QUADERNO 17
Domenica XIV dopo Pentecoste Dio e la sua Provvidenza nella Storia
Come parlare della Provvidenza a questo mondo che ha perduto il senso del divino nelle cose? che si è dimenticato che Dio agisce nella storia non meno che nella natura? Una stolta filosofia (idealismo) ha portato l’individuo ad una autodivinizzazione; un’altra ha voluto fare della società un colossale idolo. L’individuo e la società si sono creduti autonomi e arbitri assoluti del loro operato. Si sono dimenticati della presenza di Dio, della sua sapienza, della sua giustizia. Di o è n ell a vi ta d ’o gn i uo mo . Lui lo crea: direttamente nell’anima; mediantemente nel corpo. Creata l’anima «posto che non possiamo supporre che i genitori abbiano dato un pezzetto della loro anima indivisibile ai figli». «Ed anche quanto al corpo. Siamo soliti dire che i genitori ci hanno dato la vita. Ma tutti intendono che questo non è un linguaggio proprio ma metaforico. Diciamo che un quadro è opera di un celebre pennello, ma con questo indichiamo lo strumento, volendo designare il principale agente, che è il pittore, il quale si è valso del pennello per dipingere. Sono strumenti; non sanno neppure cosa sia la vita: e come fare quello che non si sa neppure che cos’è? I genitori intanto operano in quanto sono sotto l’azione del principale agente. Cessata questa azione non possono più far niente, come il pennello deposto. Dopo l’azione generativa non potrebbero certo trasfondere un’altra volta la vita nel figlio morto». (Marchetti)
Lui gli dà particolari doti di anima e di corpo. Robustezza fisica, doti intellettuali. Lui lo fa nascere in un determinato ambiente, a contatto di determinate persone. Lui gli dà determinate grazie per la salvezza dell’anima. Lui alla nascita gli assegna un determinato numero di giorni, di minuti di vita. Constituisti terminos eius, qui praeteriri non poterunt1. Lui sorveglia attentamente la sua vita e tutto il suo svolgersi. Vede tutto, azioni buone e cattive, nota anche i pensieri più reconditi, ascolta tutte le parole. Uscite sulla strada e ascoltate le bestemmie che quel disgraziato pronuncia con ostentazione e indifferenza. Non dubitate, Dio ascolta tutto. Qui plantavit
1 Nella NOVA VULGATA: “… et constituti sunt termini eius, quos non praeteribit – … hai fissato un termine che non può oltrepassare” (Gb 14,5). aurem, non audiet?2. Ascolta; per ora tace, ma Lui sa: tutto quello che ha fatto quell’uomo, tutto quello che farà, quanto tempo (anche i secondi) che ha ancora di vita. Non temete: la sua giustizia si compirà. Reddet usque ad novissimum quadrantem3. Guardate quella povera donna in lacrime. Ha fatto sempre del suo meglio e le disgrazie si sono succedute alle disgrazie. Non ne ha avuto una di buona. Non temete: le sue lacrime sono state contate, i suoi sospiri Dio li ha ben ascoltati. Per questi pochi anni di sofferenza Lui le ha già preparato un’eternità di gaudio dove le gioie saranno accumulate alle gioie. Bisogna che ci sentiamo suoi. Domini sumus4. Ci ha fatti, siamo continuamente nelle sue mani. Dobbiamo sentire la nostra totale dipendenza da Lui. Siamo sospesi sull’abisso nel nulla e, se peccatori, sull’abisso dell’inferno. La preghiera di dipendenza. Esempi biblici: Faraone disprezzatore di Dio5, il re Antioco6. Il sacrilego Baldassare7. Eliodoro8. Giuseppe Ebreo9. Aman e Mardocheo10. Dio nella società. È padrone della società. Tutti gli uomini sono meno che un pugno di polvere davanti a Lui. Per lui il tempo non esiste: mille anni ante oculos tuos tamquam dies hesterna, quae praeteriit11. Muove solo Lui gli ingranaggi della storia: i capi degli Stati non sono che semplicissimi strumenti o della sua bontà o della sua ira. Gli imperatori e i consoli romani non sapevano che tutte le loro guerre e i loro trionfi erano solo per preparare la strada al Vangelo. Il male servirà solo per dare risalto al bene. Se non ci fossero stati i tiranni non ci sarebbero stati i martiri: la loro gloria, la loro grandezza, il loro trionfo. Parabole della zizzania12, della rete13 ecc… «Un filosofo, Jules Simon14: Ognuno di noi fa la sua parte, ma la storia è composta da Dio. La storia umana si può paragonare a un immenso campo di battaglia. I veri corpi (descrivere) si muovono e combattono. L’apparenza esteriore dà l’impressione di un caos. Il soldato perduto nella mischia non vede che disordine, non ascolta che urla e spari. Ma il generale sa tutto e dirige ogni singolo reparto verso la vittoria finale. Così la storia. Popoli che sorgono e che scompaiono, guerre e paci, persone buone e tiranni, partiti in lotta,
2 “Chi ha formato l’orecchio, forse non sente?” (Sal 93 [92], 9). 3 Nella NOVA VULGATA: “Donec reddas novissimum quadrantem – Non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo” (Mt 5,26). 4 “… siamo del Signore” (Rm 14,8). 5 Cfr Es 5-14. 6 Cfr 1Mac 1,10-28. 7 Cfr Dan 5. 8 Cfr 2Mac 3. 9 Cfr Gen 37-47. 10 Cfr Libro di Ester. 11 “Mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato” (Sal 90 [89], 4). 12 Cfr Mt 13,24-30. 13 Cfr Mt 13,47-48. 14 Pseudonimo dello scrittore e uomo politico francese François-Jules-Simon Suisse (1814- 1896). persecuzione contro la religione, trionfo di malvagi. Una mescolanza di fatti inaspettati che ci stupiscono e di cose ingiuste che ci irritano. Questo combattimento di secoli tra verità e errore, giustizia e ingiustizia ha un ordinatore supremo: Dio. E Dio ha il suo piano, il suo disegno. In mezzo agli avvenimenti tumultuosi, nella dispersione delle nazioni, Egli va reclutando i suoi eletti. Tale è il piano grandioso a cui sono subordinati tutti i fatti che egli permette o vuole; sorgono e cadono gli imperi, si succedono le dinastie per questo, e non per altro. Il filo conduttore della storia umana è ben indicato da queste parole rivelatrici: Omnia propter electos15. Dio rispetta il libero arbitrio ma qualunque violazione dei suoi ordini ha un contraccolpo nella vita sociale e non si può calpestare impunemente la legge divina. L’oceano è un rimescolarsi immenso di flutti. Così Egli lascia alla libertà umana la sua attività permettendone le agitazioni più capricciose, ma nello stesso tempo la trattiene, la padroneggia. Egli si serve dei giusti e dei malvagi. La storia ce lo manifesta così padrone: lascia fare ma non strafare. Anche l’impreveduto manifesta il governo di Dio. “Cromwell era sul punto di consumare la rovina del cattolicesimo: la famiglia reale era perduta, e la sua divenuta potente come non era stata mai. Roma stessa tremava. Ma ecco un piccolo granello di sabbia s’introdusse insidiosamente nelle sue viscere. Bastò così poco per condurlo a morte; la sua famiglia rientrò nell’oscurità in cui era sorta, tornò la pace e il re fu richiamato” (Pascal16). Che cos’è un granello di sabbia? Un nulla in apparenza, eppure questo nulla basta a sconvolgere tutti i disegni, tutte le probabilità degli affari umani. Diceva Benedeck prima di Sadowa: Mi incarico io della vittoria, se Dio si mantiene neutrale. Dio è eterno; svolge un dramma i cui atti durano secoli e secoli; per scoprire la trama bisogna attendere la conclusione. Nell’attendere, noi oscuri soldati perduti nella mischia, stiamo fermi ai nostri posti di combattimento: ciò deve bastarci. Per quanto sia fitto il buio e dura la prova della vita presente attendiamo con incrollabile fiducia e con sicura tranquillità la grande ed infallibile giustificazione che il futuro ci prepara». (Mons. Gibier)
«Il supremo dominio di Dio si manifesta in quell’intreccio sublime di avvenimenti e di meraviglie che si svolgono man mano dalla culla dell’umanità al rinnovamento dei tempi per opera di Cristo, e da Lui fino ai nostri giorni, giorni di progresso, di lotte e di immense sventure. Oracoli, prodigi, rivelazioni; vocazioni di popoli, successioni predette di imperi; servitù, liberazioni, delitti, ripudio della nazione predestinata; nascita laboriosa e sanguinosa della Chiesa, trionfo di un suppliziato e di dodici miserabili pescatori sull’odio feroce dei Cesari e del loro impero, conquista
15 “ogni cosa per quelli che Dio ha scelto” (2Tm 2,10). 16 BLAISE PASCAL, Pensieri, 221. dell’universo per opera del cattolicesimo, fiorire eroico e costante delle virtù dei Santi in mezzo all’egoismo e alla corruzione del secolo, il trionfare magnifico del Papa inerme ecc... E almeno lasciamoci istruire dalle catastrofi improvvise che colpiscono i popoli tanto da poter dire: digitus Dei est hic17». (Monsabré)
Altro esempio: gli operai che lavorano a una grande costruzione (esemplificare) non possono capire la bellezza e l’ordine architettonico: il loro lavoro è molto umile, ma se ognuno fa la sua parte l’architetto ne caverà un edificio che sarà l’ammirazione dei posteri. Ecco la storia umana. I popoli che la compongono non ne capiscono il disegno: costruiscono l’edificio, ma senza intenderne l’unità e l’armonia. Ma vi è chi tutto vede, tutto regola: Dio. Nel primo piano della storia stanno le passioni umane; voi non vedete che ambizioni in lotta fra loro. Ma fissate meglio lo sguardo in questo agitato cantiere e apparentemente confuso: Dio è là e sorveglia tutto: tiene in suo dominio queste agitazioni, fa servire gli individui non meno che i popoli ai suoi eterni disegni. (Mons. Gibier)
Zorobabele18 timoroso di non poter edificare il Tempio ebbe da Dio una visione che lo confortò. Vide un candelabro con sette luci accese e nello stesso tempo sette canali che portavano l’olio per alimentare le fiamme. Nella notte e nel mistero dei tempi e dei secoli sta la luce di Dio e non verrà mai meno perché parte dal suo Amore e Misericordia infinita.
17 “È il dito di Dio” (Es 8,15). 18 Cfr Zac 4-6.
Domenica XV dopo Pentecoste
Il Timore di Dio
Accepit autem omnes timor19. Furono presi da timore di Dio vedendo il miracolo, segno sensibile della sua presenza. Noi vediamo molte opere meravigliose della potenza e della grandezza di Dio, vediamo tremendi castighi, leggiamo terribili minacce nella Sacra Scrittura, e in noi non c’è il timore di Dio. Eppure sta scritto: Initium sapientiae timor Domini20 e Beatus homo, qui semper est pavidus21. Gesù il Maestro dell’Amore: Et nolite timere eos, qui occidunt corpus, animam autem non possunt occidere; sed potius eum timete, qui potest et animam et corpus perdere in geenna22. Motivi per avere il timore. Sopra noi è Dio grandissimo e potentissimo. Semper quasi tumentes super me fluctus, timui Deum23 (Gb 31). Domine, rex omnipotens, in dictione enim tua cuncta sunt posita, et non est qui possit tuae resistere voluntati24. Quis non timebit te, o Rex Gentium?25 (Ger). È Padre e Creatore nostro «Dominus». Dio è sempre a noi presente e conosce e nota i nostri atti per poi giudicarli e assegnare il premio o il castigo. Occhio a cui niente sfugge. San Giovanni Crisostomo: Quomodo comparabitur iste timor? Si cogitaverimus Deum ubique praesentem esse, audire omnia, omnia videre, etiam quae in corde sunt, et in profundo animi. Dic mihi: si tibi semper proxime principem standum esset, non cum timore adstares? Quando comedis, cogita praesentem esse Deum, adest enim. Quando dormiturus es, quando irasceris, quando rapis, quando deliciaris, et quidquid tamem feceris, cogita adesse Deum, et numquam in risum incedes, numquam ad iram accenderis. Si cogitationem istam semper habueris, semper in timore eris ac tremore, tanquam si prope Regem astares26.
19 “Tutti furono presi da timore” (Lc 7,16). 20 “Principio della sapienza è il timore del Signore” (Sal 111 [110], 10). 21 “Beato l’uomo che sempre teme” (Pr 28,14). 22 “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo” (Mt 10,28). 23 Nella NOVA VULGATA: “… quia timor super me calamitas a Deo – perché mi incute timore il castigo di Dio” (Gb 31,23). 24 “Signore, re che domini l’universo, tutte le cose sono sottoposte al tuo potere e non c’è nessuno che possa opporsi nella tua volontà” (Est 4,17b). 25 “Chi non temerà te, o re delle nazioni?” (Ger 10,7). 26 “Come si acquisterà questo timore? Se avremo pensato che Dio è presente ovunque, che sente ogni cosa, vede ogni cosa, anche quelle che sono nel cuore, e nella profondità dell’anima. Dimmi: se tu dovessi stare sempre alla presenza di un Principe, non vi staresti L’i n certe z z a d el l a n o stra sa l vezz a . Non sappiamo se siamo in grazia di Dio e se anche lo sapessimo ignoriamo se vi persevereremo. Qui stat, videat ne cadat27 (1Cor 10). Cum timore et tremore salutem vestram operamini28. Videte vosmetipsos, ne perdatis, quae operati estis29 (2Gv). Tene quod habes, ne alius accipiat coronam tuam30 (Ap 3). I naviganti temono fin che sono in mare, ed è in gioco solo ciò che è temporale: e noi? Sicut mercatores inter navigandum etsi ventum propitium et mare tranquillum nacti sint, necdum ad portum pervenerint, metuunt ne quo modo repente, contrario vento exicitato vestuet mare et navis periclitetur: sic et cristiani licet habeant in se prosperum ventum S. Spiritus, ad huc tamen formident, ne ventus adversariae potistatis insurgat, qui flet, et tempestatem fluctusque moveat animis corum31 (San Macario senior). Artifex, etiamsi bene peritus sit, et valde artificiosus, cum timore tamen et tremore stat metuens, ne ab aedificio decidat; et tu credidisti, multa bona parasti in sublime ascendisti; cante teipsum continebis, et cum timore stabis, oculum que vigilantem habelis ne inde decidas. Sunt enim multae nequitiae spirituales, quae te deicere conantur 32(San Giovanni Crisostomo). Non fuit in populo Hebreorum dignor imperior, quam Saul: et tamen ille e Dei amicizia lapsus et reprobatus est. Non erat vir ita secundum cor Dei, ut erat David, et tamen ille Dei gratia excidit, non uno sed duplici lapsii; tametsi in gratiam postilimunio rediit. Non erat sapientior quisquam Salomone, et tamen et ipse ad extremum dementatus et gravissime lapsus est; incertum an resipuevit. Ecce inter tres primos Hebreorum reges, primus initio regni, secundus in medio, tertuis in fine gratia Dei excidit, cum pruis
con rispetto? Quando mangi, pensa che Dio è presente, infatti c’è. Quando sei sul punto di dormire, quando ti arrabbi, quando ti affretti, quando ti diverti, e qualunque cosa tu abbia fatto, pensa che Dio c’è, e mai proromperai in un riso scomposto, mai sarai trasportato dall’ira. Se tu avrai sempre questo pensiero, sarai sempre nel timore e rispetto, come se tu stessi davanti al Re” (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Commetarius in omnes divi Pauli Epistolas, MDCCXVII). 27 Nella NOVA VULGATA: “Qui se existimat stare, videat, ne cadat – Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere” (1Cor 10,12). 28 Nella NOVA VULGATA. “Cum metu et tremore vestram salutem operamini – Dedicatevi alla vostra salvezza con rispetto e timore” (Fil 2,12). 29 “Fate attenzione a voi stessi per non rovinare quello che abbiamo costruito” (2Gv 1,8). 30 Nella NOVA VULGATA: “Tene quod habes, ut nemo accipiat coronam tuam – Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona” (Ap 3,11). 31 “Come i mercanti durante la navigazione, sebbene abbiano incontrato vento propizio e mare tranquillo ma non siano ancora giunti in porto, temono che il mare si copra di un vento contrario violento e in qualche modo improvviso e che la nave sia in pericolo, così anche i cristiani, sebbene abbiano su di sé il vento favorevole dello Spirito Santo, tuttavia ancora hanno paura che si levi il vento della potenza avversaria, che soffi e provochi la tempesta e i flutti davanti agli animi” (San Macario senior). 32 “Sebbene l’artefice sia un buon conoscitore ed esperto nell’arte, tuttavia sta con timore e rispetto temendo di cadere dall’edificio; così tu hai creduto, hai acquistato molti beni, sei salito in alto, ti tratterrai dal canto e starai con timore e avrai l’occhio vigile affinché tu non cada di là. Ci sono infatti molti vizi spirituali, che tentano di abbatterti” (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento alla lettera ai Filippesi, Omelia VIII). essent omnes dilecti a Deo, et virtutibus excellentes. Quis ergo sibi non metuat? “Quis in lubrica via lapsus non metuat?33 (San Girolamo). Anchora cordis est pondus timoris; et sicut maioribus et ditioribus navibus mayor anchora opus est; ita quo iustior homo, majore timore eget34 (San Gregorio Magno). Hinc bene de Simeone: Simeon justus et timoratus35. Il giusto teme di più perché ha di più; teme più il ladro il viaggiatore ricco. Pericoli e nemici che insidiano. Quid aliud in mundo quam pugna adversus diabolum quotidie geritur? quam adversus iacula eius et tela conflictationibus assiduis dimicatur? Cum avarizia nobis, cum impudicitia, cum ira, cum ambitione congressio est: cum carnalibus vitiis, cum illecebris saecolaribus assidua et molesta luctatio est. Obsessa mens hominis, et undique diaboli infestatione vallata, vix occurit singulis, vix resistit. Si avarizia prostrata est, exurgit libido: si libido compressa est, succedit ambitio; si ambitio contempta est, ira exasperat, inflat superbia, vinolentia invitat36 (San Cipriano). Nessuno sia sicuro del bene passato: vi sono tanti lacci, nemici, burroni. La nostra via già dura ha tanti ladri, scogli che non possiamo stare senza timore come uno che passi su un profondo precipizio. La nostra fragilità e incostanza. Un legno corroso dai tarli. Basta una mosca per inquietarci, un dolore per disperarci, un giorno per mutare desideri e opinioni, basta un piacere per attirarci. La nostra vita passata piena di peccati. Quanti, quanto gravi. Le nostre confessioni saranno state buone? Ivisti prius ad infernum sine licentia [absolutione], nunc ibis cum licentia [cum absolutione] (San Alberto). Comprehenderunt me iniquitates meae et non potui ut viderem37. Delicta quis intelligit? ab occultes meis munda me et ab
33 “Non ci fu nel popolo Ebreo re più degno di Saul: e tuttavia egli si allontanò dall’amicizia con Dio e fu riprovato. Non c’era uomo secondo il cuore di Dio così come lo era Davide, e tuttavia egli venne meno alla grazia di Dio, non per una ma per doppia caduta; eppure ritornò di nuovo in grazia. Nessuno era più sapiente di Salomone, e tuttavia anche lui alla fine impazzì e cadde assai pesantemente; non si sa se sia ravveduto. Ecco tra i tre primi re degli Ebrei, il primo all’inizio del regno, il secondo a metà, il terzo alla fine vennero meno alla grazia di Dio, pur essendo stati tutti già amati da Dio, e superiori nelle virtù. Chi dunque non debba temere per sé? Chi caduto in una via pericolosa non debba temere?”. 34 “La forza del timore è àncora del cuore; e come è necessaria un’àncora più grande alle navi più grandi e più ricche, così l’uomo più giusto ha bisogno di un timore maggiore”. 35 “Bene è detto di Simeone: Simeone, uomo giusto e pio (Lc 2,25)”. 36 “Cos’altro nel mondo si combatte ogni giorno se non la battaglia contro il diavolo? Cos’altro si combatte se non contro i suoi dardi e frecce con assidui scontri? Lottiamo contro l’avarizia, contro l’impudicizia, contro l’ira, l’ambizione; la lotta assidua e fastidiosa è contro i vizi della carne, contro le lusinghe del mondo. La mente dell’uomo assediata, da ogni parte circondata dalla persecuzione del diavolo, a mala pena si oppone contro ciascuno, a mala pena resiste. Se l’avarizia è stata prostrata, si solleva la libidine; se la libidine è sconfitta, viene l’ambizione; se l’ambizione è spezzata, l’ira s’accende, la superbia gonfia, l’ebrezza tenta” (SAN CIPRIANO, De Mortalitate). 37 “Le mie colpe mi opprimono e non riesco più a vedere” (Sal 40 [39], 13). alienus parce servo tuo38. Iniquitatem meam annuntiabo et cogitabo pro peccato meo39. Timore del debitore verso il creditore. Nihil mihi conscius sum, sed non in hoc iustificatus sum40. Etsiamsi habuero quidpiam iustum, non respundebo ei. Sed iudicem meum deprecabor41 (Gb). Da peccati veniali ripetuti a poco alla volta è facile cadere in gravi. Quanti vincitori sono stati vinti dalla superbia e dalla vanagloria. Quanti amicissimi di Dio sono finiti malamente (Lucifero, Saul). Da luminari della Chiesa a eretici (Origene, Tertulliano). Et haec sanctis causa est tremendi atque metuendi ne ipsis operibus pietatis elati deserantur ope gratiae et remaneant in infirmitate naturae42 (San Leone Magno). Il giudizio di Dio che ci attende: Dio giudice invincibile in potenza, infallibile in sapienza, inviolabile in giustizia. Vivo ego, dicit Dominus, quia si fuerit Iechonias, filius Ioachim rex Iudae, anulus in manu dextera mea, inde evellam eum43 (Ger). Non ha perdonato agli angeli, a Mosè, a Aronne; per un solo peccato (Adamo) ha castigato tutta la posterità. Basta un peccato mortale a dare l’inferno per tutta l’eternità. Santa Caterina da Siena per una lieve distrazione nella preghiera fu così acerbamente ripresa da Cristo che diceva che avrebbe preferito essere confusa davanti a tutto il mondo piuttosto che ancora avere una simile confusione. Verebar omnia opera mea, sciens quod non parceres delinquenti44 (Gb). Iudicia tua abissus multa45. Vae miseris nobis, qui de electione nostra nullam adhuc Dei vocem cognovimus, et iam in otio quasi de securitate torpemus…Vae etiam laudabili vitae hominum, si remota pietate iudicetur, quia districte discussa inde ante oculos iudicis unde se placere suspicatur obruitur46. Non intres in iudicio cum servo tuo47.
