QUADERNO 7 Spigolature1
1 Titolo scelto da don Pietro per indicare un insieme di cose raccolte qua e là, ricercate minuziosamente. Oltre a questo titolo, la pagine iniziale riporta anche la seguente dicitura: Ch co P. Margini, 31 gennaio 1939, Albinea.
1. Racconto2. Tornavo dalla caccia e percorrevo un viale di giardino. Il mio cane mi precedeva correndo. Improvvisamente rallentò la corsa e avanzò furtivo… Guardai davanti a me, e vidi un passerotto con un po’ di gialliccio intorno al becco e di peluria sul capino. Era caduto dal nido, il vento scuoteva forte le betulle del viale e giaceva immobile stendendo le piccole ali impotenti quasi implumi. Il cane gli si avvicinava lento, quando ad un tratto, staccandosi dall’albero vicino, un vecchio passero dal petto nero gli piombò come pietra davanti al muso e tutto arruffato, sconvolto, con uno strido disperato fece due salti verso la bocca aperta, irta di denti. Era volato a salvare il suo piccolo nato, lo aveva coperto col suo corpo… ma tremava di terrore, la sua piccola voce era diventata selvaggia, roca: moriva, si sacrificava! Che mostro enorme dovette sembrargli il cane. E tuttavia non aveva potuto rimanere sul ramo; alto, lontano dal pericolo. Una forza più forte di tutto lo aveva strappato giù. Il mio cane si fermò, arrestò... Certamente anch’esso riconosceva quella forza. Mi affrettai a richiamarlo, pareva turbato; mi allontanai con un tremito di commozione nel cuore. Sì; non ridete… Mi inchinavo davanti a quel minuscolo uccello, davanti a quel suo slancio di amore… L’amore − pensavo − è più forte della morte e della paura della morte. Solo per l’amore, solo con l’amore si regge e perpetua la vita. (Dal Russo)
2. Il sorriso. Tutto il volto si illumina col sorriso. Esso porta con sé pensieri di pace, di gioia, di felicità. Non è solamente il risultato di una forma attraente presa dalle nostre labbra, è lo splendore che svela un’anima pura che sente il bisogno di irradiare intorno a sé un poco della sua dolcezza. È il mezzo col quale il Signore vuole che le anime comunichino tra di loro, e dà la stessa sensazione del profumo dei fiori, dell’armonia dei suoni. È come un apostolato il sorriso: agisce in silenzio, senza rumore, senza scosse insinua il desiderio di esser felice, di rendere felici chi ci sta vicino. Un sorriso non importuna mai. Il sorriso del bambino mostra la sua innocenza, quello dell’adolescente la sua gioia, quello dell’età matura il dovere compiuto, quello dei vecchi la pace e il riposo. E sono tutti differenti uno dall’altro, ma hanno tutti una grande forza di espansione, di comunicazione. E nel focolare domestico che potenza ha il sorriso! Appiana spesso ogni difficoltà e fa dire a chi prova la sua dolce influenza: “Come si vive bene con te, come si lavora bene con te, come si è felici vicino a te!”.
