27/02/1972 - Ritiro di Quaresima adulti

27/02/1972
Ritiro spirituale Quaresima

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I MEDITAZIONE 

Ascolta, Dio, la voce, del mio lamento,

dal terrore del nemico preserva la mia vita.

Proteggimi dalla congiura degli empi

dal tumulto dei malvagi.

Affilano la loro lingua come spada,

scagliano come frecce parole amare

per colpire di nascosto l'innocente;

lo colpiscono di sorpresa e non hanno timore.

Si ostinano nel fare il male,

si accordano per nascondere tranelli;

dicono: «Chi li potrà vedere?».

Meditano iniquità, attuano le loro trame:

un baratro è l'uomo e il suo cuore un abisso.

Ma Dio li colpisce con le sue frecce:

all'improvviso essi sono feriti,

la loro stessa lingua li farà cadere;

chiunque, al vederli, scuoterà il capo.

Allora tutti saranno presi da timore,

annunzieranno le opere di Dio

e capiranno ciò che egli ha fatto.

Il giusto gioirà nel Signore

e riporrà in lui la sua speranza,

i retti di cuore ne trarranno gloria (Sal 64 – Testo CEI 74).

Sant’Agostino dice a commento di questo salmo: “Quale lingua è come una spada?”, e risponde: “Non era forse una spada quando gridavano insieme: crocifiggilo, crocifiggilo?”. 

È proprio il salmo che ritrae vivacemente la situazione della tragedia del giorno di Parasceve, quando il Signore soffrì per noi. La congiura degli empi, il tumulto dei malvagi, l’ostinazione nel fare il male, i loro subdoli tranelli. E gridavano: “Il suo sangue cada sopra di noi e sopra i nostri figli!” (Mt 27,25). 

Sappiamo bene: quando il trionfo del malvagio è assicurato, il male non può avere un trionfo duraturo. Vorrei, sulla scorta di questo salmo, che ci proponessimo di meditare il dramma della Passione, che diventa poi il dramma della Chiesa e, nel piccolo, il dramma di ognuno di noi. Certo! 

La Chiesa è Cristo diffuso e ciò che è avvenuto a Cristo avviene continuamente alla Chiesa. E come Cristo fu beffato, come Cristo fu trattato da pazzo, come Cristo fu martoriato, così avviene ancora della Chiesa, perché la Chiesa deve essere nella Passione di Cristo per essere nella Resurrezione. Sotto questo aspetto non illudiamoci: la Chiesa non sarà mai accettata dal mondo, mai, perché non è stato accettato Cristo. Si dice alle volte: la Chiesa non è accettata perché il suo volto non è abbastanza evangelico. Ma proprio perché è evangelico da certuni non è accettato, non può essere accettato, perché il mondo dovrebbe rinnegare se stesso e convertirsi, ma allora non sarebbe più il mondo. Il mondo è in mano a Satana ed è Gesù che ci ha avvertito di questo quando ha definito certuni, che gli si opponevano, “i figli del diavolo” (cfr. Gv 8,44). Non per nulla una larga parte dei suoi miracoli è posta nello scacciare dagli ossessi il demonio, perché era il “principe di questo mondo”, che doveva essere vinto e sarà vinto, precisamente quando Gesù consumerà il suo sacrificio, lo consumerà in un apparente fallimento.

Meditare la Passione di Gesù non è semplicemente riandare con commozione alle sue sofferenze, date per amore; è, in fondo, capire il senso vero della storia del Cristianesimo e di quello che aspetta noi, quello che è la nostra porzione. Certo, ritornano le parole dell’Apocalisse: “Tu ci hai redento con il tuo sangue” (Ap 5,9). È con il suo sangue che l’Agnello ci ha purificati.

Durante la Quaresima, in particolare, dobbiamo sempre tenere davanti il suo adorabile Volto, dobbiamo tenere davanti le sofferenze del suo cuore. 

Dicevamo: la voce del malvagio è paragonata alla spada e alle frecce che colpiscono. Certo, il cuore di Gesù ha sofferto di più di tutte le prove di ordine fisico, e sono state gravissime, come ben sappiamo. 

Nel suo cuore sono risuonate le parole di Giuda: “Che prezzo mi date perché io ve lo venda?” (Mt 26,14); o le altre: “Sono forse io, Maestro, colui che ti tradisce?” (Mt 26,25). E più di tutte le altre parole: “«Ave Rabbi!» E lo baciò” (Mc 14,45). C’è tutta l’odiosità dell’amico che tradisce. C’è tutta la nostra vergogna, la vergogna dei nostri peccati, la vergogna dei nostri tradimenti, perché il Signore lo abbiamo tradito, quando non siamo stati come Lui, anche se nel nostro minimo, quando abbiamo venduto il Signore per un nostro momentaneo piacere. 