38 Nella NOVA VULGATA: “Errores quis intellegit? Ab occultis munda me et a superbia custodi servum tuum – Le inavvertenze, chi le discerne? Assolvimi dai peccati nascosti. Anche dall’orgoglio salva il tuo servo” (Sal 19 [18], 13-14). 39 Nella NOVA VULGATA: “Quoniam iniquitatem meam annuntiabo et sollicitus sum de peccato meo – Ecco, io confesso la mia colpa, sono in ansia per il mio peccato” (Sal 38 [37], 19). 40 “Anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato” (1Cor 4,4). 41 Nella NOVA VULGATA: “Quantus ergo sum ego, ut respondeam ei et loquar delectis verbis cum eo? Quia, etiamsi iustus essem, non responderem, sed meum iudicem deprecarer – Io, anche se avessi ragione, non potrei rispondergli; al mio giudice dovrei domandare pietà” (Gb 9,15). 42 “E questa è per i santi causa di timore e paura: che inorgogliti per le opere stesse di pietà siano abbandonati dall’aiuto della grazia e rimangano nella debolezza della natura” (SAN LEONE MAGNO, Tractatus XXXVIII.3). 43 “Per la mia vita – oracolo del Signore – anche se Conia, figlio di Ioiakìm re di Giuda, fosse un anello da sigillo nella mia destra, io me lo strapperei” (Ger 22,24). 44 Nella Nova Vulgata: “Vereor omnes dolores meos, sciens quod non iustificaveris me – Mi spavento per tutti i miei dolori; so bene che non mi dichiarerai innocente” (Gb 9,28). 45 “… il tuo giudizio come l’abisso profondo” (Sal 36 [35], 7). 46 “Ah, poveri noi, che per nostra elezione ancora non abbiamo conosciuto la voce di Dio, e già rimaniamo intorpiditi nell’ozio quasi per negligenza. Guai anche alla vita pregevole degli uomini, se è giudicata da una pietà remota, perché va in rovina, discussa Le pene che ci aspettano a castigo dei nostri peccati in questa vita e più nell’altra: inferno o purgatorio. A uno dei due fuochi noi andremo: come non temere? Quelli che all’improvviso per una paura incanutiscono; e noi? “Ille igitur ego, qui ob gehennae metum tali me carcere ipse damnaveram, scorpionum tantum socius et ferarum48. I p eri co l i d el l ’o ra d ell a mo rte . Quando arriveremo a quel passaggio? disterà molto? Il timore dei condannati a morte, anche se sono trattati bene, hanno sempre presente il pensiero. Hanno temuto i santi; e noi? Ego diebus ac noctibus operior cum tremore, reddere novissimum quadrantem, quod mihi dicatur: Hieronime, veni foras49 (San Girolamo). Vae mihi misero! cum venerit dies iudicii, et aperti fuerint libri conscientiarum, cum dicetur de me: ecce homo et opera eius. Quid faciam tunc, Domine, Deus meus, cum coeli revelabunt iniquitatem meam, et adversum me terra consurget? Ecce nihil respondere potero, sed demisso capite prae confusione, coram te stabo trepidus et confusus50 (Sant’Agostino). Confige timore tuo carnes meas, a iudiciis enim tuis timui51. Timenti Deum non occurrent mala52. Se Dio ci dà gli aiuti dunque prendiamoli, se ci porge la mano, se ci dà una tavola di salvezza approfittiamone: se picchia alla porta apriamogli, e rispondiamogli con San Paolo: Domine, quid me vis facere?53 Se ci guarda come San Pietro, piangiamo anche noi amaramente. (Fabri)
Il timore entrò in tutti, ma poi glorificarono Dio. 1. Il timore è il principio della vita religiosa. Obiezione comune il dire che la Religione è cosa irragionevole, sentimento inferiore indegno della dignità umana perché parte dal timore. Quanto si è scritto dai nemici della Religione (filosofi, poeti, scienziati) su questa pretesa origine della Religione dalle basi forti. Nello sbigottimento: doversene guardare come da debolezza. Il Titanismo glorificò l’uomo contro Dio: vinto il timore e il terrore della Divinità. 2. Cause di questa ribellione antiche e diffuse.
rigorosamente davanti agli occhi del giudice da cui suppone di piacere” (SAN GREGORIO MAGNO, Moralia, XXIX.34). 47 “Non entrare in giudizio con il tuo servo” (Sal 143 [142], 2). 48 “Io dunque, sì proprio io mi ero inflitto una tale prigione per timore dell’inferno, compagno soltanto di scorpioni e bestie selvatiche” (SAN GIROLAMO, Epistola 22, Ad Eustochium, n. 7). 49 “Io attendo giorno e notte con timore di rendere conto fino all’ultimo quattrino, poiché mi si dica: Girolamo, vieni fuori” (SAN GIROLAMO, Epistola 6). 50“Povero me! Quando sarà giunto il giorno del giudizio e saranno stati aperti i libri delle coscienze, quando di me si dirà: ecco l’uomo e la sua opera. Che cosa dovrei fare allora, o Signore Dio mio, quando i cieli sveleranno la mia iniquità e la terra sorgerà contro di me? Ecco io non potrò rispondere nulla, ma a capo chino per il turbamento, davanti a Te starò timoroso e confuso” (SANT’AGOSTINO, Meditationes, XXXIX; PL 40, 937). 51 Nella NOVA VULGATA: “Horruit a timore tuo caro mea; a iudiciis enim tuis timui – Per paura di te la mia pelle rabbrividisce: io temo i tuoi giudizi” (Sal 119 [118], 120). 52 “Chi teme il Signore non incorre in alcun male” (Sir 33,1). 53 “Signore, cosa vuoi che io faccia?” (At 22,10). Virgilio: felice chi ha forza; calcare strepitum Acherontis avari54, il terrore cioè dell’aldilà. Il serpente suggerì a Eva di non aver timore di Dio55. Nella vita individuale: la colpa nasce dallo scrollare il timore. Si dice: posso, voglio; perché non dovrò fare? perché accettare qualcuno a me superiore? 3. Natura del timore. Non deve essere cosa indegna, misera, timore servile. Nasce da una Verità: rapporti tra noi e Dio. Più lo si conosce e più lo si deve temere. Noverim te ecc…56. Haec est vita aeterna ut cognoscant te57. Chi sei tu e chi sono io (San Francesco d’Assisi). Di qui la vera umiltà cioè conoscenza esatta di Dio e di noi. 4. Il buon timor di Dio. Gli antichi conoscevano e temevano. Noi, anche Padre: Credo in Deum Patrem, dove la parola «Padre» è messa tra «Dio» e «onnipotente» a ricordare. Nasce oltre che dalla verità anche dall’amore. Timore di deturpare in noi la sua immagine. Timore di offenderlo e desiderio di glorificarlo: praeco sum magni Dei58 (San Francesco d’Assisi). Ascoltiamo: Venite filii, timorem Domini docebo vos59. Giuditta erat in omnibus famosissima quoniam timebat Dominum valde nec erat qui loqueretur de illa verbum malum60. 5. Dio può punire: la sua natura esige distinzione tra bene e male. Non può essere indifferente. 6. Dio punisce: sua giustizia, chi può fuggire (Nerone, Napoleone). Tanto è buono, tanto è giusto. 7. Dio vuole una soddisfazione per il peccato. Gesù ne è la vittima. Proprio Filio suo non pepercit61. Egli stesso si in viridi […] in arido62. 8. Modo. Nascostamente. Togliere oggetto del peccato (hic fame pereo63), figlialmente. Filippo il Bello dopo scritto lettera importantissima invece di spolvero rovesciò inchiostro. Non s’arrabbiò: lacerò in pezzi minuti e con calma rifece. Ita et vos64. (Osservatore Romano ’39 – Arco)
54 “… mettere sotto i piedi lo strepito dell’avido Acheronte” (VIRGILIO, Georgiche, II, 492). 55 Cfr Gen 3,4-5. 56 “Che io conosca te” (SANT’AGOSTINO, Confessioni, I. 10). 57 “Questa è la vita eterna: che conoscano te” (Gv 17,3). 58 “Sono araldo del grande Dio”. 59 “Venite, figli, ascoltatemi: vi insegnerò il timore del Signore” (Sal 34 [33], 12). 60 Nella NOVA VULGATA: “Et non erat qui inferret ei verbum malum, quia timebat Deum valde – Né alcuno poteva dire una parola maligna a suo riguardo, perché aveva grande timore di Dio” (Gdt 8,8). 61 “… che non ha risparmiato il proprio Figlio” (Rm 8,32). 62 “Quia si in viridi ligno haec faciunt, in arido quid fiet? – Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?” (Lc 23,31). 63 “… e io qui muoio di fame!” (Lc 15,17). 64 “Così anche voi” (Lc 21,31). 1. Pochi al mondo temono Dio. Se tutti lo temessero quale diversità vi sarebbe. Timor Domini sicut Paradisus benedictionis65 (Eccl 40,28). 2. Inculcato ripetutamente nella Sacra Scrittura. Timete Deum è detto in ogni pagina, timeat omnis terra66. Fili mi, Deum time67 (Pr 24,21), in tota anima time68 (Eccl 7,31). Deum time et mandata eius observa: hoc est omnis homo69. Di Giobbe: vir simplex et timens Deum70. Non basta essere fidati, onesti, ecc… Ma … Tobia al figlio: multa bona habebimus si timuerimus Deum71. Se i genitori facessero altrettanto. Il più bel ornamento (professione, eredità, patrimonio) che i genitori possono lasciare ai figli. 3. Ragione: O siamo peccatori o siamo giusti. Se peccatori: prima gratia est timor Domini72. Infatti poenitentiae initium solet esse timor Domini73 cioè il pensiero di Dio offeso. Così i Niniviti si ravvidero74. Così gli Ebrei alle parole di Mosè e Profeti. I Santi penitenti. Timor Dei expellit peccatum […] nam, qui sine timor est, non poterit iustificari75 (Eccl 1,22). Nessuno si emenda se non per timore: stultus quasi per risum operatur scelus76. Se giusti: I Santi furono intrepidi perché temevano Dio: qui timet Deum faciet bona77. Eleazaro: suppliciis his eripiar, sed manum omnipotentis Dei nec vivus nec defunctus effigiam78. Giuseppe: quomodo possum peccare in Dominum?79. Susanna: erat timens Deum80. Giuditta: timebat Deum valde81.
65 “Il timore del Signore è come un giardino di benedizioni” (Sir 40,27). 66 Nella NOVA VULGATA: “Timeat Dominum omnis terra - Tema il Signore tutta la terra” (Sal 33 [32], 8). 67 “Figlio mio, temi il Signore” (Pr 24,21). 68 Nella NOVA VULGATA: “In tota anima tua time Dominum – Con tutta la tua anima temi il Signore” (Sir 7,29). 69 “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti” (Qo 12,13). 70 Nella NOVA VULGATA: “Vir ille simplex et rectus ac timens Deum – Uomo integro e retto, timorato di Dio” (Gb 1,1). 71 Nella NOVA VULGATA: “Habes multa bona, si timueris Deum – Tu hai una grande ricchezza se avrai il timore di Dio” (Tb 4,21). 72 “La prima grazia è il timore del Signore” (Cfr SAN BERNARDO, De septem donis Spiritus Sancti sermo). 73 “L’inizio del pentimento di solito è il timore di Dio” (Cfr SAN TOMMASO, Summa Teologica, II.II, q.10, a.7). 74 Cfr Gn 3,1-10. 75 “Il timore del Signore tiene lontani i peccati” (Sir 1,21). 76 “Per lo stolto compiere il male è un divertimento” (Pr 10,23). 77 “Chi teme il Signore farà tutto questo” (Sir 15,1). 78 “Anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non potrei sfuggire, né da vivo né da morto, alle mani dell’Onnipotente” (2Mac 6,26). 79 Nella NOVA VULGATA: “Quomodo ergo possum malum hoc magnum facere et peccare in Deum? – Come dunque potrei fare questo grande male e peccare contro Dio?” (Gen 39,9). 80 Nella NOVA VULGATA: “… timentem Dominum – …timorata di Dio” (Dan 13,2). 81 “… aveva grande timore di Dio” (Gdt 8,8). Delle donne dice la Scrittura: mulier timens Deum ipsa laudabitur82. 4. Dio promette bene a chi lo teme. Non mancherà del bisognevole (non est inopia timentibus eum83). Saranno liberati dal male (Timenti Deum non ocurrent mala84). Vita lunga: timor Domini apponent dies et anni improrum breviabuntur85. Morte santa: timenti Deum bene erit in extremis86 5. Eppure pochi temono Dio: Nolite timere eos, qui occidunt corpus87. Dio dice: pena l’inferno a chi mi strapazza. Allora: confige timore tuo carnes meas88 (Piano, Arc.) Et misericordia eius a progenie in progenies timentibus eum89.
Il timore si può definire: quella virtù per cui temiamo di offendere Dio. Tobia ne spiegò la natura: “Abbi in tutti i giorni di tua vita il timore di Dio innanzi agli occhi, e guardati dal commettere alcun peccato, violando le leggi sue”90. Non timore servile: Timor iste, quo non amatur justitia, sed timetur poena, servilis est91 (Sant’Agostino). Ma filiale: temere di offendere Dio e violare la sua legge per paura di perdere la sua grazia e la sua amicizia. Qui timet Dominum nihil trepidabit92. In timore Domini fiducia fortitudinis93. Fortezza dunque di chi teme Dio. Cresce crescendo la carità (Crescit crescente charitate, San Tommaso94). Si evita ogni peccato: In timore Domini declinatur a male95 (Pr 16). Si cerca di piacergli sempre più: Qui timet Deum nihil negligit96. Si è tranquilli in mezzo alle tribolazioni. Timentis Dominum beata est anima eius97 (Eccl 34). Troverà quella pace che non può trovare nel mondo. Passi Antico Testamento.
82 “La donna che teme Dio è da lodare” (Pr 31,30). 83 “… nulla manca a coloro che lo temono” (Sal 34 [33], 10). 84 “Chi teme il Signore non incorre in alcun male” (Sir 33,1). 85 “Il timore del Signore prolunga i giorni, ma gli anni dei malvagi sono accorciati” (Pr 11,27). 86 “Chi teme il Signore avrà un esito felice” (Sir 1,13). 87 “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo” (Mt 10,28). 88 Nella NOVA VULGATA: “Horruit a timore tuo caro mea – Per paura di te la mia pelle rabbrividisce” (Sal 119 [118], 120). 89 “… di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono” (Lc 1,50). 90 Cfr Tb 4,5. 91 “Il timore che non porta ad amare la giustizia ma ad aver paura della pena, essendo un timore carnale è anche un timore servile” (SANT’AGOSTINO, Sullo stesso salmo 118 – Discorso 25.7). 92 “Chi teme il Signore non ha paura di nulla” (Sir 34,16). 93 “Nel timore del Signore sta la fiducia del forte” (Pr 14,26). 94 SAN TOMMASO D’AQUINO, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, dist. 34 q.3. 95 “Con il timore del Signore si evita il male” (Pr 16,6). 96 Nella NOVA VULGATA: “Qui timet Deum, utrumque devitat – Chi teme Dio riesce bene in tutto” (Qo 7,18). 97 “Beato colui che teme il Signore” (Sir 34,17). “Forse non vi sarà in questo luogo timor Dio e mi uccideranno”98 (Gen 20,11). Il Signore ci ordinò di temerlo affinché siamo felici tutti i giorni di nostra vita (Dt 6,2499). E adesso, o Israele, che è quello che il Signore Dio tuo ti chiede, se non che tu lo tema e cammini sulla sue vie (Dt 10,12100). Voluntatem timentium se faciet et deprecationem eorum exaudiet et salvos faciet eos101 (Sal 144). Ecce oculi Domini super timentes eum102 (Sal 32). Val più poco col timor di Dio, che grandi tesori i quali non saziano (Pr 15103). Il timore di Dio è come un paradiso di benedizioni (Eccl 40104). Beatus vir, qui timet Dominum ecc…105. Firmamentum est Dominus timentibus eum106. Riconosci alla prova come è cosa dolorosa che tu abbia abbandonato il Signore Dio tuo e che il mio timore non sia in te, dice il Signore Dio degli eserciti107 (Ger 3). Se io sono il Signore dov’è il timore dovuto a me? (Ml 1,6108). Sentenze Padri. Conviene ritenere che l’anima munita e fortificata dal timore di Dio come da forte muraglia diviene in qualche modo invincibile (San Cirillo). Come l’amerai tu se temi di non amarlo (Tertulliano). Il timore è come una spada a due tagli che tronca e recide ogni cattiva concupiscenza (Sant’Efrem). Se l’uomo non comincia a servire Dio col timore non arriverà all’amore. Si comincia dunque con catene di ferro e si termina con una collana d’oro (San Giovanni Crisostomo). Chi è più santo e più sapiente tema ognor più perché chi è più in alto fa maggior cadute. Il diavolo vuole vili scelte, non cura i cattivi perché sono suoi (San Girolamo). Tremunt potestates109: non è un timore che affligge, è timore di ammirazione (San Gregorio).