2 Titoli, numerazioni, elenchi e sottolineature sono state operate da don Pietro. 3. “La sua vita è la luce degli uomini”3. “Nella sua luce vedremo la luce”4 in tutta la sua pienezza. I nostri esami di coscienza spesso degenerano in un interessante ma poco concludente esame di analisi soggettiva perché esso è compiuto, per così dire, all’oscuro, mentre dovrebbe essere fatto alla presenza di Uno che realizza tutti i nostri più nobili ideali, spesso i nostri ideali dimenticati. L’esame di noi stessi non è una cosa astratta; dovrebbe essere il confronto di noi stessi col modello più perfetto e, al tempo stesso, capace di darci il maggior incitamento. Com’è diverso rialzarci, dopo un esame di coscienza, con la convinzione della povertà e freddezza e debolezza delle nostre preghiere e anche della nostra assoluta impotenza a porvi rimedio, la quale impotenza potrebbe anche essere reale, e rialzarci invece con la conoscenza derivata da un efficace raffronto tra la freddezza delle nostre preghiere e il valore della preghiera di Nostro Signore nella sua agonia, o del suo grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”5. In quest’ultimo caso abbiamo potuto renderci conto della nostra apatia o viltà nell’accettare la nostra freddezza nella preghiera, o viceversa abbiamo constatato come essa ci ha spinti a confessare la nostra miseria, a dolorare gemendo sotto il peso della convinzione stessa della nostra impotenza. Nel primo caso abbiamo la conoscenza di un fatto, conoscenza che può non migliorarci di un atomo, e anzi lasciarci ancor più indifferenti, abituandoci a riconoscere quasi con compiacenza quello stato di cose; nel secondo abbiamo un’esperienza personale, qualche cosa che, per la conoscenza acquistata, rende l’anima o migliore o peggiore. Constatare, matematicamente e aridamente, in un esame di coscienza, che oggi, per esempio, abbiamo ceduto sei volte all’ira, mentre ieri non vi cedemmo che cinque volte, è cosa ben diversa dall’acquistare convinzione e sentimenti derivati dal confronto di noi stessi, sotto l’influenza delle contrarietà della vita, con l’esempio di Nostro Signore quando, per esempio, fu percosso sul viso da uno dei servi del Gran Sacerdote6 o quando si trovò alla presenza di Farisei o Sadducei che cercavano di coglierlo in fallo nelle sue parole7. La conoscenza acquistata nel primo caso puramente intellettuale; nel secondo è qualcosa di più, è un’altra esperienza spirituale. Alla presenza di quella calma imperturbabile e di quell’amore inesauribile, l’uomo vede se stesso e si sente condannato; ha la visione rapida di una natura ferita e inasprita e in istato di difesa contro uomini non amati, di una vita interiore di irritazione e di turbamento ove l’ «io» regna e dove tutto è giudicato alla stregua del proprio gusto personale. La Luce che emana dalla Presenza di Nostro Signore è quella di cui parlò Simeone: “Questo fanciullo è messo come segno affinché restino svelati
3 “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1,4). 4 “È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce” (Sal 36 [35],10). 5 Mc 15,34. 6 Cfr Gv 18,22-23. 7 Si veda, a titolo esemplificativo: Mt 22,15-22; Lc 20,27-40; Lc 11,27-33. i pensieri di molti cuori”8, e di cui parlava il Salmista quando diceva: “Per mezzo di essa un giovinetto purificherà le sue vie, governandosi9 secondo il tuo Verbo”10, quel Verbo che si fece Carne per essere nostro esempio. Perciò se vogliamo arrivare a conoscere veramente noi stessi, esaminiamoci sempre alla presenza di Nostro Signore, cercando di approfondire sempre più le nostre cognizioni sulla sua Vita Personale. Esami di coscienza siffatti, anche se ci riveleranno una vita meschina e bassa, non saranno scoraggianti, ma riusciranno a umiliarci e stimolarci nello stesso tempo. “Egli uccide e risuscita; Egli atterra ed innalza”11. (B. W. Maturin12)
4. Quando predicava Massillon13 gli uditori dopo averlo ascoltato non si fermavano a fare l’elogio o la critica della predica, ma partivano in silenzio con gli occhi bassi, pensierosi, raccolti. Col loro portamento manifestavano quali sentimenti il grande oratore avesse suscitato nei loro cuori. Questi muti suffragi valgono assai di più di ogni maggior applauso. Luigi XIV dopo che il P. Massillon ebbe predicato il suo primo Avvento a Versailles, gli disse queste memorabili parole: “Padre mio, ho udito molti celebri oratori nella mia Cappella, e ne sono rimasto contento; ma quanto a voi: ogni volta che vi ho ascoltato sono sempre rimasto pochissimo contento di me medesimo”. Elogio questo veramente perfetto per un predicatore.
5. Casalis in un libro intorno ai Basutos racconta che un indigeno, un povero nero, gli assicurava di aver pianto perché non sapeva di dove veniva, né dove andava.