Risuonavano nel cuore di Gesù durante la Passione le parole di Pietro: “Cominciò a giurare che non conosceva quell’uomo” (Mt 26,74); “O donna, io non lo conosco!” (Lc 22,57). “O donna!”, là attorno al fuoco nel cortile di Caifa. “Non conosco”: i nostri peccati di viltà, i nostri peccati di disimpegno, di fuga. Il Signore ci sollecita, la sua grazia ha battuto con insistenza alle porte del nostro cuore e noi abbiamo preferito scansarci e dire: «Non lo conosco, non ne vale la pena, perché dovrei insisterci, perché dovrei compromettermi, perché dovrei prendere delle misure che non fanno che darmi delle noie?». E con la scusa delle noie non lo abbiamo seguito. Ritornavano quindi queste parole di Pietro, insistenti, mentre si svolgeva il dramma della Passione, perché erano le parole di tutti quelli che si sarebbero detti suoi amici: “Se anche tutti ti rinnegassero – aveva detto Pietro – io non ti rinnegherò. Non ti rinnegherò!” (Mt 26,33-35). Il gallo aveva cantato e Pietro aveva così buttato via la sua promessa. 

Ci siamo noi! Ci siamo noi con tutte le nostre esitazioni, con tutte le nostre paure, con tutte le nostre miserie: gli amici che non sono amici, gli amici che non sono fedeli, gli amici che non sanno prendere su di sé un servizio pieno e vero, che non sanno portare il peso del giorno e il caldo come gli operai della parabola, ma vogliamo sempre un servizio ricompensato immediatamente, una gratificazione abbondante e senza indugio. Degli amici interessati. 

Il Signore sentiva, ancora, nel suo cuore le parole dei nemici, quelle parole così amare: “Vogliamo Gesù il Nazareno” (cfr. Gv 18,4), diceva la turba dei soldati venuti a prelevarlo. Lo volevano per straziarlo, per farlo morire. “Vogliamo Gesù il Nazareno”. E, davanti ad Anna, le parole dell’inquisizione, inquisizione rapace, che vuole togliere al condannato anche la gloria del martirio: “Che cosa hai detto? Ripetilo! Che cosa hai detto?”. Aveva parlato agli umili e ai poveri, aveva parlato agli assetati di giustizia, aveva parlato ai bimbi innocenti. La sua parola era stata un fiume meraviglioso. 

“Dì’ che cosa hai detto!”. Volevano la parola come un’occasione per divertirsi e per condannarlo. La risposta di Gesù è così giusta: “Ho parlato apertamente. Domanda a quelli che hanno udito” (Gv 18,21), ma non volevano. Quelli che avevano udito, avevano gustato la parola, l’avevano racchiusa nel loro cuore come in un sacrario. Quelli invece non volevano quella parola. E un soldato gli diede uno schiaffo: “Così rispondi al sacerdote sommo?” (Gv 18,22); le parole diventate come qualcosa che serve solo a ferire. Avevano ferito di più le parole di Anna che la stupidità del soldato. Il Signore sa che ogni sua parola è vita, ma è vita per chi la vuole; è morte per chi non la vuole. Egli è “segno di contraddizione” (Lc 2,34). Il Signore vuole da noi l’amore per la sua parola, vuole da noi che accogliamo la parola con amore, con adorazione e con venerazione.

Dobbiamo far bene la nostra revisione di vita su questo punto così importante, una revisione di vita perché sono tante le parole di Dio che ci sono offerte, sono tante le sue adorabili parole, le parole del nostro Redentore, ma queste parole richiedono proprio che noi ci facciamo un’anima da poveri, che noi le accogliamo come le accolsero allora quelli che erano i poveri di Jahvè, quelli che erano allora i rifiutati, ma che avevano sete di giustizia: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati” (Mt 5,6). Raccogliere la parola, raccoglierla ogni giorno, raccoglierla proprio così, come la terra arida riceve la pioggia.

Il tempo di Quaresima è tempo di deserto e di silenzio. Bisogna che noi facciamo il deserto del cuore, bisogna cioè che noi ci facciamo la solitudine, il distacco e che facciamo la sete per udire la sua parola, perché la sua parola è benedizione e amore. Altrimenti, lo sappiamo bene, se il terreno non corrisponde, viene il maligno e porta via, dice Gesù; porta via. La parola è il seme e il Signore ha fotografato l’immagine: “Il seminatore uscì a seminare…” (Mc 4,3). Ecco la discussione nostra intima deve essere proprio questa: quanto abbiamo permesso questa fruttificazione vera della parola di Dio? Siamo stanchi delle cose divine ma avidi di cose umane, portati più a ridere di sciocchezze che a piangere sui nostri peccati. Lasciamo così il terreno inadatto e, sebbene non facciamo come il sommo sacerdote Anna, tuttavia le sue parole hanno un’eco in certi nostri atteggiamenti: “Raccontaci quello che hai detto”. Ma allora diventa questione di sincerità, di limpidità. “Raccontaci quello che hai detto”.

