06/03/1977 - Ritiro Quaresima Adulti

Montechiarugolo 06/03/1977
Ritiro spirituale quaresima

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I MEDITAZIONE

Os 2, 16-25

Oracolo del Signore.

Perciò, ecco, la attirerò a me,

la condurrò nel deserto

e parlerò al suo cuore.

Le renderò le sue vigne

e trasformerò la valle di Acòr

in porta di speranza.

Là canterà

come nei giorni della sua giovinezza,

come quando uscì dal paese d’Egitto.

E avverrà in quel giorno

- oracolo del Signore -

mi chiamerai: Marito mio,

e non mi chiamerai più: Mio padrone.

Le toglierò dalla bocca

i nomi dei Baal,

che non saranno più ricordati.

In quel tempo farò per loro un’alleanza

con le bestie della terra

e gli uccelli del cielo

e con i rettili del suolo;

arco e spada e guerra

eliminerò dal paese;

e li farò riposare tranquilli.

Ti farò mia sposa per sempre,

ti farò mia sposa

nella giustizia e nel diritto,

nella benevolenza e nell’amore,

ti fidanzerò con me nella fedeltà

e tu conoscerai il Signore.

E avverrà in quel giorno

- oracolo del Signore -

io risponderò al cielo

ed esso risponderà alla terra;

la terra risponderà con il grano,

il vino nuovo e l’olio

e questi risponderanno a Izreèl.

Io li seminerò di nuovo per me nel paese

e amerò Non- amata;

e a Non- mio- popolo dirò: Popolo mio,

ed egli mi dirà: Mio Dio.

Intendere bene la Quaresima non è solo parlare di penitenza, parlare di necessità di mortificazione, di vittoria su di se’: parlare di Quaresima è ancora parlare di deserto, ma un deserto che sia intimità con Dio.

“Io ti condurrò nel deserto, parlerò al tuo cuore”: la Quaresima tempo prediletto per entrare in colloquio con Dio, per sentirlo il nostro Dio, il nostro Salvatore, Colui che si è preso i nostri pesi e vuole lenirli, vuole dare a noi una forza ancora maggiore di speranza.

Io vorrei che capissimo bene che la penitenza richiesta nella Quaresima non è fine a se stessa, che le mortificazioni che necessariamente dobbiamo prendere e dalla vita e dalle circostanze e anche dalla nostra stessa volontà non hanno che una finalità: portarci a maggiore colloquio col Signore. Perché noi di questo abbiamo evidentemente bisogno, abbiamo bisogno di sentire che la nostra vita ha un senso molto forte, profondo, anche in mezzo a tutte le varietà di cose che ci assediano; abbiamo bisogno di sentire che la nostra posizione di coloro che sono con Cristo è una posizione di profonda gioia, di profonda sicurezza.

Ecco perché vi propongo questo testo di meditazione, un testo dunque che si riferisce all’Esodo; anche questa mattina nel Vangelo di Luca si ricorda l’Esodo: Mosè ed Elia parlavano con Gesù dell’esodo che avrebbe avuto a Gerusalemme, della sua partenza, del suo cammino che avrebbe fatto a Gerusalemme. L’Esodo posto come tipo, come esempio del nostro cammino verso Dio.

Ecco, Osea dice che Israele deve tornare ai tempi della sua giovinezza. Bisogna che stiamo attenti, perché il primo aspetto della Quaresima sta proprio qui: verificare la nostra giovinezza, verificare se le cose si sono così appesantite su di noi, hanno avuto tanta incidenza che siamo stanchi, che non sentiamo più con vivacità le cose di Dio, se verifichiamo i segni di una abitudine e perciò di una assuefazione, di una riduzione, nella nostra Quaresima noi troviamo la grazia per riprenderci.

