I MEDITAZIONE
Il senso del nostro ritiro mi pare debba essere in un approfondimento: il quadro resta quello enunciato e a noi resta di approfondire alcune cose.
Is 44, 21-24
Ricorda tali cose, o Giacobbe,
o Israele, poiché sei mio servo.
Io ti ho formato, mio servo sei tu;
Israele, non sarai dimenticato da me.
Ho dissipato come nube le tue iniquità
e i tuoi peccati come una nuvola.
Ritorna a me, poiché io ti ho redento.
Esultate, cieli, poiché il Signore ha agito;
giubilate, profondità della terra!
Gridate di gioia, o monti,
o selve con tutti i vostri alberi,
perché il Signore ha riscattato Giacobbe,
in Israele ha manifestato la sua gloria.
Dice il Signore, che ti ha riscattato
e ti ha formato fino dal seno materno:
“Sono io, il Signore, che ho fatto tutto,
che ho spiegato i cieli da solo,
ho disteso la terra; chi era con me?
Tutto il capitolo sottolinea questa profonda riconoscenza che dev’essere alla base della vera spiritualità, la riconoscenza per quello che il Signore ha compiuto in noi. Ognuno di noi sa quanto ha lavorato il Signore attorno alla nostra anima. Nello stesso capitolo si ricorda il lavoro (“il fabbro lavora il ferro di una scure, il falegname stende il regolo…”): non c’è stato un lavoratore simile al Signore, cioè alla base della nostra vera azione, della nostra vera opera per la santità bisogna porre la visione totale di quello che ha fatto il Signore.
Il Signore ha compiuto le sue opere, ci ha formati. Se siamo suoi servi è perché lo ha voluto Lui.
Dalla riconoscenza, allora, il progresso, dalla considerazione di quanto il Signore ha compiuto nell’amore, di qui viene il nostro progresso.
“Ritorna a me, poiché io ti ho redento”: io vorrei che uscisse di qui la nostra Quaresima. La nostra conversione la dobbiamo attuare nella misura in cui abbiamo ricevuto, poiché sta scritto: “A chi più è stato dato, più sarà chiesto”.
A coloro che sono cresciuti lontano da Lui, che non lo hanno neanche conosciuto che cosa sarà chiesto? Ma a noi, ma a noi…
Mi pare che la nostra difficoltà a progredire, a convertirci, sia proprio un paragone che facciamo, molte volte inconscio, ma è un paragone: ci sembra già di fare molto, ci illudiamo di essere a posto e quando sentiamo parlare di penitenza, di penitenza autentica, pensiamo a degli altri, pensiamo a dei peccatori che sono ben lontano e non ci immaginiamo che invece il Signore li vede forse più vicini a Lui di quello che noi non sospettiamo. Siamo noi che ci dobbiamo convertire, proprio perché su di noi aveva dei disegni che forse noi abbiamo frustrato, abbiamo rovinato.
Il disegno di Dio su di noi: che cosa vuol fare il Signore, che cosa voleva fare della nostra vita fino ad adesso? Che cosa vorrà fare della nostra vita futura? Che cosa vorrà fare?
La meditazione di Quaresima si approfondisce proprio qui.
Sempre nel capitolo 44 Isaia parla della nullità degli idoli:
“Tutto ciò diventa per l’uomo legna da bruciare; ne prende una parte e si riscalda o anche accende il forno per cuocervi il pane o ne fa persino un idolo e lo adora, ne forma una statua e la venera. Una metà la brucia al fuoco, sulla brace arrostisce la carne, poi mangia l’arrosto e si sazia. Ugualmente si scalda e dice: “Mi riscaldo; mi godo il fuoco”. Con il resto fa un dio, il suo idolo; lo venera, lo adora e lo prega: “Salvami, perché sei il mio dio! ”.
Non sanno né comprendono; una patina impedisce agli occhi loro di vedere e al loro cuore di capire. Essi non riflettono, non hanno scienza e intelligenza per dire: “Ho bruciato nel fuoco una parte, sulle sue braci ho cotto perfino il pane e arrostito la carne che ho mangiato; col residuo farò un idolo abominevole? Mi prostrerò dinanzi ad un pezzo di legno? ”. (Is 44, 15-19)
Posizione macroscopica questa. La nostra posizione invece è una posizione di chi si accontenta, di chi dice: “Sono a posto”, al limite di chi fa di un certo tipo di vita un idolo. Quando non facciamo la sua volontà, quando non lo serviamo come vuole Lui noi ci facciamo degli idoli.
