20/12/1981 - Ritiro in preparazione al Natale

29/11/1981
Ritiro spirituale tempo di Natale

Ascolta l'audio

PRIMA MEDITAZIONE 

Prendiamo motivo di meditazione dal Salmo 120.

Alzo gli occhi verso i monti: 

da dove mi verrà l’aiuto? 

Il mio aiuto viene dal Signore, 

che ha fatto cielo e terra. 

Non lascerà vacillare il tuo piede, 

non si addormenterà il tuo custode. 

Non si addormenterà, non prenderà sonno, 

il custode d’Israele. 

Il Signore è il tuo custode, 

il Signore è come ombra che ti copre, 

e sta alla tua destra. 

Di giorno non ti colpirà il sole, 

né la luna di notte. 

Il Signore ti proteggerà da ogni male, 

egli proteggerà la tua vita. 

Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri, 

da ora e per sempre” (Sal 120,1-8).

In questa prossimità del Natale alziamo gli occhi. Alziamo gli occhi, cioè è il tuo Signore che viene, dice la liturgia, è il tuo Redentore. Alziamo gli occhi, perché unicamente da Lui può venire l’aiuto, la fortezza, la gioia, unicamente da Lui, per noi e per gli altri. 

Vorrei che insistessimo molto in un tema di confidenza, di una confidenza piena e fervida. Vorrei che insistessimo molto, perché abbiamo bisogno di tutto, ma particolarmente abbiamo bisogno di confidenza, perché possono mancare molte cose ma non può mancare la confidenza. 

La confidenza dice tante virtù. La confidenza dice uno stato d’animo particolarmente sensibile e centrato, uno stato d’animo che prende tutta la nostra vita, uno stato d’animo che è supporto a tutte le cose che facciamo o alle quali rinunciamo. La confidenza. Una confidenza totale, di una pienezza di fede. 

Quand’è che si realizza la vera confidenza? La vera confidenza che non è superficialità, la vera confidenza che non è rinuncia alle proprie responsabilità, che non è una cosa comoda da mettere lì per non tormentarsi nei pensieri, la vera confidenza è una somma particolarmente di due virtù: della virtù della fede e della virtù dell’umiltà. 

Lo sappiamo bene: la fede è un’accoglienza, l’accoglienza della Parola di Dio, dell’intervento di Dio, dell’amore di Dio, perché credere è credere all’amore di Dio che non si ferma di fronte alle miserie e al peccato dell’uomo, ma che si dona a lui. Ecco la grande meraviglia che rimediteremo in questo tempo natalizio: Dio si dà all’uomo, quasi che l’uomo avesse qualche cosa! Un darsi all’uomo da parte di Dio. Dio si dà a noi. Dio si dà a noi e non si dà in qualche modo, si dà come si dà un Dio: si dà totalmente. Betlemme è il simbolo di questo dono totale dell’Incarnazione: Dio che diventa uomo, Dio che assume su di sé l’umanità nostra, quell’umanità dolorante e peccatrice. 

La fede mi fa sentire questa donazione e me la fa vivere, me la fa sentire come il tesoro che finalmente è svelato: Dio mi ama ed io ripeto in me stesso la storia della salvezza universale, Io ripeto in me stesso, cioè io sento che Dio si dona tutto a me, io lo credo perché la sua Parola me l’assicura. Dio si dà tutto a me, senza alcuna reticenza e superando tutti gli impedimenti. 

Riconosco la mia povertà, riconosco i miei tradimenti, riconosco la mia superficialità e la mia indifferenza, riconosco quante volte ho promesso e poi non ho mantenuto; ma è vero: Dio si dà tutto a me. Dio si dà a me per operare il miracolo della mia trasformazione e della mia conseguente santificazione. Dio si dà a me e vuole riparare tutto il mio passato e farmi vivere di vita piena e nuova. Il Signore è con me! Ecco l’esclamazione piena della fede: il Signore è con me! Allora “non lascerà vacillare il tuo piede, perché Lui non si addormenta, Lui è il tuo custode (v. 3), è l’ombra che ti copre”(v. 5). 

Lo spirito di fede dice allora che noi dobbiamo essere nella sua linea, nella precisa sua linea. La nostra corrispondenza, di conseguenza, è sullo stesso piano: Dio si dà a me, io mi devo dare a Lui. Mi devo dare a Lui. È questo il grande poema che io devo scrivere, questo è il capolavoro che devo fare: saper corrispondere al suo dono con il mio dono, al suo amore col mio amore. Io devo darmi. Devo darmi. 