Il Signore non può raccontare perché non siamo poveri, non siamo distaccati, perché non siamo pronti, perché siamo sempre indaffarati, perché abbiamo sempre il pretesto di certi nostri doveri, che scambiamo coi doveri maggioritari, primari, che sono i nostri doveri di ascolto: “Marta, Marta, perché ti affanni? Una sola cosa è necessaria: Maria ha scelto l’ottimo” (Lc 10,42). 

Il Signore è davanti al Sinedrio e a Caifa: “Tu sei il Messia?”; “Si” (cfr. Lc 22,67-71). I testimoni non avevano combinato nelle loro menzogne qualche cosa che all’apparenza potesse avere anche un significato, e insiste allora nell’interrogazione: “Tu sei il Figlio di Dio?”; “Si, anzi vedrete il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo a giudicare….”. Sulle nubi del cielo, il suo ritorno. 

Le parole, l’urlo. Urlarono allora: “Che cosa ci affanniamo a cercare testimonianze? L’abbiamo udito, ha bestemmiato, è degno di morte”. Dio si è fatto uomo per amore, l’uomo rifiuta il suo Dio e lo giudica degno di morte. È il mondo che imperversa, è il mondo che ancora cieco ripete le stesse parole, è la morte di Dio: «Non abbiamo bisogno di Dio, siamo autosufficienti. Dio è un personaggio scomodo!».

Come dobbiamo accrescere il nostro senso di adorazione, perché la nostra risposta al mondo, che ripete parole blasfeme, è proprio lì nelle parole della Messa: “Noi ti adoriamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo”. Nella nostra vita troppe volte la preghiera è solo un lamento interessato. La preghiera, cui siamo chiamati, è la preghiera di lode, di benedizione, la preghiera che sente la propria posizione, la propria posizione di creature e di figli, e per questo si immerge, si sprofonda nell’adorazione. 

Il tempo di Quaresima è un tempo non solo di preghiera, ma di riforma di preghiera. La qualità della nostra preghiera. Alle volte veniamo via dalla nostra preghiera certamente non soddisfatti, perché nella preghiera abbiamo cercato noi stessi, non abbiamo cercato prevalentemente Lui. 

C’è una vecchia definizione: «La preghiera è una elevazione della mente a Dio»: la preghiera deve essere un riconoscimento della grandezza di Dio quando ci poniamo davanti al cuore di Gesù, il cuore del nostro Dio. L’adorazione porta all’umiltà e nello stesso tempo porta a quei sentimenti di benedizione e di lode, che fanno parte della nostra posizione di chiamati alla lode, perché il cristiano è uno chiamato alla lode. Di fronte al mondo, che ripete a Cristo: «Tu hai bestemmiato, non è vero che sei Figlio di Dio», la nostra preghiera personale e la nostra acclamazione liturgica si devono approfondire, devono diventare molto forti e molto grandi: “Tu sei il Figlio del Dio vivente (Mt 16, 16), tu sei il nostro Redentore, perché tu sei l’Agnello di Dio”. “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28) esclamava Tommaso. Ecco la nostra risposta! La nostra risposta che è forte se noi entriamo nella vera contemplazione della divinità di Gesù Cristo. “Il Verbo di Dio si è fatto carne e ha posto la sua tenda tra noi” (Gv 1,14).

Gesù davanti ad Erode non pronuncia alcuna parola; ma Erode, dice il testo evangelico, lo prese in giro e lo trattò da pazzo: “È pazzo quest’uomo!” e lo fece rivestire della tunica sgargiante, perché tutti riconoscessero – giudizio di re! – che era un pazzo. Oh, la pazzia di Gesù! Ritornano le parole di san Paolo: “La croce, per chi è eletto, è sapienza; per chi la rifiuta è stoltezza e scandalo”(1Ef 1,18). Oh, la pazzia di Gesù! Questo rifiuto di ciò che il mondo adora, di ciò che il mondo persegue a tutti i costi. Dobbiamo farla nostra questa pazzia di Gesù, la dobbiamo fare nostra! Cioè la nostra sapienza deve essere la sapienza che viene dalla croce di Cristo. “Con Cristo sono crocefisso, sono messo in croce”, dice san Paolo (Gal 2,20).

La nostra indagine quaresimale deve insistere sullo spirito di fede e sullo spirito soprannaturale, per vedere come lo viviamo. Un cristiano deve sempre richiamarsi alla fede, i suoi gusti devono essere i gusti della fede, i grandi gusti della fede. Non possiamo fare nostri i ragionamenti dei pagani, non possiamo farli nostri. Noi useremo tutta la carità possibile, ma non li condivideremo. Non possiamo fare nostri il successo, l’ammirazione del denaro, l’esaltazione del piacere a tutti i costi. E tante infiltrazioni rischiano di penetrare anche in noi, tante!, e dobbiamo stare ben attenti. Le frecce di Erode, delle sue parole, delle sue irrisioni si perpetuano nei secoli. “Lo trattò da pazzo”. Le sue frecce.