Si tratta allora di configurare bene la nostra conversione, cioè di vedere in pratica che cosa dobbiamo fare per andare avanti, perché secondo il suo disegno, secondo la sua volontà efficace noi dobbiamo diventare santi. Noi non ci possiamo accontentare del punto al quale siamo arrivati, ma come non avessimo fatto nulla, non avessimo mai iniziato dobbiamo dire a noi stessi: “Tu adesso, ora, incominci”.
Progredire nella vita cristiana è allora realizzare il nostro Battesimo nelle sue implicazioni fondamentali e il Battesimo dice: “tu devi diventare un altro Cristo”. Non ha senso che tu ti fermi a metà, non ha senso che tu indugi, non ha senso che tu momento per momento cerchi di perdere tempo: quante cose ti fanno perdere tempo. Ci vuole più ordine, ci vuole più forza, ci vuole più senso di generosità.
Cos’è che il Signore rimprovera alla tua vita? Non ti lasci forse portare via da molte, molte cose?
Di conseguenza allora la nostra Quaresima deve partire da un profondo senso penitenziale. Sostanzialmente, pentirsi vuol dire dolersi di cose fatte male o di cose non fatte, pentirsi vuol dire rifiutare ogni compromesso. Penitenza vuol dire prendere con coraggio in mano la nostra vita e sentire il bisogno di collaborare col Signore fino in fondo. La collaborazione col il Signore è collaborazione non di paura, ma di amore. Perché il Signore ha respinto le tentazioni? Quelle proposte erano proposte di compromessi, erano proposte di minimismi, anche se sembravano proposte grandiose, perché chiedevano dei miracoli, erano cose minime confronto a quello che si era proposto Gesù. Non era difficile fare dei miracoli, ma era molto difficile soffrire, era molto difficile umiliarsi. Non era difficile conquistare il mondo, ma era molto difficile lasciarsi inchiodare sulla croce come un fallito. Gesù respinge: Lui ha scelto quella strada.
Il vero spirito di penitenza mi pare che sia qui: noi Chiesa, suo corpo, noi che pure indegnamente siamo le sue membra dobbiamo scegliere la sua strada, scegliere la sua strada con coraggio, scegliere la sua strada con una perseveranza totale, scegliere la sua strada per amore. In fondo sono le tentazioni che si presentano a tutti, tra una vita comoda, eventualmente apprezzata e onorata dagli altri, e una vita difficile: soffrire, portare pazienza, servire nel nascondimento, portare un contributo che nessuno valuterà e giorno per giorno seguire il Signore così. “Chi vuol venire dietro a me prenda la sua croce”: i grandi personaggi della storia non sono quelli che hanno ottenuto scalpore, i grandi personaggi della storia, della nostra storia della salvezza, sono quelli che umili si sono identificati con Cristo.
Quando noi parliamo di penitenza, allora, noi vogliamo intendere prima di tutto una scelta di direzione: volere quello che ha voluto Gesù Cristo, proprio perché questa è la volontà del Padre, proprio perché questa è la nostra identità di Chiesa, di Corpo Mistico. A niente varrebbero delle opere esterne, che diventerebbero un gesto così, se noi non ci nutriamo di questa riflessione. “Io ti ho formato, mio servo sei tu”. Tutto quello che ha operato in noi il Padre è perché noi siamo simili a Gesù Cristo.
Gesù Cristo è stato il grande penitente dei secoli e la sua presenza in mezzo a noi non è la presenza del trionfatore, ma piuttosto la presenza del penitente: la Messa è la penitenza della croce che continua. Cristo diventa presente come il Servo immolato, come il Servo obbediente. Non è che diciamo: “Risorto, vieni in mezzo a noi”, ma diciamo: “Questo è il mio corpo dato per voi… questo è il calice del mio sangue sparso per voi in remissione dei peccati”.