Oh, lo sappiamo, basta rientrare un momento in noi stessi per vedere quante cose gli abbiamo negato! Quante cose gli abbiamo dato a metà o abbiamo dato solo un frammento! Rientrare in noi stessi: è d’uopo arrossire e confondersi. Quante cose non gli abbiamo dato! Nemmeno quando la cosa era posta unicamente per Lui, come la preghiera. Abbiamo detto: “Do questo tempo al Signore” e poi, minuto per minuto, l’abbiamo preso via, l’abbiamo dato alla nostra pigrizia, l’abbiamo dato alle nostre agitazioni, l’abbiamo dato agli altri, a delle cose futili e inutili o almeno indubbiamente secondarie. Quante cose non abbiamo dato a Dio! Gelosi scioccamente della nostra autonomia, gelosi di volere a tutti i costi tenere qualche cosa per noi, come un bambino tiene il suo gioco e il gioco è pericoloso. Quante cose non gli abbiamo dato! Ed è su questo tema la nostra riflessione di fede, una riflessione profonda e viva per cui il nostro interrogativo in questo Natale non può che configurarsi così: basta! Ho ancora altro da fare? Certo! Certo! Ognuno di noi sotto la grazia dello Spirito Santo può conoscere che cosa adesso deve dare, che cosa adesso è richiesto, che cosa il Signore più insistentemente domanda. Forse ce l’ha chiesto tante volte, forse è stato un picchiare insistente alla nostra porta, forse è stato la causa di tanti avvenimenti che si sono succeduti, che si sono succeduti, perché quella cosa contraria o quella disgrazia o quella preoccupazione oppure quella gioia, quel fervore insolito, quel sentimento, tutto era coordinato dalla provvidenza, perché dessimo quella cosa e quella cosa non l’abbiamo data.

Il Signore moltiplica i suoi inviti, li moltiplica, perché l’amore non si stanca. Il suo amore non viene meno: “Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele” (v. 4). Nessuna tentazione è insuperabile. Nessuna situazione è tale da farci avere paura. No. Lui è lì, ma la sua custodia è perché noi possiamo lavorare e impegnarci, possiamo veramente corrispondere nel vero amore, perché tutta la nostra spiritualità deve essere segnata così da quest'amore. Quante volte noi inganniamo noi stessi perché, per non dare, simuliamo dei regali che non esprimono! Il Signore vuole proprio quelle cose da noi, non ne vuole altre e noi le moltiplichiamo le altre, le moltiplichiamo ma non servono. Che cosa vuole il Signore da te? Se vuole quella preghiera, se vuole quel tipo di meditazione, se vuole quell’Eucaristia, se vuole quei determinati atti di generosità, quel cambiare il tuo carattere, quell’essere così aperto e generoso, se vuole quel tuo impegno, se vuole quel tuo raccoglimento, è quello che devi dare. Non dubitare: il Signore ti aiuterà, ma devi essere sincero con te stesso, pronto, sincero. 

È scritto nel vangelo di Luca: Gesù disse all’uomo che aveva la mano inaridita: «Alzati e mettiti nel mezzo». L’uomo, alzatosi, si mise nel punto indicato… E Gesù disse all’uomo: «Stendi la mano!». Egli lo fece e la mano guarì (cfr. Lc 6, 8-10). Sembrava un momento non opportuno per i farisei ed era il momento opportuno. Come dobbiamo invocare il miracolo, la mano inaridita che guarisce: la nostra vita che riprende quel lavoro, quel ritmo che erano previsti dal piano di Dio! Dobbiamo indubbiamente insistere, perché molte volte siamo talmente disordinati che facciamo le cose come un fanciullo, che ora va lì e ora va là e prende in mano una cosa, poi prende in mano l’altra, poi prende in mano quell’altra. E non abbiamo una linea sicura della nostra spiritualità. 

L’imperativo del tempo di Natale è questa nascita dove vuole Gesù che nasciamo, è quest’affermazione nella sua meravigliosa misericordia. Molte cose ci possiamo chiedere, di molti problemi possiamo essere preoccupati, ma è qui dove dobbiamo insistere: che cosa vuole da me il Signore, mio Dio? 

