253 - Santità del cristiano nel mondo - Cardinal Congar

253. Santità del cristiano nel mondo

1. È chiaro il pensiero di San Paolo (1Cor 7,29-31; 2Cor 4,7-11; 12,10; cfr Gv 17,9-19) riassunto nella formula: “Nel mondo e non del mondo”1. Deve essere un uomo di cielo il cristiano, lontano dalle cose del mondo (Gal 3,27-28; Col 3,11); formiamo una unità e una realtà nuove.

“Una vita nascosta con il Cristo in Dio” (Col 3,3; Gal 2,20).

D’altra parte un laico deve le attività per le quali dura e si costruisce il mondo temporale (famiglia, lavoro, ambiente). Il laico deve donarsi. Non è indifferente al mondo perché non è distinto dal mondo. Deve onorare le due logiche o le due fedeltà.

Per la fede il cristiano è veramente tolto dal mondo, morto al mondo. È crocefisso come il Cristo alla vita della carne, cioè alla vita naturale, a tutto ciò che è eros.

È nato dallo Spirito. Bisogna morire a tutto: denaro, salute, forza, bellezza corporale, influenza, relazioni, cultura.

Tuttavia in un secondo tempo tutto sarà restituito. Ma non più secondo la carne, non dal basso per goderne in vista del mondo e di noi stessi, ma dall’alto come un dovere e una grazia. Tutto ci è reso come una chiamata di Dio e una missione da compiere per conto suo e in vista di Lui, in modo conforme ai suoi voleri, secondo le intenzioni di amore, di salvezza, comunione e vita eterna che Dio ha presenti nella sua creazione. Sì, ricevo di nuovo una donna, ma nel Signore: 1Cor 7,39; 11,11; Ef 5,21 sq.; Col 3,18.

La forza e le ricchezze ma per servire il Signore; io ricevo i figli ma nel Signore: Ef 6,1; Col 3,20; forse anche servi ma nel Signore: Ef 6,5; Fm 1,16. 20. Di nuovo, bellezze e dolcezza ma ricevute gratuitamente da Dio e quindi accolte in azione di grazia e ordinate a servirlo. Il mondo ci viene reso dalla volontà di Dio, come dovere e come vocazione.

Il segreto di «usare come non usando», quello di un uso compiuto con distacco. E si può fare riferendo tutto a Dio. Gesù ha posseduto ogni cosa, possedendola «come Figlio», cioè come ricevuta dal Padre per riportarla al Padre (Gv 7,16). Così Abramo possedette suo figlio una prima volta, e una seconda dopo aver accettato di sacrificarlo e averlo ricevuto di nuovo dalla misericordia di Dio.

Una spiritualità o santità sempre composta di due momenti: distacco, impegno.

Noi dobbiamo cercare di comprendere le intenzioni di Dio sul mondo in generale e su noi in particolare.

Necessità allora evidente e fondamentale di purificare la nostra visione delle cose, degli impegni, delle gioie, di tutto ciò che è per noi un possesso e di cui ci è possibile godere. Rivedere e purificare la coscienza che abbiamo di noi stessi, del nostro posto e della nostra importanza nel mondo. Tutto questo non ha bisogno di essere espiato come se fosse cattivo. Ma dobbiamo possederlo come non avendolo. Dobbiamo riuscire ad averlo solo da Dio e per Lui. Il mezzo per giungere a questo ideale è semplice e unico: la croce. È compito delle purificazioni.

Ho figli: bisogna che impari ad averli non per me, ma per Dio. E così per le altre cose. E siano per noi motivo di servizio e oggetto di azioni di grazie più che gioia «carnale» anche «onesta».

È una seconda nascita, non soltanto quella del battesimo, ma quella di una vera conversione, cioè di una revisione radicale dei valori della nostra vita. Non si attua senza croce, né senza quei piccoli sacrifici che santa Teresa di Lisieux ci ha insegnato a comprendere meglio.

Ci esercitiamo seriamente a entrare in questa via di spogliamento, di vita attraverso la morte, che è la via di Gesù, soltanto se ci preoccupiamo di tutte le piccole cose in cui si mantiene desta la nostra volontà di vivere non per noi ma per il Signore (cfr Rm 6,10-11; 14,8).

(Da Congar, Le vie2, p. 319 sq.)

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