Ora questo linguaggio della croce è il vero senso da dare alla nostra penitenza, è in questa misteriosa identità tra noi e Lui, in questo destino in comune, in questo – come dice la Scrittura in S. Paolo – non avere speranza nelle cose che passano, la nostra speranza è per l’eternità. Altrimenti torna proprio la frase del testo di prima: “Ciò che tengo in mano non è forse falso?”. La conversione sta qui: ciò che tengo in mano, la mia vita, non è forse falsa? Sì, se “si pasce di cenere, ha un cuore illuso che lo travia, egli non sa liberarsene”. Ciò che tengo in mano non è forse falso?
Vorrei che ci impegnassimo in questa visione ben chiara: la penitenza quaresimale ci vuole proprio fare approfondire questo punto. Ricordate l’altro passo di Isaia quando dice che il Signore si compiace forse perché vede uno che sta poco bene, che si affligge, che tratta male se stesso? E’ di questo che il Signore si rallegra? Sarebbe bestemmia pensarlo; di che cosa il Signore si rallegra? Di vedere che noi abbiamo capito la strada di Gesù, che la vogliamo percorrere con Lui, che abbiamo capito che la strada della risurrezione e della redenzione è la croce, per noi e per gli altri, che non possiamo fare tanto bene agli altri come portando loro questa grande verità, la verità della salvezza attraverso la pazienza, la tribolazione, attraverso le nostre croci.
Per cui, allora, la nostra comunione con la Chiesa, Chiesa che soffre, la nostra comunione nella Messa, partecipare coscientemente alla Messa, diventa veramente la strada da percorrere.
Allora ne vengono le conseguenze.
Partiamo da un’idea ben precisa, questa: Dio mi ha dato molto, dal suo avermi dato molto mi dice il suo amore, mi dice con quanta volontà Lui vuole che io faccia un’unica cosa con Cristo; mi chiama a santità, mi chiama a perfezione. In questa Quaresima ci viene ricordato soprattutto com’è stata la strada di Cristo: a questa strada io sono chiamato non per fare delle cose straordinarie, ma sono chiamato nella vita ordinaria ad esercitare la pazienza, l’umiltà, l’amore verso il prossimo, la laboriosità, sono chiamato a riprodurre nella mia vita Gesù Cristo. Questa è la penitenza, quella penitenza che perciò è salvezza, è tutto.
La Quaresima ha il compito di ricordarcelo: tutto l’anno dev’essere informato così, ma la Quaresima contiene una grazia per farcelo ricordare, perché cresca attraverso la sua benedizione “come erba in mezzo all’acqua, come salici lungo acque correnti”.
Questa nostra appartenenza a Dio, attraverso Cristo, e soggiunge il profeta: “questi dirà: io appartengo al Signore. Quegli si chiamerà Giacobbe, altri scriverà sulla mano “del Signore” e verrà designato con il nome di Israele”: ecco questa nostra appartenenza, per cui si può scrivere sulla mano “del Signore”, sei del Signore, sei suo possesso, sei del Cristo, sei prolungamento del Cristo, sei il suo corpo.
Allora, se nella nostra vita dominano, o trovano troppo spazio, altre cose, diventa urgente anche solo una prima conversione. Le cose che non sono sue,, bisogna buttarle via, che non sono sue nella totalità, che non sono sue nella pienezza. Convertirsi è così.
Quaresima è allora una visione molto concreta, una conseguenza molto logica. La tua mano, cioè tutto il tuo operare; disse una volta Gesù: “Non sapete di che spirito siete”, cioè non sapete qual è il soffio che vi muove, barche in mare che non sapete di che vento siete, cioè dove andate a finire, per cui quando diciamo che bisogna che guardiamo lo spirito che ci muove, è lo Spirito Santo o è spirito di orgoglio? E’ spirito di egoismo? E’ spirito di eccessiva comodità? E’ spirito di avvilimento e di tristezza? Di che spirito siamo, le nostre giornate come sono mosse?