98 “Rispose Abramo: “Io mi sono detto: certo non vi sarà timor di Dio in questo luogo e mi uccideranno a causa di mia moglie” (Gen 20,11). 99 “Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore, nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi” (Dt 6,24). 100 “Ora, Israele, che cosa ti chiede il Signore tuo Dio, se non che tu tema il Signore tuo Dio, che tu cammini per tutte le sue vie, che tu l\'ami e serva il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l\'anima” (Dt10,12). 101 “Appaga il desiderio di quelli che lo temono, ascolta il loro grido e li salva” (Sal 145[144],19). 102 Nella NOVA VULGATA: “Ecce oculi Domini super metuentes eum - Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme” (Sal 33,18). 103 “È meglio aver poco con il timore di Dio che un grande tesoro con l’inquietudine” (Pr 15,16). 104 “Il timore del Signore è come un giardino di benedizioni” (Sir 40,27). 105 “Beato l’uomo che teme il Signore” (Sal 112[111],1). 106 Nella NOVA VULGATA: “Il Signore si confida con chi lo teme” (Sal 25[24],14). 107 Cfr Ger 3,13. 108 “Se sono il padrone, dov’è il timore di me?” (Ml 1,6). 109 “Tremano le Potestà”. Chi di noi può pareggiare o vincere la vita dei precedenti padri. Eppure Davide dice: Non entrare in giudizio col tuo servo, o Signore: che faranno dunque le tavole se tremano le colonne? O come staranno inconcussi i virgulti se al turbine di tale timore, anche i cedri si scuotono? (San Gregorio). (Houdry)
Frutti del timore del Signore. Quando gli Ebrei tornarono da Babel, per ricostruire dovevano tenere in una mano la cazzuola, nell’altra la spada. Non desistiamo da fatiche per costruire attorno alla nostra anima il muro di sicurezza: il timore di Dio. È sapienza: perché ci fa attendere a noi stessi e ci protegge. Prima della promulgazione della legge, i fulmini sul Sinai110. Perché dà il vero valore alle cose: piccole le cose temporali, grandi le eterne. Il mondo invece viceversa: per piccole perde grandi. Ci libera dal peccato: expellit peccatum111. Come il filo non entra se non con l’ago così non entra l’amore se non per il timore (Sant’Agostino). Dà sicurezza e fortezza. Timor, spei maxima est materia, quia timor est donum Dei dirigens nos ad salutem112. Il timore umano insegna a mentire, impedisce la correzione fraterna, provoca vendetta, nutre i consueti vizi ecc... Invece il timore di Dio fa sparire tutto ciò. Non teme d’essere confuso davanti agli uomini chi teme d’essere confuso davanti a Dio e ai suoi Angeli; non teme d’essere spogliato dei beni terreni chi teme d’essere spogliato dei celesti; non teme d’essere condannato a morte chi teme la dannazione dell’inferno. Di qui la fortezza dei Martiri. Dà gioia. Timor Domini gloria et laetitia et gloriatio et corona exultationis113 (Eccl). (Fabri)
110 Cfr Es 19,16-18. 111 “… tiene lontano il peccato” (Sir 1,21). 112 “Il timore è causa massima di speranza, poiché il timore è dono di Dio che ci guida alla salvezza” (SAN BERNARDO, Sermone Salmo 15). 113 “Il timore del Signore è gloria e vanto, gioia e corona d’esultanza” (Sir 1,11).
Domenica XVI dopo Pentecoste La santificazione della festa
Et ipsi observabant eum114. Esagerazione degli Ebrei. Esagerazione nel senso opposto dei cristiani. Loro imperdonabile trascuratezza: materializzazione crescente. Ma grave risuona sempre il comando del Signore: Memento ut diem sabbati sanctifices115; i.e.116 ante omnia cura seu, noli oblivisci117. Il perché del precetto. 1. È un giorno consacrato alla gloria di Dio e dei suoi Santi. Giorno di ricordo: della creazione nostra, della risurrezione del Signore e della felicità che ognuno di noi avrà in futuro quando risorgeremo con Gesù. Feste di Cristo, feste dei grandi benefici che Lui ci ha dato (Natale, Circoncisione, Epifania, Ascensione, Pentecoste, ecc…). Feste dei Santi per celebrare la loro gloria, per onorarli, per spronarci alla loro imitazione, per raccomandarci alla loro intercessione, per ringraziare Dio della loro esaltazione. 2. Per la cura e il sollievo dell’anima. Cosa non possibile quando il corpo è aggravato dal lavoro. Preghiera, pie opere, istruzione religiosa. 3. Sollievo del corpo. Ne ha bisogno, il troppo lavoro logora e istupidisce. 4. Dio dà premio a chi santifica la festa. Si vocaberis sabbatum delicatum, tunc delectaberis super Domino, et sustollam super altitudines terrae, et cibabo de hereditate Iacob patris tui. Os enim Domini locutum est118 (Is 58). Vita sine festivitatibus longa est via sine diversoriis119 (Democrito). Cioè viene nelle anime spirituali letizia e gioia. Respirare il divino. Vivere al di sopra delle miserie di quaggiù. Poi speranza del Cielo e disprezzo delle cose terrene: le nostre feste nell’eternità con Dio. Provvidenza speciale di Dio per la prosperità delle cose materiali. Custodite sabbata mea … dabo vobis pluvias temporibus suis, et terra gignet germen suum, et pomis arbores replebuntur120 (Lv 26).
114 “Ed essi stavano ad osservarlo” (Lc 14,1). 115 “Ricordati del giorno del sabato per santificarlo” (Es 20,8). 116 Id est, cioè. 117 “… prima di ogni occupazione, non lo dimenticare”. 118 “Se tratterrai il tuo piede dal violare il sabato, dallo sbrigare affari nel giorno a me sacro, se chiamerai il sabato delizia, e venerabile il giorno sacro al Signore, se lo onorerai evitando di metterti in cammino, di sbrigare affari e di contrattare, allora troverai la delizia nel Signore. Io ti farò montare sulle alture della terra, io ti farò gustare l’eredità di Giacobbe, tuo padre, perché la bocca del Signore ha parlato” (Cfr Is 58,13-14). 119 “Una vita senza feste è una via lunga senza alberghi”. 120 “Osserverete i miei sabati e porterete rispetto al mio santuario. Io sono il Signore. Se seguirete le mie leggi, se osserverete i miei comandi e li metterete in pratica, io vi darò le 5. Dà castigo ai trasgressori: nei loro beni, nei corpi, nelle anime. Sabbata mea violaverunt vehementer. Dixi ergo, ut effunderem furorem meum super eos in deserto et consumerem eos121 (Ez 20).
Il giorno di festa profanato. Allora i Giudei erano così perfidi da proclamare illecito l’aiutare gli ammalati in giorno di sabato122: ora il mondo è così perverso che a stento i buoni possono bene e con pietà santificare la festa. Salomone aveva costruito un tempio a Gerusalemme ma Geroboamo costruì due tempietti con due vitelli d’oro123. Così ora il popolo non va al Tempio di Dio, ma ai vitelli d’oro: cioè agli idoli delle loro passioni (divertimenti, ozio, passeggiate, lavori, ecc…).
1. «In domenica bisogna dormire, oziare e far passeggiate» - alcuni dicono. No; non per questo è stata data: riposo ma non ozio, riposo al corpo ma sacra attività all’anima. Per sei giorni al corpo, il settimo per l’anima. San Tommaso: Fideles in festis occupari debere, primo in sacrificiis, tum internis ut sunt devotio, oratio, gratiarum actio, compunctio, actus fidei, spei et charitatis; tum externis qualis est Missae auditio. Secundo in laetitia spiritali, qua in Domino gaudemus, recolentes eius beneficia. Tertio in carnis et concupiscentiarum mortificatione. Quarto in actibus misericordiae. Quinto, in legendo et audiendo Verbum Dei124. 2. «In domenica bisogna lavorare perché si mangia tutti i giorni». Il riposo è necessario altrimenti come dice la scienza l’organismo si logora e aliena. Poi un ordine divino non si discute. Pericoloso andare contro la Provvidenza. La crisi non viene di qui? 3. «Deve essere il giorno del divertimento». Esagerazione del divertimento, si è creata una triste esigenza che rovina il senso di economia con spese gravissime, che rovina le anime con balli, cinema sporchi, amoreggiamenti illeciti. Responsabilità dei genitori, danni irreparabili a questi innocenti che formano abitudine e non sanno più astenersene (vedere statistiche B. A.). Est modus in rebus125. Abituare i ragazzi prima di tutto al loro dovere: Messa, catechismo, per il divertimento l’Oratorio.
piogge al loro tempo, la terra darà prodotti e gli alberi della campagna daranno frutti” (Lv 26,2-4). 121 “Violarono sempre i miei sabati. Allora io nel deserto decisi di riversare su di loro il mio sdegno e di sterminarli” (Ez 20,13). 122 Cfr Mc 3, 1-6. 123 Cfr 1Re 12,28. 124 “I fedeli nelle festività devono essere occupati; primo: nei sacrifici interiori, come sono la devozione, la preghiera, l’azione delle grazie, la compunzione, l’atto di fede, di speranza e carità; sia in quelli esteriori quale è l’ascolto della Messa. Secondo: nella letizia spirituale, per la quale gioiamo in Dio, meditando i suoi benefici. Terzo: nella mortificazione della carne e delle concupiscenze. Quarto: negli atti di misericordia. Quinto: nel leggere ed ascoltare la Parola di Dio” (SAN TOMMASO D’AQUINO, Expositio in orationem dominicam, 7). 125 “V’è una misura nelle cose” (ORAZIO, Satire, I, 1, v. 106). La grande diserzione dalla Messa e dal Catechismo una delle cause del rinascente paganesimo e dei castighi di Dio (Madonna a Fatima). Si ripete la parola del Signore: Calendas vestras et solemnitates vestras odivit anima mea: facta sunt mihi molesta126 (Is 1). (Fabri)
“La domenica è il bene di Dio: è il suo giorno, è il giorno del Signore. Egli ha fatto tutti i giorni della settimana; poteva tutti serbarseli: ve ne ha dati sei, non si è serbato che il settimo. Con che diritto toccate voi ciò che non vi appartiene? Voi sapete che il bene rubato non profitta mai: né meglio vi profitterà il giorno che voi rubate al Signore. Io conosco due mezzi ben sicuri per divenire povero, e sono: lavorare la domenica e prendere il bene altrui”. (Santo Curato d’Ars). La Madonna apparendo a due fanciulli, Massimino di 11 anni e Melania di 14, che erano a pascolare il gregge sulla montagna de La Salette (Grenoble) tra l’altro disse: “Se il mio popolo non vuole sottomettersi io sono costretta a lasciar andare il braccio del mio Divin Figlio: esso è così pesante che io non posso più trattenerlo… Giammai voi potrete conoscere quanto io mi occupi di voi e le pene che io soffro per voi. Dio vi ha dati sei giorni per lavorare. Egli si è riservato il settimo e neppur questo vogliono accordarglielo! È ciò che appesantisce tanto il braccio del mio Figlio. Quelli che conducono i carri non fanno altro che imprecare e bestemmiare il nome del mio Figlio! Se il raccolto sarà misero siete voi che ne siete la causa…” (19 Settembre 1846). (Mussatri)
Benedixit Deus diei septimo et sanctificavit illum127 (Gen 2). Dies Domini128. Sant’Ignazio Martire la chiama anche il «Re» il «Principe» degli altri giorni. San Giovanni Crisostomo la dice il «Giorno del pane» per la comunione generale, e «Giorno della luce» perché in tale giorno Dio creò la luce. Giorno della famiglia: perché in tale giorno i componenti si possono riunire più a lungo e rinsaldare i vincoli. Un pittore dipinse egregiamente la famiglia cristiana. Due persone che uniscono le loro mani sul Vangelo, aggiogati sotto una grande croce, circondati dai figli in cammino verso una meta lontana… fisso lo sguardo in una linea luminosa. La festa ricorda il punto di partenza il Vangelo, il punto d’arrivo il Cielo, dà forza e consigli agli sposi. Gli antichi: pro aris et focis129. Il focolare unisce all’altare. (Houdry)
126 “Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli” (Is 1,14). 127 “Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò” (Gen 2,3). 128 “Giorno del Signore”. 129 “In difesa degli altari e dei focolari” (MARCO TULLIO CICERONE, De natura deorum, III, 40). Con ogni premura dobbiamo osservare il giorno di domenica, il quale se qualcuno vorrà chiamare natalizio di tutta l’umana natura non si scosterà dal vero (San Giovanni Crisostomo).
Come santificare i giorni festivi (Gesù entrò in casa del fariseo130). 1. Entrare nella propria coscienza e riflettere. Durante la settimana si è molto occupati. Necessità della riflessione, della sosta; danni che vengono ora dalla irriflessione, dalla vertigine della vita moderna. Quid enim sive tam stultum, sive tam perditum, quam ut aliquis de suo non sibi consulat? Quam infidelis est, quam insipiens, qui ut alium divitem faciat, animam suam ipse contemnat? 131 2 (Entrò a mangiare del pane). Mangiare pane di verità e pane eucaristico. Non viene Gesù a mangiare ma a dare. Ne abbiamo bisogno. Per la verità, se non rinnoviamo spesso il ricordo e la forza dei sacri insegnamenti, che vita languida e poi che vita dimentica e piena di peccati! Invece quanto tedio per le prediche, che fughe! e anche quando si ascoltano, non fanno bene perché prese malvolentieri, come i cibi. Percussus sum ut foenum et aruit cor meum, quia oblitus sum comedere panem meum132 (Sal 101). L’Eucarestia è come il legno di vita del Paradiso Terrestre che dà l’immortalità e ripara le forze che a poco a poco vengono a meno. 3. Opere di bene. Azione cattolica, opere caritative, visita ai malati. 4. Astenersi dai lavori e dalle occupazioni solite.
130 Cfr Lc 7,36. 131 “Che cosa, infatti, [potrebbe essere] tanto stupido o tanto rovinoso quanto il fatto che qualcuno non provvede a se stesso riguardo alla propria situazione? Quanto è incoerente, quanto è irrazionale colui che, per rendere ricco un altro, fa poco conto lui stesso della propria anima?” (SALVIANO DI MARSIGLIA, De gubernatione Dei). 132 Nella NOVA VULGATA: “Percussum est ut fenum et aruit cor meum, etenim oblitus sum comedere panem meum – Falciato come erba, inaridisce il mio cuore; dimentico di mangiare il mio pane” (Sal 102 [101], 5).
Domenica XVII dopo Pentecoste
La felicità è in Dio Diliges Dominum Deum tuum133. Quid vobis videtur de Cristo?134.
