella molte volte. Quello si sollevò contro Colui che lo creò: io contro Colui che mi ridiede vita. E se entrambi contro Dio, quello tuttavia contro Colui che non lo rimpiangeva: io invece contro Colui che muore per me”] (San Bonaventura). 213 “Noi siamo infatti dinanzia a Dio il profumo di Cristo” (2 Cor 2,15). Peccato: sepolcro aperto. Sepulcrum patens est guttur eorum214 (Sal 5). Emanazioni deleterie e malsane. Tutto svela nel peccatore la depravazione del cuore. Scito et vide quia malum et amarum est reliquisse te Dominum Deum tuum215 (Ger 2,19).

III Punto. I castighi del Peccato. Odio sunt Deo impius et impietas eius216 (Sap 14,9). I castighi onde Dio punisce il peccato sono spaventevoli: riempiono di terrore l’anima che considera e nulla val meglio a farci comprendere il disordine e la malizia contenuta nel peccato. Infatti Dio infinitamente giusto non può eccedere nel castigo; di più noi non possiamo dubitare che la sua misericordia anche quando punisce col massimo rigore non temperi la severità della sua giustizia e che la pena non sia ancora molto inferiore di quella che il peccatore avrebbe meritata. Ci sono dunque nel peccato abissi di malizia assolotamente imperscrutabili dei quali noi misureremo la profondità solo nella luce che Dio farà brillare ai nostri occhi il dì del giudizio. Il peccato è veramente un mistero d’iniquità; mistero di iniquità e di disordine, mistero d’accecamento e di follia, mistero d’empietà, d’audacia e d’orgoglio. I tre peccati. 1) Il peccato degli Angeli. Dio aveva creato gli Angeli coi più bei doni di natura e di grazia: breve tempo a servirlo, goderlo per l’eternità. Negano ubbidienza: precipitati nell’inferno. Chi è che castiga? Iddio giusto che non calca mai la mano sul reo; misericordioso che sempre punisce meno del merito; santo che non opera per passione. Chi sono i colpevoli? Angeli, le prime creature, spiriti nobilissimi, principi eccelsi, innumerevoli. Qual’è la colpa? Un peccato solo, il primo, di pensiero, di un momento. Qual’è la pena? Un inferno, fatto apposta, pieno di tutti i guai, eterno. Qual’è il modo? Subito in flagranti, tutti, senza eccezione. Rifletti quindi: a te? Che devi pensare di te al vedere un numero immenso di Angeli rovinare così nell’inferno? Essi Angeli, tu creatura umana; essi con un peccato solo, tu con tanti; essi con un peccato di pensiero, tu con tanti di pensieri, parole, opere ed omissioni; essi subito, tu non ancora dopo tante proroghe, dopo tanti perdoni, dopo tante infedeltà. Se un peccato rese gli angeli sì abominevoli a Dio quanto lo sarai tu? Se un peccato di angeli li fece demoni che sarai tu? 2) Il peccato di Adamo ed Eva217.

214 “La loro gola è un sepolcro aperto” (Sal 5,10). 215 “Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio” (Ger 2,19). 216 “… a Dio sono ugualmente in odio l’empio e la sua empietà” (Sap 14,9). 217 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Dio crea dotando di sapienza, di grazia, di giustizia. Dà il dominio di ogni cosa. Peccano. Cacciati, condannati a un infinità di miserie per tutta la vita. Chi castiga è Dio giusto, misericordioso, sapiente, santo. I colpiti i progenitori, creati poco prima con tanto amore. La colpa è un peccato solo. La pena? Cacciati, spogliati, assoggettati a infiniti mali: per il corpo stenti, dolori, infermità, morte; per l’anima: disgrazia di Dio, corruzzione della natura, ignoranza, ribellione degli appetiti alla ragione, guerra della carne contro lo spirito, ripugnanza a ogni bene, inclinazione al male. Né solo per essi, ma per tutta la posterità. Tanti mali di tanti secoli passati e futuri, tutti in origine pena di quel solo peccato, anche conseguenza tutti gli altri peccati e la perdizione dei dannati. Tu sei più reo e più meritevole di castighi. Essi senza alcuna esperienza della giustizia divina, tu partecipe della pena da loro incorsa, e circondato per ogni parte da esempi formidabili dell’ira di Dio e alla vista di un Dio Crocefisso. Essi puniti senza la minima dilazione, tu ancora pertinace dopo tanti avvisi, dopo tante minaccie, dopo tante grazie. Essi compunti e umiliati in lunghissima e rigorosa penitenza, tu superbo nelle tue colpe. Quanto dovresti vergognarti di te stesso, quanti frutti proibiti che hai mangiato! 3) Il peccato di un’anima caduta ora all’inferno. Fissare il pensiero sopra un infelice che colto al primo peccato si trova nell’inferno per tutta l’eternità. Chi castiga è Dio giusto, misericordioso, sapiente, santo. La colpevole è una anima innocente e fervorosa per molto tempo, già ricca di molti meriti e degna di grande premio fino a quel punto in cui per la prima volta peccò. Quale è la colpa? un peccato solo. La pena è un inferno eterno. Fermati a considerare la gravità e malizia del peccato così terribilmente punito dalla giustizia di Dio. Iddio è creatore; come tale, Signore dell’uomo ha sopra di lui un dominio assoluto ed ha diritto di comandargli, come l’uomo ha infinito dovere di ubbidirgli. Col peccato nega questo dominio a Dio e per quanto è da sé mostra di non volerlo riconoscere per Iddio. Questa è la malizia anche di un