Infine, ricordiamoci del colloquio avvenuto tra Gesù e Pilato. Il richiamo di Gesù: “Tu non avresti l’autorità, se non ti fosse data dall’alto” (Gv 19,11). “Ma che cos’è la verità?” (Gv 18,38). Quel colloquio avrebbe potuto essere la salvezza del procuratore romano, se avesse avuto la pazienza e l’umiltà. Mancava dell’umiltà, perciò mancava anche della pazienza, perché aveva bisogno di imparare, soprattutto di imparare da un povero Giudeo, che al più era un illuso, non aveva altre cose. 

Dobbiamo meditare sulla mancanza nostra di pazienza, perché molte volte non abbiamo la pazienza di ascoltare il nostro Dio, siamo troppo indaffarati: “Che cos’è la verità?” e poi ce ne andiamo!

“Che cos’è la verità?”. Le nostre meditazioni sono alle volte delle cose pietose: una lettura affrettata, mille altri pensieri. Non abbiamo l’umiltà, il desiderio, la pazienza. 

La riforma della Quaresima è incentrata proprio sulla nostra meditazione, sulla meditazione seria, forte, che capisce, su una meditazione che ascolta e trasforma. Perché non ha capito Pilato? Perché, quando ha visto Gesù sfigurato dai colpi, lo ha portato davanti alla folla e ha detto: “Ecco L’uomo”? (Gv 19,5). Pilato non aveva capito come Gesù aveva sottolineato questa volontà di Dio. “Era necessario che il Cristo soffrisse” (Lc 24,26) dirà lui stesso ai discepoli di Emmaus. 

“Era necessario che il Cristo patisse”. La necessità di accompagnare la nostra preghiera e la nostra meditazione con la nostra ascesi. Pilato non ha capito che la grandezza di Gesù veniva proprio dalla sua umiliazione, dal suo darsi nelle mani: “Non avresti alcun potere su di me”. La grandezza di Gesù era nel darsi. Dobbiamo seguire Gesù e saperci dare per capire la volontà di Dio, ascoltare fino in fondo la parola. Vogliamo allora ascoltare questi echi della Passione e fare questa prima meditazione del ritiro ascoltando quello che dice a noi adesso la Passione di Gesù per farne veramente motivo di rinnovamento. Guardare a Gesù, ascoltare con lui, ascoltare le sofferenze che le parole dette hanno fatto al suo cuore, perché allora potremo veramente avere il coraggio, come si richiede a chi vuol fare un passo in avanti nella via della santità.

II MEDITAZIONE

Riprendiamo il Salmo: 

Ma Dio li colpisce con le sue frecce:

all'improvviso essi sono feriti,

la loro stessa lingua li farà cadere;

chiunque, al vederli, scuoterà il capo.

Allora tutti saranno presi da timore,

annunzieranno le opere di Dio” (Sal 64,8-10).

Dicevamo che non è mondanizzando la Chiesa che si fa accettare dal mondo, la Chiesa deve proseguire l’itinerario di Cristo e deve predicare la croce. 

“La mia gloria, la gloria di tutti i cristiani - dirà san Paolo – sta nella croce di Gesù” (cfr. Gal 6,14-15), nella quale vi è la salvezza. La salvezza, che noi vogliamo e speriamo per tutti gli uomini, viene come dono, il dono del Sangue di Gesù, perché nel suo sangue siamo stati comprati. Lo diceva san Pietro: “Non con l’argento e con l’oro, col suo sangue…” (1Pt 1,18). 

È giusto in Quaresima accrescere la nostra speranza su questa conversione, sulla iniquità che vede crollare i suoi castelli, i suoi fortilizi. Il sangue di Cristo è la nostra ricchezza. 

Tutte le generazioni cristiane si sono fermate a meditare a lungo sul sangue di Gesù. Il sangue di Gesù ha ferito i cuori onesti e sensibili. Vi sono state sette effusioni del sangue di Gesù. Voi le ricordate:

  • il sangue della Circoncisione,
  • il sangue sparso nel terreno del Getsemani: “Egli sudò sangue” (cfr. Lc 22,44);
  • il sangue della flagellazione: quanto ne perdette!;
  • Il sangue dell’incoronazione di spine;
  • il sangue sparso lungo la via del Calvario, nelle cadute, per le ferite che si riaprivano;
  • il sangue sparso sulla croce dalle mani e dai piedi trafitti;
  • il sangue sparso dopo la sua morte dal colpo di lancia. 

Ha dato tutto, tutto il suo sangue senza risparmiarne una goccia; tutto! Lo ha dato nella consapevolezza che è in questo fiume che gli uomini possono trovare la loro salvezza. 