Permettete l’insistenza: che cosa vuole da me il Signore, mio Dio? Lo sforzo concentrato, tutte le energie! Io do al mio Signore quello che Lui vuole da me e lo Spirito Santo me lo fa conoscere. Lo Spirito Santo me lo fa conoscere nella mia riflessione, nella mia invocazione. Io devo essere di Dio, proprio perché Dio si dà tutto a me. Abbiamo conosciuto così la vera natura di Dio, che Dio è dono alle sue creature e più ancora dono ai suoi figli. Noi siamo stati fatti figli di Dio: “La grazia del Signore Gesù si è riversata in noi” (Ef 1,7-8). Noi siamo un tutt’unico con il Signore, noi siamo il Cristo totale. Ecco il modello nostro: noi saremo tutti e in tutto di Dio se saremo simili a Gesù, se come Lui ci abbandoneremo completamente alla volontà divina, che si fa conoscere, che urge alla nostra anima. Troppo preoccupati perché scarsi di fede, rimeditiamo le parole del salmo: “Di giorno non ti colpirà il sole, né la luna di notte. Il Signore proteggerà la tua vita” (vv. 6-7). 

Ecco allora la nostra riflessione. Prima di tutto mediteremo sul significato profondo del Natale: Dio si dà in totalità; secondo: vedremo com’è supremamente giusto che noi ci doniamo tutti a Lui; terzo: vedremo gli ostacoli al donarci tutti, gli ostacoli della nostra pigrizia, della nostra slealtà, che facciamo finta di non vedere. Tutti gli ostacoli, che conosciamo bene, sono i nostri. 

E risolveremo in molta confidenza e abbandono di intraprendere un cammino generoso e ascensionale, un cammino che ci porti ad un rivolgimento vero della nostra vita di pietà, della nostra vita di virtù, della nostra vita d’impegno. E così saremo nella sua misericordia.

SECONDA MEDITAZIONE 

Ritorniamo al Salmo 120. “Il mio aiuto – dice – viene dal Signore che ha fatto il cielo e la terra” (v. 2).

Ci si richiama all’onnipotenza di Dio. L’onnipotenza non è al servizio che dell’amore. “Dio viene con potenza”, dice la liturgia dell’Avvento. Dio viene con potenza, perché la meraviglia di ogni meraviglia è il suo amore e l’amore onnipotente crea, restaura, risuscita. L’amore onnipotente. Ecco, dicevamo stamattina, per costruire la confidenza ci vuole la fede e ci vuole l’umiltà. 

Riflettiamo sull’umiltà. Quella disposizione obbedienziale, quella disposizione a lasciarlo fare, quella disposizione per cui siamo sicuri che farà e che farà rispettando la nostra libertà, rispettando le nostre scelte, ci induce in profonda umiltà, l’umiltà per cui vediamo che il Signore che viene è il re. L’angelo Gabriele lo dice con Maria: “Guarda che Colui che ti domanda il permesso è il Re. Guarda che Colui che ti domanda il permesso è grande, è chiamato Figlio dell’Altissimo e il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre. E il suo regno non avrà fine” (cfr. Lc 1,32-33). 

Sentire che il Natale è povertà, ma proprio perché è amore, è regalità; ecco la regalità del Cristo, una regalità fuori di ogni termine umano e fuori di ogni considerazione umana. La regalità di Cristo! A questa ci dobbiamo richiamare, ed è questa che dobbiamo meditare in profondità. È il re, il re perché figlio, il re perché servo, il re perché si è fatto l’ultimo degli uomini ed è il primo. La nostra autonomia esagerata ed esasperata è proprio la causa di tutti i nostri peccati. Ci sentiamo scocciati di dover dipendere. Ci sentiamo urtati dal dover ubbidire. Ci sentiamo istintivamente ribelli. Lo spazio, diciamo, della nostra libertà, lo spazio del poter fare quello che ci pare. Sembra che non comprendiamo, proprio perché abbiamo l’eredità del peccato, che il Signore è amore e la sua regalità e la sua potenza è messa a servizio del suo amore. 