Nell’amore e nel servizio di Dio sta la vera felicità dell’uomo. Perché così si raggiunge il fine ultimo, perché si è in pace con la propria coscienza, perché così si salvano i valori umani che irreparabilmente si perdono trascurando quelli divini. Gesù di fronte alla stolta concezione messianica degli Ebrei pone tra l’umanità e Dio la grandezza della sua mediazione, il sacrificio della sua immolazione, l’amore della sua redenzione. Cristo è Dio: il mio Signore. Ma Cristo è anche uomo e per questo capo del Corpo Mistico raccoglie in sé tutte le aspirazioni e tutte le sofferenze dell’umanità. Cristo è via e insegna il modo per raggiungere il divino. Cristo è verità e insegna la regola dei nostri rapporti con Dio. Cristo è vita perché alimenta nelle anime il flusso della vita divina, cioè la felicità. Il mondo moderno ha voluto scegliere lui la sua via, ha costruito lui una verità e l’ha proclamata indefettibile dogma, ha vantata una vita e l’ha esaltata con la girandola multicolore dei suoi reclame; ma l’uomo di oggi che credeva di avere sotto i piedi un terreno ben solido ha sentito franare tutti i valori e si è trovato in fondo all’abisso in un mare di miserie. “Nessuna età ha ricevuto doni più grandi e nessuna ha provato più tristi disinganni. Chi non ha esultato in presenza delle più sublimi scoperte scientifiche e chi non ha veduto aprirsi sotto i suoi passi i più spaventevoli abissi?” (Bougard). Noi siamo orgogliosi della nostra età e della nostra civiltà. «Noi ci vantiamo progrediti: e di ciò ci ammiriamo non parcamente. Anche fra i popoli antichi e soprattutto nel loro declino ci fu quest’orgoglio di grandezza e di potenza; ma con sicurezza e baldanza minori, con un più sottile senso del fortunoso, del precario, del caduco. Eredi noi e continuatori di quella cultura antica, siamo divenuti nel corso dell’ultimo millennio più audaci di secolo in secolo fino ad oggi, quando osiamo esaltare sopra ogni forza la nostra forza, superbi d’una crescente abbondanza di mezzi. Umanesimo progressivo, che assorbe nel caduco l’eterno, nell’umano il divino, nel finito l’infinito; e che il finito adora adorando se stesso. Città dell’uomo, di questo uomo, è il mondo: suo regno la natura, suo idolo la propria immagine. E quel regno s’evolve, s’espande, animato dalla ricerca d’altro e d’altro e d’altro ancora,
133 “Tu amerai il Signore, tuo Dio” (Dt 6,5). 134 “Che cosa pensate del Cristo?” (Cfr Mt 22,42). illimitatamente. Nuovi ritrovati, nuovi istituti, nuove forme che aumentino i nostri piaceri, movimenti e divertimenti. Domani è un altro giorno, un giorno più bello… Civiltà neopagana … il cui demiurgo è l’homo faber; il tecnino... E si leva classe contro classe, nazione contro nazione come sempre, ma più di sempre per l’aumentato potere di costruzione e distruzione… Le scuole artistiche e letterarie e filosofiche si succedono con celere ritmo, si impugnano a vicenda, a vicenda si eliminano. Non a conformare, ma a deformare; non a ordine, ma a tutte le licenze; non a verità, ma a novità e a dubbio; non alla giustizia, ma alla gara e competizione e mutazione. In mezzo secolo per due volte si sono combattute guerre mondiali […] poi si entra in crisi ma non per questo si muta registro. Si parla di decadenza e si continua come prima in avarizia e lussuria. Ci si dichiara angosciati e disperati, e intanto le lamentele non fanno che crescere le dissonanze del coro stonato…» (Ferrabino, Humanitas, 1950. 3, 216). Abbiamo solcato il cielo e l’abbiamo dominato, siamo diventati più felici? Abbiamo soppresso le distanze e comunichiamo con la velocità del pensiero. La radio, l’automobile. Il più alto livello della vita del popolo mai avuto: siamo più felici? O erano più felici i nostri nonni che andavano a piedi o viaggiavano sulle pigre carrozze e mangiavano le cipolle e la carne quando ne avevano una volta al mese? Noi in realtà siamo divenuti più inquieti, più tristi, più scoraggiati. Non abbiamo trovato la pace e il benessere. Ci odiamo e la nostra tecnina non serve che a dare al nostro odio armi più terribili di distruzione. Non per niente la filosofia del nostro tempo è l’esistenzialismo che ha dei corifei135 come Sartre, la filosofia dell’angoscia e della disperazione. Il mondo e soprattutto l’uomo sono male e solo mali. Il bene parola vuota. Niente Dio, niente fede che è un tentativo sciocco di evadere dall’assurdo. Solo l’uomo nella finitudine della sua angoscia. Tutto è un assurdo (Cfr Humanitas, 1950. 3, 244). Hanno trovato specifici portentosi che vincono malattie finora dichiarate inguaribili, ma che cosa importa quando la loro civiltà ha trovato dei mezzi per far morire centinaia di migliaia di persone in un attimo, e di più hanno perso ogni significato alla vita, chiudendola nella morsa della materia? Che cosa importa anche se inventassero la vita e la potessero prolungare indefinitivamente quando hanno preso ogni senso alla vita? E non c’è vuoto più grande di non sapere perché si viva, perché si debba vivere, di soffrire senza alcuna finalità, di lavorare senza scopo trascendente. Quanta angoscia! «Che cosa manca allora al nostro secolo per farlo il più felice dei secoli? Manca Dio, e ciò è bastato per avvelenare tutto. Né genio, né eloquenza, né gloria, né scienza hanno potuto colmare questo vuoto. Aprite i capolavori del pensiero moderno: vi ha in tutti qualche cosa di incompleto, di non finito, di triste. Questo secolo è ferito nel cuore. Soffre… Non è che non abbia cercato di colmare la sua inquietitudine. Non
135 Capo dell’antico coro greco, specialmente di quello drammatico. vi è teoria sociale che non abbia escogitato e la maggior parte delle sue agitazioni vengono da ciò [ad esempio, comunismo col suo messianismo ingenuo: staremo tutti bene. Materia è divinità ,da essa verrà ogni bene, e la sazietà sarà completa. Teoria della religione, che c’è perché non c’è benessere e uguaglianza per tutti, se verrà il benessere non se ne sentirà più il bisogno]. Questa felicità che gli manca, e che non si trova che in Dio, questa sorgente perduta dell’età dell’oro ha creduto trovarla nella scienza… Sforzi gettati via! Si ha un bel volgere e rivolgere la terra; non la si può far produrre quello che non ha. E la sete dell’uomo questa sete di verità, di virtù, di speranza, d’infinito si è trovata troppo ardente perché si giungesse ad estinguerla senza Dio […]. Chi semina venti raccoglie tempesta è la storia dei nostri tempi. Si sono scosse le fondamenta, sotto pretesto di rifarle con la leggerezza dei selvaggi che scoprono il piede degli alberi per vedere come sono fatte le radici o che spezzano un orologio per vedere come è fatto» (Bougaud). Completo dunque è il fallimento del mondo. Nonostante la sua scienza, nonostante il suo vantato progresso, nonostante le sue teorie sociali; non solo non ha portato la felicità ma si è trovato sempre più desolato, più vuoto, più povero. Mai abbiamo assistito a delle guerre più disumane e massacranti (20 milioni di morti), mai visti tanti uomini da liberi finire a milioni nei campi di concentramento, mai visto tanto odio di una classe verso l’altra, di un uomo verso il suo simile; mai abbiamo visto uccidere con tanta ferocia, con tanta indifferenza. Nei nostri paesi abbiamo scoperto che vi erano dei torturatori; il nostro popolo – il nostro – di fronte a degli uomini insanguinati si è inferocito sempre più, non si è avuto rispetto dei morti e si sono seppelliti come fossero carogne di animali e si è impedito alle famiglie di versare anche solo una lagrima sulla fossa. Assistiamo a dei bambini che uccidono, a dei bambini che si uccidono, fin loro all’alba e nel profumo della vita, si uccidono, stanchi, sfiduciati. Prendete un giornale: continui suicida. Hanno perso il senso della vita. Non hanno più fede in una vita futura, in Dio. Completo, assoluto fallimento. Mondo senz’anima. “Maledetto l’uomo che spera nell’uomo”136. Che detronizza Dio per mettere al suo posto un uomo. Os habent et non loquentur… Similes illis erunt, qui faciunt ea, et omnes, qui confidunt in eis137. La felicità vera si trova invece nella religione, in Dio. 1) Perché si ha la spiegazione del grande interrogativo della vita. Si sa che si viene da Dio e che a Lui bisogna tornare; che la vita presente non è che un passaggio, una prova che bisogna superare. Se si saprà resistere e trionfare ci sarà una ricompensa magnifica sempiterna. Ed è sempre pronta la grazia a soccorrere e a sostenere. La vittoria è certa. 2) Perché solo in lui si conosce il valore del nostro essere, la grandezza e la nobiltà della nostra anima, perciò il rispetto che possiamo esigere per la nostra personalità. Il nostro corpo stesso anche se dovrà incontrare la
136 Ger 17,5. 137 “Hanno bocca e non parlano… Diventi come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida” (Sal 115 [113b], 5.8). morte è grande perché unito all’anima e con lei destinato alla risurrezione. 3) Perché dà valore a tutte le nostre azioni. Tutto serve per raggiungere Dio, anche il dolore. 4) Perché frena; coi comandamenti le passioni vengono frenate e l’egoismo domato. 5) Perché comanda a tutti gli uomini di amarsi come fratelli. 6) Perché dà la serenità e la pace che derivano da una buona coscienza e dall’adempimento del proprio dovere. «Il nostro destino non si compie qui sulla terra ma siamo qui come una nave in viaggio. Quale fu il punto di partenza? E quello di arrivo? Si era assorbiti nel nulla e tutto ad un tratto una mano potente ce ne ha tratti fuori e ci è stato detto: Vieni. Ma donde veniamo? dove andiamo? che cosa sarà al di là della tomba? [...]. Ecco che io lavoro e raggiungo il compimento dei miei desideri, ma frattanto giungo a cinquanta, sessant’anni: ho ottenuto degli onori, ma ora non mi resta più che morire. E perché morire? Perché attorno a noi si aggira sempre la morte? Ecco là un padre che ha un’unica figlia adorata; a sedici anni muore: perché? Ecco un uomo che si appena sposato, e la dolce compagna gli è strappata via dalla falce inesorabile della morte: perché? S’interroghi pure la scienza, quella contemporanea, tutte le scienze del nostro secolo. Ohimè! esse non riescono a far giungere un raggio solo di luce nel buio profondo di sì grave e paurosa questione. Ditelo pure: la scienza ha mai potuto risolvere uno solo dei problemi del mondo invisibile? Quando soffrite, quando siete accasciati sotto il peso dei rimorsi, quando ritornate dal cimitero col cuore stretto dall’angoscia, vi è mai venuto in pensiero di ricorrere al parere degli scienziati per lenire lo spasimo vostro? E se uno ve lo consigliasse, non vi sembrerebbe un’ironia? […]. Impassibile e muta come la Sfinge dell’Antico Egitto, collocata agli ingressi dei templi, la scienza [il progresso, il popolo] non ha mai potuto dire, né dirà mai all’umanità una parola rassicurante sul suo destino” (Gibier).
Domenica XVIII dopo Pentecoste
Esistenza di Dio: Testimonianza dell’universo Turbae timuerunt et glorificaverunt Deum138.
Conobbero e glorificarono Dio, il miracolo segno del divino, particolarissimo segno che ce lo fa sentire straordinariamente vicino. Per quanto se fossimo attenti sentiremmo la voce potentissima di tutto il creato che loda e magnifica Dio. Miracolo ancora più grande che si rinnova alla portata di tutti e ad ogni momento. Voce dei cieli, voce del mare, voce dei fiori, voci dei cuori. È mai possibile che vi siano degli atei quando tutto è testimonianza viva di Dio? È possibile che vi siano menti così distratte, cuori così vuoti da non vederlo e non sentirlo? Diceva il celebre padre Lacordaire139 sul pulpito di Notre-Dame: «Grazie a Dio, noi crediamo in Dio, e se io dubitassi della vostra fede, voi vi levereste per cacciarmi di mezzo a voi. Le porte di questa metropolitana da se stesse si aprirebbero dinnanzi a me, e il popolo non avrebbe bisogno che di uno sguardo per confondermi…». Posso far mie le parole del Sommo Oratore. Eppure il sommo disonore del nostro tempo è proprio quello di avere della gente che si proclama «senza Dio». Dirò di più: che si vanta di essere «senza Dio». Tutto parla di lui: la prima parola che hanno sentito è stato il suo nome santissimo; nei tempi della loro innocenza se lo sono sentito molto vicino; nei momenti più delicati della loro vita – di dolore o di gioia – lo hanno come toccato. Ed ora pronunciano le parole blasfeme: non credo. Io mi rifiuto di credere alla verità della loro asserzione. Essi mentiscono. Il loro è un tentativo per ingannare se stessi, per soffocare i rimorsi di una coscienza che ha commesso troppe colpe per restare in pace davanti alla parola «Dio». È forse la viltà di aderire a posizioni di moda sociali e politiche, di farsi vedere spregiudicati. Povera gente, in quale abisso di miseria sono caduti, al di sotto dei poveri pagani antichi, al di sotto dei selvaggi delle foreste. E nel loro completo accecamento, si vantano e – delitto senza nome – ne fanno propaganda e la insegnano anche ai bambini. Tutto è materia, noi non siamo che animali evoluti, l’anima e Dio sono un mito. E chiudono strettamente la porta perché non entri nessun sentimento elevato, non solo, ma le più semplici riflessioni. Perché l’esistenza di Dio non è una opinione, è una certissima verità di straordinaria evidenza: 1. L’esistenza del mondo stesso domanda un autore.
138 “Le folle … furono prese da timore e resero gloria a Dio” (Mt 9,8). 139 Jean-Baptiste Henri (Henri-Dominique) Lacordaire (1802-1861) religioso, giornalista e politico francese. Fu uno fra i maggiori esponenti del cattolicesimo liberale ottocentesco, restaurò l\'ordine domenicano in Francia dopo la soppressione avvenuta nel 1790. Non si dà un effetto senza una causa. Anche la cosa più piccola ha assoluto bisogno di chi la produca. Questo mondo non può essersi fatto da sé. «Io vedo una moltitudine di cose che esistono, che non esistono più, che potrebbero non esistere, e che per conseguenza non esistettero sempre. Ora è impossibile che qualcuna di queste cose sia il primo principio. Vi deve infatti essere non come pura possibilità ma come un essere reale, necessario, che ha in sé la ragione della sua necessità. Togliete questo essere necessario e ammettete soltanto degli esseri possibili: potrà avvenire che ad un dato momento non esista più nulla; se è così, non esisterà giammai nulla e anche al presente non vi sarebbe che il nulla. Ciò è assurdo: bisogna dunque ammettere qual principio di tutte le cose un essere necessario che Leibniz esprime in questi termini: La ragione sufficiente od ultima deve essere fuori dalla catena di tutti i particolari del contingente, per quanto lo si supponga infinito. Ora, la mia mente ricusa questo posto d’onore alla materia, perché la mente concepisce come possibile la non-esistenza successiva di tutte le parti che la compongono e quindi come possibile la non-esistenza del tutto; perché concepisce come ugualmente possibile una infinità di parti, che essa materia non ha e che attualmente non può avere: finalmente come possibile una infinità di esseri, che essa né può avere, né può produrre, perché essi saranno essenzialmente semplici, mentre essa è essenzialmente divisibile» (Monsabré). «Un giorno sulla strada che da Orleans va a Parigi si trovava seduto presso un mucchio di pietre un fanciullo, a cui il cantoniere domandò: “Hai fatto stamani la tua preghiera?”; “No – rispose il fanciullo – io non dico preghiere”. “E perché non preghi il buon Dio?”; “Mio padre dice che il buon Dio non c’è affatto”. “Davvero?” rispose il cantoniere, e raccattato un ciottolo lo diede al fanciullo dicendo: “Portalo a tuo padre, e domandagli se l’ha fatto lui questo”. Non si dà effetto senza causa: anche un semplice ciottolo non può farsi da sé. Ogni creatura viene da Dio, loda Dio e ci conduce a Lui. Durante la celebre rivoluzione un uomo malvagio diceva a un contadino: “Noi verremo a diroccare i vostri campanili e le vostre chiese”. “Può essere – rispose il contadino – tuttavia non riuscirete a tirar giù le stelle dal cielo; e finché resterà quell’alfabeto meraviglioso sul nostro capo, ce ne sarà d’avanzo per far compitare ai nostri bambini il nome santo di Dio”. Sì, se le creature potessero esprimersi, dalle altezze del firmamento, dalle sommità dei monti, dagli abissi degli oceani, dal calice dei fiori, dal filo dell’erba, dai ciottoli che si calpestano coi piedi non meno che dalle stelle che scintillano sul nostro capo noi sentiremmo una voce sola che ripeterebbe: ci ha creati Dio» (Gibier). 2. Tutto il mondo si muove; occorre dunque un primo motore: Dio. La scienza afferma che l’universo è tutto in movimento. Si muove la terra, si muove il sole, gli astri. La vita che è nelle piante e negli animali è movimento che dall’interno di essere si trasmette all’esterno. La materia per sé è inerte – è provato scientificamente – incapace di imprimersi il moto da se stessa, come di arrestarsi o di modificarlo dopo che è posta in movimento: anzi l’inerzia della materia è il principio fondamentale della meccanica. [E che diremo del movimento sublime che è la vita? Ogni vita ha bisogno di una vita, non sorge la vita dalla materia bruta]. Se il mondo dunque si muove, e non può aver avuto il moto da se stesso, bisogna ammettere l’intervento di una causa motrice, vivente, ordinatrice, esteriore e superiore alla natura; insomma bisogna ammettere fuori e al di sopra delle creature l’Essere che possiede la potenza necessaria per muovere l’universo, l’Essere che ha la vita in sé e la comunica fuori di sé. Che cosa è il mondo? Una immensa «armonia». Come non ammettere un regolatore, uno che diriga il gran concerto degli astri, che faceva dire a Giobbe: concertum coeli quis dormire faciet?140 Che cosa è il mondo? Un’immensa «armata». Come non ammettere che la diriga per gli spazi che confondono la nostra immaginazione? Che cosa è il mondo? Un gigantesco «orologio» così complicato che i nostri più potenti telescopi appena giungono a scoprire qualche ruota del mirabile congegno, ma così ben regolato che si può prevedere un fenomeno celeste a cento e a mille anni di distanza. Il buon senso non si ridurrà mai a concepire, come dice Voltaire, che questo orologio vada senza che nessun orologiaio l’abbia fatto. 3. Il mondo perfettamente ordinato domanda un ordinatore: Dio. Rousseau ha scritto: Se la materia muta dimostra l’esistenza di un potere infinito, la materia ordinata secondo determinate leggi dimostra l’esistenza di una intelligenza superiore141. E Voltaire: Il mondo è fatto certamente con intelligenza; proviene dunque da una mente intelligente; e non è possibile dubitarne142. Astronomi, naturalisti, geologi, mineralogisti, chimici, fisici hanno riconosciuta nella creazione varietà di fenomeni, di forze e di leggi: in una parola hanno intraveduta l’opera di una intelligenza infinita. I fenomeni e le forze che li producono seguono la norma di leggi precise, costanti, irreducibili, che fanno concludere l’esistenza del legislatore che le ha stabilite e ne mantiene l’efficacia, la stabilità e la continuità. In realtà l’universo si manifesta come svolgimento di un unico disegno, nel quale tutte queste leggi si rannodano e si armonizzano, e tutti i mezzi adoperati sono adatti al fine voluto e prestabilito: mentre le parti sono coordinate le une alle altre. Deve dunque riconoscersi un organizzatore sapiente che ha tutto preveduto, tutto ordinato, tutto messo al suo posto e alla sua misura. L’universo obbedisce a leggi fisse, ed è condotto secondo un piano che ben rivela l’intelligenza di chi l’ha prodotto. È assurdo dunque il supporre che questa intelligenza venga
140 “Chi ridurrà al silenzio il concerto celeste?”. 141 Cfr JEAN JACQUES ROUSSEAU, Emilio, Laterza, pp. 193-205. 142 Cfr “Le monde est assurément une machine admirable; donc il y a dans le monde une admirable intelligence, quelque part où elle soit – Il mondo è certamente una macchina meravigliosa; esiste quindi nel mondo una intelligenza meravigliosa, in qualunque parte essa sia”(Ateismo II; citato in Legarde, Michard, XVIIIe siècle, Bordas, p. 114). dalla materia bruta e ancora più assurdo parlare del caso: il caso è il niente» (Gibier). Esemplificare: meraviglie del cielo, della terra, erbe, fiori, farfalle. Dio ha scritto il suo nome dappertutto. Fu chiesto a un Arabo come poteva sapere che c’era Dio. Rispose: allo stesso modo che dalle orme lasciate sulla rena del deserto m’accorgo che è passato un leone.
Domenica XIX dopo Pentecoste
L’Esistenza di Dio: La Testimonianza della Storia Et misit servos suos vocare invitatos143.
L’opera magnifica della creazione parla di Dio e canta la sua gloria. Caeli enarrant gloriam Dei, et opera manuum eius annuntiat firmamentum144. Tutte le cose sono voci che ci parlano di Dio, che ci invitano a Lui. Lui appositamente ce le ha date perché scoprissimo in loro le tracce delle sue perfezioni, perché ne facessimo scala a Lui. Per amarlo, per adorarlo, per meglio servirlo e così meritare di poter entrare al gran pranzo dell’eternità che ha preparato per il suo Figlio e per quelli simili al suo Figlio. E tanto evidente e chiara la sua voce è risuonata nei secoli, così nitida è l’orma che ha lasciato di sé nel creato che tutti i popoli di tutti i tempi e di tutte le latitudini lo hanno sempre venerato, si sono spontaneamente trovati concordi nel riconoscere al di sopra di se stessi una divinità. È la testimonianza della Storia in favore di Dio. «Che cosa è la storia? È l’umanità stessa risuscitata e recata viva sotto i nostri occhi. E l’umanità ci appare sempre genuflessa collo sguardo volto al cielo, collo stesso inno sulle labbra, che vince ogni altra armonia della creazione, ogni altro strepito di avvenimenti clamorosi. Quest’inno è la professione della fede universale nell’esistenza di Dio. 1. Tutti i popoli antichi e moderni hanno creduto in Dio. Molti, è vero, si sono ingannati sulla sua natura, altri hanno ammesso pluralità di dei, ma tali divergenze non concludono nulla perché resta la testimonianza di Lui […]. Dio è riconosciuto […] è stato adorato in modi diversi, ma adorato dappertutto e sempre. Divinità riconosciute con riti difformi: ma sempre e dovunque il termine del suo culto è stato Dio. Si bestemmia anche; ma l’ingiuria stolta sempre e dappertutto si rivolge contro Dio, e dà prova di una fede che si afferma nell’atto stesso che si oblia. Dunque da che parte sta la ragione, all’atto o al genere umano? Questo accordo del genere umano è di un valore infinito e tanto più ha valore quando si osservi che le passioni sregolate dell’uomo tenderebbero naturalmente a ribellarlo all’idea di Dio. Chi vuol vivere infatti senza freno ai propri capricci ha tutto l’interesse a persuadersi che non vi è Dio. Bisogna dunque ammettere che questa verità goda di tale evidenza che gli uomini di tutti i tempi e luoghi sono stati obbligati ad accettarla malgrado l’interesse stesso che li avrebbe indotti a negarla» (Gibier).