Sedeva sull’orlo di un laghetto un pescatore con la canna in mano. Passano due pesci: uno grosso e vecchio esperimentato della vita, al vedere il vermicciuolo pendente dal filo comprende subito di che cosa si tratta; l’altro giovane, vivace, inesperto corse veloce ad abboccare l’amo. Figliuolo che fai? – gli grida il vecchio – bada c’è colà un agguato: non toccare quel verme perché un gancio di ferro ti prenderà alla gola e ti trascinerà in terra dove sarai messo nel fuoco e mangiato dagli uomini. Se ami la vita non accostarti. Ma che! – risponde il pesciolino – che paura da sciocco! Io sono un libero pensatore e voglio fare a modo mio. La terra… il fuoco… il pericolo di essere mangiato…? Devo credere a queste ciance? c’è forse venuto alcuno di là dal lago a rivelarci queste cose? E così dicendo abboccò il verme. Ermellino inseguito. Potus mori quam foedari! [“Piuttosto morire che contaminarsi”]. Il nostro stemma. Due operai ricoverati sotto un noce inceneriti dal fulmine. Uno si metteva in bocca un pezzo di pane, l’altro porgeva una fetta di salame. Restarono così. Buon appetito dissero chi li videro. Vedendoli immobili e muti li toccarono, caddero in cenere. Così il peccato. solo peccato e solo perciò degnissima di ogni più grave pena. Né deve sembrare ingiusta una pena eterna per un peccato anche momentaneo. Chi pecca mortalmente, offende una bontà infinita quale è Dio; ed è degno d’essere punito, quanto Dio è degno d’essere amato, cioè infinitamente; e come non vi ha creatura che possa amare Dio quanto si merita per molto intenso e durevole che ne sia l’amore, così non vi ha pena che possa punire il peccato per atroce e lunga che sia, quando anche sia eterna. Etiam in damnatis misericordia locum habet in quantum citra condignum puniuntur218 (San Tommaso). 4) Il Calvario. Factus pro nobis maledictum219 (Gal 3,13). Il Padre come ha trattato il Figlio quando Gesù si è caricato dei nostri peccati. Come è stato colpito l’Agnello di Dio che si è voluto sostituire ai peccatori: quali abissi di sofferenza e di abbassamento l’ha fatto discendere il peccato. Lui l’oggetto delle compiacenze del Padre. Tutta l’opera del Padre sta nel glorificarlo: clarificavi et iterum clarificabo220. Pieno di grazia, senza imperfezione, il riflesso delle perfezioni infinite del Padre, lo splendore smagliante della sua Gloria (Eb 1,3). E il Padre lo ha voluto spezzare nella sofferenza; voluit conterere eum in infirmitate221. Tristezza e agonia dell’orto. Pater, si possibil222. No, è l’ora della giustizia. Tradimento223, oltraggi, flagelli, incoronazione di spine, canzonature, e la Croce. Rileggere la pagina di Isaia (53,2 sq). Nulla più di umano: Ego sum vermis ecc…224. Il suo corpo è tutto una piaga; la sua anima si è come fusa sotto le sofferenze e le derisioni. E in questo istante: Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato? Non