Quindi vogliamo domandare allo Spirito Santo che ci illumini perché la nostra penitenza sia veramente qualcosa di sostanziale, che non sia come il fioretto di un bimbo che resta alla superficie, ma la nostra penitenza sia veramente un immedesimarci nello spirito del Cristo, nello spirito della sua redenzione, nello spirito della sua croce. “Lungi da me – diceva a S. Pietro – perché tu sei satana”: il tentativo di Pietro era quello di allontanare Gesù da Gerusalemme e dall’ipotesi della sua passione. Il Signore pronuncia delle dure parole e non le smorza: dopo il discorso di Cafarnao diceva: “Volete andarvene anche voi?” e dopo quello che aveva detto a S. Pietro, dice il Vangelo, che si incamminò Lui verso Gerusalemme, in testa alla comitiva, davanti, intrepido andava verso Gerusalemme e gli altri lo seguivano.
Ecco, che possiamo anche noi andargli dietro nell’accettare nella vita nostra la volontà di Dio con quei limiti, quelle contraddizioni, quelle umiliazioni che Lui vuole. Accettare la volontà di Dio: ecco la grande penitenza, ecco la grande purificazione, ecco la grande sicurezza.
Quando il Signore ha profetizzato a S. Pietro il martirio glielo ha detto: quando eri giovane tu andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vuoi. “Dove non vuoi”: ecco la penitenza; per S. Pietro era la suprema immolazione.
Che possiamo sempre meglio fare la volontà di Dio, studiare quindi la volontà di Dio. Proponetevi questo: la mia penitenza sia studiare bene la volontà di Dio a mio riguardo e seguirla con sempre maggiore formazione ed amore.
Entusiasti di questa idea le conseguenze sono estremamente facili e con la grazia dello Spirito Santo si possono eseguire, perché ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio.
II MEDITAZIONE
Lc 13, 1-9
In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Disse anche questa parabola: “Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai”.
Il discorso della nostra penitenza, dicevo questa mattina, è un discorso di riconoscenza, è un discorso di apertura al piano di Dio, di collaborazione al suo disegno. Ci ha dato perché possiamo dare, perché cioè diventiamo dei collaboratori efficaci al suo regno, dei collaboratori efficaci nella salvezza del mondo.
I principi sono evidenti. Ecco, dobbiamo tradurre questo nella pratico, cioè l’impostazione della nostra quaresima dev’essere un’impostazione molto precisa, perché non ci succeda che anche questa occasione perisca. E’ la pianta che non porta frutti, è la sterilità. La sterilità non è tanto un castigo, quanto una conseguenza, una conseguenza di tutta un’impostazione, per cui guardiamo alle cose con troppa superficialità; sottolineo la parola superficialità perché è la più facile, proprio perché la nostra vita è una vita di corsa: corriamo sempre, le cose si susseguono alle cose, le preoccupazioni alle preoccupazioni, le ansietà alle ansietà. Allora è estremamente facile che noi le cose le partecipiamo correndo, cioè rimanendo così a un contatto molto periferico.
Allora la Quaresima ci dice: guarda un po’ come fai, guarda un po’ se tu puoi approfondire di più certe posizioni, se tu le vuoi approfondire meglio. Altrimenti, pur avendo fatto tanto, ti troveresti non con le mani piene, ma con le mani semivuote: troppo poco per tanto lavoro, molta frasca e pochi frutti. D’altra parte dice il Signore che la nostra responsabilità è globale: “Se non farete penitenza, se non vi convertite (queste parole sono insistenti nel Vangelo, insistenza che si riallaccia all’insistenza dei profeti) perirete tutti”. Lo diciamo tante volte che la nostra civiltà si decompone, che non avvengono quei fenomeni di liberazione che sono in fondo nei desideri di tutti (se ne parla tanto di liberazione, perché si prega poco, perché non si coglie abbastanza la parola di Dio, perché non ci si purifica).
Allora parliamo di superficialità per combatterla come causa generica di una mediocrità che dovessimo riscontrare.
Porterei tre esempi, per niente esaurienti, di superficialità.
La superficialità nella comunicazione della liturgia. Dov’è la grande azione di Cristo a nostro riguardo, se non nella liturgia? E’ nella liturgia dove Cristo prega con noi e per noi; è nella liturgia dove il Signore ci dà la sua parola, la parola che crea, che santifica, che libera, che purifica; è nella liturgia della Messa dove il Signore ci dà il suo stesso corpo e il suo stesso sangue unendoci, ci unisce, ci fa Chiesa che opera e che prega. E’ un’enorme ricchezza, è una ricchezza insondabile perché, tornano le parole della Scrittura, sono le ricchezze del Cristo: “In Lui siete diventati ricchi”.