La prima cosa, per essere giovani spiritualmente, è quella di non lasciarci mortificare dalle cose, avvilire, perdere lo slancio dei giorni più buoni, non crederci più, non credere più a quello che credevamo, non essere più così ottimisti: possiamo aver perso l’ingenuità, ma non possiamo perdere l’ottimismo, non possiamo perdere uno slancio perenne verso quella che è la santità. Noi dobbiamo credere che una vita cristiana degna dev’essere una vita cristiana santa, completamente proiettata verso l’ideale, noi dobbiamo sentire che la nostra vita ha veramente sempre tanta potenza di andare avanti e di poter riuscire.

Perciò per entrare nell’intimità con Dio, perché questo sia un tracciato sicuro, prendere via le nostre stanchezze, prendere via le nostre amarezze, credere che il Signore ci vuole bene, credere che il Signore dispone tutte le cose perché possiamo essere veramente lineari e forti.

E’ allora la virtù della speranza una virtù essenzialmente quaresimale, proprio perché si va verso la Pasqua, proprio perché si va verso una nuova relazione con Cristo, per questo dobbiamo essere animati dalla speranza. Quando l’amarezza delle cose, la stanchezza del lavoro, l’incomprensione degli altri, quando si aggravano su di noi una serie di cose contrarie, facilmente ci ripieghiamo in noi stessi e allora non c’è più colloquio con Dio, c’è solo colloquio con noi stessi, c’è solo il crogiolarsi nella propria malinconia che diventa, se non è curata, sempre peggiore. Allora facilmente si è portati a valutare quello che valutano gli altri, a stimare tempo impiegato bene come lo impiegano gli altri. Invece è evidente, noi abbiamo un’altra visione e un’altra chiara indicazione.

Il Signore ci è vicino: notate, nel deserto, “la canterà”. Il cantare indica gioia e spensieratezza: “La canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto”. Metterci in questo stato d’animo. Allora, liberati dal peso della nostra tristezza, noi possiamo cantare al Signore, possiamo fare un colloquio, una preghiera che sia veramente una trasfigurazione.

Allora la preghiera intima ci fa scoprire quanto ci vuol bene il Signore. Se ci raccogliamo troviamo la realtà, troviamo quello che veramente è la rivelazione dell’amore, la rivelazione di Dio. E la rivelazione sta qui: Dio è carità e tutte le opere di Dio sono carità, sono amore. Per cui, nella Quaresima dobbiamo evidentemente ricreare questo clima di amore, o meglio, aprire il nostro cuore all’irrompere dell’amore di Cristo. Cristo è la grande rivelazione di Dio e incontrarci con Lui è lasciare che il suo amore occupi, e la occupi potentemente, tutta la vita. Scoprire l’amore di Dio: “Non mi chiamerai più padrone”.

Ecco una prima conseguenza: “Le toglierò dalla bocca tutti i nomi degli idoli che non saranno più ricordati”. La Quaresima tempo di purificazione, proprio perché è tempo di amore, perché l’amore è donazione e l’amore è fedeltà. I nomi degli idoli, cioè delle strane prevaricazioni, dei momenti di oscuramento, dei momenti di pesante stanchezza. La purificazione nasce con la volontà di un amore nuovo e di un amore grande, di un amore che ci dia continuamente le energie per andare avanti, di un amore che sia veramente un prodigio di tutti i giorni, un miracolo di tutti i giorni.

La purificazione quaresimale ci domanda allora una valutazione nuova delle cose. Troppe volte noi non possediamo abbastanza l’amore di Dio, perché non sappiamo mettere le cose dove vanno messe; le cose facilmente ci soffocano e per cose intendo tutto ciò che dobbiamo fare o tutto ciò che dobbiamo accettare. L’orientarci è un orientarci da sapienti: spesso nella Bibbia c’è la parola sapienza, che vuol dire non semplicemente il conoscere o la ricchezza del conoscere, ma sapienza vuol dire conoscere tutto in Dio e finalizzando in Dio.