6. Deridete pure la filosofia e rassegnatevi a vivere inconsapevolmente trascinati dal flusso delle cose: ma quando la prima sventura farà sgorgare una lagrima dai vostri occhi, quando nell’ultimo addio di una persona cara, sentirete un singulto strozzare il vostro respiro, all’estrema soglia della vita vi si schiuderà davanti la notte tenebrosa, tutta piena di misteri, quella domanda che avevate respinta come un
8 “Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35). 9 Forse: “governandoci”. 10 “Come potrà un giovane tenere pura la sua via? Osservando la tua parola” (Sal 119 [118], 9). 11 “Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire. Il Signore rende povero e arricchisce, abbassa ed esalta” (1Sam 2,6-7). 12 Basil William Maturin, sacerdote (1847-1915). 13 Jean-Baptiste Massillon (Hyères 1663 - Clermont 1742), predicatore della congregazione dell’Oratorio. rompicapo inutile si presenterà con la sua implacabile ansia alla vostra coscienza. (A. Aliotta14)
7. Le Distrazioni nell’Orazione. Alcune osservazioni intorno alle difficoltà che non di rado si incontrano nell’attendere alla preghiera. Queste difficoltà si possono ridurre a due capi: alcune riguardano l’intelletto e sono le distrazioni; altre riguardano la volontà, e sono le aridità. Bisogna poi avvertire una volta per sempre, che i rimedi che suggeriremo per vincere queste difficoltà valgono non solo per la preghiera, ma anche per la meditazione, per gli esami di coscienza, e in generale per tutti gli esercizi di pietà. I. Cause delle distrazioni. Può darsi talvolta che le distrazioni abbiano per autore immediato il demonio. Vedendo egli che l’orazione è per noi fonte di inestimabili beni, procura di infastidirla e di darci in essa mille disturbi affinché tolto via questo mezzo di santificazione gli riesca più facile l’ottenere i suoi fini malvagi. Fa con noi come fece il capitano Oloferne per prendere la città di Betulia15: taglia cioè gli acquedotti che ci portano l’acqua benefica della grazia. Ma non è sempre necessario attribuire ad una azione diretta ed immediata del demonio l’origine delle distrazioni; perché possono provenire molto spesso da varie cause intrinseche alla nostra povera natura. 1) E prima da parte della volontà, che non è abbastanza energica nell’applicare all’orazione le potenze che dipendono da lei; e questo difetto di energia nasce a sua volta dall’aver poco desiderio di trattare con Dio. Supponete che un’anima sia macchiata di qualche peccato, ovvero sia dominata da qualche affezione disordinata, vedrete subito che essa non desidera di essere ammessa all’udienza di Dio per mezzo l’orazione16; anzi fugge da lui e cerca apposta le divagazioni, per non sentire i rimproveri della coscienza. 2) In secondo luogo molte distrazioni provengono da parte dell’intelletto. Esso è portato di sua natura a cercare l’evidenza; e siccome gli oggetti che dobbiamo meditare sono i misteri della fede, verissimi in sé certamente, ma soprannaturali, è ovvio che almeno ci si trovi un poco a disagio in tali considerazioni e passi con facilità a pensieri di altre cose più accessibili alla sua capacità. Più frequente è il caso che l’intelletto si distragga o perché non ha preparata sufficiente materia per meditare, o perché troppo preoccupato da altri pensieri riguardanti gli affari, i negozi, gli studi, ecc..., senza contare che certe anime hanno poca attitudine al lavoro intellettuale; e perciò per quanto si sforzino di andare al