Se dunque è nella liturgia che il Signore ci vuole dare se stesso in una maniera così grande, con quali disposizioni noi dobbiamo, a tutti i costi e con cuore dilatato, dobbiamo andarvi? Perché troppe volte torniamo invece dalla Messa col cuore nemmeno commosso? Perché alle volte torniamo dalla Messa che non siamo neanche stati scalfiti? Perché torniamo dalla Mesa e dovremmo ripetere le parole del salmo che dice: “essi hanno indurito i loro cuori”?
E’ una seria problematica quella della nostra partecipazione alla liturgia. La Quaresima, presentandoci dei testi liturgici inarrivabili, i migliori di tutto l’anno, ci sottolinea questo impegno. Se tu presenti un vaso che è pieno, tu non vi puoi mettere dentro niente, proprio perché è pieno, ma se tu vai come un vaso vuoto tu porti via. Troppe volte andiamo come vasi pieni, pieni delle nostre cose, pieni di cose che non sono per niente da condannarsi ma sono inopportune, sono fuori luogo, alle volte forse anche delle cose che abbiamo gonfiato, cui diamo troppo valore. E così torniamo indietro, cioè torniamo vuoti, torniamo col nostro bagaglio che forse si è fatto anche un po’ di più pesante, proprio perché abbiamo perduto del tempo.
Direi alcune cose.
La prima: per prendere frutto dalla liturgia ricordarci la nostra posizione. Nella liturgia non siamo semplicemente di coloro che, in posizione passiva, possono ricevere: nella liturgia ci riempiamo proprio nell’esercizio del nostro sacerdozio battesimale. Noi facciamo liturgia, perciò siamo nella condizione migliore per arricchirci e per arricchire, perché il nostro riempirci è riempire, perché il nostro arricchirci è arricchire.
Il penetrare bene nella liturgia è fare nostre le intenzioni e i sentimenti di Cristo. Cosa vuol dire partecipare alla liturgia, se non sentirci all’unisono con Gesù? E Gesù ha le braccia aperte, ha le braccia aperte per tutto il mondo.
“Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità. Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti.” (1 Tm 2, 1-6)
Sentirci dunque investiti di questa nostra missione per essere nella stessa linea di Gesù Cristo. Uscire allora dalle nostre piccole cose e non considerare uniche le nostre esigenze. Il sacerdote è per gli uomini.
Secondo consiglio: per vivere bene la preghiera liturgica allenarsi nella meditazione dei testi. Allenarsi vuol dire avere molta fiducia nello Spirito Santo, essere sicuri che lo Spirito illumina, essere sicuri che è veramente con noi, se tu con umiltà, ma con insistenza stai davanti a Lui. Credere in fondo che tu sei la Chiesa la cui anima è lo Spirito Santo: lasciati guidare! Quando tu mediti sui testi liturgici, in modo particolare, hai la promessa: lasciati guidare. Se tu non lo guardi nello Spirito Santo, non ne capisci il valore intimo.
Perciò durante la Quaresima, in modo speciale, compite uno sforzo di ascolto: la grande nostra dipendenza dallo Spirito Santo.
Terzo consiglio: cercate sempre di sentirvi insieme un’unica cosa, perché Cristo possa sentirvi nella posizione giusta, non di una pietà individualistica.
“È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi avete in lui parte alla sua pienezza” (Col 2, 9-10). L’azione liturgica è l’azione di tutto Cristo: sentirci dunque insieme ai fratelli, sentirci dunque nella potenza che Cristo esercita in tutto il suo corpo. Continua infatti l’apostolo: “In lui voi siete stati anche circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione del nostro corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo. Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati e per l’incirconcisione della vostra carne” (Col 2, 11-13). L’azione liturgica è azione comunitaria nell’unione totale con Cristo.
Ecco allora: com’è stata fino ad adesso la vostra partecipazione alla liturgia? Ve lo dovete chiedere con molto realismo, perché molte volte si ha proprio l’impressione che l’assemblea non abbia partecipato come doveva partecipare, cioè una partecipazione non all’esteriorità del rito, ma una partecipazione a quella profondità che è consapevolezza della propria dignità e della propria missione.