Dipendere da Dio, imparare questa grande lezione dell’umiltà. Dipendere. Dipendere con la mente e dipendere col cuore. Dipendere in una particolare nostra necessità, ma dipendere ancora in ogni nostro istante. Dipendere quando lo sentiamo, dipendere quando dobbiamo fare lo sforzo su di noi stessi, perché servire Dio è regnare, è cioè entrare nella comunione con Gesù, entrare in una comunione sempre più stretta e più forte. “Il Signore Dio gli darà il regno” (cfr. Lc 1,33). Accostiamo queste parole a quelle di Gesù: “Non sono venuto a fare la mia volontà” (Gv 6,38). “Io faccio sempre la sua volontà” (Gv 8,29). “Non la mia, la tua volontà, Signore!” (cfr. Lc 22,42). Comprenderemo come la nostra regalità, che ci è partecipata da Cristo, assume le sue proporzioni, la sua forza, la sua incisività proprio dal nostro dipendere, dal far nostra la sua volontà. 

La grande battaglia, che l’uomo deve fare, sta proprio qui: unirsi talmente alla volontà di Dio da fare con Lui una sola cosa. Unirsi alla volontà di Dio, da non vacillare e da non lasciarsi fuorviare da nulla, perché Lui ci porta: “Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri, da ora e per sempre” (Sal 120,8). Chiedersi allora continuamente qual è questa volontà di Dio, portarci come Cristo di fronte al Padre, portarci come Lui e ripetergli le sue parole, ripetergli quelle parole che piacciono tanto a Lui: «Padre, io so che tu mi ami. Padre io lo so che la misura della mia grandezza sta nell’essere completamente tuo. La mia grandezza sta nell’accoglienza piena del Figlio tuo, perché in quest’accoglienza realizzerò me stesso come la Madonna si è realizzata pienamente, perché ha dato se stessa come schiava. Si è realizzata come vergine totalmente di Dio, si è realizzata come madre totalmente del piano della salvezza, proprio perché ha consegnato a Te la sua volontà». 

Un’umiltà allora talmente forte e radicale che diventi come spontanea in noi. L’umiltà di questa sequela di Gesù, oh, non è un atteggiamento esteriore, non è un piegare di ginocchia, è la persuasione che tutto il nostro essere, che tutto il nostro potere dipende da Lui e che la nostra grandezza sta in questa accettazione entusiasta e forte. È allora in questo senso che dovremo spesso tornare su di noi stessi, perché la tentazione è soprattutto qui: il nostro gusto, il nostro piacere, le nostre idee, le nostre scelte...Sì, le nostre scelte, non le sue! La fede è forza che ci spinge ad accogliere il Signore così, perché altrimenti non è possibile. 

Nel salmo 90 sta scritto: “Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi. Lo salverò, perché a me si è affidato. Lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome” (Sal 90,13-14). Ecco le nostre tentazioni, le nostre vipere, le nostre facili illusioni. Diceva il Papa all’inizio del suo pontificato: “Aprite le porte a Cristo”. Ecco la meditazione di Natale: aprire le porte a Cristo, proprio in questa recezione totale di Lui. E allora i leoni e i draghi non ci possono fermare, non ci possono vincere. Un’umiltà allora che non consiste in passività. Dicevamo stamattina la collaborazione, la sua mano guida la nostra mano. 

L’umiltà è una persuasione che rende sommamente attivi e sommamente forti. Al suo dono doniamo, ricambiamo, donando tutto noi stessi, le nostre energie, i nostri affetti, le nostre risorse. Tutto per Lui, per il regno di Dio. 

Il discorso si concretizza nella vita di ogni giorno, nella vita che domanda tanta rinuncia a noi stessi per essere sinceri, per essere buoni, per essere pazienti. Tanta rinuncia a noi stessi, per proseguire nelle iniziative di bene, nelle opere di testimonianza, che richiede lo svuotamento di noi stessi. Ricordate il famoso passo di san Paolo della lettera ai Filippesi, la kenosis di Cristo, l’annientamento di Cristo. Ecco, la sua via, la via della regalità: “Fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8). È l’apparente antinomia, è l’apparente opposizione di due grandi idee: la regalità e la kenosis, è l’annientamento di noi stessi, è lo sforzo che noi dobbiamo fare per seguire Gesù Cristo, perché Natale è capirlo di più, perché Natale è seguirlo meglio, perché Natale è deporre davanti al presepio quello che impedisce la pienezza del suo regno, le cose nostre che inciampano, che deturpano. 