14 Antonio Aliotta, filosofo (1881-1964). 15 Cfr Gdt 7. 16 Da intendere: “per mezzo dell’orazione”. fondo delle cose col ragionamento, non riescono che a stancarsi; e allora che meraviglia che facilmente si distraggano? 3) Anche l’immaginazione può dar luogo a molte distrazioni. Certe fantasie volubili naturalmente non sono capaci di star quiete: e se a questo si aggiunge la dissipazione, la poca custodia dei sensi, la smania di sentire e di vedere tutto quello che avviene, si può ben capire che nel tempo dell’orazione una gran turba di fantasmi importuni impediranno la debita attenzione. 4) Da ultimo la difficoltà di applicare la mente all’orazione ha talvolta la sua origine nell’infermità corporale e soprattutto nella debolezza di testa propensa alla nevrastenia, oppure anche nella tentazione del sonno a cui non pochi vanno soggetti quando dovrebbero attendere alla perfezione. II. Avvertimenti generali per le distrazioni. 1) Prima di tutto occorre aver presente la notissima distinzione tra le distrazioni involontarie e quelle volontarie. Alcune volte le distrazioni che si provano nell’orazione non sono né volute né accettate, anzi vengono subito cacciate via quando sono avvertite. In tal caso non v’è alcuna ragione di perdersi d’animo; l’orazione non perde punto il suo valore meritorio e impetratorio; anzi lo sforzo continuo che si fa per mantenere il raccoglimento, a dispetto di quelle vane immaginazioni, è cosa che piace molto a Dio e accresce il merito dell’orazione. Anche i santi andavano soggetti a queste miserie, e spesso il loro pensiero era trasportato dalle cose celesti alle terrene; sicché, come confessava di sé il Santo Profeta Davide, erano costretti a correre dietro al loro cuore che fuggiva nel tempo dell’orazione, per ricondurlo a Dio. Sarebbe quindi inganno gravissimo lasciar l’orazione per causa di queste distrazioni involontarie. Può essere invece che le distrazioni siano cercate o accettate volontariamente come accade a chi nel tempo dell’orazione ama seguire la noia, rivolge apposta la mente ad altre cose, o venendogli improvvisi altri pensieri, li abbraccia e vi si ferma avvedutamente. È manifesto che tali distrazioni sono colpevoli e impediscono il frutto dell’orazione. Come potrà Dio contentarsi di tali preghiere? Come! − dice San Giovanni Crisostomo − tu non audis orationem tuam, et Dominum vis audire precem tuam?17; Tu non odi te stesso, e vuoi che ti senta il Signore? Chi dunque avesse coscienza di tali colpevoli negligenze, corregga tosto il difetto, ma non tragga la conseguenza che sarà meglio lasciar l’orazione. No. A chi commette qualche disordine mangiando, si dà forse per consiglio di non mangiare più? Emendi il disordine, ma continui a prendere ai tempi debiti il nutrimento necessario. 2) Eliminate dunque totalmente le distrazioni volontarie come ci dovremo regolare con quelle che sorgono in mente contro la nostra volontà? “Prima di tutto non ce ne meravigliamo; la terra
17 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia 17. essendo stata maledetta deve produrre dei rovi e delle spine; l’anima nostra viziata dal peccato originale sarà sottoposta senza dubbio alla prova delle distrazioni. Nella lotta che abbiamo a sostenere con esse, dobbiamo guardarci dall’essere fiacchi e dal fare degli sforzi eccessivi. Bisogna certo scacciarle con animo e con costanza; altrimenti sarebbe ritogliere alla Divina Maestà una parte dell’olocausto. Ma la resistenza non deve essere violenta, inquieta, impaziente, poiché non si tratta di un lavoro di forza, ma piuttosto di grazia e di umiltà. Basta distorsene con pace e rivolgere di bel nuovo l’attenzione sul soggetto della meditazione: si può anche ogni tanto uscire in queste o altre simili espressioni di umiltà: Voi, o Signore, vedete quello che io sono; che cosa si poteva aspettare da questa terra ingrata e inaridita, se non dei rovi e delle spine? Tal’è il metodo da seguire regolarmente; ma c’è un caso in cui è meglio combattere le distrazioni col disprezzo. Ciò avviene quando Dio permette al demonio di importunarci di continuo senza poterlo allontanare. Allora giova ricordare che, secondo la similitudine di Sant’Agostino, il demonio è come un cane attaccato alla catena, il meglio è di continuare la conversazione senza curarsi dei suoi latrati. Disprezziamo le grida persistenti del demonio e seguitiamo a parlare con Dio facendo atti di fede, di speranza e di carità, di adorazione, di domanda e altri; questi sono possibili anche in tal caso. Poi rimettiamo tutto nelle mani della Provvidenza. Il demonio si ritirerà quando crederà bene il Signore”.