Noi ci dobbiamo interrogare se spesso noi abbiamo così sopravvalutato ciò che dobbiamo fare da confonderci nell’agire e nel perdere nella qualità dell’essere. Alle volte siamo troppo affannati e l’affanno non è cristiano, calcoliamo troppo quello che dipende da noi e allora ci disperdiamo. Ecco perché Isaia dice “per loro farò un’alleanza”, tutte le cose della terra devono servire agli eletti e non devono essere motivo della loro stanchezza, della loro dispersione, del loro affanno, “li farà riposare tranquilli”.

L’interrogativo nostro è allora posto così: quali sono le cose che mi portano affanno, che mi impediscono il colloquio sereno con Dio, che mi impediscono l’orientamento costante verso di Lui? Quali sono queste cose e le eliminerò, le eliminerò in quanto sono esagerate, in quanto sono ridondanti. E’ il caso di dire che l’albero non porta frutto, perché non è potato. Non si tratta di togliere quello che devi fare come tuo dovere o come tuo impegno, si tratta di togliere l’eccessiva frasca: tu devi essere deciso, come traccia quaresimale, a valutare la cose in Dio e per Dio, nella sapienza di Dio e con l’illuminazione di Dio. Altrimenti la tua vita non produrrà, o produrrà molto meno. Allora ti si applicherebbero le parole della Scrittura: “E’ un albero sterile” e un albero sterile dev’essere o curato o tagliato.

Un altro aspetto che entra sempre in questo discorso è l’aspetto del proporzionare le nostre cose e proporzionarle per noi e per gli altri. Le nostre preoccupazioni, le nostre ansietà, la nostra paura dell’avvenire: è ancora un discorso di confidenza che esce dalla Scrittura. Dovete confidare perché non siete soli. Tutti i discorsi che facevano i primi banditori del Vangelo (leggete gli Atti degli apostoli) per le diverse Chiese, sono essenzialmente dei discorsi di fiducia, sono dei discorsi che portano l’uomo ad avere cieca confidenza nell’azione di Dio. E’ lo Spirito Santo che guida la Chiesa, è lo Spirito Santo che guida ogni singola anima, è lo Spirito Santo che, passo per passo, misura le tribolazioni con le forze.

Noi dobbiamo insistere perciò ed essere in una grande confidenza, insistere perché questa confidenza sia illuminata da una profonda fede, perché la confidenza sia totale, riguardi tutto, perché la confidenza sia veramente proporzionata e non cada nella pigrizia, una confidenza continua, una confidenza che dà forza a ogni nostra giornata, che ci educa sempre in una visione della vita che è secondo lo Spirito del Vangelo.

Noi dobbiamo insistere e non ci dobbiamo mai smarrire. Con questi elementi si giunge alla confidenza in Dio e la confidenza in Dio è il clima della preghiera e dell’intimità con Lui.

Perciò la mia prima esortazione in questo ritiro vuol essere questa: cercate durante la Quaresima di avere un nuovo rapporto con Dio, più profondo, più responsabile, più aperto. Per questo togliete gli ostacoli.

Ho esemplificato qualche ostacolo, ma ogni anima sa i suoi ostacoli, ogni anima sa i suoi pericoli, ogni anima sa quanto certe cose pesano. Il Signore ci ha insegnato ad essere ben avveduti: come può costruire una torre un uomo e poi lasciarla a metà? Deve prima sedere (riflessione, calcolo) per vedere se ha tanto da arrivare non solo a cominciare, ma anche a finire. In fondo il nostro segreto, il vero segreto della nostra santità consiste in questa prudenza cristiana, una prudenza che evita gli eccessivi pesi, le eccessive occupazioni, evita le facili cadute nel sonno, nella stanchezza, nella amarezza e dà i mezzi necessari.