Tornano le sue parole: “Chi non odia la propria anima la perde” (cfr. Gv 12,25), la perde. Ecco questa rinuncia, per cui sappiamo coraggiosamente buttar via tutta quella parte di noi stessi che germina male, che rompe, perché il Signore è così buono che ha molta pazienza con noi, ma il suo amore urge. Ha detto: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio” (Lc 18, 16). È, in fondo, la grazia del Natale, la grazia dell’infanzia spirituale, che è buttar via tutti i nostri atteggiamenti alteri e ridicoli nello stesso tempo, tutti i nostri atteggiamenti di sapienti e di navigati, per accogliere così da fanciulli il regno di Dio. Da fanciulli. 

E penso che, prima di presentarci al presepio, dobbiamo buttare lontano da noi tutto quello che impedisce di capirlo, tutto quello che ci impedisce una comunione profonda con Lui. Semplicità è strettamente unita a umiltà, umiltà e semplicità è svestirci di tutte le cose che segnano una specie di maschera. Ci camuffiamo e sembriamo grandi e il Signore ci ripete le sue parole: “Lasciate che i bambini vengano da me”. Bisogna desiderarlo, volerlo con tutto il cuore, anelarlo con tutta l’anima. Capire il Natale, perché siamo entrati nell’umiltà, perché abbiamo capito quali sono i valori veri, perché abbiamo capito quali sono le cose che il Signore urge, ed è la sua urgenza come fuoco. “Io sono – dice nel Deuteronomio – io sono come il fuoco” (cfr. Dt 4,24); conflans “come il fuoco del fonditore” (Ml 3,2). “Sono come fuoco”. La gioia di entrare nel suo mistero è una gioia che va pagata proprio così, con l’accettare la sua linea, perché lo ricordate il passaggio nel vangelo di Matteo: “Ti benedico Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Gesù ribadisce con forza questo concetto: “Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio. Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (ib. 26-27). La grande gioia del Natale sta qui! Nel riuscire a conoscere il Figlio, perché il Figlio ci farà conoscere il Padre. Ma non è possibile conoscere Gesù, non è possibile se non si entra in questo mistero di semplicità e di umiltà, se non si capisce che bisogna aprire a Gesù Cristo, cioè rinunciare alle nostre false volontà. 

Non insisteremo mai abbastanza per vincere il nostro orgoglio! È così multiforme, è così potente che sembra indistruttibile. Tutto ci serve, tutto ci serve per inorgoglirci. Tutto ci serve per essere autonomi dalla chiamata di Dio, tutto ci serve! E ci facciamo un trono che è come il trono delle favole e ci facciamo una pretesa di buon senso, che non è quello che vuole il Signore. Gesù loda il Padre suo. Abbiamo letto nel Salmo: “Il nostro aiuto è nel nome del Signore, che ha fatto cielo e terra” (Sal 120,2). Gesù dice: “Ti benedico o Padre, Signore del cielo e della terra” (Mt 11,25). Si richiama all’onnipotenza del Padre, perché c’è una provvidenza che nasconde e una provvidenza che fa capire. Fortunati noi, se entriamo nella provvidenza che fa capire! 

Dobbiamo perciò vedere quali sono le cose che maggiormente ci impediscono nell’orgoglio, nella pretesa, quelle cose che forse da tempo combattiamo, ma che abbiamo combattuto male o a intermittenza. Quali sono le cose che finalmente dobbiamo dare? Ecco, l’umiltà. Desiderare molta umiltà. Desiderare il gusto dell’umiltà. Desiderare la scelta dell’umiltà. Desiderare e volere. Anelare in continuità, perché è anelare alla volontà di Dio e che Lui regni, il Salvatore, completamente in noi. Che regni! Regni e possiamo essere così nella sua gloria, in quella gloria che la Chiesa continua nella logica dell’Incarnazione. 

Naturalmente il nostro esame di coscienza scenderà ben nel concreto, in quelle piccole cose che formano il tessuto della nostra vita quotidiana, in quei risvolti che sono alle volte tanto nascosti agli occhi degli uomini, ma visti con pena dal nostro Redentore. E ci mettiamo nella posizione di quella donna, che soffriva di emorragia da dodici anni e che si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello (cfr. Mt 9,20). Dodici anni: i nostri anni di orgoglio, i nostri anni passati così. Dodici? Di più? Passati così, senza raggiungere quel grado di umiltà che ci permette di comunicare e di avere il miracolo: “Coraggio! La tua fede ti ha guarita!” (ib. 22).