III. Norme speciali per le varie specie di distrazioni. (R. Maumigny18) 1) Si tratta di distrazioni che nascono dall’avere qualche peccato sulla coscienza? Cerchiamo subito di purificare la nostra anima con l’atto di contrizione perfetta o anche con la Confessione, affinché sia tolto il timore di accostarci a Dio. 2) Si tratta di distrazioni provenienti da affetti disordinati? Certo quando una cosa è troppo amata, odiata o temuta, sta sempre fissa nella memoria conforme al detto: “Ubi est thesaurus tuus, ibi est cor tuum − Dov’è il tuo tesoro, ivi è pure il tuo cuore” (Mt 6,21); e però non lascia la possibilità di pensare tranquillamente a Dio. In tal caso bisogna andare alla radice del male, e adoperando il ferro della mortificazione, troncare le affezioni poco regolate. Non è questo lavoro di un sol giorno: ci vorrà del tempo ma con la grazia di Dio e la buona volontà, aiutata, se occorre, dall’esame particolare, si riuscirà a ricondurre la calma nel cuore. 3) Si tratta di distrazioni prodotte dalla stessa sublimità dei misteri della fede? Benché la nostra mente si diletti naturalmente dell’evidenza, è anche vero che gli atti di fede ripetuti con frequenza finiscono con rendere dilettevole e soave l’assenso ai misteri rivelati; e se da principio si provava difficoltà nella meditazione per oscurità dell’oggetto, con l’abitudine di coltivare l’intelletto in ossequio alla fede, si prova poi tanta facilità e gusto che il tempo vola senza che ce ne accorgiamo. Conviene adunque ripetere spesso e con fervore gli atti di fede, persuasi che la certezza della fede supera tutte le evidenze umane; gli atti produrranno l’abito di aderire sopra ogni cosa all’autorità di Dio rivelante e così cesserà ogni causa di distrazione. 4) Sono distrazioni che nascono dal non aver fatto bene la preparazione dell’orazione? Questo purtroppo non è caso raro e perciò conviene essere attenti a non trascurare nessuna di quelle industrie, che Sant’Ignazio con somma cura ha raccolte nel libro degli Esercizi: cioè preparare bene i punti la sera precedente; ricordarsene prima di addormentarsi; appena svegliati la mattina mettere subito lo spirito all’unisono con l’argomento della meditazione; fare bene l’atto di presenza di Dio prima di cominciare l’orazione e dir bene l’orazione preparatoria19. La fedeltà a queste piccole avvertenze è incredibile quanto giovi al debito raccoglimento durante la meditazione. 5) Nascono dalla molteplicità delle occupazioni, degli affari, degli studi ai quali si deve attendere? In tal caso il Padre Aquaviva (Industrie c. III. n.7) dà i seguenti avvisi: 1) evitare con diligenza quelle occupazioni e quegli studi che non sono strettamente necessarie per l’adempimento dei nostri doveri; 2) in mezzo alle stesse occupazioni abituarsi a stare raccolti, a ricordarsi della presenza di Dio, recitando qualche giaculatoria; 3) interrompere il lavoro con qualche breve visita al Santissimo Sacramento; 4) secondo il consiglio di San Bernardo non buttarsi a corpo perduto negli affari, ma accomodarsi soltanto; 5) evitare i passaggi bruschi dalle occupazioni distrattive all’orazione, ma per alcuni minuti riposare un poco lo spirito pensando a Dio con cui si va a parlare. Il Padre Le Gandier aggiunge che gioverà molto al raccoglimento interiore il troncare verso sera in ora conveniente tutti gli affari e tutti gli studi, rimandandoli al giorno seguente, e intanto pensare un poco alle cose dell’anima. Così si farà con pace la preparazione dei punti della meditazione, l’esame di coscienza, la visita al Santissimo; e si sarà ben disposti per la meditazione del giorno seguente, per la Santa Messa e la Santa Comunione. E però è al tutto da sconsigliarsi la consuetudine di lavorare e studiare fino a notte molto avanzata; perché siccome la natura non può stare senza il conveniente riposo, avverrà che andando a dormire dopo la mezzanotte, bisognerà alzarsi molto tardi, e così mancherà il tempo tranquillo di buon mattino per attendere all’orazione. 