143 “Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze” (Mt 22,3). 144 “I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento” (Sal 19[18],2). «Io credo in Dio – è il grido dell’umanità intera. Presso tutti i popoli, non un solo eccettuato, l’affermazione precede la prova dell’esistenza di Dio. Tutti i filosofi e storici trovarono universale e costante l’affermazione dell’esistenza di Dio (cfr Cicerone; Plutarco) […]. Dovunque l’idea di Dio è il primo elemento di civiltà, o l’ultima tavola del naufragio in cui scompare la gloria di una nazione. È difficile che gli uomini s’accordino tra di loro. In aliis videbis alia, nec unquam eadem statuere homines… ut non modo non gens cum gente, sed nec urbs cum urbe, nec familia cum familia, nec homo cum homine, nec unus aliquis interdum secum ipse consentiat… In hac tanta pugna, contentione et opinionum variegate in eo leges et opiniones ubique terrarum convenire vibebis: Deum esse unum, Regem omnium et Patrem […]. In eo Graecus cum Barbaro Mediterraneus cum Insulano, sapiens consentit cum stulto […]. Quod si ab omni aevo, duo tresve extinterint sine Deo et abiectum, et impudens […] irrationabile, sterile et infrugiferum genus145 (Massimo di Tiro). Dovunque chi sente d’esser uomo, si riconosce impotente, e alla propria impotenza supplisce col religioso istinto della preghiera che piega verso di noi l’onnipotenza… Sta il fatto dell’idolatria. Tutto era Dio fuorché Dio stesso (Bossuet). Ma moltiplicare o assegnare male, non è negare una causa prima e suprema. Come si può spiegare dunque questo fatto? Un primo mezzo sommamente semplice e facile: supporre cioè nell’umanità l’eco di un fatto primitivo, che altro non sarebbe che l’affermazione di Dio medesimo. Se Dio si manifestò e disse: “Io sono”, nulla di più naturale quanto il credere alla sua esistenza. Per noi cristiani è più che una ipotesi è una verità storica (Eden e varie teofanie ai patriarchi). Ma anche fuori della storia cristiana restano vestigi. Tutte le religioni si sono arrogate il privilegio di manifestazioni divine (Brahma [quegli che compose i Veda, non il poeta], Apollo a Delfo, Zoroastro), perfino il selvaggio ha la pretesa d’essere ammaestrato dal grande Spirito. Chi può non vedere che la testimonianza umana si risolve nella testimonianza che Dio rende a se stesso? “Io sono colui che sono”146. Ma prescindendo da questa spiegazione l’affermazione universale e perpetua dell’esistenza di Dio rimane intatta. Essa deve avere la sua ragione d’essere, e non si può concepire un’altra fuori di una legge di natura di cui sia espressione solenne. Allorché noi vediamo una serie di fenomeni manifestarsi dovunque e sempre nelle stesse condizioni diciamo: Qui è una legge. È il caso nostro:
145 “Negli altri vedrai altre cose, né che mai gli uomini concordano le medesime cose… dal momento che non trova accordo non solo il popolo con il popolo, ma neppure la città con la città, né la famiglia con la famiglia, né l’uomo con l’uomo, né qualcheduno talora con sé… In questa lotta tanto grande, vedrai convenire in lui leggi ed opinioni da tutta la terra con accanimento e varietà di pareri: Dio è l’Unico, Re e Padre di tutti. In Lui trova accordo il Greco con il Barbaro, il continentale con l’isolano, il sapiente con lo stolto… E se dall’eternità, due o tre fossero estinti senza Dio, una stirpe abietta e sfrontata… irrazionale, sterile e infeconda”. 146 Es 3,14. l’affermazione universale e perpetua dell’esistenza di Dio, tuttoché sia un fenomeno di ordine più elevato di tutti i fenomeni del mondo fisico, non cessa di manifestarsi somigliante a quelli, qui adunque vi ha una legge, la legge di gravitazione intellettuale e morale. Supponendo che i pianeti fossero di loro natura luminosi e che il sole per contrario fosse un punto invisibile, l’esistenza di questo non sarebbe manifesta nei movimenti ordinatissimi del nostro sistema planetario? E non potreste voi determinare con calcoli precisi la sua posizione nello spazio? Per qual motivo, se la stessa regolarità di movimenti apparisce nella umanità, non direte voi: l’umanità è concentrica, il suo centro è Dio! Omni in re consensio omnium gentium lex naturae putanda est147 (Cicerone). Ciò che la natura stessa universalmente riconosce è necessariamente vero: poiché la natura per se stessa e universalmente non può mentire (Guglielmo di Parigi). Se essa mentisse non potremmo prestarle fede in cosa alcuna. L’umanità universalmente e perpetuamente confessa l’esistenza di Dio: è la natura che parla, dunque Dio esiste» (Monsabré). 2. Le grandi intelligenze hanno creduto in Dio. «Questa professione di fede è il punto di partenza di tutti i sinceri filosofi, è la nota la più saliente del canto di tutti i poeti, è la parola d’ordine di tutti i grandi capitani, è la dichiarazione scritta in capo a tutte le leggi da tutti i grandi legislatori (Esemplificare). 3. È il grido dei buoni. Chi sono infine coloro che negano Dio? Sono i santi, i giusti, gli eroi, il fiore scelto dell’umanità? No, tutt’altro: sono gli empi, gli spergiuri, i viziosi, gli apostati, la feccia dell’umanità. Vorrei trovare se è possibile – dice La Brugère148 – un uomo sobrio, moderato, casto, onesto, che dice che non vi è Dio. Certamente direbbe ciò senza interesse; ma tale uomo non si trova. E Rousseau ha scritto: “Custodite l’anima in modo da desiderar sempre che Dio vi sia e allora non ne dubiterete mai”. Questi celebri eroi, che si sono immolati per qualche causa grande, quei benefattori dell’umanità che hanno riempito la storia del loro nome, sono stati servi fedeli ed apostoli del Dio che io vi predico: sicché quando voi pronunciate la prima frase del Simbolo – Credo in Deum – voi vi trovate d’accordo coi migliori rappresentanti della umanità, e prendete parte al gran canto della umana famiglia» (Gibier).
147 “Ciò su cui consentono tutti i popoli è una legge di natura”. 148 Pseudonimo di Joseph-François Arthème Fayard.
Domenica XX dopo Pentecoste
Esistenza di Dio: La testimonianza dell’uomo Nuntiaverunt dicentes quia filius eius viveret… et credit ipse, et domus eius tota149.
Era un giovane ed era morente. Era ricco, nobile (figlio di un piccolo re) e moriva. Il suo corpo prima bello e forte, ora era afflosciato e aveva già il rantolo dell’agonia. Tutto aveva tentato quel padre con l’ansia e il tormento di un cuore di genitore, invano. Incipiebat enim mori150. Allora parte da casa in cerca di Dio, deve andare molto lontano. Certo se non ottiene la grazia non rivedrà più il figlio vivo. Ma parte ugualmente deciso, fiducioso. E la grazia è ottenuta. “Va’ il tuo figlio vive”. E l’uomo credette alla parola, e andava. Mentre già discendeva gli vennero incontro i servi dicendo che suo figlio viveva… “Ieri all’ora settima lo lasciò la febbre”. Vi immaginate quel giovane già preda della morte, all’improvviso rizzarsi sul suo letto franco, bello, forte come prima? Fu una testimonianza grande della potenza di Gesù, della sua divinità. Quel corpo risanato fu il testimone irrefutabile del divino. Ma anche i nostri corpi, o fedeli, anche le nostre anime sono testimoni del divino. Noi siamo i capolavori dell’opera di Dio. E se tutti gli esseri ne testimoniano l’esistenza e la grandezza, questo è particolarmente per noi. Basta guardare a noi e in noi per riconoscere l’opera di Dio e lodarlo. 1. Il corpo: «Se una statua potesse parlare, direbbe: Oh! come fu abile l’artefice che mi scolpì. Allo stesso modo la statua vivente del corpo nostro canta la lode di Dio. Osserviamone l’ossatura che è come l’armatura. Resistente e rigido può prendere tuttavia un numero infinito di posizioni diverse a cagione della flessibilità delle sue numerose articolazioni. Tendini e muscoli collegano insieme e rivestono le ossa, forniti di una elasticità non meno docile che resistente. I nervi, fibre delicate che attraversano in ogni senso l’organismo, trasmettono come un filo elettrico ogni sorta di impressioni. Il sangue che viene dal cuore porta calore e vita fino alla estremità del corpo e ritorna al punto di partenza per vivificarsi di nuovo al contatto con l’aria. Quale ordine meraviglioso. Il tutto poi è anche più mirabile delle parti. Gli organi del
149 Nella NOVA VULGATA: “Iam autem eo descendente, servi eius occurrerunt ei dicentes quia puer eius vivit. Interrogabat ergo horam ab eis, in qua melius habuerit. Dixerunt ergo ei: «Heri hora septima reliquit eum febris». Cognovit ergo pater quia illa hora erat, in qua dixit ei Iesus: «Filius tuus vivit», et credidit ipse et domus eius tota – Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro dei servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia” (Gv 4,51-53). 150 “… perché stava per morire” (Gv 4,47). corpo sono ordinati gli uni agli altri e si prestano mutuo soccorso. Il nostro corpo è un capolavoro che risulta dall’unione di cento altri capolavori. Quanta grandezza, quanta bellezza in questa polvere organizzata e vivente! Quanta nobiltà e grazia di movimenti! Quanta intelligenza nello sguardo rivolto al cielo, mentre l’occhio d’ogni altro essere animato s’inchina alla terra! Quanta maestà nella fronte, quanta finezza e bontà nelle labbra. Comprendo bene come Galeno, il celebre medico dell’antichità, dopo aver studiato e descritto siffatta meraviglia, uscisse in questi accenti: Io canto il più bell’inno alla divinità» (Gibier). 2. L’a n i ma , riflesso di Dio: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”151. Pensa. «Lo spirito umano quando pensa, segue ed obbedisce a certi principi, che sono sempre gli stessi in ogni tempo e persona. Si possono bensì violare e oltraggiare, ma non mai sopprimere e restano intatti, inviolabili, incancellabili, anche dopo ogni tentativo di alterazione o di depravazione. Questi principi, che sono dentro di noi, non sono però cosa nostra: anteriori e superiori a noi non possono venire che da Dio ed esistere in Lui. Esplichiamo bene questa proporzione. Eccovi qua gli assiomi della matematica che regolano ab aeterno ogni calcolo indipendentemente da ogni calcolatore; ecco gli assiomi della geometria, che stabiliscono le relazioni dell’esteso, prima e senza dipendenza alcuna dalla realtà del mondo materiale. Due e due fan quattro, due cose uguali a una terza sono uguali tra di loro, la linea retta è la più breve tra due punti, ecc...; questi assiomi sono indistruttibili ove pure l’universo intero fosse ridotto a nulla con tutti i suoi abitanti. Se dunque essi non sussistono né dentro di me, né nel mio spirito, né nella materia, è forza riconoscere che debbano sussistere in una ragione superiore, al di là e sopra del mondo, al di là e sopra della mente umana, vale a dire in Dio. Così delle grandi verità metafisiche e morali. Le verità eterne e immutabili ci costringono a riconoscere un Essere, in cui la verità è eternamente sussistente e sempre conosciuta» (Bossuet). Quando il nostro spirito pensa, calcola, misura, giudica e ragiona, egli è dominato e diretto da principi e idee che discendono dall’alto, che sussistono in Dio e procedono da Lui: Egli è il principio e il termine delle nostre operazioni mentali; dirò di più: Egli anzi è il centro e l’anima dell’anima nostra. 3. Coscienza. Se noi non avessimo alcun altro modo per conoscere Dio, basterebbe il grido della nostra stessa coscienza (Victor Hugo). Non dobbiamo infatti riconoscere nella nostra coscienza un legislatore che la governa? «Se per divenire erede di un ricco – ha scritto Jean-Jacques Rousseau – che voi non avete mai veduto, di cui non avete mai sentito parlare, e che si trova all’estremità della Cina, vi bastasse semplicemente premere un bottone per farlo morire, avreste tuttavia coraggio di toccare quel bottone? Certamente no: ma perché? Perché voi sentite dentro di voi
151 Cfr Gen 1,26. stessi un legislatore che ve lo vieta e vi impone sovranamente: fa’ il bene e fuggi il male; tale è la legge morale. Non ce la potrebbe imporre se la sua volontà non fosse superiore alla nostra. Egli obbliga tutti, perciò superiore a tutti; e si estende a tutti i tempi, è dunque eterno. Tale legislatore non può essere la nostra coscienza, è solo l’interprete e l’organo di una volontà superiore. Sarebbe ridicolo supporre di aver creato noi queste obbligazioni e questi legami interiori a cui non possiamo in alcun modo sottrarci. Di più: abbiamo nella coscienza un giudice che ci approva o ci condanna. È un magistrato interno che tutto vede, di tutto giudica e si fa sentire anche a quelli che non lo interrogano, la cui voce si leva maestosa tanto più quanto più si cerca di soffocarla e nel tumulto delle passioni non meno che nella calma della soddisfazione ci ripete parole forti, minacciose, terribili, più penetranti di una spada a due tagli. È Dio. E quando abbiamo male operato e sentiamo vergogna delle nostre colpe, e ne abbiamo rimorso e paura, di chi abbiamo vergogna e paura? Oh! non certamente degli uomini, ma di qualcuno che è padrone e giudice degli uomini, vale a dire, di Dio. La mia coscienza non è altro che Dio, ospite nel mio cuore. Posso, è vero, con un circolo vizioso, con un compasso imperfetto metterlo fuori dal cielo: ma non posso metterlo fuori di me; egli è il timone che mi guida attraverso i flutti. Se io porgo ascolto al mio cuore, vi sento come un dialogo: siamo in due nel fondo del mio spirito, io e Dio. Egli è l’unica mia speranza, e l’unico mio tesoro. Se per caso segno una colpa che mi seduce, sento dentro di me levarsi un profondo rimprovero e domando: Chi è che mi parla e perché? E l’anima mia mi risponde tremante: Taci, è Dio» (Victor Hugo). 4. Cuore. È una necessità del cuore il credere all’esistenza di Dio; infatti ha bisogno di giustizia: e quaggiù in terra la giustizia è sviata, offesa, conculcata152, e a ogni passo si trova la virtù oppressa e il vizio impunito. Ciò non deve durar per sempre: ci deve essere una sanzione ultima che corregga le ineguaglianze e le iniquità di questo mondo; ci deve essere in un’altra vita un giudice potente e giusto che tutto rimette al suo posto, e questi è Dio. Così nei suoi affanni il cuore ha bisogno che Dio esista. Il cuore che soffre si riconduce naturalmente a Dio e lo chiama in aiuto. L’ha detto anche un poeta: Se il nostro orgoglio lo tace, l’appella il nostro dolore. E anche quando non soffriamo, noi siamo tuttavia tormentati dalla sete e dalla fame di Dio. Ci bastano forse le gioie e i desideri del tempo? Inquietum est cor nostrum…153.
152 Calpestata con forza. 153 “Il nostro cuore è inquieto” (SANT’AGOSTINO, Confessioni, Libro I, cap. I).
Domenica XXI dopo Pentecoste
L’Essere divino “Sic et Pater meus celestis facies vobis…”154.
Gli uomini peccano perché non conoscono Dio, non riflettono alla sua immensità, alla sua grandezza. Perdono il senso della distanza. Bisogna cercare di avvicinarsi più che possiamo a Lui, a una cognizione meno imperfetta. Il fulgore della sua maestà ci abbaglierà, ma ci farà capire quanto sia stolto andare contro alla sua grandezza. Il conoscere Lui val più di tutte le scienze umane. Per quanto mi sembra di udire la voce del Santo Giobbe: Che vuoi tu fare? Dio è più alto dei cieli, più profondo degli abissi: come lo potrai tu conoscere? (Gb 11,8155). Alla nostra debolezza più che gli inni audaci, si addice l’adorazione in silenzio. Il silenzio è la vera lode di Dio. Silentium tibi laus156. 1. Non si può definire l’essere divino, sfugge ogni definizione, perché non vi è intelligenza che lo comprenda e se potessimo vedere l’essenza divina, il nostro intelletto non potrebbe per se stesso esprimere l’oggetto della nostra visione perché è impossibile che una intelligenza creata rappresenti tutta la perfezione divina (San Tommaso). Quali sono le vie per arrivare a Lui prima di contemplarlo nella visione beatifica? Sono le stesse che ci hanno portato all’affermazione certa di una causa prima. Tutto ciò che esiste negli effetti deve essere in un modo più eccellente nella causa, massimamente allorché questa causa è prima, universale e totale; cioè: andiamo a Dio per mezzo delle creature. Affermiamo di Dio in grado sommo tutto l’essere che esiste nelle creature; neghiamo a Dio ogni imperfezione e qualunque limite del suo essere. Affermiamo, ma soprattutto neghiamo, perché la negazione è più sicura e più degna dell’essere divino. 2. Prima di tutto: le creature esistono, però nessuna possiede in se stessa la ragione della sua esistenza. Esistono ma un giorno non esistevano; esistono ma, se la sorgente avesse racchiusa in se stessa l’onda dell’essere, non esisterebbero. Esistono ma esse hanno ricevuto tutto ciò che hanno di essere e in questo punto cesserebbero di essere, se cessassero di ricevere. Al contrario la sorgente non riceve nulla: la sorgente non può non essere perché senza di essa non esisterebbe nulla; la sorgente non ha sorgente, il principio non ha principio, il primo
154 “Così anche il Padre mio celeste farà con voi, se non perdonerete di cuore” (Mt 18,35). 155 Cfr Gb 11,8. 156 “Per te il silenzio è lode” (Sal 65 [64], 2). autore non ha autore, la sorgente è sorgente a se stessa, il principio è principio a se stesso, il primo autore è autore di se stesso. “Io sono colui che sono”157. L’essere al di sopra di ogni essere (τὸ ὂν ὑπὲρ τὸ εἶναι) e le creature per quanto grandi sono infinitamente al di sotto; l’immenso oceano dell’essere (πέλαγος τὴς οὐσίας – Gregorio Nazianzeno) e la creatura è appena il lieve vapore di una nube uscita dal vostro seno, o Dio, senza punto scemarne la pienezza. Esse verum, esse sincerum, esse germanum158 (Sant’Agostino). La vostra essenza è l’essere, lo stesso essere. Voi siete colui che è: la creatura è ciò che non è. 3. Dio è semplice: appunto perché primo essere. Nessuno lo precede, è causa di tutto, non può non essere perché tutto dipende da Lui mentre il composto viene dopo delle parti che lo compongono e dipende dalla loro natura e dal loro ordine, e forma una cosa sola perché i vari elementi componenti sono ridotti all’unità da una forza superiore e precedente che regge il moto e l’ordine. Finalmente il composto può non essere. Dio dunque non ha corpo; il corpo è un composto, è tanto inferiore allo spirito, il nostro corpo non vive senza lo spirito (allargare esemplificazioni sul corpo). Spiritus est Deus159. Antropoformismo biblico per la nostra debolezza. Ogni materia pur sottile e aerea è una cosa che viene in secondo luogo e in Dio nulla in secondo luogo: è puro spirito, cioè totalmente sciolto dal contatto con la materia in ogni sua operazione. Ma di più: i n Di o n on c’è neppure la composizione di atto e potenza. Cosa vuol dire? Per esempio, uno spirito pensa e in lui voi distinguete la potenza del pensare e l’atto del pensare. La potenza precede l’atto. La nostra vita intellettuale comincia dal sonno della potenza e non procede che lentamente verso la perfezione, aumentandosi senza posa colla molteplicità degli atti. Questo avviene non solo in noi legati alla materia ma in ogni spirito creato. Se non vi fosse un intervallo, almeno «logicamente» la potenza precede l’atto, l’atto perfeziona la potenza e quindi vi è un certo composto intellettuale. In Dio no: altrimenti vi sarebbe in Lui una cosa prima e una cosa dopo. Dio è primo, tutto primo e perciò è quello che è il primo più perfetto. Deus est actus primus160. Né in Dio è composizione di essenza e esistenza. Ogni essere ha una essenza, per la quale è ciò che è. Questa essenza non si confonde con l’esistenza poiché possiamo concepire queste due cose una dopo l’altra. Ad esempio io penso di creare un’opera d’arte. Prima di farla io la costruisco dentro di me, così come sarà. L’idea del capolavoro precede la sua esistenza: l’idea è un atto della mia anima, ma rispetto all’opera esterna che l’attua, non è che una potenza.