Una vita liturgica superficiale genera una vita spirituale uguale e dopo non conta moltiplicare certe devozioni. Piuttosto che moltiplicare delle devozioni, insistere sulla liturgia, centralizzare sulla liturgia. Chiedetevi quale effetto voi ne ricavate e tirate le conseguenza.
Seconda esemplificazione, è nell’ordine di quella che noi chiamiamo la liturgia domestica. A somiglianza della liturgia che si celebra nell’assemblea cristiana in ogni famiglia c’è un sacerdozio, c’è una comunità, si celebra una lode insieme.
Dicevo questa mattina, parlando individualmente a ognuno di voi, di pensare a quanto avete ricevuto, di partire dalla riconoscenza: posso ripetere la stessa cosa e dirvi di pensare a quanto voi due coniugi avete ricevuto insieme e qual è stato il piano di Dio su di voi, sulla vostra famiglia e come, del resto, avete ricevuto la presenza di Cristo nel sacramento, presenza che tuttora è ben viva ed agisce.
“Siete nell’ordine di un sacramento. A me, che sono l’infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo, e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio” (Ef 3, 9-10). Potremmo applicare alle vostre famiglie questa frase: a voi è stata concessa questa grazia, perché annunciate Cristo, perché la vostra santità sia davvero completa ed efficace.
In che maniera siete salvi? Mediante la fede che è dono di Dio. “Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.” (Ef 2, 10).
Allora la vostra revisione di vita in questa Quaresima non si può risolvere individualmente, ma famigliarmente. Diceva S. Paolo a Timoteo: “Tu risusciti la grazia di Dio (cioè tu tenga come una risurrezione, una vita che sboccia continuamente), grazia che ti è stata data per l’imposizione delle mie mani”: facciate del vostro matrimonio una grazia di continua risurrezione, perché siate lode vera insieme (la lode vera dice che le due note si devono porre come un accordo, perché se le due note non formano un accordo fanno una stonatura e non un buon suono), perché siate lode vera ai vostri figli, perché siate esempio, perché costruiate le opere buone, perché insieme nella Chiesa possiate compiere la vostra opera e la vostra testimonianza.
L’interrogativo perciò è quanto mai urgente. Non vi suggerisco l’esame di coscienza, perché siete pratici, ma già agli Esercizi vi suggerivo il ritiro minimo e mi riaggancio a questo dirvi: ecco la vostra Quaresima insieme, perché il frutto dello Spirito “è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5, 22). Con questa frase si può fare un ottimo esame di coscienza: “contro queste cose non c’è legge” (Gal 5, 23).
“Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato.” (Gal 6, 7).
La vostra liturgia insieme, la vostra preghiera insieme, la vostra conversazione, la vostra comprensione, il vostro aiuto: la penitenza della Quaresima è già fatta tutta. Noi distinguiamo una penitenza spirituale, secondo la facoltà di chi la esercita, una penitenza fisica, una penitenza comunitaria, ma c’è anche una penitenza famigliare, questo superamento continuo di se stessi per essere all’unisono, per celebrare all’unisono, per essere fecondi della fecondità dello Spirito insieme.
Una terza esemplificazione sull’amicizia.
Parliamo, avete visto nel nostro programma, di Quaresima di carità. L’amicizia è un dono di Dio e lo sentiamo in questo momento della Chiesa, nel quale fioriscono come non mai (noi siamo abbastanza vecchi per ricordare prima) i gruppi, le comunità, si sente l’esigenza di stare insieme, di scambiarsi le idee, si sente il bisogno di lavorare per un unico fine. L’amicizia, uscire dagli isolamenti per volere essere insieme con gli altri, non per chiudersi ma per aprirsi, soprattutto verso quelli che non hanno niente e tantomeno il dono di avere degli amici.
Per costruire un’amicizia non basta fare un gesto una volta, non basta avere insistito per un certo tempo: l’amicizia, proprio perché è dono di Dio (non sono le nostre cose umane che ci uniscono, ma lo Spirito), richiede una continua disponibilità; in questo senso mi pare che si possa dire che ogni giorno si diventa amici, proprio corrispondendo al disegno di Dio.