6) Nascono dalla impossibilità di seguitare un ragionamento? Questo può significare che avete poca attitudine al lavoro intellettuale e in tal caso vi sarà molto utile la cosiddetta lettura meditata dove il ragionamento è già esposto nel libro. In secondo luogo può darsi che il non poter ragionare provenga da infermità e debolezza di testa e allora vi saranno assai utili i tre modi di orare spiegati da Sant’Ignazio20 specialmente il terzo, col quale si recitano adagio alcune formule di preghiere con un po’ di pausa tra una parola e l’altra. In tal modo è facile trattenersi con soavità e senza sforzo in affetti di fede, di speranza, di carità, di contrizione, di rassegnazione, di umiltà e somiglianti. In terzo luogo se la difficoltà a ragionare deriva da un carattere ardente, affettivo, portato all’amore, si può permettere di abbondare in affetti nella meditazione, ma a queste due condizioni: prima che gli affetti siano coronati da propositi seri, indirizzati all’emendazione dei difetti e alla pratica delle virtù; secondo che si compensi la mancanza di ragionamento con una solida lettura spirituale che illumini l’intelligenza e mostri la via sicura che mena alla perfezione. Finalmente se l’incapacità di ragionare è da attribuirsi alla volubilità e instabilità della fantasia, come già si disse, si potrà supplire con la lettura meditata, con brevi ma frequenti visite al Santissimo, con frequenti giaculatorie, con dividere in diversi tempi l’ora della meditazione, ma sopratutto bisognerà sottrarre alla fantasia tutto ciò che può ingombrarla e quindi custodire bene i sensi, evitare le curiosità, osservare bene la modestia, astenersi dalle letture vane, ecc… 7) Che se le difficoltà dell’orazione nascessero dalla tentazione del sonno diremo con Padre Gandier che conviene resistere virilmente fin da principio perché se si cede un poco, il pericolo di addormentarsi sarà molto maggiore. Gioverà pure lavarsi bene la faccia e gli occhi con acqua fresca, e cambiare posizione, stando ora in ginocchio, ora in piedi, ora con le braccia in croce, ovvero, se si può, passeggiando un poco. Infine può anche aiutare qualche disciplina, con una fervente preghiera a Dio affinché ci liberi da quella molestia. Del resto quando uno ha fatto ciò che era in suo potere, non deve angustiarsi, se non riesce a vincere del tutto questo impedimento. (Da “Manresa”, Gennaio 1931) 8. “Quando Mosè alzava le mani, Israele era vittorioso”21. Signore noi siamo il tuo popolo! In questa nostra Italia primi sbocciarono i fiori del tuo Vangelo; qui caddero, per la testimonianza della tua fede, milioni di martiri, qui diffusero il profumo di loro virtù i più eccelsi tuoi Santi e le anime più belle della tua Chiesa qui si diedero convegno. Dalla terra nostra partirono primi i missionari della tua parola e i pionieri della civiltà cristiana. Non sono forse le città e i villaggi nostri dedicati alla tua Vergine Madre, e imperlati tutti dei suoi santuari? La corona dei nostri monti è consacrata dalla tua croce e la nostra pianura ride tutta di sacre aguglie. Sì, noi siamo il tuo popolo, o Signore, perché Tu hai posto le tue compiacenze nella terra nostra, fino ad affidarle il faro di luce indefettibile, la cattedra cioè del tuo Vicario. Se noi errammo, o Signore, non ti ricordare delle nostre iniquità, perché il nostro popolo non ti rinnegò giammai e la nostra nazione non fece da te apostasia. Anche noi, o Signore, come il tuo servo Mosè, ti preghiamo, con le braccia tese in supplice atto: noi ti adoriamo e protestiamo tutta la nostra fede in Te, Dio degli eserciti e della vittoria. I nostri figli vanno in fitte schiere al cimento: benedicili o Signore! Benedicili sugli aspri ghiacciai delle Alpi, nelle pianure infuocate, tra le fosche insidie del mare, sulle ali dei venti, nel silenzio e nell’ombra. Dona a loro la coscienza completa del dovere eroico, purifica i loro cuori, sostieni le anime loro, perché fatti nobili e forti, combattano per la causa del bene, della giustizia, della rigenerazione umana. Rinnova in essi l’antica fede della legione Tebea e dei Martiri, il valore dei crociati di Lepanto, la forza invincibile dei nostri padri a Legnano. E fa’, o Signore, che noi tutti siamo all’altezza dell’ora solenne, con la fede, con la concordia degli animi, con la purificazione dei cuori, con la severità dei costumi. Noi soffriamo e vogliamo soffrire e le nostre sofferenze le vogliamo benedette e consacrate per l’unione alle tue agonie, alla tua morte. Ma, deh!, o Signore, concedi che il frutto di tante lacrime, di tanto sangue, sia non solo la vittoria sui nemici della nostra Patria, ma anche sugli errori e sui vizi che ci hanno fatto talvolta errare lontani da Te; da Te che sei la Via, la Verità, la Vita! (Da “Sorriso in famiglia”, 1919)