L’impeto del fiume”, dice un salmo, “rende lieta la città di Dio” ( Sal 45,5); la città di Dio, la Santa Gerusalemme è vivificata dal suo sangue, è pulita. Il suo sangue continua ad effondersi, perché ancora si ripetono in ogni Messa le parole: “Questo è il calice del mio sangue sparso per voi e per tutti in remissione dei peccati”. 

La nostra opera di vera rinnovazione si ha bevendo al calice del Signore, partecipando dell’Eucarestia, perché l’Eucarestia, misteriosamente, rinnova l’offerta del Calvario. La sua offerta per la salvezza del mondo è il memoriale. Il miracolo d’amore è in questo sangue, che è sparso dovunque si celebra una Messa, è sparso in tutto il mondo. È qui la vittoria. 

Il salmo parla di nemici che tacciono, di nemici che si arrendono, di opere di Dio che si annunciano, della gioia del Signore. Viene proprio di lì la nostra fortezza e la nostra sicurezza. Tra gli effetti dell’Eucarestia è sottolineata soprattutto la serenità di una gioia che riempie il mondo dei credenti di una pace incredibile. 

Quando abbiamo meditato sul sangue di Gesù, noi acquistiamo una sorta di coraggio, un’energia singolare, perché sentiamo e capiamo che la morte del Signore non è semplicemente un ricordo, ma che la morte del Signore si annuncia continuamente per tanto sangue che inonda la terra, il suo sangue, l’unico sangue che pulisce. Ogni altro sangue macchia e sporca; il suo Sangue pulisce.

Il nostro itinerario quaresimale deve essere contrassegnato dal coraggio: combattere noi stessi, combatterci e rinnegarci, secondo la parola stessa di Gesù, richiede da parte nostra un perseverante coraggio, perché sono troppe le cose, sono troppo forti le cose che si frappongono, sono troppe e allora verrebbe la tentazione di non insistere, di lasciare un po’ correre, di non preoccuparci troppo, di essere un po’ in compromesso. 

Il coraggio lo acquistiamo proprio dalla nostra partecipazione all’Eucarestia, che sempre dobbiamo mettere al centro della nostra spiritualità. Non c’è spiritualità cattolica autentica, vera, senza un amore profondo all’Eucarestia; non c’è, non ci può essere. E d’altra parte dobbiamo continuamente interrogarci, perché la nostra potenzialità di abitudine è molto alta. Abituarsi al sublime è terribile, perché allora ci vengono a mancare lo stimolo e il pungolo che ci portano in alto. 

Ci dobbiamo interrogare sulla nostra partecipazione all’Eucarestia soprattutto sotto questo aspetto, l’aspetto di memoriale della passione del Signore, di un incontro a noi di un misterioso cammino del Signore. Viene a noi. Ricordate il famoso passo del profeta: “Chi è che viene da Bozsra con i vestiti bagnati di sangue?” (Is 63,1-2). È lui che viene a noi con il suo sangue, perché nel suo sangue siamo completamente salvi. 

Quando la Madonna apparve a La Salette, aveva sul petto un crocefisso, che ai lati della croce mostrava i simboli della passione: i flagelli, la corona di spine, i chiodi. 

Per capire la virtù del suo sangue, l’amore che lui ci ha voluto donare, ecco i simboli della Passione. Dobbiamo tenerli tutti davanti ai nostri occhi.

I flagelli ci ricordano come tutto il suo corpo è stato colpito, tutto!, con inaudita ferocia, e questo era nel piano di Dio, perché nulla è avvenuto a caso. Gesù ha voluto essere colpito in tutto il corpo perché noi adoperiamo tutto il nostro corpo contro Dio, nei numerosi peccati che si commettono, i peccati della carne. Il Signore ha voluto essere flagellato e il suo sangue è uscito copioso: doveva lavare tutti i peccati nefandi che si moltiplicano nella storia dell’umanità in una maniera impressionante. I suoi flagelli ci portano allora al sangue che ci ha salvato dall’impurità, dalla tirannia dell’impurità, che ci ha salvato dalla schiavitù dei sensi. Ci ha salvato. Il cristiano, che aderisce a Cristo, diventa padrone del suo corpo. Non è più il corpo che comanda, è la grazia dello Spirito. È giusto allora che ci interroghiamo, nella nostra discussione quaresimale, su quella che è la castità e la perfezione della castità e la testimonianza della castità. È giusto che ci interroghiamo, perché la fragilità dell’uomo è grande e anche quelli che osservano, a livello sufficiente la castità, troppe volte non curano la perfezione della castità, che è perfezione di carità, perché la castità sboccia nell’amore di Dio, nel quale fioriscono tutti gli altri amori, particolarmente l’amore coniugale, che esprime l’amore di Cristo e della Chiesa. 

Chiederci il dinamismo della castità che vuole affermarsi sempre più, se non altro a titolo di riparazione per tutto quello che avviene di sconsacrazione, per tutto quello che è nefando e viene chiamato «comune», tutto quello che è disonore e viene chiamato «gloria». La virtù della castità si afferma affermando il dono vicendevole, affermando sempre più la delicatezza, la generosità, l’aiuto vicendevole. 