Una seconda parte vorrei sottolineare: tolti gli ostacoli come si arriva a questo tempo di deserto, a questo tempo di intimità gioiosa e fervida con Dio? Evidentemente c’è la vocazione che viene dal nostro Battesimo: il nostro Battesimo non solo ci ha dato la grazia di Cristo, cioè ci ha dato il suo amore, ma, ricordiamolo, il Battesimo ci ha incorporati a Cristo. Dobbiamo valutare fino in fondo questo termine che ci ha donato S. Paolo: siamo incorporati a Cristo, formiamo una sola cosa con Lui. Siamo membra del suo Corpo, la grazia è una partecipazione alla sua vita, Cristo ci unisce a se’ e ci porta nel seno della Trinità.

La preghiera allora non è un cercare lontano Dio, non è lanciare il nostro grido a uno che pur lontano si degna di ascoltarci, ma, ecco, l’intimità nostra è partecipazione profonda alla vita di Cristo, al mistero di Cristo, alla preghiera di Cristo. Le proporzioni della nostra preghiera diventano le proporzioni della preghiera di Cristo. Noi troppo poco ci ricordiamo di questo; l’itinerario quaresimale è itinerario segnato dalla spiritualità del Battesimo, per cui noi non ne dobbiamo fare un ricordo e basta, ma dobbiamo vivere profondamente ciò che abbiamo ricevuto e ciò che agisce in noi. Cristo ci ha così amati, che ci ha fatto suoi in una maniera mirabile, ci ha fatto suoi e questo farci suoi insieme si chiama Corpo Mistico e abbiamo le ricchezze e le gioie di questo Corpo Mistico. Per cui tutto ciò che è di Cristo è nostro e tutto ciò che è nostro Cristo lo fa suo: per cui la mia preghiera è la preghiera di Cristo, la mia sofferenza è la sofferenza di Cristo. Dio dà dignità attraverso Cristo a tutta la nostra vita, una dignità meravigliosa. Come ci ha amato il Padre! Ci ha fatto un’unica cosa con Cristo. Sicché se preghiamo Cristo dà valore, il suo valore, se soffriamo Cristo dà il suo valore.

Ecco allora che la nostra vita cristiana comprende fino in fondo cosa vuol dire pregare: vuol dire prendere coscienza della nostra unione con Cristo e far nostri tutti i suoi sentimenti, voler essere a gloria del Padre e a salvezza degli uomini. Cristo non si appartiene, appartiene all’umanità, si è dato all’umanità e continuamente si dona: noi, con Lui, non ci apparteniamo, siamo per la gloria di Dio e per il bene degli uomini.

Allora è evidente che dal nostro Battesimo esce fortemente la nostra preghiera, preghiera da figli di Dio. Sul Tabor ha detto: “Questi è il mio Figlio diletto: ascoltatelo”: proprio così, anche noi entriamo nella stessa dinamica, anche noi sentiamo la validità di essere con Cristo nell’opera di gloria e nell’opera di salvezza.

Intimità di preghiera è scoprire sempre più profondamente questi valori, sentire che nulla cade invano. Avete la vostra vita tribolata, la vostra vita di lavoro, la vostra vita di preoccupazioni, di sofferenze, avete le cose che vanno contro quello che speravate: non dubitate, non si deve dubitare, perché siete uniti a Cristo, perché Cristo vive in voi; Cristo vive in voi e per mezzo del suo Spirito vi sostiene, vi consacra, vi illumina. Non siete soli, non potete mai essere soli: il cristiano è colui che non può soffrire di solitudine, perché è unito a Cristo di un’unione che è solo superata dall’unione ipostatica, dall’Incarnazione, è unito a Cristo in una maniera ineffabile e perciò è unito a tutti gli uomini che come Lui cercano Dio. La solitudine è un male di coloro che non credono, ma coloro che credono e vivono il loro Battesimo sono sempre sereni e fiduciosi.