218 Cfr SAN TOMMASO D’AQUINO, La Somma Teologica, Suppl., q. 9, a. 2: “Anche verso costoro viene usata la misericordia, in quanto sono puniti meno di quanto meriterebbero”. 219 “… diventando lui stesso maledizione per noi” (Gal 3,13). 220 “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora” (Gv 12,28). 221 “… è piaciuto prostrarlo con dolori” (Is 53,10). 222 “Padre, se è possibile…” (Mt 26,39). 223 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Leggenda. La notte dell’Orto Giuda dormì un po’ e sognò, sognò di Gesù, chè solamente si sogna di quelli che si ama o si uccide. E Gesù gli disse: Perché mi baciasti? Potevi indicarmi con la tua spada. Il mio sangue era pronto come una coppa; il mio cuore non rifiutava di morire. Aspettavo che tu tra i rami mostrassi il tuo volto. Perché mi baciasti? La madre non vorrà baciare suo figlio perché tu l’hai fatto. Come potrei cancellare il tuo bacio dalla luce affinché non si sporchino i gigli di questa primavera? Ecco che tu hai peccato contro la confidenza del mondo. Perché mi baciasti? Già quelli che uccisero con il ferro si lavarono, ormai sono puri. Come vivrai ora? Perché l’albero muta la corteccia con piaghe, ma per dare un altro bacio non avrai altre labbra e se baciassi tua madre essa incanutirebbe al tuo contatto come impallidirono quando compresero gli ulivi che ti guardarono. Giuda, Giuda, chi t’insegnò questo bacio? Soffocato rispose e le sue membra si annegavano in un sudore che era di sangue e mordeva le sue labbra per staccarsele, come l’albero la sua corteccia. E sopra il teschio di Giuda le labbra rimanevano, senza cadere, prolungando il bacio. Una pietra gettò sua madre sopra di loro per unirle; la pioggia le inzuppò per imputridirle, invano. Baciano, continuano a baciarsi sotto terra. 224 “Ma io sono verme e non uomo” (Sal 22 [21], 7). potremo mai conoscere quale abisso di sofferenze rappresenti questo abbandono di Cristo da parte del Padre. C’è in esso un mistero del quale nessuna anima scruterà le profondità. Perché o Padre? Propter scelus populi mei percussus est ad mortem225 (Is 53,8). Proprio Filio suo non pepercit Deus, sed pro nobis omnibus tradidit eum226 (Rm 8,32). Il peccato sembrava essere lui stesso: eum, qui non noverat peccatum, pro nobis peccatum fecit227 (2Cor 5,21). L’anima che commette deliberatamente il peccato porta la sua parte ai dolori e agli oltraggi che piombano su Cristo228. Ha versato la sua amarezza nel calice presentato a Gesù durante l’agonia. Era con Giuda per tradirlo; con la soldatesca per coprire di sputi la sua faccia divina, per bendargli gli occhi e schiaffeggiarlo; con Pietro per rinnegarlo; con Erode per deriderlo; con la folla per reclamare furiosamente la sua morte; con Pilato per condannarlo vilmente con un giudizio iniquo. Era coi Farisei che coprivano Cristo spirante col veleno del loro odio insaziabile; coi Giudei per burlarsi di lui e sopraffarlo di sarcasmi; ed essa ha offerto a Gesù, nell’istante supremo per spegnere la sua sete, del fiele e dell’aceto.

Conclusione: Sit ante te quod non vis esse ante Deum229 (Sant’Agostino). Rassegna dei peccati commessi nella vita, con uno sguardo generale230. Confusione: culpa rubet vultus meus231. Recogitabo omnes annos meos in amaritudine animae meae232. Cognizione storica, poi teoretica: saper il male; poi intima: Sentiam per affectum quod sentio per intellectum233 (Sant’Anselmo).