La castità è una virtù molto importante, perché preserva i cuori da quelle forme di egoismo che, man mano si avanza la vita, rischiano di diventare sempre più ossessive ed estremamente pesanti. La castità in movimento è la castità del cristiano che da Gesù Eucarestia prende ogni giorno la lezione: è donando noi stessi che veramente realizziamo la vita e la gioia. 

La corona di spine. Fecero una specie di casco di spine e glielo misero a colpi di bastone sulla testa (cfr. Mt 15,17) e tutto il suo capo divino fu in preda a dolori lancinanti e continui, che non permettevano alcun movimento senza sentire più vivo penetrare le spine, quelle spine che sono simbolo di tutte quelle cose che costruiamo scioccamente nella nostra testa. Siamo troppo preoccupati e affannati, siamo pieni di pensieri di cattiveria, di mancanza di carità, di giudizi malevoli, di gelosie. 

Quelle spine sono un simbolo, un simbolo per cui Gesù ci parla del suo amore che ci vuol liberare, ci vuole rendere sereni. Il Signore ha voluto le spine per scontare tutti i nostri peccati di pensiero. Quanto dobbiamo ricordare quel casco, quanto dobbiamo contemplarlo! Se il Signore ha sofferto tanto, è perché sono tanti i nostri peccati di pensiero. Comunque siamo pieni di noi stessi, della nostre voglie; siamo pieni dei nostri disordini, pieni di tante cose che fanno male prima a noi e finiscono per far male e scandalo agli altri. I suoi pensieri così santi! La sua anima in cui si specchiava la gloria della divinità: Gesù immagine della sostanza del Padre! Gesù Signore! 

Dobbiamo contemplare l’anima di Gesù, la dobbiamo sentire come l’esempio della nostra vita interiore. La nostra vita interiore non è fatta solo di alcune cose, è la composizione armonica di tutte le cose buone che Dio vuole vedere affermate e poste in noi dalla grazia dello Spirito. Il Signore ci ha ottenuto lo Spirito Santo, ospite dell’anima nostra, perché l’anima nostra possa assomigliare alla sua. Gesù pieno di Spirito Santo, noi, per grazia sua, partecipi di Spirito Santo, dobbiamo costruire il nostro interiore, vedere come meglio possiamo fare, particolarmente in questa Quaresima, per realizzare un’autentica e forte spiritualità. Una spiritualità fatta di tutte quelle cose sante: pensiero di Dio, amore a Dio, amore al prossimo, confidenza che esclude ogni agitazione, comunione con lo Spirito Santo, rispetto della sua presenza, obbedienza alle divine ispirazioni. Il Signore fiorisce in noi la meraviglia della sua piantagione. Fiorisce: è Lui che fa fiorire, è Lui! Perciò l’anima nostra ha bisogno di essere umile, docile, di saper dire di sì.

I chiodi. I chiodi sono stati il tormento terribile. 

Erano l’unico suo sostegno e, penetrati nella carne, gli procuravano spasmi terribili; non poteva appoggiarsi in altra maniera e questo appoggio rendeva affannoso il respiro a Gesù sulla croce.

I chiodi. Quanto hanno formato la contemplazione questi chiodi! Quanto Gesù crocefisso, fissato alla croce così, per le lunghe ore di agonia, ci deve ricordare come nella nostra vita non dobbiamo cercare che un solo appoggio: l’appoggio della volontà di Dio! 

Erano crudeli i chiodi, ma Gesù stava appoggiato ai chiodi, perché era volontà del Padre suo. I chiodi! Troppe volte invece noi li immaginiamo nelle cose di questo mondo, che sono ben crocifiggenti, ma non sono nella volontà di Dio. Noi dobbiamo accettare la volontà di Dio, così come in realtà si presenta, con umiltà. Sappiamo bene che tante volte abbiamo proprio le cose che vorremmo di meno, quelle cose che, se il Signore ci avesse fatto scegliere, avremmo messe per ultime e invece ci sono, sono le prime. 

In fondo la Quaresima, come tutta la vita cristiana, è una ricerca della volontà di Dio e un abbandonarsi con perfetta disposizione a questa volontà. La volontà di Dio che dobbiamo prendere con serenità, che dobbiamo prendere con confidenza, che dobbiamo prendere con umile pazienza; la volontà di Dio che ci mette dove non vorremmo, che ci inchioda dove non vorremmo mai stare appesi, che ci inchioda così, da sembrare che dobbiamo starci sempre e non ci sia scampo. 

Accettare la sofferenza come l’ha accettata Gesù; accettarla con grande serenità è sicuramente la strada più breve verso quella vita santa che il Signore vuole da noi. E ci dobbiamo interrogare perché troppe volte siamo inquieti, siamo angosciati ma di un’angoscia non buona, l’angoscia della nostra ribellione. Ci ribelliamo. 