157 Es 3,14. 158 “Il vero essere, il genuino essere, il puro essere” (SANT’AGOSTINO, Discorso 7. 7). 159 “Dio è spirito” (Gv 4,24). 160 “Dio è l’atto primo” (Cfr SAN TOMMASO D’AQUINO, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, Libro I, Dist. 42, Art. 1). Trasportate questo in tutti gli esseri creati e vi persuaderete che l’essenza si separa dall’esistenza, nessun essere è la propria essenza. L’essenza d’un essere concepito dalla causa prima e concepito prima che abbia l’esistenza, rapporto all’esistenza sta come la potenza rapporto all’atto: e l’uno e l’altra possono essere considerati come l’ultimo termine del composto. Ora l’essere divino di sua natura trascende quest’ultimo confine. Poiché l’essenza di lui, da chi sarebbe composta prima dell’esistenza se Egli è il primo? L’essenza di lui da chi riceverebbe l’esistenza, se, sorgente dell’essere, egli è da se stesso? Egli è il primo, egli è da se stesso: dunque egli è la stessa sua essenza. È questa l’ultima forma della semplicità e voi dovrete comprendere a quale punto Dio sia puro spirito. 4. Dio è perfetto: perché da Lui deriva tutto ciò che è, e pur non potendo dire tutto ciò che è in se stesso, debbo dargli tutte le perfezioni che conosco e che concepisco perché se non le avesse, non vi sarebbe nulla da conoscere e nulla da concepire. Dio è perfetto e come essere primo lo è in grado eminente e sovrano, cioè possiede eminentemente e sovranamente la bontà, la bellezza, la beatitudine perché in questo è che sta riposta la perfezione degli esseri creati. Hanno tutta la lor perfezione gli astri superbi, che danzano nella distesa del firmamento, e me la mostrano nella loro luce sfavillante e nell’armonia infallibile dei loro movimenti. Ha la sua perfezione la terra che mi sostiene, e me la dispiega sotto gli occhi nell’immensa varietà del suo ammanto e nella prodigiosa fecondità del suo seno. L’ha tutta pur esso l’oceano, sì vasto e sì profondo. Esso me la mostra nelle sue onde maestose, nella potenza dei suoi furori e nei benefici vapori che salgono verso il cielo per correre sull’ali dei venti a rinfrescare la terra arsa e affaticata. Ha tutta la sua perfezione il fiore che rallegra i prati, i boschi e le aiuole dei giardini e me la mostra nella novità del suo disegno, nell’eleganza delle sue forme, nella trasparenza o nella morbidezza del fragile suo manto, nelle delicate sfumature o nella vivacità dei suoi colori smaglianti. Ha tutta la sua perfezione l’umile granello e nel suo germe scorgo i semi dei semi, le messi delle messi, le foreste delle foreste. Ma tutti questi beni del cielo, della terra, dei viventi mancano del loro compimento sugli esseri che li posseggono: mancano cioè della felicità. Perché? Perché sono destinati all’uomo che li deve far suoi col conoscerli e arricchirne la vita. Questo è il grande potere dell’anima che coglie il mondo, che lo trasforma, lo rende partecipe della sua dignità e con sé lo trasporta nella sfera senza sponde delle eterne cose. Là essa vede l’invisibile e liberamente regola la sua vita sulle leggi immutabili del vero, dell’onesto, del giusto e del santo. Oh! quanto essa è bella allorché, inondata dagli splendori della scienza e della virtù, aspira alla quiete suprema di tutte le sue facoltà. Se a noi fosse dato vederla – dice Platone – noi ne saremmo talmente rapiti, che i più magnifici spettacoli della natura non avrebbero forza di strapparci alla contemplazione di noi stessi. Riflessi bellissimi si hanno sul volto sereno del sapiente. Ogni natura ha dunque la sua perfezione. Ma tutte le perfezioni dovevano preesistere in Dio causa prima e universale. Come nella luce stanno tutti i colori e le loro sfumature, come negli esseri superiori sono rinchiusi i beni degli esseri inferiori, tanto più tutte le perfezioni in Dio. Egli è «eminentemente» perché tutte le perfezioni composte in lui si svolgono dalla loro forma specifica per prendere la forma divina; egli è «sommamente» perché tutte le perfezioni semplici in lui rispondono alla più alta purezza del concetto. Se voi trovate quaggiù la grandezza e la maestà, esse sono in Dio; se la vita e la fecondità ecc…, tutti i beni che si possono concepire sono in Dio. Essi vi sono perfetti nel loro insieme e perfetti ciascuno nell’essere suo. Quale ordine ammirabile! Quale magnificenza nell’ordine! Quale bellezza di tutti questi beni. Essi mutualmente si penetrano nello stesso essere perché sono un atto solo; l’uno non cresce come nelle creature a danno dell’altro; nella stessa sorgente hanno tutti la loro perfezione. L’attività feconda non nuoce alla maestà del riposo, la libertà all’immutabilità, la giustizia alla misericordia, la forza alla benignità, l’amorosa effusione alla costante ed inesauribile pienezza. Spettacolo grandioso dinanzi al quale noi canteremo eternamente: “Santo, santo, santo è il Signore”. Egli è santo perché non v’ha ombra di sorta nella sua bellezza; santo perché l’ordine ammirabile, del quale questa bellezza è lo splendore, sta saldo nelle leggi immutabili; santo perché rapito dal fulgore della sua gloria Dio l’ama più che essa non possa essere amata da tutti insieme gli esseri. Dio conosce perfettamente tutti i suoi beni e ne gioisce perfettamente. Egli è buono, è bello, è felice. Noi non possiamo possedere alcuna cosa senza di lui: bonum omnis boni161 (Sant’Agostino). Ogni creatura è buona della sua bontà, bella della sua bellezza, felice della sua felicità. Ogni essere partecipa alla somiglianza del bene divino. Ogni irradiamento della perfezione è del bene di Dio, uno sforzo che fa la creatura per rappresentare l’inimitabile bellezza del suo creatore. La nostra gioia eterna non ha altro oggetto di quello che fa beato Dio stesso. La perfezione di Dio è senza limiti. Le creature visibili sono circoscritte dallo spazio, ciascun essere occupa un luogo determinato che non può appartenere ad alcun altro essere. Dio è immenso. Numquid non caelum et terram ego impleo? dicit Dominus162 (Ger 23). Si ascendero ecc…163 (Sal 138). Dio è dappertutto. Tutti gli esseri hanno bisogno di Lui. Ma non si divide per ragioni di luogo: non vi è qui una parte, là l’altra. L’essere semplice di Dio è tutto intero là dove agisce, è dappertutto ma non esce da se stesso. Non sono gli spazi che lo arrestano o lo contengono ma Egli che arresta e contiene in sé ogni cosa e anziché dire che è dappertutto, bisognerebbe dire che è «il dappertutto», ipsum ubique.
161 “Il Bene di ogni bene” (SANT’AGOSTINO, De Trinitate, VIII, 3.4). 162 “Non riempio io il cielo e la terra? Oracolo del Signore” (Ger 23,24). 163 “Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti” (Sal 139 [138], 8). La perfezione di Dio è immensa, in tutto lo spazio reale e possibile, immensa in ciascun punto indivisibile dello spazio. Dio è immutabile. Creature mutano: le stelle, le piante, vita animale, i cieli, l’anima (anche se immutabile nella sua essenza). Io non odo che un grido solo nella natura: tutto passa164. Ego Deus et non mutor165 (Ml 3). E perché si muterebbe? Egli è per se stesso: egli vuol essere ciò che è e non può volere altra cosa, è perfetto, è necessariamente e sempre l’essere e perciò necessariamente e sempre è la perfezione. Essere stesso quindi niente più o meno. Essere primo chi può mutarlo. Tu autem idem ipse es, et anni tui non deficient166 (Sal 101). Dio è eterno. Creature cominciano e finiscono, c’è sempre un numero. Dio immutabile e semplice è eterno. Egli è. Anni tui nec eunt nec veniunt: […] Anni tui omnes simul stant, […] nec euntes a venientibus excluduntur, quia non transeunt […]. Anni tui dies unus, et dies tuus non quotidie, sed hodie, quia hodiernus tuus non cedit crastino; neque enim succedit hesterno. Hodiernus tuus aeternitas167 (Sant’Agostino). Non già una linea, i punti della quale seguono sempre altri punti; non l’esistenza che scorre goccia a goccia e senza fine, ma la pienezza in un solo punto, che risponde ad un tempo a tutte le linee della durata, senza che queste linee lo possano traversare; è il possesso totale, simultaneo e perfetto di una vita interminabile: interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio168 (Boezio). Dio è infinito. Ingrandire quanto si vuole una creatura, è sempre misurata, la sua natura è un numero, sempre, finita. La creazione stessa è il primo limite. Solo colui che è per se stesso, si affranca da qualunque principio che lo limiti: a Lui solo spetta contenere in se stesso ogni idea di perfezione, oltre gli abissi nei quali si agitano i numeri; egli solo bene supremo non può né crescere né scemare. Infinita perfezione e ciascuna può manifestarsi infinitamente ed in infinite perfezioni. Infinitis modis infinities infinitus in perfectionibus infinitis est Deus169 (Caietanus). La mente si smarrisce. Dio è uno. Le sue perfezioni senza numero, tutte distinte nella loro ragione formale e nel loro concetto si penetrano nella realtà e non formano che una sola perfezione, la quale si confonde con lo stesso essere divino. Questo perché è primo principio che nulla può ricevere,
164 Cfr Sir 18,26. 165 Nella NOVA VULGATA: “Ego enim Dominus et non mutatus sum – Io sono il Signore, non cambio” (Mal 3,6). 166 “Ma tu sei sempre lo stesso e i tuoi anni non hanno fine” (Sal 102 [101], 28). 167 “I tuoi anni non vanno né vengono [...]. I tuoi anni sono tutti insieme, […] non se ne vanno, eliminati dai venienti, perché non passano […]. I tuoi anni sono un giorno solo, e il tuo giorno non è ogni giorno, ma oggi, perché il tuo oggi non cede al domani, come non è successo all\'ieri. Il tuo oggi è l\'eternità” (SANT’AGOSTINO, Le Confessioni, XI, 13. 16). 168 “L\'eternità, dunque, consiste nel possesso intero e insieme perfetto di una vita senza fine” (SEVERINO BOEZIO, De Consolatione Philosophiae, VI, pr. 6). 169 “Dio è una infinità di volte infinitamente infinito in perfezioni infinite”. né può tollerare composizione di sorta. Non è solamente il bene d’ogni bene, la bellezza d’ogni bellezza, la beatitudine d’ogni beatitudine, la perfezione d’ogni perfezione, ma egli è la sua bontà stessa, la sua stessa bellezza, la sua stessa beatitudine, la sua stessa intelligenza, la sua vita, la sua scienza, la sua giustizia, la sua santità, la sua perfezione. Dirlo buono, bello ecc... non si rappresentano che sotto un solo aspetto le perfezioni. Pienezza infinita in perfetta semplicità. O unitas! Unità perché essere stesso. Ego sum qui sum170. L’anima adora tremante aspettando d’essere fatta degna di contemplare eternamente e lodare. (Sunto del Monsabré)
170 “Io sono colui che sono” (Es 3,14).
Domenica XXII dopo Pentecoste
L’Intelligenza divina Ut caperent Iesum in sermone171.
Gesù non poteva essere colto in sbaglio: era il Figlio di Dio, la Sapienza del Padre. La sua mirabile risposta è un raggio di luce che ci porta su in alto verso la divinità, verso l’intelligenza divina. Dio è somma intelligenza: principio di tutte le cose, creatore dell’ordine in cui devono essere prima l’idea di ogni creatura. Del resto possedendo la perfezione eminentemente e sovranamente così deve avere l’intelligenza. E se l’anima è intelligente perché spirito e anima est quodammodo omnia172, Dio è spirito più che non sia la nostra anima. È per questa somma semplicità che Egli occupa il vertice dell’immaterialità, quindi per la sua stessa natura egli si colloca al vertice della conoscenza, egli è il sommo intelligente. Gli antichi lo adoravano sotto la figura di un occhio sempre brillante e aperto; νέος173, il veggente. La scienza è il frutto dell’intelligenza. Un albero si conosce dal frutto. Studiamo la sua scienza. La scienza non è semplice cognizione, non classificazioni, non analisi, ma cognizione degli esseri nella loro causa, un atto dell’intelligenza che vede le cose nel principio che le racchiude. Imparare i fatti della storia ecc…, se non si conosce causa, non serve, così sezionare corpo se non si conosce il principio che anima, non è scienza. (Bisogna ridurre a unità). Una causa unica e universale che racchiude in se stessa tutte le altra cause. Dio spirito perfetto. Dio conosce se stesso e conoscendo se stesso conosce tutto. Allo Spirito perfetto è necessario un oggetto perfetto (Platone). Io mi conosco dai miei atti di pensare e volere ma non mi comprendo. Conosco gli atti ma non il loro principio. Dio per ciò stesso che è (somma perfezione, tutto è atto) conosce se stesso immediatamente e penetra fino in fondo alla sua essenza, ogni suo attributo nel suo infinito irradiamento e li abbraccia tutti nell’unità di uno sguardo. Vede tutto ciò che Egli è, tutto ciò che fa, tutto ciò che può, comprende se stesso. Tanta est virtus Dei in cognoscendo, quanta est actualitas eius in existendo174 (San Tommaso). Ciò
171 Nella NOVA VULGATA: “… ut caperent eum in sermone – … per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi” (Mt 22,15). 172 “L\'anima è in certo modo tutte le cose” (SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 1). 173 Νέος, nuovo. Per inquadrare il contesto in cui don Pietro inserisce questo vocabolo greco, potrebbe servire fare riferimento alla “Lettera a Diogneto” (XI,4) in cui il Logos è definito neos: “Egli fin dal principio apparve nuovo ed era antico, e ognora diviene nuovo nei cuori dei fedeli”. 174 “Tanta è la capacità di Dio nel conoscere quanta è la sua attualità nell\'essere” (SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 14, a. 3). che mi toglie di comprendere me stesso è il non avere attualmente tutto l’essere, tutta la perfezione di cui sono capace. Le mie facoltà sviluppandosi non esauriscono le loro forze native; io aspetto ancora alcunché, e perché questo mi fugge, ne segue ch’io debba confessare che non comprendo me stesso. Ma Dio non ha da aspettare nulla: Egli è attualmente ed è da se stesso tutto ciò che deve essere. Se si conosce per ciò stesso che Egli è, ne segue necessariamente che egli conosca se stesso quanto egli è, vale a dire che comprenda se stesso. Comprendere e circoscrivere: come vi può essere una linea che avvolga l’infinito? L’intelligenza divina non è una capacità indipendente, non è un appunto all’essere divino. Nella sua semplicità Dio è la sua stessa intelligenza. Dio conosce tutte le cose. Non come uno spettatore da un punto elevato vede gli oggetti, ma le cose sono conosciute nelle loro cause. Dio è causa universale di tutti gli esseri. Dio conoscendo perfettamente se stesso conosce perfettamente la sua potenza e tutto ciò che da questa dipende. Un artefice per conoscere la sua opera non ha bisogno di vederla: le altre cose sì perché non dipendono. «Dio non ha due cognizioni, una particolare colla quale comprende se stesso e un’altra colla quale comprende in genere il rimanente degli esseri; ma causa universale nell’atto che conosce se stesso, egli non potrebbe ignorare ciò che egli stesso produce. Per tal forma Dio conosce tutte le cose perché le vede in se stesso, non perché le veda in loro stesse» (Dionigi175). Se le conoscesse in loro stesse sarebbe dipendente e le cose accrescerebbero la sua perfezione. Dio vede tutto: anche le cose più umili, humilia respicit176. Ciò che a noi sembra una macchia nella universale bellezza dell’universo, sotto l’occhio di Dio va a collocarsi là dove le ombre fanno maggiormente risplendere la luce. Dio vede tutto: i movimenti più grandiosi della materia e le sue più impercettibili vibrazioni; gli stupendi svolgimenti della vita e i suoi primi fremiti nell’attimo in cui essa si impadronisce per trascinarlo nella sua corrente; i pensieri e i desideri che noi arditamente gettiamo nella vita pubblica e quelli che noi nascondiamo nella profondità dell’anima nostra. Scrutans corda et renes177. Intellexisti cogitatione meas de longe178. Dio vede tutto: il male che non esiste in lui, il male che egli non fa, né può fare; il male che non può essere conosciuto in se stesso egli lo conosce, perché Egli è l’universale e inestinguibile luce del bene. La luce se fosse intelligente non conoscerebbe dove è e dove non è? Nel suo giorno senza tramonto Dio vede le tenebre del male, sia il fallire della natura o la pena dei colpevoli o la negazione della giustizia e del dovere, tu scis insipientiam meam, et delicta mea a te non sunt abscondita179. Dio vede tutto: ciò che fu, ciò che è, ciò che sarà.