225 “… per la colpa del mio popolo fu percosso a morte” (Is 53,8). 226 “Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi” (Rm 8,32). 227 “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore” (2Cor 5,21). 228 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: Una vecchia biografia di Domenico: una donna di costumi dubbi contrariamente alle sue abitudini una sera trovavasi sola in casa. A un tratto udì bussare alla porta, stranamente. Va a aprire. Le appare un uomo bellissimo, ma in preda a tristezza profonda. Chiede ospitalità per una notte. La donna lo fa entrare, gentilmente, lo prega di sedere, gli offre parte della sua cena. Lo sconosciuto accetta e tace. Ma ecco che sui panni dell’ospite, sulla sedia dove si è seduto appariscono chiazze di sangue. La donna spaventata gli cambia tovagliolo. Dopo qualche istante il sangue affiora nuovamente e la macchia rossa è là davanti a lei, sul petto dello sconosciuto. Allora la misera capisce. L’uomo seduto alla sua mensa non è un uomo qualunque: è il Crocefisso del Golgota; e il sangue che gli scorre è il prezzo dei nostri peccati (Colombo). 229 “Sia davanti a te il tuo peccato, se vuoi che non sia davanti a Dio”. 230 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: La gocciolina di rugiada caduta nel fango. Il gatto che ha toccato il fuoco, l’uccello sfuggito alla rete, l’asino caduto in un pozzo pericoloso non ci cadranno più. E l’uomo invece col peccato? 231 Cfr SEQUENZA Dies irae. 232 “Fuggirò per tutti i miei anni nell’amarezza dell’anima mia” (Cfr Is 38,15). 233 SANT’ANSELMO, Meditatio III. Detestazione, pentimento. Peccatum meum contra me est semper234. Ognuno deve dire: mi rendo conto di quello che ho fatto e ne ho l’animo straziato. Disposizione abituale. Ripetere spesso l’atto di contrizione al ricordo delle mie colpe passate. Applicarsi a espiarle colla penitenza, offrendo a Dio i sacrifici che mi si presentano. Stare attenti ai pericoli. Vigilare sui pensieri e sui sensi. Penetrare sempre di più nella verità che non c’è per me male più grave del peccato. Studiare le più facili occasioni per evitarli. Pregare235 perché l’uomo da solo non può nemmeno detestare il peccato in una maniera salutare. Lo può odiare come lo odia Satana, lo può detestare come l’orribile rovina propria, come lo detesta Satana. E tuttavia staccare la volontà dal peccato, rivolgerla ancora al Vero Bene non è possibile senza la grazia preveniente. La tenebra non potrà mai destare un barlume di luce. Bisogna meditare di più sul peccato per gustare la gioia del Redentore. Apparuit benignitas et humanitas Salvatoris nostri236 (Tt 3,4). Quis me liberabit…? Gratia Dei per Iesum Christum237. Questa d’avere un Salvatore è la più grande gioia, causa delle altre gioie tutte del Cristianesimo. Dio si è obbligato a perdonare: non è speranza, è certezza. Ci ha dato il diritto al perdono. Ubi abundavit delictum, superabundavit gratia238 (Rm 5,20). Quoniam bonus quoniam in seculum misericordie eius239.

Sentire il disordine delle mie operazioni perché aborrendolo mi emendi e mi ordini. Sono tendenze ed inclinazioni, affetti e attacchi che non regolati potrebbero essere occasioni e anche causa di peccati. Inclinazioni né giustificate dalla retta ragione né molto meno dalla ragione illuminata dalla fede. Il loro principio non è soprannaturale ma è dato dalla natura, dal mondo, dalle passioni, dalla carne, dall’egoismo, dagli interessi terreni.

234 “… il mio peccato mi sta sempre dinanzi” (Sal 51 [50], 5). 235 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: • Sta per precipitare un enorme macigno sul convento di San Francesco di Paola. Il santo prega, il macigno si ferma. Nella vita vi sono giorni in cui sul capo sta per cadere un’orrenda disgrazia spirituale. Pregare (Colombo). • Esempio di Sansone col leone; così noi contro il peccato. • Voi perdete un amico e piangete, perdete il padre e piangete maggiormente, perdete la madre e ancora più lungo è il pianto. E chi se ne potrà stupire? Ebbene Dio è per voi tutto ciò che vi ha di più amabile, è un amico come non ve ne hanno, ha delle tenerezze come non ve ne saranno nel cuore di un padre né di una madre. Tutti gli amori paterni e materni presi insieme per fomare un amore solo non daranno mai l’idea completa del suo amore divino. Perciò chi perde Dio, l’amore infinito, perde l’infinito bene. 236 “Quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini” (Cfr Tt 3,4). 237 “Chi mi libererà…? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!” (Rm 7,23-24). 238 “… dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20). 239 “Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre” (Sal 118 [117], 1). Quanti ad esempio che pur forniti di fede ed avvezzi anche alla pietà cristiana non hanno peraltro la giusta concezione della vita perché quasi dimentichi della futura, sono tutti intesi a migliorar la presente e renderla felice. Così altri servono nella prosperità e non nelle avversità, nel primo e non nell’ultimo posto, buoni cogli amici non con i nemici, sanno comandare non ubbidire ecc… ecc… Curare anche che il motivo sia soprannaturale. Pure et debite propter amorem Dei240 (Sant’Ignazio). È l’ordine: per la gloria di Dio. Sive manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis, omnia in gloriam Dei facite241 (1Cor 10,31). Assicurarci della rettitudine del nostro operare: perché aspiri a quella dignità, perché fai questo o quello, perchè ti rattristi o ti rallegri, perché desideri una cosa o ne temi un’altra, ti inquieti o ti compiaci, ami o detesti? La tua operazione è disordinata se non ti è ispirata dalla ragione e dalla fede. Non importa anche se la cosa è in se buona. Sentire i disordini, aborrirli, emendarsi, ordinarci242.