“O croce buona, o croce santa!”, diceva sant’Andrea prima del supplizio. Ripetiamo anche noi: “O croce buona, o croce santa la croce del mio Dio!”. Gesù ci ama tanto che fa sua la nostra sofferenza. Soffre in noi. La santificazione dei nostri dolori è sicuramente quella che ci procura più meriti. 

Poi la spugna e l’aceto mescolati con il fiele. “Gli diedero da bere. Avendolo gustato, non volle bere”. Ha voluto gustare la bevanda che gli davano gli uomini nel suo tremendo dolore, l’ha voluta gustare perché ha voluto completare tutto, così come dirà: “Tutto è compiuto” (cfr. Gv 19,29-30). 

L’amarezza che ci viene dagli altri e che rischia di rompere tutta la nostra spiritualità; l’amarezza che viene dagli altri, le stranezze, le incomprensioni, le pretese irragionevoli, le smanie. Il Signore ci ha dato l’esempio: volle gustarlo, lo assaggiò. 

Ecco la posizione nostra ben definita: si, anche noi assaggiamo, anche noi, ma noi non ci vogliamo stordire. Se Gesù avesse bevuto, si sarebbe stordito. Lui voleva morire soffrendo fino in fondo con la coscienza ben chiara. Le cose degli altri, le ingiustizie degli altri non devono penetrare nella nostra anima. Dobbiamo tenerle fuori e sentire che il precetto della carità è allora il precetto che colma il programma di Quaresima. Un programma di preghiera, di penitenza, di carità, per cui dobbiamo guardare la nostra carità di perdono, il nostro spirito di vera carità soprannaturale. Dobbiamo amare gli altri non in se stessi, non per se stessi, non per quello che sono, non per quello che fanno. Dobbiamo amare gli altri nella visione di Dio: “Siate perfetti come il Padre vostro” (Mt 5,48). Ecco, proprio così. 

Il nostro programma di Quaresima vorrà allora essere proprio pieno, pieno perché sappiamo bene che i doni che ci costano di più non sono deporre un po’ di soldi, fare un po’ di elemosina materiale: quello che ci costa di più è la comprensione, è il perdono, è l’umiltà, è il dimenticare, è il non tenerne conto, è ripagare le parole cattive con la bontà, gli sgarbi con il sorriso, ecc….

Voglia il Signore illuminarci, perché possiamo fino in fondo percorrere questa strada verso la Pasqua. 

Saliamo a Gerusalemme.

III MEDITAZIONE

Un ultimo pensiero. La nostra parrocchia è tesa in un lavoro, il lavoro della devozione al cuore di Gesù, per afferrarne il profondo significato.

“In principio era il cuore”. Tutto è venuto perché Dio è carità, perché Dio ci ama e la grande manifestazione dell’amore e della misericordia di Dio l’abbiamo avuta in Gesù. Il tempo di Quaresima deve essere un tempo di più forte preparazione verso il vertice della nostra attività di quest’anno che sarà la festa del cuore di Gesù in giugno.

La Quaresima ci porta a riconsiderare le meraviglie della redenzione, ad approfondire il messaggio, a dare ampio respiro a tutto quello che in qualche modo ci presenta più fortemente Gesù.

Dicevamo agli esercizi spirituali che due sono i punti: il primo è la nostra consacrazione al cuore di Gesù, spirito di consacrazione; il secondo è spirito di riparazione.

Che cosa vuol dire, in sostanza, consacrarsi al cuore di Gesù? Vuol dire rinnovare la nostra consacrazione battesimale sentendo come un grande dovere nostro di corrispondere all’opera di Gesù dettata dall’amore con una particolare vivacità dell’amore nostro.

Il cuore di Gesù, di carne, è adorabile perché unito alla divinità, ma è ancora simbolo, è il simbolo del suo amore divino e del suo amore umano. La parola «consacrazione» può essere fraintesa, ma nel suo significato pieno dice un seguire Gesù, un seguirlo dappresso, sentendo che lui si è dato a noi e vuole rivivere in noi la vita di dono al Padre e di servizio ai fratelli.

La consacrazione è assolutamente lontana da una posizione sentimentale-pietistica; consacrare vuol dire darsi al Signore nell’amore generoso e continuo. L’atto di consacrazione è una promessa che facciamo di particolare intensità per potere andare sempre più avanti in questa sequela, ricalcando le sue orme, passo per passo, circostanza per circostanza, momento per momento, perché tutto sia fatto in lui, perché tutto possiamo prendere da lui.

Passo per passo dicevo, perché la nostra trasformazione sia proprio totale. È molto facile, e lo diciamo tante volte, è molto facile ad un certo momento fermarsi; è tanto facile, ad un certo momento, ritornare perfino indietro. È facile, perché la nostra umanità è assolutamente fragile.