Ne viene allora una chiara conseguenza: la tua preghiera deve nascere dalla fede, deve svilupparsi nella fede. Se la tua preghiera è povera, se la tua preghiera è miserabile, se, diciamolo pure, tu non gusti la tua preghiera è segno che non hai abbastanza approfondito o analizzato le grandi verità che tu sai, ma che forse non hai abbastanza fatto scendere in fondo al tuo cuore.

Qual è il segno che un cristiano è maturo? E’ questa profonda gioia interiore: se manchiamo di gioia, incolpiamo noi stessi, siamo acerbi, troppo acerbi, non viviamo il cristianesimo in profondità. Guardate com’è vero, ce ne hanno dato esempio i santi: pur tribolatissimi conservavano una grande pace interiore perché erano uniti a Cristo, perché erano consapevoli e partecipi in pienezza di questa unione.

E’ necessario allora che la preghiera la riformiamo, la riformiamo se constatiamo queste manchevolezze. Riformare la preghiera vuol dire non fare consistere la preghiera in determinate forme di preghiera, sostanziare la nostra vita della presenza e dell’azione di Cristo, vuol dire sentire che l’Eucaristia è la sorgente di tutto, perché nell’Eucaristia si dà a noi Cristo vivo e vero, si dà alla Chiesa e a ogni anima ed è nell’Eucaristia che ognuno può dire: “Gesù è il mio Gesù”.

Dobbiamo sostanziarci così di fede, che tutto sia un mistero continuo, parlo di mistero, di comunicazione con Lui. Si capisce che è mistero perché è nella fede, ma è una posizione entusiasmante quella che riempie veramente l’anima e dà le ali.

II MEDITAZIONE

Rm 5, 6-11

“Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione.”

Parlavamo questa mattina dell’amore di Dio.

Ora abbiamo sentito S. Paolo che sottolinea questo amore facendo osservare che è un amore per il quale Cristo è morto: Cristo ha offerto la sua vita in riscatto per i nostri peccati.

Il tempo di Quaresima, dicevo, è tempo di speranza, tempo di serenità, tempo di confidenza: è un tempo prezioso e perciò è un tempo nel quale dobbiamo approfondire l’amore di Cristo e l’amore di Cristo ha avuto la sua manifestazione massima nella passione.

Evidentemente è un tempo che è stato sempre consacrato alla meditazione della passione di Gesù; la Via Crucis è sempre stato un esercizio quotidiano: noi dobbiamo vedere in quale luce e in che modo dobbiamo riflettere sulla passione, perché durante la passione del Signore noi siamo chiamati a entrare nella salvezza, a entrarci profondamente.

C’è una maniera di meditare sulla passione che insiste solo su un sentimento, un sentimento di tenerezza, su un sentimento fine a se stesso: non è il mezzo adatto. Sono molti gli uomini che hanno sofferto e sono molti gli uomini che soffrono tuttora, il mondo è pieno di miserie, è pieno di dolori che non hanno nome tanto sono grandi. Non è questo che dobbiamo fare.

Bisogna che entriamo nella salvezza attraverso la meditazione della passione, perché non è semplicemente che uno ha sofferto ed è stato tradito, ma ha sofferto e la sua sofferenza è stata intima e assoluta (tradimento) per noi, perché ci salvassimo, perché la nostra vita avesse una dignità, perché la nostra vita avesse un conforto, perché la nostra vita avesse un mezzo continuo di ricupero. Per questo i dolori di Cristo sono tanto eloquenti e tanto evidenti di lezione e di dimostrazione.

Noi troppe volte siamo tentati a fermarci davanti a questi dolori come ci fermiamo su una soglia di una casa: bisogna entrarci, bisogna studiarli, bisogna amarli.