Domandare la conoscenza del mondo, perchè aborrendolo, rimuova da me le cose mondane e vane. Mundus totus in maligno positus est243 (1Gv). Omne quod est in mundo concupiscentia carnis est concupiscentia oculorum, superbia vitae244 (id). Il mondo che è governato dal demonio - princips huis mundi - complesso degli uomini reprobi che non conoscono e non vogliono conoscere Gesù; mundus eum non cognovit245, anzi lo odiano, mundus … me odit246 (Gv 7,7) e odia anche tutti i suoi seguaci, Si mundus vos odit scitote quia me priorem vobis odio habuit247 (Gv 15,18); le cui opere sono perverse, ego testimonium perhibeo de illo quod opera eius mala sunt248 (7,7).

240 “Puramente e debitamente a causa dell’amore di Dio”. 241 “Sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1Cor 10,31). 242 Nella pagina a fianco compare la nota manoscritta: • In un vecchio castello vi era uno strumento di cui nessuno conosceva l’uso. Le corde erano strappate e coperte di polvere. Finalmente arrivò uno straniero. Lo prese, lo pulì, lo aggiustò e al suo tocco uscì un suono meraviglioso. Lasci che il Maestro ti tocchi, pulirà, aggiusterà e la tua anima sarà un’armonia. • Verba delictorum meorum (Sal 22 [21], 2) [“Sono le parole dei miei delitti”]. Vi è una maniera di pensare ai nostri peccati, di meditare sopra il male commesso, di piangere le colpe passate che sfibra l’animo, lo paralizza e lo rende pusillanime. La compunzione non è semplicemente una tristezza solitaria che piange sopra un vasto campo di rovine, una malinconica constatazione di un disastro irreparabile, di uno scacco totale e definitivo, disfatta vergognosa. 243“Tutto il mondo sta in potere del Maligno” (1Gv 5,19). 244 “Tutto quello che c’è nel mondo – la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita…” (1Gv 2,16). 245 “… il mondo non lo ha riconosciuto” (Gv 1,10). 246 “il mondo … odia me” (Gv 7,7). 247 “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me” (Gv 15,18). 248 “… di esso io attesto che le sue opere sono cattive” (Gv 7,7). Arguendum de peccato249 (16,8). Il mondo dunque è il complesso dei principi e delle massime degli uomini sciocchi, frivoli, peccatori e scandalosi. Sono mondo le ricchezze, i piaceri, le glorie, le vanità di quaggiù, i discorsi, i libri, le stampe malsane perché il mondo ha la sua letteratura. Conoscerlo nella sua natura, nelle sue intenzioni, nelle sue arti e nei suoi inganni. Conoscerne la vanità per provarne un supremo disprezzo. Il suo ideale è godere. Vae vobis divitibus, quia habetis consolationem vestram! … Vae vobis, qui ridetis nunc250. Fascinatio enim nugacitatis obscurat bona251 (Sap 4,12). Non pro mundo rogo252. Nolite dirigere mundum253 (1Gv 2). Mihi mundus crucifissus est, et ego mundo”254 (Gal 6, 14). Recusas esse in corpore, si non vis odium mundi sustinere cum capite”255 (Sant’Agostino). Duo sunt amores, mundi et Dei: si mundi amor habitet, non est qua intret amor Dei: recedat amor mundi et habitet Dei; melior accipiat locum256 (Sant’Agostino).

249 Cfr Gv 16,8. 250 “Guai a voi, o ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione… Guai a voi che ora ridete…” (Lc 6,24. 25). 251 “Il fascino delle cose frivole oscura tutto ciò che è bello” (Sap 4,12). 252 “… non prego per il mondo” (Gv 17,9). 253 “Non amate il mondo” (1Gv 2,15). 254 “… il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,15). 255 “Rinunci a far parte del corpo, se non vuoi sopportare insieme al capo l\'odio del mondo” (SANT’AGOSTINO, Commento al Vangelo di San Giovanni, Omelia 87. 2). 256 “Ci sono due amori: quello del mondo e quello di Dio; se alberga in noi l\'amore del mondo, non potrà entrarvi l\'amore di Dio. Si tenga lontano l\'amore del mondo e resti in noi l\'amore di Dio; abbia posto in noi l\'amore migliore” (SANT’AGOSTINO, Commento alla Lettera di San Giovanni, Omelia 2. 8).

VII Meditazione Il Peccato Veniale e la Tiepidezza

Adoreremo le compiacenze infinite che Iddio ha nel Cuore Immacolato di Maria. Ringrazieremo lo Spirito Santo di aver preservato la sua casta Sposa da qualunque attaccamento al male; ci uniremo alla Chiesa tutta per felicitare la mamma purissima di Gesù.