“Ritenni pertanto opportuno non venire di nuovo fra voi con tristezza. 2 Perché se io rattristo voi, chi mi rallegrerà se non colui che è stato da me rattristato?” (2 Cor 2, 1-2): in realtà la disponibilità a Dio è disponibilità all’altro, cioè non bisogna andare rattristati, non bisogna andare chiusi.
La Quaresima pone l’istanza per un’amicizia più profonda tra di noi, per un’amicizia più vera, per un’amicizia più costruttiva. Inventare sempre, tutti o giorni, l’amicizia, altrimenti si logora. Amicizia che realizzi il piano di Dio, che realizzi una fortezza (il fratello che aiuta il fratello) e nell’amicizia si realizza veramente il nostro ideale di Chiesa che si aiuta e che si perfezione.
Gli esami di coscienza sono evidenti: come realizzo l’amicizia? Come sono disponibile all’amicizia? Cosa ho fatto contro l’amicizia?
La mia quaresima di amicizia.
III MEDITAZIONE
Rm 4, 18-22
“Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo - aveva circa cento anni - e morto il seno di Sara. Per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia. “
Il nostro tempo è tempo di fede: vince chi crede chi crede sempre più forte, vince chi non si smarrisce nel dedalo di tutte le ansie, di tutte le preoccupazioni. Vince chi ha fede e più si progredisce nell’età più è necessario sostanziarci di fede.
Abbiamo bisogno di vedere sempre di più le cose con il distacco necessario nella fede. Quando si è molto giovani è facile mescolare molte illusioni alla fede e più si va avanti più è necessario crescere nella fede autentica.
La Quaresima è un invito alla fede, a vivere solo di fede: perché lo è particolarmente la Quaresima? Proprio perché ci porta insieme con Cristo in questo itinerario che culmina nella croce. E’ necessario che non speriamo più nelle cose umane, nei propositi umani, nelle circostanze umane: è necessario che noi viviamo sulla parola di Dio.
Ecco perché ci viene proposto come modello Abramo: credette e sperò contro ogni speranza. Il Signore ci fa cadere molte cose nelle quali noi speravamo, proprio perché la nostra speranza sia basata unicamente sulla sua fedeltà: Egli è fedele, non manca mai.
Questo esercizio di fede dev’essere allora alla base di quella che può essere la nostra programmazione quaresimale, cioè non molte cose, ma alcune cose fatte con tanta fede, con tanta fede.
Ecco la nostra penitenza nella fede, non credendo in miracolismi, non credendo in altre cose, ma credendo che quello che Lui ha detto è vero, quello che Lui ha promesso certamente si realizzerà, certamente. La nostra programmazione quaresimale dev’essere proprio in quest’ordine, un imparare a lavorare nella fede, a lavorare nella fede nella preghiera (sappiamo il valore della preghiera), imparare il valore della penitenza, il valore cioè di qualcosa che è posto nella stessa croce di Cristo: non sono le nostre penitenze quelle che salvano, ma il Signore ci fa il dono di incastonare le nostre piccole cose nella sua croce. Nella fede il valore della penitenza, nella fede il valore delle nostre opere buone, delle nostre testimonianze anche quando apparentemente siamo come Gesù, che hanno considerato come fallito e ne aveva con chiarezza tutti i segni e invece era il momento in cui Lui vinceva di una vittoria eterna.
Imparare il valore che noi abbiamo come comunità, come Chiesa, sapendo che il Signore ha fatto delle promesse alla sua Chiesa. Ecco allora il nostro sguardo (lo avete visto nel programma) alla Madonna, modello di fede, alla Madonna che non ha assistito ai miracoli di Gesù, ma ha assistito Gesù sulla croce, alla Madonna che non si è accompagnata a nessun trionfo, ma ha vissuto nel servizio a Gesù tutti gli anni di Nazaret, tutti gli anni della sua vita, nella Madonna che ha imparato a fare la volontà di Dio nel distacco totale da se stessa, ha perso se stessa per avere un’unica volontà, la volontà del Padre nell’amore a Gesù.