TERZA MEDITAZIONE

La confidenza, di cui abbiamo parlato, è una confidenza che non è solo di ogni singola anima, è la confidenza di tutta la famiglia. I due sposi sono chiamati a confidare, perché sono stati costituiti nella grazia singolare del matrimonio e sono così posti nell’unico progetto di Dio. 

Nella recente esortazione apostolica, la “Familiaris Consortio”, che vi consiglio di leggere e di meditare, il Papa richiama questa vocazione dell’amore e questa collaborazione col piano di Dio. Dice il Santo Padre al n. 11: “Dio ha creato l’uomo chiamandolo all’esistenza per amore. L’ha chiamato nello stesso tempo all’amore. Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore. La rivelazione cristiana conosce due modi specifici di realizzare la vocazione della persona umana nella sua interezza all’amore: il matrimonio e la verginità. Di conseguenza la comunione d’amore tra Dio e gli uomini, contenuto fondamentale della rivelazione, trova una sua significativa espressione nell’alleanza sponsale che s'instaura tra l’uomo e la donna. È per questo che la parola centrale della rivelazione, «Dio ama il suo popolo», viene pronunciata anche attraverso le parole vive e concrete con cui l’uomo e la donna si dicono il loro amore coniugale”. 

Ecco l’unico progetto: insieme, insieme in questa ricerca, insieme nel fare la volontà di Dio, insieme nel realizzare giorno per giorno la loro perfezione, perché lo stato cui siete chiamati è lo stato di perfezione vera. È un vero stato di perfezione, per cui il cristiano è chiamato a vivere l’amore di Cristo e della Chiesa. Cominciare questo Natale è cominciare a capire questo progetto, è cominciare a intenderlo con più profondità. 

L’umiltà è accettare la vocazione che ci ha dato Dio, e il modo di vocazione che ci ha dato Dio. È proprio nell’ubbidire insieme al Signore che si realizza la grande umiltà, quell’umiltà creativa proprio perché permette allo Spirito Santo di fare di noi i veicoli del suo amore, di fare di noi la santità che si diffonde. Troppe volte noi dovremmo ricordare il Salmo 126: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode” (Sal 126,1). È in questa visione chiara e profonda che allora lo sforzo personale è dato volentieri, è dato con entusiasmo, è dato con quello slancio che non valgono a mortificare le prove e le tentazioni. 

Insieme, insieme! Dio vi ha chiamati a questa vita insieme, per cui la santità è un lavoro a due e se uno non lavora non si attua, non si può attuare. 

Ne viene allora la necessità di due cose: della preghiera e del colloquio. La festa di Natale è un richiamo alla famiglia di Nazareth; per questo la prima domenica dopo il Natale si celebra proprio questa festa, che è orientativa. 

Il colloquio tra i due sposi deve essere un colloquio che attui l’atmosfera, l’ambiente. C’è una parola di Dio che passa per l’altro; se si trascura il colloquio, non passa più. C’è una parola di Dio donata per la coppia, una parola che è una parola di amore, una parola di dono e nella quale Gesù Signore si manifesta, perché vuole che questa comunità familiare sia veramente la vera sorgente di propulsione del regno di Dio. 

Amate il colloquio, il colloquio spirituale, il colloquio profondo, il colloquio confidenziale, il colloquio sereno, il colloquio che dà forza e dà consolazione. Nel colloquio si attua veramente un passaggio di grazia, perché il colloquio, frutto d’amore, viene ad essere una diretta esigenza del sacramento che avete ricevuto. Colloquio, confidenza, generosità, superando gli individualismi, superando l’arroccarsi in se stessi, nella propria autosufficienza. Il colloquio è scambio del dono ricevuto, è scambio in umiltà, riconoscendo che non tutto noi abbiamo, che anche l’altro ha, riconoscendo con umiltà che noi non tutto sappiamo, che il Signore si manifesta così secondo le leggi che Lui stesso ha stabilito. 

Dice ancora il Papa: “La donazione fisica sarebbe menzogna, se non fosse segno e frutto della donazione personale, nella quale tutta la persona anche nella sua dimensione temporale è presente: se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si donerebbe totalmente. Questa totalità è richiesta dall’amore coniugale (…) ed è il luogo unico che rende possibile questa donazione” (Familiaris Consortio, 11). È proprio così. 