I Punto. Il peccato veniale. 1) È un disordine. È sempre un vero male e questo male è così grave che Iddio l’odia implacabilmente, lo punisce nell’altra vita con terribili castighi e esclude inesorabilmente dal suo Paradiso chiunque se ne renda colpevole fino a che se ne sia purgato. È contro la legge di Dio, ma non così grave da farci incorrere nella disgrazia di Dio e annoverarci tra i suoi nemici. Nei termini pertanto di questa colpa, si rinchiude tutto ciò che costituisce un vero peccato: cioè Dio che comanda e l’uomo che ricusa di ubbidire. Tra il mortale e il veniale non esiste altra differenza che dal più al meno. È un’indegna preferenza che si dà alla volontà dell’uomo. Da parte di una vile creatura e per un vile motivo. Vi è dunque un vero disprezzo di Dio, una ingiuria reale a tutte le perfezioni di Lui. Non leve est Deum in exiguo contemnere257 (San Girolamo). Essendo offesa di Dio è male di Dio. È dunque dopo il peccato grave il più grande di tutti i mali che possono piombare sulle semplici creature sia nel tempo, sia nell’eternità. Sarebbe certo un gran male l’annichilimento e soprattutto la dannazione di tutti gli uomini; eppure dovrebbersi lasciar correre una così lagrimevole sciagura, se non si potesse impedire che a prezzo d’un sol peccato veniale. E maggior male anche sarebbe se, per impossibile, Dio bandisse dal Paradiso la sua Madre Santissima, gli Angeli e tutti gli eletti; ma sarebbe di più male un peccato veniale. Tutte le lagrime dell’umanità, tutti i tormenti dei martiri, le austerità, i travagli, i dolori, la carità di tutti i Santi se non fossero unite alle soddisfazioni infinite del Verbo incarnato non basterebbero a riparare un solo peccato veniale. Quindi se noi stimassimo le cose secondo verità e ragione accetteremmo di buon grado tutte le privazioni e tutti i patimenti, ci sobbarcheremmo a tutti i sacrifici, saremmo disposti se ce ne fosse bisogno perfino a subire la morte anziché commettere uno di quei peccati forse frequenti: dissipazione, leggerezza, sensualità, amor proprio, distrazioni volontarie nella preghiera, mancanza di carità, attaccamenti disordinati coltivati liberamente, perdite di tempo causate così spesso dal capriccio, da

257 “Non è una cosa da poco offendere Dio anche leggermente”. poca mortificazione, da pigrizia. Costituiscono infatti un disordine morale, una disubbidienza a Dio, disprezzo del suo essere divino, violazione dell’ordine stabilito dalla sua sapienza e imposto dalla sua volontà a tutte le creature, abuso dei doni naturali e soprannaturali che la sua bontà ci largisce. Ecco perché i Santi lo fuggivano con tanta cura: «A fuggire un peccato anche lieve io mi getterei in un abisso di fiamme e vi resteri per tutta l’eternità piuttosto che commmetterlo per uscirne» (Santa Caterina da Genova). «Se l’anima di sua natura immortale potesse perire, basterebbe ad ucciderla la vista d’un solo peccato veniale che ne scolorisce la beltà» (Santa Caterina da Siena). «Prima soffrire tutte le pene dell’inferno, o Signore, che commettere un solo peccato veniale» (Sant’Alfonso Rodriguez). Possiamo dire di amare Dio se ci importa così poco di spiacergli, di resistergli quando ci comanda le cose più facili del mondo? Quando contristiamo lo Spirito Santo affliggiamo il Cuore di Gesù? Si Christum vere amaremus, judicaremus utique amati offensam gehenna esse graviorem258 (San Giovanni Crisostomo). 2) Gli effetti del peccato veniale. a) Diminuisce i lumi dello spirito e rende meno vivo il raggio della fede. Ogni peccato veniale è una nube leggera che si alza e si inframmette tra l’intelligenza e il sole dell’eterna verità fino a lasciare nelle tenebre. b) Snerva la volontà. Ogni peccato per lieve che sia è un alimento dato, una concessione a qualche malvagia tendenza. Ciò che si accorda all’amore delle creature si toglie all’amore di Dio. Questi due amori sono come due fiamme di cui una invigorisce del calore perduto dall’altra. Si accrescono le cattive inclinazioni, da cui il languore, una certa impotenza ad operare. A che servono tanti buoni desideri quando non s’incarnano mai: Alae quid prosunt, capto pede? (San Girolamo259). c) Sfigura e degrada un capo d’opera divino. È come una macchia su un drappo, una ferita su un bel volto. Scabies, lo chiama Sant’Agostino e San Cesario dice: Pustolae sunt, quae quidam animam non occidunt, sed eam tamen quasi orrende lepra repletam, summopere deformant260. d) Priva di un grado di più nella grazia e perciò d’un diritto di più nella gloria. Un Dio meno conosciuto, meno amato, meno posseduto per tutta l’eternità!

