Il terzo libro è chiamato "Levitico" perché contiene tutta la legislazione liturgica che era patrimonio di una tribù, la tribù di Levi (da cui i Leviti). Mosè aveva scelto questa tribù, di cui lui stesso faceva parte, e aveva ordinato sommo sacerdote suo fratello Aronne; sicché la classe sacerdotale al vertice sarà sempre quella dei discendenti di Aronne. La differenza è questa: allora si "nasceva" sacerdoti, uno era sacerdote perché era nato in quella famiglia; per noi invece il sacerdozio è una vocazione. I diritti e i doveri dei sacerdoti e dei Leviti erano codificati. Noi adesso tante cose le vediamo solo come un ricordo storico; ci sono tantissime prescrizioni minute e particolarità che per noi sembrano insignificanti. Questo ritualismo al tempo di Gesù si era vuotato della sua anima ed era diventato qualcosa di soffocante. L'idea, però, che presiede tutto il libro non è che un'idea valida, grande, che noi dobbiamo anche adesso sottolineare. Qual'è l'idea? L'idea che Dio è santo e che coloro che stanno vicini a Dio devono diventare santi. È l'idea base per tutti quelli che si avvicinano a Dio, soprattutto per i sacerdoti. Perciò anche le prescrizioni sono in quest'ordine: "Siate santi, perché io sono santo" (cfr. Lv 19, 1-2). Il libro è diviso in cinque parti: 1. La prima parte (cap. 1 - 7) contiene la legge sui sacrifici: si descrivono i vari e vari tipi di sacrifici e il modo di compierli; c'è l'olocausto (sacrificio espiatorio) e il sacrificio di ringraziamento (o sacrificio pacifico) e sacrifici detti anche semplicemente "oblazioni". Nell'olocausto si bruciava tutta la vittima, negli altri sacrifici solo parzialmente. 2. La seconda parte (cap. 8 - 10) tratta invece della consacrazione sacerdotale di Aronne e dei suoi figli, presentata come esecuzione di un ordine divino e, nello stesso tempo, come norma rituale. 3. La terza parte (cap. 11 - 16) descrive la legge di purità e di impurità rituale, quella impurità che impediva di compiere certe azioni sacre. 4. La quarta parte (cap. 17 - 26) è costituito da quello che si potrebbe chiamare il "codice di santità". C'è l'esortazione alla perfezione morale e alla santità, cercando di imitare la santità di Dio: si tratta di una raccolta di leggi non solo rituali, ma anche morali e umanitarie. 5. La quinta parte (cap. 27) contiene norme sulle leggi. C'erano leggi molto severe; per esempio, "se la figlia di un sacerdote si disonora, disonora suo padre: sarà arsa sul fuoco... " (cfr. Lv 21, 9). (Lv 26, 1-46). C'è un quadro molto evidente: la fedeltà dà origine alla fecondità, alla prosperità, alla pace. L'infedeltà è principio di ogni disgrazia, sia privata, sia sociale del popolo. E' un codice duro, per un popolo di "dura cervice". Non è ancora aperto il Paradiso: Gesù lo aprirà. Il bene e il male avevano la loro "stagione" proprio qui, perché qui dovevano formarsi gli Israeliti e diventare il popolo della Promessa. E' il senso di tutte queste prescrizioni, è il senso di una santità che il popolo deve realizzare, perché il piano di Dio è un piano che ha di mira Gesù, la sua misericordia che si estenderà a tutti i popoli, ma deve trovare un popolo che onora il vero Dio, che ha un codice morale chiaro e preciso. Quindi tutte queste prescrizioni hanno un significato profondo: conservare la religiosità del popolo, preservarlo dall'idolatria, tenerlo nella venerazione della legge, perché fosse il popolo nel quale potesse vivere e agire il Messia; perché non era come nei popoli pagani: pur nel loro comprendonio duro ed ottuso c'era una tradizione di santità, una tradizione schietta e