Io vorrei che metteste forte tra i vostri propositi la rinnovazione del vostro colloquio, la vivacità del vostro colloquio, l’impegnativa del vostro colloquio. Tanto tempo per tante cose! Il migliore dei tempi è quello che donate l’uno all’altro, al colloquio che, se è tenuto così come vuole il Signore, sfocia nella preghiera insieme, quella preghiera che fa sì che si possa continuare la lode che il Verbo incarnato è venuto a portare sulla terra. 

Non dimentichiamolo: il Natale è il Natale del Verbo fatto uomo. Il Verbo è l’eterno cantico fiorito nel seno della Trinità, è il canto che il Figlio dona al Padre suo. Gesù è la continuazione di questo cantico trinitario. E la domanda del Natale è la domanda a noi perché ci associamo, perché ci uniamo, perché il ritorno al Padre si attua prima di tutto nella preghiera. E se con grande fede facciamo nostra la preghiera di Gesù, se ripetiamo la preghiera di Gesù, allora veramente noi ci innestiamo con forza nella storia della salvezza: la famiglia si innesta attraverso la grazia ricevuta e attraverso la preghiera in questa lode e in questo canto al Signore, in quest’invocazione. 

La preghiera insieme ha uno speciale valore, ha una grande dignità, la preghiera insieme è una chiara manifestazione che nella famiglia c’è il fiorire dello Spirito dell’Incarnazione. 

Com’è grande la preghiera familiare! Bisogna conquistarla sempre di più. La preghiera ci innesta nel cuore stesso di Gesù ed è per questo che dà tanta forza e tanta soavità. Pregare insieme deve essere il ristoro, pregare insieme deve essere la vera gioia, pregare insieme è potenziare la propria missione. Pregare insieme. 

Il Natale vi dia questa grazia, perché il disegno di Dio sulla vostra famiglia giunga a compimento. Diceva Saulo lungo la via di Damasco: “Signore, che cosa vuoi che io faccia?” (At 8,1-9). Ogni famiglia nella sua conversione deve dire: “Signore cosa vuoi che io faccia?”. Il colloquio vivo, la preghiera perseverante aprono la porta e danno tanta soavità. Il Signore è infinita misericordia, lo dobbiamo ricordare sempre, e perdona tutti i nostri peccati, anche quelli frutto d’ipocrisia e di durezza. 

Il colloquio e la preghiera insieme ci ottengono la misericordia su tutto quello che non abbiamo fatto o su tutto quello che abbiamo fatto male. Non stanchiamoci di cercare questa preghiera, non stanchiamoci! 

La gioia il Signore ce la dà quando lasciamo aperta la nostra porta. Chiuderci nel nostro egoismo, chiuderci nella nostra ripetuta individualità ostacola il piano di Dio. Voi volete che questo piano di Dio trovi quella grande realizzazione, per cui c’è tanto da sperare, ricordando la parola di Gesù: “Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?” (Lc 12,54-56). 

Vorrei che il rimprovero del Signore non fosse per nessuno di noi. Il tempo che dobbiamo usare bene è questo tempo di grazia, la grazia del vostro amore coniugale. Nell’esame di coscienza, che farete voi, vedrete soprattutto i modi, vedrete quelli che sono stati gli ostacoli e come bisogna superarli. Non mi sono fermato, perché mi manca il tempo e basta così, basta l’invito, un invito forte per la santificazione di tutta la vostra famiglia.

CODICE 81NLR083      
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza, 20/12/1981
OCCASIONE Ritiro in preparazione al Natale - IV Domenica di Avvento - Anno B
DESTINATARIO Adulti
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Commento al Salmo 120; confidenza, umiltà, famiglia

Condividi su
MOVIMENTO FAMILIARIS CONSORTIO
Via Franchetti, 2
42020 Borzano
Reggio Emilia
Tel: + 39 347 3272616
Email: info@familiarisconsortio.org
Website: familiarisconsortio.org
  • “È evidente come Don Pietro abbia vissuto il suo sacerdozio
    tra la vita delle persone, condividendo tutto. 
    In fondo, forse, è il segreto più prezioso che ci ha svelato.”
    Umberto Roversi

© 2022 Movimento Familiaris Consortio | Via Franchetti, 2 42020 Borzano (RE) | info@familiarisconsortio.org |Privacy Policy | COOKIE POLICY | SITEMAPCREDITS