258 “Se amassimo veramente Cristo, giudicheremmo assolutamente più grave l’offesa dell’amato che l’inferno”. 259 “A che giovano le ali, se il piede è legato?”. In realtà, San Girolamo attribuisce questa frase a Sant’Efraim. 260 “I peccati veniali sono pustole che in vero non uccidono l\'anima, ma la rendono deforme in modo orrendo, quasi fosse percossa da schifosa lebbra”. e) Vengono impedite le grazie speciali che sono la ricompensa del fervore. Noi misuriamo la fedeltà, Dio ci misura i benefici. Ci si rende indegni di una speciale Provvidenza. f) Toglie la gioia e la pace del cuore. L’anima è sempre in agitazione e in tumulto. Non essendo interamente di Dio né del peccato, vive in continua lotta. Interiori consolatione caret, et externam quaerere prohibetur261 (Imitazione di Cristo). g) Guida al peccato mortale, come la malattia alla morte. Nemo repente summus, a minimis incipiunt qui in maxima proruunt262 (San Bernardo). Minuta plura peccata, si negligantur occidunt263 (Sant’Agostino). Diminuisce le forze per il bene, aumenta l’inclinazione pel male e Dio ci tratta come noi trattiamo Lui: Vae qui spernis: nonne et ipse sperneris?264 (Is 33,1). Il peccato veniale è affine al mortale Sorgono dalla stessa radice e sono come due rampolli dello stesso tronco, due frutti dello stesso albero. Hanno il loro principio non nella ragione ma negli istinti depravati della concupiscenza. Di più la somiglianza loro è tale che a stento se ne può scorgere il limite divisorio. La loro essenziale differenza benché indubitabile è uno dei problemi più scabrosi della morale. Quindi l’imbarazzo in cui spesso ci si trova nel determinare in pratica se una colpa sia grave o leggera, onde l’illusione di tante anime che giudicano veniale ciò che realmente davanti a Dio è mortale. Il più spesso un’anima è condotta insensibilmente al mortale dalla facilità con cui si abbandona al veniale. Contrae un abito, non ha più rimorso, scema a poco a poco l’orrore del male, viene ad essere ottusa la delicatezza di coscienza, indebolita la volontà, fortificata la concupiscenza. Così per un pendio insensibile e quasi senza avvedersene l’anima annulla la distanza che la conduce al grave e finisce per cadervi. h) È. castigato da Dio in questa e nella altra vita. Mosè, Aronne, Geremia, Davide, i fanciulli con Eliseo ecc… Il Purgatorio. Anime giuste, predestinate, carissime a Dio che desidera quanto prima unirle alla sua stessa felicità. Invece bandite dal cielo per un tempo talora lunghissimo, condannate al fuoco: Eodeum igne torquetur damnatus, purgatur electus265 (San Tommaso). Perchè in esse resta qualche macchia e Iddio odia infinitamente tutto ciò che sa di peccato. Se un Padre, il più tenero, butta in una bolgia di fuoco il prediletto vuol dire proprio che è molto contristato dal vederlo brutto di colpa.

261 “Gli manca la consolazione interiore, e quella esterna gli viene preclusa” (Imitazione di Cristo, Libro I, Cap. 25). 262 “Nessuno giunge immediatamente all’estremo, precipitano in abissi di iniquità coloro che cominciano dal poco”. 263 “Molti piccoli peccati, se trascurati, uccidono”. 264 “Guai a te, che devasti e non sei devastato” (Is 33,1). 265 “Dallo stesso fuoco è tormentato il dannato, purgato l’eletto”. Il talento non trafficato è causa di condanna, è tolto; se non vi offrono più vasi vuoti l’olio ristagna; l’albero non coltivato appassisce insensibilmente (per inavvertenza prima, con attenzione poi e infine si commettono con malizia).