9. L’Aquila e l’Uomo (Leggenda africana). In tempo antichissimo quando le idee di molti uomini erano ancora avvolte nell’oscurità, e le loro anime erano soggiogate dallo spirito delle tenebre, esse erano incatenate alla terra e non potevano tendere verso il cielo. Un giorno Umuntu, l’uomo, si recò a passeggiare nella foresta vergine e trovò una giovane aquila; le sue ali erano ancora tenere e non la potevano sostenere nell’aria. Umuntu prese l’uccello e lo portò con sé a casa, dove lo associò alle sue galline. Sua moglie gli dava il medesimo becchime delle galline; e tuttavia era un’aquila, il re dell’aria. Passarono degli anni. Un giorno venne da Umuntu un uomo saggio. Questi vide il
21 Cfr Es 17,11. singolare animale e subito disse: “Questa è un’aquila e non una gallina”. “Così è − rispose Umuntu − ma io l’ho messa tra le galline, ed ora non è più un’aquila; essa è una gallina, sebbene possa stendere le sue ali per tre metri”. “No − disse il sapiente − essa è ancora un’aquila, nel suo petto palpita il cuore di un’aquila. Io la voglio far ascendere nell’aria”. Umuntu obiettò: “Essa è diventata una gallina e mai più volerà”. “Facciamo una prova!”. “Sia pure!” disse alla fine Umuntu arrendendosi. Il sapiente afferrò l’aquila per le ali, la sollevò in alto e le gridò: “Aquila, tu sei un’aquila! Il tuo regno è l’azzurro etere, non l’oscura terra. Su! Solleva le tue ali, vola in alto incontro al sole”. L’aquila tentò di volare… vacillava da una parte e dall’altra. Ma vide sotto di sé le galline, che si cibavano dei grani sparsi qua e là; si posò sulla terra e sparì tra le galline per beccare come esse i granelli. E Umuntu disse: “Vedi ora? Io te l’ho detto, essa è diventata una gallina”. “No − rispose il sapiente − essa è ancora un’aquila. Domattina faremo una nuova prova”. E venne il mattino. Di nuovo prese l’aquila la portò sul terrazzo della casa e gridò: “Tu sei un’aquila! Tu sei un’aquila. Distendi le tue ali e vola incontro al sole”. Ma l’aquila vide di nuovo le galline, che razzolavano nella polvere della strada, abbassò le sue ali e tornò tra di esse. E Umuntu disse: “Io te l’ho detto, che ora appartiene al pollaio”. E un’altra volta rispose il sapiente: “No! È un’aquila. Essa ha il cuore di un’aquila. Facciamo ancora una prova. Domani volerà”. Quando il sole spuntò di dietro ai monti, ed i monti si bagnavano del suo candido riflesso, sicché ogni punta rocciosa risplendeva come perla nel rugiadoso mattino, egli riprese l’aquila e si portò ai piedi del monte che dominava il mondo; la sollevò sulle ali e gridò ad alta voce: “Aquila, tu sei un’aquila! Tu appartieni all’aria, non alla terra. Distendi le tue ali e vola via”. L’aquila guardò attorno a sé… Un leggero brivido e fremito corse attraverso il suo corpo, come se novella vita l’avesse invasa. Ma non volò. Il sapiente la fece guardare nel sole. Ed ecco! L’aquila subito spiegò le sue ali, emise un grido di vittoria ed ebbra del sentimento della libertà, si slanciò verso le vette dorate dei monti, sempre più alto, più alto, verso il sole, entro l’infinito. E non ritornò più. Il sapiente disse a Umuntu: “Voi siete creato per il cielo, non per la terra. Per la luce del sole e la libertà del cielo, non per l’oscurità e la schiavitù. Iddio ha messo nel vostro petto un cuore di aquila; voi siete creato per l’eterno, anche se lo spirito cattivo cerca di incatenarvi alle cure della terra. Se voi, Bantù − neri − volete ascoltare le mie parole, io vi condurrò sul monte, donde voi potete mirare nel sole: la vostra anima allora salirà a Dio all’infinito. Così raccontano i neri. “Voi avete nel petto un cuore d’aquila!”.
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