In questa Quaresima, proprio secondo le indicazioni che ci sono state date nella Lumen Gentium e nel documento mariano di Paolo VI, Marianis cultus, dobbiamo sentire di essere suoi discepoli. La Beata Vergine come maestra che ci conduce al Maestro, madre e regina, madre perché capisce, regina perché aiuta. Noi dobbiamo insistere nella nostra misurazione a Maria, perché Lei è madre della Chiesa.
Perciò alcune possibili indicazioni pratiche.
Una prima indicazione: tenere presente la Madonna nella liturgia. Proprio perché madre della Chiesa è con noi nella liturgia. La liturgia è l’azione di tutta la Chiesa e Maria è con noi: renderci coscienti e responsabili in quest’ordine. Naturalmente è una presenza magnifica, naturalmente è una presenza preziosa: bisogna coglierla. Alle volte non si riuscirà a coglierla in tutta l’azione liturgica, alle volte ci accompagneremo a Maria nell’azione penitenziale, alle volte ci uniremo a Maria nell’ascolto (come ha saputo ascoltare il Signore!), alle volte ci uniremo a Maria nella preghiera, alle volte nell’offerta nell’unione al sacrificio del Signore, o ci uniremo a Maria centro della comunità (Pentecoste), o ci uniremo a Maria nella Comunione o nell’azione di grazia. Siccome è l’anno mariano per la nostra parrocchia insistere perché Maria sia presente: ognuno può scegliere in un ordine ben preciso, può scegliere da solo, può scegliere con il coniuge, può scegliere con tutta la famiglia. Trovarci uniti in un comune sentimento.
Poi valorizzare il Rosario come momento di Quaresima carità. La nostra carità vicendevole nello scambiarci la preghiera. Il rosario è molto prezioso in quest’ordine. Le Ave Maria dette gli uni per gli altri nei diversi misteri, a seconda che quei misteri siano adatti e siano percepiti e meditati.
Terzo suggerimento: insistere nel dare confidenza ai figli nell’intercessione della Madonna. La soavità della devozione è quanto mai operativa. Insistere in questa Quaresima nel far trovare ai figli la tenerezza del cuore immacolato di Maria: si affidano bene quando si affidano alla Madonna, è inutile dirlo, ma è sempre bello ripeterlo.
Quarto suggerimento: secondo l’invito di Fatima, indirizzare le nostre penitenze, le nostre pazienze, l’esercizio della nostra pazienza, per la riparazione dei peccati, per la salvezza dei peccatori. La Madonna ha chiesto che il suo cuore venga consolato: intende dire che vengano prese via quelle cose che le procurerebbero terribile dolore.
Quinto suggerimento: in questo mese di Marzo ricordarsi di S. Giuseppe, per molte ragioni, proprio perché le nostre famiglie devono essere come la famiglia di Nazaret, perché in Giuseppe e Maria vediamo veramente l’esempio dell’amore che deve essere fra due coniugi. S. Giuseppe ha avuto un amore meravigliosamente delicato e forte, è stato capo ed è stato a servizio, è stato il primo ed è stato l’ultimo, ha saputo tacere e ha saputo parlare. S. Giuseppe è stato un grandissimo santo e non mediteremo mai abbastanza sui suoi esempi.
Ho detto solo alcuni suggerimenti, gli altri li troverete voi se vi servono.
Resti l’invocazione che per ognuno di noi questa Quaresima sia davvero tempo propizio, sia davvero una grande strada verso la comprensione maggiore del Signore.
Sono certo che il Signore, anche attraverso di noi opererà. In questo momento così difficile per la nostra Chiesa, con tante battaglie per la fede, per i nostri bambini, per l’affermarsi del regno di Dio, diamo anche noi una mano, diamo anche noi un’opera, diamo anche noi una vera parte di contributo, perché se tutti ci mettiamo possiamo ottenere misericordia, se tutti ci mettiamo qualcosa di più si potrà verificare.
Insistiamo nella nostra vita sobria, austera, penitente, ricca di preghiera: il Signore avrà la sua compiacenza.
CODICE | 76C6R083 |
LUOGO E DATA | Montechiarugolo 07/03/1976 |
OCCASIONE | Ritiro spirituale quaresima |
DESTINATARIO | Gruppo adulti |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Penitenza e conversione / La superficialità / Maria modello di fede |
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