forte. Ecco perché non è un libro inutile, e quando lo leggiamo pensiamo sempre a Gesù che ripete sempre questa esigenza di santità. Quando Gesù entrò nel tempio cacciò i mercanti (cfr. Mc 11, 15-17). E' una pagina che risponde bene a quella che è la prescrizione del Levitico, una prescrizione che Gesù sottolinea: "La casa di Dio è casa di preghiera; voi ne avete fatta una spelonca di ladri". L'azione di Gesù meravigliò moltissimo e gli si chiedeva con quale autorità operasse: sembrava esagerato. In questi vasti cortili vendevano gli animali che servivano per i sacrifici: erano già pronti! Gesù li manda via, Gesù li caccia perché la santità del culto a Dio deve essere conservata nella perfezione. Gli ebrei osservavano tutto quello che era scritto nel Levitico: Gesù voleva ancora di più: voleva la santità, perché ogni persona fosse "tempio" di Dio e ogni persona fosse nella santità di Dio. La conclusione che dobbiamo sottolineare è proprio questa: nella Liturgia dobbiamo essere compresi di grande rispetto, di profonda venerazione e di uno stupore grande per le meraviglie del Signore. Noi non dobbiamo scambiare la chiesa per un luogo qualsiasi, dobbiamo amare la chiesa, dobbiamo ornarla, dobbiamo avere il cuore colmo di adorazione e di rispetto, perché così vuole il Signore. Poveri noi se invece stiamo col corpo in chiesa e con l'anima fuori di chiesa, se siamo svogliati, se siamo così facili a lasciarci prendere da cose secondarie, se ci lasciamo frastornare! Adorare, benedire, amare Dio. Ma questo è ancora poco: la Liturgia ci dice che noi siamo insieme a Gesù e dobbiamo unirci all'adorazione di Gesù al Padre, dobbiamo unirci a Lui perché Lui fa sua la nostra preghiera, perché Lui ci ha fatti col Battesimo sacerdoti, re e profeti, e come sacerdoti offriamo, come profeti portiamo agli altri e come re sappiamo dominare tutte le nostre facoltà, tutte le forze contrarie, per dare a Dio il vero amore e la vera gloria. È questo allora il proposito che dobbiamo fare, il grande senso della nostra vocazione è diventare santi perché Dio è Santo, come ci ricorda S.Pietro (cfr. 1 Pt 1, 16). E' diventare santi, è onorare la santità di Dio, nella sua chiesa, nell'azione liturgica, unendoci alle suppliche di Gesù e alla misericordia di Gesù che si espande su di noi, sulle nostre intenzioni, sulle nostre affezioni, perché Dio guarda soprattutto il cuore. Dobbiamo avere un affetto santo, un amore santo per Iddio, un amore santo per il prossimo, perché l'assemblea liturgica non solo ci valorizza di fronte a Dio, ma ci unisce tra di noi, ci fa un solo popolo, una sola fraternità che si esprime e si realizza in tutto. Ecco, mi pare che siano queste le conclusioni che possiamo tenere presenti da questo terzo libro della Bibbia, per rafforzarci nel nostro desiderio di santità, per sperare nella grazia che Dio ci dà per essere santi e fruttificare. Il Signore ci ha promesso: "Io sono la vite, voi i tralci" (Gv 15, 5). Siamo una pianta coltivata dal Padre, una pianta che deve far frutto: se un tralcio dà poco frutto, lo pota perché ne dia di più; se il fuoco ha divorato un tralcio, lo ha divorato perché prima si è rinsecchito e ha dovuto essere tagliato. Noi dobbiamo dare frutto e il nostro frutto deve essere veramente grande perché grande è la grazia che Dio ci ha dato.
CODICE | 89DHC075 |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario, 18.4.89 |
OCCASIONE | Corso (sesto incontro) |
DESTINATARIO | Candidati lettorato |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Bibbia; Levitico |
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