175 Cfr DIONIGI AEROPAGITA, De divinis nominibus, 7. 176 Nella NOVA VULGATA: “Se inclinat, ut respiciat in caelum et in terram – Si china a guardare sui cieli e sulla terra” (Sal 113 [112], 6). 177 “… tu che scruti mente e cuore” (Sal 7,10). 178 “… intendi da lontano i miei pensieri” (Sal 139 [138], 2). 179 “Tu conosci la mia stoltezza e i miei errori non ti sono nascosti” (Sal 69 [68], 6). Il passato non si è dileguato dinanzi a lui e l’avvenire risponde al suo appello: Qui vocat ea quae non sunt, tamquam ea quae sunt180(Rm 4,17). La sua essenza luminosa penetra ciascuno dei punti dell’interminabile linea dei secoli. Dove sarebbe la sua immutabile pienezza se il nulla potesse, man mano che il tempo scorre, nascondere a lui gli esseri che non esistono se non per lui, e se nella sua scienza infinita vi fosse un vuoto che aspetta le manifestazioni del futuro? Che sarebbe del suo governo, s’egli ignorasse quali soldati deve prendere nel suo passaggio l’immenso esercito delle creature e per quali vie nel suo seno si deve fare la suprema concentrazione? Dio vede tutto, assolutamente tutto e in una maniera certa e presente, nello specchio dell’indivisibile sua eternità. Conosce il futuro sia necessario che contingente: se così non fosse, l’incertezza e le sorprese turbando la sua azione schiaccerebbero la sua perfezione. Noi non comprendiamo questo perché camminiamo dal passato al futuro per una serie di punti impercettibili come il viaggiatore che va da un paese all’altro. Ma Dio sta e nella sua vita perfetta che possiede tutta intera in un solo istante vede meglio che da una vita tranquilla e sublime. Egli non conoscerebbe se stesso se non conoscesse ad un tempo quello che ha fatto, quello che vuol fare, quello che può fare. Conosce ciò che non esisterà mai e che potrebbe esistere se lo volesse; e questa scienza del possibile non ha altro limite che l’infinita virtù che possiede la sua essenza d’essere partecipata infinitamente e in infiniti modi. Io adoro, io sono smarrito, io spero. Adoro l’oceano di luce, l’ampiezza e la profondità, del quale vincono ogni mia immaginativa, ogni concetto, ogni parola. Sono smarrito dinnanzi al raggio abbagliante che penetra fino in fondo alla mia miseria. Spero in colui che a lato del male di cui mi pento, vede il bene che faccio e che vorrei fare. O scienza del mio Dio, quale spaventosa minaccia siete per i peccatori! Un perfido sonno pesa sulla loro coscienza: essi credono di avere sepolto nella tomba dell’oblio i loro delitti passati, perché nessuno li turba, nessuno dice loro: rammentatevi. Imbaldanziti per l’impunità le opere cattive si accrescono: essi pensano che saranno signori dell’avvenire. Ma lassù si veglia. Un giorno voi, o Dio terribile, vi manifesterete a questi miserabili e direte loro: Sono io. Ho veduto tutto: so tutto. Il male che avete dimenticato, il male che avete nascosto, il male che avete sperato: eccolo. Invece la scienza di Dio ricolma di gioia il giusto ed è il suo sostegno di fronte all’opinione del mondo. Dio vede: conosce la purezza delle sue intenzioni, non importa che lo giudichino male, che lo interpretino malamente, ecc... Qualità della scienza divina. Quanta pena soffre chi quaggiù acquista scienza. L’intelligenza divina senza indugio, senza incertezza, senza sforzo in un lampo signoreggia il centro stesso degli esseri, della causa universale in cui si rivelano tutte le cose anche prima della loro esistenza. Un giorno parteciperemo alla scienza di Dio e vedremo tutti gli esseri nel loro centro,
180 Nella NOVA VULGATA: “Qui vivificat mortuos et vocat ea, quae non sunt, quasi sint – Colui che dà la vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono” (Rm 4,17). tutte le cose nella causa universale. Ma questa scienza non sarà mai ciò che è in Dio. In noi è ricevuta, in Dio è nella sua sorgente; in noi perfeziona, in Dio è la perfezione sussistente; in noi è accidentale, in Dio è sostanza; in noi aggiunge qualcosa, in Dio è l’essere stesso. Noi abbiamo delle scienze, non la scienza cioè la sintesi di tutte le cognizioni nel più semplice ed elevato dei principi. Dio solo è sapiente; solo possiede la pienezza infinita nell’unità. Le nostre cognizioni si sparpagliano come i loro oggetti: in Dio causa ed effetti, principi e conclusioni, esseri spirituali e materiali, passato e presente ecc..., tutto si fonde nella semplicità dell’essere divino; in Dio non esiste che una cognizione semplice come la sua essenza, unico oggetto di un solo ed eterno sguardo. Immutabile verità. La verità è immutabile perché è lui stesso immutabile anche nelle manifestazioni, non può essere costretto a nessuna variazione; una menzogna sarebbe la negazione stessa dell’essere divino. Veritas in essendo, in cognoscendo, in dicendo181. In Dio vi sono le idee: primo principio delle opere esteriori, ragioni proprie delle cose, esemplari divini di ogni perfezione creata. Non sono entità sussistenti. Dio non è uno specchio dinanzi al quale passano i liberi e eterni esemplari che le creature devono imitare. Le idee sono la stessa essenza divina in quanto può essere partecipata e imitata dalle creature. In questa essenza esistono il concetto degli esseri, le loro leggi, i loro rapporti, il loro ordine ammirabile. Uno sguardo solo di una unica scienza comprende a un tempo e le parti e l’insieme, e guida praticamente il fiat sovrano che deve fecondare il nulla, dare alla creazione il numero, la misura e il peso e dal caos cavare l’ordine. È dunque vero il dire colla Scrittura che Dio fa tutto colla sua sapienza182 e con Sant’Agostino che Dio non conosce le creature perché esistono, ma esistono perché Dio le conosce183; e con San Dionigi che la scienza divina è l’artefice di tutte le cose. Conclusioni. Povera e piccola intelligenza umana di cui siamo così orgogliosi. Come dinnanzi alla grande verità (tutto è di Dio), appare come l’orgoglio è una immensa e sacrilega stoltezza. Accedite ad eum et illuminamini184. Avvicinarsi imitando l’adorabile sua purezza. Perché Dio tiene il vertice dell’immaterialità, tiene anche il vertice della conoscenza: salite verso di lui. Mano mano che la vostra mente si scioglierà dalle strette della materia, che signoreggerà questa carne ribelle, la sua limpida trasparenza diventerà più tersa. L’irradiazione dell’intelligenza divina. Avvicinatevi con la fede e con la fiduciosa preghiera. Qualunque siano le vostre aspirazioni e desideri la scienza divina vi risponderà. Sia che voi vogliate studiare i numeri (col numero Egli lega ogni creatura all’ordine universale), le leggi naturali, il governo degli uomini ecc... O scienza del mio Dio, Voi conoscete tutto e senza di voi non possiamo conoscere nulla. Fate che noi non desideriamo di
181 “La verità nell’essere, nel conoscere, nel parlare”. 182 Cfr Sap 9,9. 183 Cfr SANT’AGOSTINO, La Trinità, XV, 13.22. 184 Nella NOVA VULGATA: “Respicite ad eum, et illuminamini – Guardate a lui e sarete raggianti” (Sal 34 [33], 6). saper nulla quaggiù se non per voi, mentre attendiamo il giorno nel quale conosceremo tutto in Voi. (Sunto dal Monsabré)
Domenica XXIII dopo Pentecoste
La Volontà divina Et surgens Iesus sequebatur eum … Confide filia185.
Dio è amore e misericordia. Delicatezza e prontezza in questi due miracoli della potenza di Gesù: Pertransivit benefaciendo186. Lodiamo Dio che nelle opere di Gesù ha completato e perfezionato la manifestazione della sua bontà. Videte qualem caritatem187. Innalziamoci fino a Lui e contempliamo la sua volontà divina. Dio è intelligente: frutto dell’intelligenza è la sua scienza. In Dio vi è una volontà perché: voluntas intellectum consequitur188 (San Tommaso). L’intelligenza vede e dirige: una luce fredda e sterile, essa non potrebbe né godere di ciò che conosce né produrre cosa alcuna, se non fosse sorretta dalla volontà, alla quale solo spetta tendere al bene, afferrarlo e darci in esso e per esso il gusto, la gioia, il riposo. La volontà non è in Dio come nelle creature: una facoltà povera e piena di desideri, che non beve che a stilla a stilla il bene, del quale è arida; una facoltà che ha bisogno d’essere mossa da un bene collocato fuori dell’essere, che ella stessa muove, una facoltà che gli atti suoi molteplici e successivi vanno perfezionando. La volontà divina senza desiderarlo e aspettarlo si sazia del bene stesso dell’essere divino: essa non ha altro fine che questo bene, e questo è in essa essenzialmente, ed essa è essenzialmente in esso; quantunque non possa produrre una moltitudine immensa di esseri e di perfezioni, l’atto suo non si moltiplica, né si divide: questo è unico e eterno come è essa; è l’atto suo e l’atto suo è essa. Come Dio è la sua stessa intelligenza e scienza, così è la sua stessa volontà e il suo volere. La volontà di Dio è libera. Essere libero vuol dire essere signore di se stesso, immune da ogni costrizione, affrancato da ogni necessità; importa essere arbitro dei propri atti per guisa da potere a talento agire o non agire, volere una cosa o non volerla. Solo il corpo può essere vittima della violenza: l’anima no, per la sua nobile natura e i suoi magnanimi sforzi. Al corpo potete fare quello che volete, i suoi atti non contano. All’anima non si passano le credenze, le speranze, gli amori. La verità nel cuore vive inviolabile. Non posso rinunciare al mio diritto e alla mia virtù.
185 “Alzatosi, Gesù lo seguiva con i suoi discepoli. Ed ecco una donna, che soffriva d\'emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Pensava infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». Gesù, voltatosi, la vide e disse: «Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita»” (Mt 9,19-22). 186 “… passò beneficando” (At 10,38). 187 “Vedete quale grande amore” (1Gv 3,1). 188 “La volontà è intimamente connessa con l’intelletto” (SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q 19, a 1). Fiat ius et pereat mundus189. La cosa corre altrimenti quanto alla necessità. Figlia di leggi sulle quali poggia l’ordine universale, la necessità impera, si impone ed imprime un movimento che è forza secondare sotto pena di scadere dalla propria natura. È la necessità che governa l’attrazione dei corpi verso i corpi, gli istinti verso i beni sensibili, la volontà verso la felicità. Ricalcitrate verso l’attrazione magica della felicità: provatevi a protestare contro la voce imperiosa che scuote tutto l’essere vostro. Voi non lo potrete, il vostro spirito, il vostro cuore, il vostro corpo stesso si lasciano pigliare e affascinare: voi volete essere felici. Dio stesso vi è soggetto senza che la sua perfezione abbia detrimento. Sole senza tramonto, oceano di vita, natura piena e perfetta, colma di tutte le grazie, bellezza inenarrabile, bontà infinita, Dio non può non volere se stesso e amarsi: ecco la sua felicità. Qui Dio non è libero. È libero l’atto della volontà divina di fronte alle creature. Gli antichi si erano foggiati un essere impassibile e implacabile che chiamavano «il Destino». Senz’occhi, senza orecchi, senza ragione, senza misericordia, eppure dotato di una volontà onnipotente, signoreggiatrice degli Dei e degli uomini, questa spaventevole divinità, più che governare, si cacciava dinnanzi tutti gli esseri. Noi crediamo che Dio è libero, sia che crei, che governi, che dia i suoi doni o li tolga. Lo crediamo perché ce lo insegna la fede, perché gli atti religiosi lo proclamano, perché lo esige la perfezione di Dio. a) La fede ci insegna: omnia operatur secundum consilium voluntatis suae190 (Ef 1,11), dunque non per necessità. Dà i doni liberamente: Haec autem omnia operatur unus et idem Spiritus, dividens singulis prout vult191 (1Cor 12). Miserebor, cui voluero, et clemens ero, in quem mihi placuerit192 (Es 33). Punisce liberamente: Deus ultionum libere egit193 (Sal 93). b) La nostra preghiera sarebbe inesplicabile se non supponessimo libero Dio. L’uomo prega e qualunque cosa si dica o si faccia non gli si impedirà mai di pregare. Si inventano sistemi per mostrargli che pregando si condanna a un atto inutile, si ricorre alla violenza per impedirgli di accostarsi ai santuari, l’orgoglio gli consiglia di non fare appello che al proprio coraggio e alla grandezza del cuore, ma l’uomo nelle amarezze, nella angoscia, nella sventura, nella prova prega, implora soccorso e protezione. Questi atti possono ingannarci e non essere che un delirio grottesco del sentimento religioso? No: tanta è la grandezza e maestà dell’umanità che prega. Eppure bisognerebbe pensarlo e dirlo se l’effusione dei doni di Dio dipendesse dalla necessità e non dalla libertà. La necessità è implacabile e sorda ai gemiti degli infelici, la libertà si
189“Sia fatto il diritto e perisca il mondo”. 190 “… secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà” (Ef 1,11). 191 “Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole” (1Cor 12,11). 192 “A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò avere misericordia avrò misericordia” (Es 33,19). 193 “… il Dio delle vendette ha agito con libertà” (Cfr Sal 94 [93], 1). lascia intenerire. Dio ci avrebbe detto di non chiedere perché inutile, invece: Petite et accipietis194. c) La sua perfezione esige la libertà. Vi sono perfezioni relative che sotto certi aspetti si devono negare in Dio, come l’estensione che porta seco la divisibilità; la durata che domanda la successione degli istanti; il movimento che richiede la variabilità; ma vi sono perfezioni assolute che si chiamano semplicemente perfezioni – perfectiones simpliciter – che in Dio si debbono affermare in modo infinito come la semplicità, l’intelligenza, la sapienza e la bontà. E così della libertà. Di tutti i doni naturali è quello che ci fa maggiore onore. Un uomo può avere una mente piccola ma è più d’ammirarsi di una vera intelligenza se si conserva libero e indipendente. La libertà crea gli eroi, i santi, i martiri, i grandi popoli. Colla intelligenza io non merito nulla; colla libertà posso meritare tutto. Ora ogni bene creato sotto una forma infinita spetta al bene supremo: l’Essere supremo non può essere manchevole di questa grandezza e di questa bellezza. Come Dio ha diritto infinitamente più di noi a chiamarsi sapiente così infinitamente più di noi ha diritto di chiamarsi libero. Nelle nostre scelte vi è sempre qualche attrazione che determina la scelta; le cose create non possono avere influenza su Dio. È la sua bontà che lo determina ad operare al di fuori, ed è egli stesso ed egli solo la causa del suo libero atto. La volontà di Dio è onnipotente. La libertà di Dio non sarebbe piena se si dovesse arrestare davanti a un ostacolo. Qui quod vult non potest Deus non est195 (San Pietro Crisologo). Onnipotenza attiva alla somma attività. Quid quod volut potest196. Volere è potere. Solo in Lui la volontà e la potenza si confondono e l’atto nel quale si manifesta onnipotente è quello che fa passare tutte le cose dal nulla all’essere. Sia quanto si voglia grande il nostro genio e il nostro potere, noi abbiamo di essere per operare. Dio non ha bisogno dell’essere, egli lo crea. Si domanda un essere infinitamente potente per creare un granello di sabbia come per creare le miriadi di stelle. Dio crea e ciò basta per mostrare che la sua volontà tiene un sovrano dominio sopra ogni essere e ogni vita. È impossibile essere padrone assoluto dell’esistenza e non essere al tempo stesso il padrone assoluto delle sue manifestazioni. Omnia, quaecumque voluit, fecit in caelo, in terra, in mari et in omnibus abyssis197 (Sal 134). Nel cielo, terra, mare, abissi (esemplificare anche per il cielo dell’anima, ecc...). Esempio: Faraone, Saulo. Anche nell’ordine sociale Dio può tutto. Non può fare però ciò che è assurdo (circoli quadrati), perché una cosa non può essere e non essere nello stesso tempo: l’assurdo può essere pensato, ma non può avere esistenza reale. Domandare che Dio lo crei è chiedere che crei il nulla, e non è segno d’impotenza il non poter creare il nulla.