Ed è per questo che dobbiamo tenere sempre davanti agli occhi l’immagine del cuore di Gesù perché ci parla del suo amore paziente ed instancabile, della sua carità per la quale ci è venuto a cercare. Ognuno di noi è oggetto delle sue tenerezze, ognuno di noi è un prediletto. Prediletto, nonostante i peccati, nonostante le miserie. Il Signore ci cerca: “Io sono il Buon Pastore” (Gv 10,14); e ripete: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza” (Gv 10,10).

Ecco perché la devozione al cuore di Gesù è una devozione totalizzante, non ammette mezzi termini, perché l’amore non si può fermare e non si può accontentare di mezze cose. È logico, allora, che dobbiamo andare alla radice di tutto: sì, contempliamo quello che ha fatto, quello che ha patito, ma contempliamo soprattutto il suo amore che dà ragione dl tutto. Il suo amore. 

Vorrei che capissimo bene, e sempre di più, perché parliamo di riparazione, di comunioni riparatrici, di adorazione riparatrice, di primi venerdì del mese. Quando si segue uno così da vicino, come dobbiamo fare noi membra del Corpo Mistico, allora quello che fa lui è necessario che lo facciamo noi.

Lui è il mandato del Padre, è l’inviato del Padre, lui è venuto per salvare tutti gli uomini. Con la parola «riparazione» vogliamo sottolineare quell’azione che tende a combattere il peccato, a vincere tutte le facili deviazioni. Riparare vuol dire mettersi a lavorare con Gesù, senza guardare alle proprie voglie, ai propri comodi, senza fermarsi ripiegati su noi stessi.

Con la consacrazione perdiamo noi stessi, con la riparazione vogliamo fare nostri gli stessi interessi di Gesù, le sue stesse ansie, i suoi stessi problemi. Il Signore sulla croce ha detto quella parola sulla quale i secoli hanno meditato: “Sitio, ho sete!” (Gv 19,28). Ha sete di anime, la sete di portare tutte le anime al Padre. 

Lo spirito di riparazione è voler offrire tutto perché il Signore possa essere amato, perché le anime possano trovare la loro consolazione, la loro gioia, la loro salvezza nell’amore del redentore.

Su questo punto ci dobbiamo fermare insistentemente in questa Quaresima. 

La Quaresima si presenta come un lungo discorso sull’umanità senza Dio, sul bisogno che ha l’umanità della salvezza di Dio. È un tempo in cui siamo particolarmente aiutati dalla liturgia in questo discorso di riparazione, in questo anelito al regno di Dio, in questo porci al servizio del regno di Dio. Troppo spesso siamo presi solo dalle nostre cose, dai nostri problemi: la liturgia, che sa educare, ci stimola invece a dimenticare noi stessi, a prendere nel nostro cuore il mondo e tutti i problemi del mondo, a volere che l’amore di Cristo trionfi nel suo regno. Dobbiamo con particolare slancio insistere in questa visione chiara, precisa, forte: non possiamo amare Gesù e pensare che tanti non lo amino; non possiamo dire di amare gli uomini, sapendoli così infelici perchè non hanno con loro il Signore.

La devozione al Sacro Cuore di Gesù non è che una forma di puntualizzazione dei due comandi della carità: “Amerai il Signore Dio tuo, amerai il prossimo” (cfr. Mt 22,37-39). Vogliamo allora con l’aiuto del Signore intensificare questo preciso lavoro e perciò, insieme alla preghiera, alla penitenza e alla carità, poniamo una vera maturazione della nostra devozione al cuore di Gesù.

Ne vengono allora le conseguenze. 

Le famiglie devono tendere alla consacrazione al cuore di Gesù, non ad un atto formale, senz’anima. Non conterebbe nulla! Ma un atto che sia la conclusione di un intenso itinerario spirituale. Le famiglie devono mirare alla consacrazione come a un termine che preludia a tanta ricchezza di vita spirituale. Il termine di tutta una conversazione, di un colloquio all’interno della famiglia, perché tutti siano ben sensibilizzati, tutti desiderino essere investiti dall’amore di Gesù. E così nelle famiglie regnerà completamente il Signore, ci sarà veramente una vera dimostrazione che chi lo segue non è deluso, ma avrà una grande ricompensa nel fiorire delle virtù, nel fiorire di tutta quella che si chiama la vegetazione dell’amore, la vegetazione, l’albero, secondo quello che dice il salmo: “Egli sarà come un albero piantato lungo corsi di acqua. Non appassirà. Fruttificherà” (cfr. Sal 1,3).

È l’augurio che vogliamo fare ad ognuna delle nostre famiglie.

 

CODICE 74DTR093
LUOGO E DATA 28/04/1974
OCCASIONE Ritiro spirituale tempo di Pasqua, Montechiarugolo
DESTINATARIO Gruppo giovani
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Salmo 63; meditare la Passione

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