II Punto. La Tiepidezza. Sono tiepidi coloro che abbandonandosi ogni giorno a un gran numero di falli trascurano di proposito deliberato la cura della perfezione. Non vorrebbero tuttavia vivere nell’odio di Dio e nell’oblio completo della loro eterna salute. Non sono, almeno così credono, fuori della via del cielo, ma invece di correre vi si trascinano penosamente. Si sforzano di mettere insieme due cose incompatibili: il compimento della legge di Dio e la soddisfazione dei loro capricci. In queste anime ci sono eretti due altari in una volta, uno a Dio, l’altro alla creatura. Sul primo compiono ogni tanto qualche atto religioso: fanno qualche preghiera con la quale si tranquillano. Sul secondo bruciano a tanti idoli quante sono le loro inclinazioni, i gusti, le fantasie che possono accontentare senza cadere in peccato mortale manifestamente. L’amore divino non è del tutto estino, manda ancora qualche scintilla, ma è combattuto, contrariato, immerso parzialmente in mille affezioni disordinate e in mille attacchi segreti: sensualità, vanità, mollezza, piccoli rancori, animosità volontariamente coltivate, abitudine riflessa di critica, di mormorazione, disprezzo delle cose piccole ecc… Oltraggia Dio: a) Lo oltraggia in primo luogo nell’eminenza del sue essere adorabile. Iddio è maestà infinita: il più grande, augusto, possente di tutti i padroni. Merita che noi lo serviamo con tutta la cura, con tutto lo zelo e il fervore di cui siamo capaci. Un tiepido invece non ricusa di sottomettersi, ma serve fiacco, oscillante, nauseato; ai doveri verso di lui pensa con languore e apatia desolanti, vi si induce per forza, non come un figlio amoroso cui l’obbedienza è dolce e gradevole, ma come uno schiavo che cede solo per paura. Ostie non profumate. b) Iddio è infinitamente amabile al quale il nostro cuore deve aderire come a un bene sommo, ch’esso deve amare sopra ogni cosa e che merita d’essere lui solo il termine dei suoi movimenti e delle sue aspirazioni. Il tiepido misconosce questa prerogativa: il suo amore è diviso, manchevole e come se Dio non bastasse lo mette a pari con le creature. Sembra dire che Dio non merita tanto rispetto e amore da doversi togliere l’incomodo di servirlo e amarlo totalmente. c) Il tiepido oltraggia Dio anche nei suoi doni. Per aiutarci nei nostri. doveri, non cessa di prodigarci i tesori della sua grazia. Dono che il Padre ci preparò dall’eternità, che il Verbo incarnato ci meritò coi suoi patimenti e la morte, che lo Spirito Santo continua a spandere per mezzo di mille canali sempre aperti. L’anima fervente è penetrata di stima per questo aiuto divino, ci vede il prezzo del sangue di Cristo, vi corrisponde fedelmente. Invece il tiepido ne abusa e il disprezzo che ne fa risale a Dio. La sua vita in cui negligenze, omissioni, peccati si succedono quasi ininterrottamente e sotto qualunque forma è una resistenza continua alla ispirazione dello Spirito Santo, un rifiuto d’obbedienza ostinata e permanente.

X Meditazione Gesù Modello

1) Lectione assidua et meditatione diuturna pectus suum bibliothecam fecerat Christi266 (San Girolamo). Non enim iudicavi scire me aliquid inter vos nisi Iesum Christum et hunc crucifixum267 (San Paolo). 2) Ogni azione di Nostro Signore è così fertile ed effusiva, così potente a riprodursi in altri, così piena di energia e di significato divino, che si rivela in sé come verbo creatore, ed evoca nelle nostre anime veramente un piccolo mondo di bellezza e di consistenza mistica e spirituale. Così conoscendo i misteri dei quali è specialmente devota una anima, arriviamo a scoprire tutta la sua storia spirituale e ci troviamo adatti a scorgere i disegni di Dio su di Lei (Faber).

268

266 “Con la lettura assidua e la meditazione di lunga durata ha reso il suo cuore la biblioteca di Cristo” (SAN GIROLAMO, Epistula LX, Ad Heliodorum). 267 “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso” (1Cor 2,2). 268 Segue il seguente indice stilato da don Pietro, in cui ad ogni argomento viene associato il relativo numero di pagina corrispondente: Introduzione pag. 1 I. Dio e le sue perfezioni pag. 25 II. La Grazia santificante pag. 69 III. Il Fine dell’uomo pag. 117 (Salvezza anima p. 123) IV. Il Peccato mortale pag. 149 V. La Morte pag. 179 VI. L’Inferno pag. 209 VII. Il Peccato veniale e la Tiepidezza pag. 239 VIII. Bontà e misericordia di Dio pag. 263 IX. La Confessione pag. 289 X. Gesù Modello pag. 309 XI. Le Pratiche di pietà pag. 329 XII. La Purezza pag. 349 XIII. La Bontà pag. 371 Nel manoscritto le meditazioni V-VI-VII-IX-XI-XII-XIII sono indicate solo come titolo. QUADERNO 15 - Santi Esercizi Spirituali (s. d.) – SOMMARIO269

Introduzione 2 I Meditazione. Dio e le sue perfezioni 13 II Meditazione. La Grazia santificante 27 III Meditazione. Il Fine dell’uomo 42 IV Meditazione. Il Peccato Mortale 50 VII Meditazione. Il Peccato Veniale e la Tiepidezza 64 X Meditazione. Gesù Modello 69

269 Inserito in fase di redazione.

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