194 “Chiedete e otterrete” (Gv 16,24). 195 “Non è Dio colui che non può ciò che vuole”. 196 “Ciò che vuole può”. 197 “Tutto ciò che vuole il Signore lo compie, in cielo e sulla terra, nei mari e in tutti gli abissi” (Sal 135 [134], 6). La volontà di Dio è santa. La volontà di Dio ha il suo oggetto nel bene. Amor est actus voluntatis in bonum tendens198. Lo si chiama santo in Dio perché Dio non vuole né può volere che il bene, e vi è tanto fisso che non può dipartirsene. Il carattere specifico della santità è la permanenza, la stabilità, l’immutabilità nel bene. Il bene che Dio ama è un solo ed unico: il suo bene eterno, infinito, inenarrabile. Egli l’ama necessariamente in se stesso e per se stesso, e l’ama liberamente in noi e per noi. Dio prende e abbraccia la sua propria bontà e ne è ricolmo eternamente d’una gioia che lingua umana non verrà mai a ridire. Quando la bellezza si affaccia e il suo splendore rapisce, allora l’amore spunta nel cuore. Il primo suo atto è la scelta, il secondo è l’espansione: l’amore dona perché amare è volere il bene di colui che si ama – Amare est velle bonum alicuius199 (San Tommaso) ed è impossibile volerlo efficacemente senza procurarlo. Gioire e riposarsi nell’amore senza aver affaticato per amore è egoismo. L’amore dà: non solo è santamente geloso di questa larghezza e di questa armonia del bene, che fa la bellezza dell’oggetto amato, ma vuole aumentarla tirando all’oggetto tutti i beni e, se è necessario, sacrificando se stesso. Esso studia, esso inventa, previene i bisogni e i desideri; si tormenta, è prodigo di sé, si dimentica, non vive più in se stesso ma in quello a cui si dà. Anima magis est ubi amat, quam ubi animat200. Non c’è cuore miserabile che non ritmi chi ama così. L’amore risponde all’amore: è questa la legge. Due esseri separati, che un incontro fortuito ha avvicinati, si fondono negli stessi pensieri, negli stessi sentimenti, negli stessi gusti, negli stessi desideri e in qualche modo nella stessa vita. Ecco la storia del più dolce, del più forte, del più generoso dei sentimenti del nostro cuore. Ho messo da parte le affezioni imposte dall’istinto, dal sangue, dal dovere, dall’interesse perché queste cose non possono toccare la volontà divina. Ho parlato dell’amore libero e puro che quaggiù è l’atto delle anime perfette. Dio ci ama di questo amore? No: la libertà delle nostre affezioni è schiavitù; la loro purezza è sozzura se noi la confrontiamo alla libertà e purezza santissima dell’amore divino. Prior dilexit nos201. Ci scelse prima che un lineamento di bellezza potesse ferire il suo cuore; egli ci vuol bene prima che noi fossimo per riceverlo: il suo amore ci previene, ci prepara e ne riempie dei suoi doni prima che gli occhi della nostra anima si aprano per conoscere così grande beneficio. Quale bellezza era mai in noi quando neppure esistevamo, quando Dio nella sua essenza vedeva che non potevamo esistere? Non amava noi, ma la sua bontà e questo amore gli bastava e gli dava inesprimibili delizie. Eppure ha voluto che noi fossimo e ha fatto per noi ciò che nessun amore può fare, egli ci ha dato l’essere, e ce l’ha dato perché diventasse il vaso dei
198 “L’amore è un atto di volontà tendente al bene” (Cfr SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II-II, q. 27, a. 2 ad 3. 199 “Amare è volere il bene di qualcuno” (SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II, q. 26, a. 4). 200 “L’anima è più dove ama che dove risiede”. 201 “Egli ci ha amati per primo” (1Gv 4,19). suoi doni infiniti. Almeno Dio avesse bisogno come noi di trovare un appagamento e in qualche modo una vita novella nella espansione della sua tenerezza. Ma no, la sua beatitudine è completa: la sua vita è perfetta senza di noi. Il nostro amore non è che una pallida immagine, un’ombra lontana! Il nostro amore cerca il bene, l’abbraccia e se ne sazia; il vostro, mio Dio, produce il bene e lo spande su tutte le cose. Il nostro amore si perfeziona nell’effondersi, il vostro sempre perfetto, dà per dare; il nostro amore è felice dei suoi doni, il vostro non dà che per fare dei felici; il nostro domanda un altro amore, il vostro crea e compensa tutti gli amori; il vostro congiunto alla sapienza è l’artefice sublime di tutto il bene che esiste negli esseri: tutti gli esseri sono benefici che esso riempie di benefici; esso dà a tutti, che è grande cosa: dà agli indegni, che è cosa più grande; dà agli ingrati che è cosa più grande ancora; dà malgrado quelli che lo respingono, ciò che è il colmo della grandezza e poi, non avendo più nulla da dare, dà se stesso e voi con esso. Ciò che è veramente divino. «L’amore divino è come un circolo eterno, il bene del quale è ad un tempo il piano, il centro d’attrazione e d’espansione, il raggio e la circonferenza: circolo che in un invariabile movimento descrive la bontà che opera senza uscire da se stessa e ritorna al punto dal quale non s’è dipartita» (San Dionigi). E allora come mai la confusione, il turbamento, il disordine, il male nella natura e nelle anime? Una volontà potente e buona come può lasciare che si produca e sussista il male in un’opera che tutta intera dipende dal suo libero arbitrio? Il fallire della natura è la conseguenza delle imperfezioni che la libertà divina non era tenuta a cessare e questo fallire è un’ombra nell’ordine universale delle cose che non fa che dar risalto alla luce. Il male morale non è effetto della volontà divina (Dio è somma perfezione) ma viene da un volontà inferiore e defettibile, libera di cadere e assillarsi, libera di rialzarsi e di coprirsi di merito e di gloria. Dio vuole il bene con tutta la forza della sua santissima volontà. Questa volontà si chiama giustizia che dà a tutti secondo che si deve, in numero, peso e misura, che dà il premio del cielo ai buoni e che appare in pieno nella punizione dei cattivi. Non c’è impunità. Dio punisce con rigorosa sollecitudine. Subito dopo il peccato con il rimorso. Dal dolce all’amaro. Poi ogni peccato tende a produrre una pena che gli è propria. L’orgoglio tradito nei suoi desideri si trasforma in umiliazione; l’ambizione si prepara disillusioni e cadute; l’egoismo tormenti per annientarsi e isolamento e disprezzo degli uomini; l’ira finisce in catastrofi; la voluttà, dopo aver degradato le misere sue vittime e sulla loro fronte stampato il suggello della bestia, a goccia a goccia inaridisce la fonte della vita e ne scopre il vituperio agli occhi di tutti nell’ebetismo e nella impotenza d’una vecchiaia precoce. Non è ancora tutto. Dio stesso stende la mano sui miserabili che la loro astuzia o la buona fortuna affrancarono dalle pene che il peccato genera. Egli percuote la sanità, i beni, la famiglia; il peccatore meravigliato si chiede il perché della malattia, dei rovesci, delle amarezze domestiche, delle separazioni. È la giustizia di Dio che passa, la giustizia che tu non aspettavi, la giustizia che viene a rammentarti che tu hai fatto il male e che Dio vuole il bene. O giustizia! Il cielo è spaventato dai vostri colpi, la terra ne porta ancora le dolorose cicatrici, la storia dei popoli sotto ai nostri occhi mostra pagine sanguinose scritte dal vostro dito vendicatore. Ma le pene del tempo nelle vostre mani non sono che ammonimento: è nell’eternità che voi trionfate, perché è là che il male eternato nell’impenitenza naviga in un oceano di infiniti dolori, invocando sempre il termine dei suoi tormenti, sempre disperato nella loro vista eterna. Il castigo del peccato è l’evidente manifestazione dell’ordine. Dio cerca di distruggere la miseria del peccato con la misericordia. È padre: il peccatore suo figlio ferito, insozzato, languente va verso gli abissi eterni. Egli lo chiama, lo invita, lo prega, lo scongiura. Adopera tutte le voci della natura or lieta e ora triste, la pace dell’innocenza e la fugacità dei piaceri, la voce dell’amore inquieto e della tenerezza confidente, la voce di donne fedeli, di piccoli fanciulli, di amici; la voce di memorie care e di speranze perdute; la voce dei disinganni e delle sventure; la voce dell’infermità e della morte; la voce della giustizia messa al servizio dell’amore; la voce del mattino, la voce delle tenebre… Se il peccatore vuole ascoltarlo, se gli fa un segno, un solo piccolo segno, Dio subito si lancia verso di lui, si impadronisce della volontà ribelle, la piega e le fa gridare: perdono. Allora il figlio prodigo cade tra le braccia del padre: una mano benevola lo rialza, sostiene e rafferma i suoi passi vacillanti; tutti i beni che aveva perduto vengono a ripigliare il loro luogo202: dove il peccato aveva fatto il vuoto, la grazia sovrabbonda203 e tutto il cielo si rallegra204. Dite voi che siete ritornati: non è vero che anche nella febbre del piacere vi sentivate assediati dalle pietose importunità di Dio? Voi indugiavate ed egli non vi lasciava. Rammentate quel mesto pensiero, quello sguardo della sposa, quel sorriso infantile, quei feretri: era la misericordia di Dio. O misericordia infinita! Che importa che il male abbia invaso il mondo se voi accompagnavate la sapienza, la potenza e la giustizia divina fin dal principio delle cose? San Bernardo vi ha chiamato causa delle cause, causa causalissima causarum omnium205. La volontà di Dio è dunque santa, santissima, infinitamente santa perché vuole il bene con amore, lo vendica e lo riconduce trionfante sul trono, da dove l’avevano bandito le passioni ribelli. Non dubitate più oltre, ma amate l’amore del quale siete eternamente oggetto; temete la giustizia che vi insegna; gettatevi nelle braccia della misericordia che vi chiama; infine sottomettetevi in tutte le cose alla adorabile volontà di Dio. Contemplare Deum. Sequere Deum206. Non posso darvi la pace, la gioia e la felicità che ci vengono dal disprezzo e dalla indipendenza delle cose di quaggiù, ma ve le
202 Cfr Lc 15, 11-31. 203 Cfr Rm 5,20. 204 Cfr Lc 15,7. 205 “Causa causalissima di tutte le cause” (SAN BERNARDO, In antiphonam Salve Regina, Sermo I). 206 “Contemplare Dio. Seguire Dio”. prometto se vorrete dire: Volo quidquid vis, quomodo vis, quando vis et quia vis207.
207 “Voglio tutto ciò che vuoi tu, perché lo vuoi tu, nel modo in cui lo vuoi tu” (CLEMENTE XI, Preghiera Universale).
Domenica V dopo l’Epifania
La Santissima Trinità Nonne bonum semen seminasti…?208
Noi il buon seme di Dio. Corpo, anima, grazia. La nostra vita è costretta a vivere così stretta e vicina al male. Non è semplicemente vita, ma continua lotta di vita contro la morte del male. Dobbiamo avere una grande idea di questa vita per difenderne sempre la preziosità. Siamo figli di Dio, abbiamo la grazia santificante, diventiamo deiformi, in noi abita la Santissima Trinità. Vorrei che oggi pensassimo alla vita della Santissima Trinità per sentire le infinite grandezze che si compiono nella nostra anima poiché le tre divine Persone abitano in noi, e poi per avere idee precise su questo che è il principale mistero di nostra fede. Tra gli esseri: alcuni passivi ricevono movimento dal di fuori, esistono ma non vivono; altri traggono il movimento dal fondo del proprio essere, è la vita, motus ab intrinseco209. Dio è immobile ma ha la vita perché in questa vi sono gradazioni: muoversi spontaneamente è il principio della vita; muoversi liberamente è una perfezione nella vita; ma agire da sé, essere per se stesso un atto senza movimento è la perfezione sovrana della vita. Dio è vivente perché causa prima dell’essere, e la creazione vuole una energia infinita che attinge nell’intimo della sua natura. Dio è vivente perché autore della vita e perché è la stessa intelligenza e l’intelligenza è il più alto principio di attività interna che si possa concepire. Poi perché la vita è una perfezione. Se non c’è la vita, niente è completo (natura, deserto, oceano, la vorremmo anche nei capolavori). Ogni perfezione finita suppone una perfezione infinita, ogni creata necessariamente nel suo ordine una increata. Ma Dio come vive? Noi non arriviamo: le operazioni di intelligenza e di volontà non spiegano abbastanza. Da applicarsi il principio della fede: dell’Essere primo si deve credere tutto ciò che l’Essere primo ha detto di sé. La ragione taccia. Dio del quale ammiriamo l’unità non è solitario nella sua essenza, la sua fecondità popola il cielo di una famiglia santa. Tres sunt qui testimonium ecc…210. Forse svelato ad Adamo il mistero, tracce nell’AnticoTestamento. Facimus hominem211. Ecce Adam quasi unus ex nobis factus est212. Venite
208 “Non hai seminato del buon seme … ?” (Mt 13,27). 209 “Movimento dall’interno”. 210 “Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue e questi tre sono concordi” (1Gv 5,7-8). 211 “Facciamo l’uomo” (Gen 1,26). 212 Nella NOVA VULGATA: “Ecce homo factus est quasi unus ex nobis – Ecco l’uomo è diventato come uno di noi” (Gen 3,22). discendamus et confundemus linguam eorum213. Abramo nella valle di Mambre: Filius meus es tu; ego hodie genui te”214. La Sapienza possedit me in initio215, nondum erant abyssi216, ex ore Altissimi prodisti217, Candor lucis aeternae ecc…218. Sanctus, sanctus ecc...219 (Is). Ma ecco la Rivelazione. In principio erat Verbum220. Viene dal Padre, una sola cosa col Padre ecc… Filius Dei; Baptizantes eos221. Il Consolatore. Tutto l’insegnamento: Apostoli, Dottori, Chiesa. Essi sono tre! Dimenticate per un istante che siete mortali e lasciatevi trasportare al di sopra del firmamento e dei cori angelici: ecco l’essenza divina che germoglia tra fiori di gloria e di bellezza, ma l’albero non li produce sopra tre rami quasi tre fiori che accidentalmente e separatamente si riferiscono alla stessa sostanza. In Dio nulla d’accidentale; la sua essenza si svolge senza uscire da se stessa e si svolge per la via sublime ed ineffabile delle processioni. Dio è necessariamente tutto azione in se stesso; ora io non concepisco questa azione senza un principio che agisce, e questo principio senza un termine della sua azione. Intelligenza infinitamente agente, è necessario che Dio sia padre, perché necessariamente egli si esprime e si manifesta a se stesso. Questo avviene per il suo Verbo. Un Verbo uguale al suo principio, è Figlio. Essi si contemplano, si ammirano, si amano, respirano l’amore e nell’amore si donano a vicenda: il loro amore è sì possente, sì perfetto che forma tra loro un vincolo vivente, termine sussistente d’una seconda processione. In tal modo in Dio esistono due processioni: di intelligenza e di luce, e quella d’amore. Tre persone viventi e sussistenti. Ciascuna può dire «io». Ego et Pater unum sumus222. Questo perché nelle due processioni Dio si dà tutto intero. Se non avesse dato la sussistenza, l’io, l’atto sarebbe stato imperfetto. Né tre qualità, né tre sostanze determinate. Le tre personalità sono costituite dalle relazioni reali e sussistenti, infinitamente distinte per le loro proprietà incomunicabili, che perfettamente si riconoscono per la opposizione della loro origine e dei loro rapporti. La paternità senza principio sussiste rispetto alla filiazione, questa rispetto alla paternità, la processione dell’amore rispetto all’alito comune delle due persone donde emana. I tre sono in modo infinito identici nella natura e nelle perfezioni assolute, come sono in modo infinito distinti per le loro relazioni incomunicabili e le
213 Nella NOVA VULGATA: “Venite igitur, descendamus et confundamus ibi linguam eorum – Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua” (Gen 11,7). 214 “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato” (Sal 2,7). 215 “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine” (Pr 8,22). 216 “Quando non esistevano gli abissi” (Pr 8,24). 217 “… che esci dalla bocca dell’Altissimo” (Cfr Antifone maggiori dell’Avvento). 218 Nella NOVA VULGATA: “Candor est enim lucis aeternae – È un riflesso della luce perenne” (Sap 7,26). 219 Nella NOVA VULGATA: “Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus exercituum; plena est omnis terra gloria eius – Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria” (Is 6,3). 220 “In principio era il Verbo” (Gv1,1). 221 “… battezzandoli” (Mt 28,19). 222 “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). loro proprietà personali. Il Padre è Dio, è il principio. Il Figlio è Dio: unum sumus; nemo novit Patrem ecc…223. Non rapinam arbitratus ecc…224. Lo Spirito Santo è Dio: tiene lo stesso ordine che il Padre e il Figlio nella formula del Battesimo; conosce tutto; profluere Dei225, distribuisce i doni del Cielo come padrone; omnia operatur unus atque idem Spiritus226; qui locutus est per Prophetas227 (l’avvenire), rimette i peccati, santifica, dà il potere di governare la Chiesa. Non tre dèi, come la lunghezza, la larghezza e la profondità di un corpo non formano tre corpi; come il movimento, la limpidezza, la fluidità delle acque non formano tre fiumi ecc...; come la memoria, l’intelligenza e la volontà non formano tre anime. Formula dell’Attrazione. Et hi tres in unum sunt228. Il Padre. Il Padre non nasce, non è generato, non riceve da persona, non genera se stesso, egli è. Egli è, perché è; senza sorgente, origine, principio. È da lui che senza principio parte e a lui senza fine ritorna l’atto, onde si germina la divina famiglia. Spiritus autem Sanctus non de Patre procedit in Filium, et de Filio procedit ad sanctificandam creaturam; sed simul de utroque procedit: quamvis hoc Pater Filio dederit, ut quemadmodum de se, ita de illo quoque procedat229 (Sant’Agostino). Egli è principio: nel mondo creato risalendo la corrente di ogni vita, ripiegandosi sulla linea di ogni movimento, penetrando fino alla radice di ogni essere, la ragione non può senza di lui spiegarsi né l’essere, né il movimento, né la vita; ma più esattamente, più propriamente egli è il principio nell’infinito, perché è là ch’egli dispiega tutta l’energia della sua natura. La perfezione delle creature dice che lui esiste: ma ciascuna delle divine Persone ce lo manifesta tutto intero e per guisa che noi non potremmo vedere né il Verbo né lo Spirito Santo senza vedere lui in tutto il suo splendore. Qui vidit me, vidit Patrem230: parola che avrà la piena realizzazione nella visione beatifica quando il Verbo, mostrandoci se stesso, ci mostrerà il suo Principio, il Padre suo. Padre! Dolcezza di questo nome. Non paura. È il Figlio che ci ha insegnato: Pater noster ecc... Stelle, monti, foreste, ecc... cantate per bocca dell’uomo: Padre. Dio però non è vero padre che nella Trinità. Per essere vero padre: essere vivente e comunicare immediatamente la propria vita per modo di
223 Nella NOVA VULGATA: “Nemo novit Filium nisi Pater, neque Patrem quis novit nisi Filius et cui voluerit Filius revelare – Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il figlio vorrà rivelarlo” (Mt 11,27). 224 Nella NOVA VULGATA: “… non rapinam arbitratus est esse se aequalem Deo – … non ritenne un privilegio essere come Dio” (Fil 2,6). 225 “L’abbondare di Dio”. 226 “Tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito” (1Cor 12,11). 227 “… che ha parlato per mezzo dei profeti” (Cfr Simbolo Niceno-Costantinopolitano). 228 “… e questi tre sono concordi” (1Gv 5,8). 229 “Ora lo Spirito Santo non procede dal Padre nel Figlio e poi dal Figlio per santificare la creatura, ma procede dall’uno e dall’altro simultaneamente, benché sia il Padre che ha dato al Figlio di essere, come lo è egli stesso, principio da cui procede lo Spirito” (SANT’AGOSTINO, La Trinità, XV, 27. 48). 230 “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9). somiglianza. Il grande Vivente comunica immediatamente la sua propria vita al suo Verbo, in tutto simile a lui in virtù della sua generazione. Dio è vero padre e più padre di tutti i padri. Non ha bisogno di un germe da fecondare, egli stesso è il germe che la sua paternità vivifica. Solus pater231: non ha bisogno di un aiuto. Solius pater232: tutta la sua forza generatrice passa nel Figlio e la somiglianza è così perfetta che non è possibile un’altra che l’agguagli. Solum pater233: non è stato figlio come gli altri. Infine Dio è totalmente padre di tutto il suo figlio. In totum et totius pater234. Dio è il padre per eccellenza, è la paternità stessa. Lodiamo, adoriamo. Il Figlio. Gioia di un padre nel vedere i piccoli figli, fronte, occhi, volto, espressione: vere immagini; tanto più se si riesce a renderli simili spiritualmente. È pallida immagine della Trinità. Il Figlio di Dio emanante da un atto perfetto riproduce perfettissimamente la somiglianza del suo principio. Non può tralignare, né subire ombra di ritocco. Essenza e perfezione, tutto il bene di Dio è in lui, e ve lo possiamo vedere come in uno specchio tersissimo: Speculum sine macula, et imago bonitatis235. Splendor gloriae et figura substantiae eius236. Come la luce assomiglia al sole che la profonde, così il Figlio – luce da luce – ma non come un raggio che si può dividere, come la cera prende la forma del suggello, ma il Figlio non in una sostanza diversa. Procede da un’intelligenza dunque: Verbo. Il mio verbo è la parola che l’anima mia pronuncia interiormente, la parola che voi disviluppate dal suono materiale, per farla penetrare dall’orecchio all’immaginazione, dall’immaginazione all’intelligenza. La parola è il mio pensiero più intimo, il concetto immediato del mio spirito, la forma pura del mio conoscimento, l’ultima astrazione che rimarrà nelle anime vostre del lavoro della riflessione. Il solo concetto dello spirito nella massima sua purezza può darci qualche idea del Verbo nel quale l’intelligenza divina esprime tutto ciò che contempla. Somiglianze e differenze. Come il nostro, il Verbo esprime la conoscenza, dimora là dov’è concepito pur distinto e, come l’anima nostra è tutta intera nel nostro verbo, così il Padre è tutto intero nel suo Figlio. Tota mens in verbo, totus Pater in Filio237. Ma: il Verbo è essenziale come il suo principio, il nostro transeunte; il Verbo esiste sostanzialmente, il nostro è forma accidentale di una sostanza; il Verbo è sempre generato e sempre sussistente, il nostro nasce e passa colle operazioni dell’anima; il Verbo è l’espressione perfetta di una perfetta conoscenza, il nostro è l’espressione imperfetta d’una imperfetta conoscenza; il Verbo di Dio è unico, il nostro si
231 “Il solo unico Padre”. 232 “Padre dell’Unico”. 233 “Padre e l’unico Figlio”. 234 “Padre in tutto e di tutto”. 235 Nella NOVA VULGATA: “Speculum sine macula Dei potentiae et imago bonitatis illius – Uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà” (Sap 7,28). 236 “Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (Eb 1,3). 237 “Tutta intera l’anima nel Verbo, tutto intero il Padre nel Figlio”. moltiplica come le idee; il Verbo opera con la sola forza della sua generazione, il nostro rimane sterile nell’anima se altre forze non vengono in aiuto.
QUADERNO 17 (1950238) – SOMMARIO239 Domenica XIV dopo Pentecoste – Dio e la sua Provvidenza nella Storia 2 Domenica XV dopo Pentecoste – Il Timore di Dio 6 Domenica XVI dopo Pentecoste – La santificazione della festa 16 Domenica XVII dopo Pentecoste – La felicità è in Dio 20 Domenica XVIII dopo Pentecoste – Esistenza di Dio: Testimonianza dell’universo ...24 Domenica XIX dopo Pentecoste – L’Esistenza di Dio: La Testimonianza della Storia 28 Domenica XX dopo Pentecoste – Esistenza di Dio: La testimonianza dell’uomo 31 Domenica XXI dopo Pentecoste – L’Essere divino 34 Domenica XXII dopo Pentecoste – L’Intelligenza divina 40 Domenica XXIII dopo Pentecoste – La Volontà divina 45 Domenica V dopo l’Epifania – La Santissima Trinità 52
238 Possibile datazione ricavata dagli articoli di riferimento che don Pietro trascrive nel presente Quaderno. 239 Inserito in fase di redazione.
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