Durante la Quaresima dobbiamo rivedere tutta la passione del Signore, i dolori fisici di Gesù, i dolori morali di Gesù: perché rivederli tutti? Perché nessuna cosa è venuta a caso. “E’ stato immolato perché Lui l’ha voluto”. Il Padre ha lasciato che i carnefici si buttassero a tutte le iniquità, ma non oltre il suo piano, non oltre un piano sapientissimo di amore. Tutto quindi ha un significato: non è per niente che il Signore ha voluto che tutto il corpo di Gesù fosse sofferente, perché, ci aveva avvertito Isaia, è per le sue piaghe che siamo stati sanati. Il peccato dell’uomo ha toccato tutto l’uomo, ha rovinato tutto l’uomo: il servo di Iahvè, l’uomo dei dolori, doveva avere tutto il corpo colpito dalla sofferenza, doveva avere tutta l’anima invasa dall’angoscia. “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”.

La croce del Signore è il grande motivo della nostra pace e il grande motivo della nostra sicurezza: chi non guarda mai la croce del Signore, chi non la considera a pieno perde il mezzo magnifico di consolazione. Chi guarda la croce ha dolore ed ha letizia (la Beata Passio): ha dolore perché con i nostri peccati noi abbiamo causato tutto questo e ha letizia perché ha la dimostrazione più eloquente di un amore che non si ferma davanti a nessun ostacolo.

Quindi dobbiamo proporci alcune cose.

Prima di tutto dobbiamo avere molta famigliarità con la passione del Signore. Una cosa è come guarda la passione un bambino, un'altra cosa è come guarda la passione un giovane, un’altra cosa è come la guarda un adulto: dobbiamo studiarla con maturità, con comprensione.

Quindi uno studio, o meglio, una contemplazione attenta e intelligente. Troveremo un grande antidoto ai nostri peccati, una grande maniera per non ricadere negli stessi difetti, per dare una spinta grande al nostro sforzo per non ricadere su di noi stessi. Quindi diventare contemplativi della passione.

Poi dobbiamo entrare nella Passione attraverso il mistero eucaristico. Il mistero eucaristico ci presenta Gesù che offre ancora il suo sacrificio. Il sacrificio della Messa non è un sacrificio diverso dalla croce, è un sacrificio distinto: il Signore compie ancora la sua offerta e la compie donandoci i frutti della sua oblazione. La Messa infatti dà a tutti quelli che partecipano, in modo speciale, i frutti del Calvario.

Quindi la Messa non si deve fermare al rito: il rito, le parole, i gesti sono cose molto belle e sono una lezione continua, ma dobbiamo dire: “Passa oltre il rito: entra nel mistero”. Passare oltre il rito vuol dire sentire Cristo nella sua grande carità, quella carità per la quale se fosse necessario ripeterebbe la sua passione. Dobbiamo avere davanti ai nostri occhi Cristo crocefisso.

Quindi l’Eucaristia dev’essere per noi il modo naturale, nel soprannaturale, per entrare nel mistero della Passione del Signore. La Quaresima ha il suo culmine nel tempo di Passione, raggiunge il suo vertice, raggiunge il suo scopo immedesimandoci al Mistero Pasquale di Cristo, alla sua passione, morte e risurrezione. Questa immersione nella Passione per essere crocefissi con Lui, dice S. Paolo, per essere consepolti con Lui, per essere insieme morti con Lui, questa immedesimazione al Cristo ci deve portare alla conclusione che ancora Paolo sottolinea: “Coloro che hanno crocefisso i loro vizi e concupiscenze che si sono uniti alla crocefissione del Signore facendo morire l’uomo vecchio ridestando il nuovo”. Non si può buttare via il fermento vecchio che a queste condizioni: il fatto nuovo, il fatto di grazia avviene così.

Naturalmente ognuno di noi avrà il suo sforzo, sforzo necessario, perché c’è una maniera di partecipare alla Messa, che, in fondo, è una fuga dalla vera realtà. Mi spiego: se uno partecipa alla Messa e si ferma solo alla cornice, si ferma anche alla giusta comprensione di assemblea, assemblea di fratelli (dobbiamo sentirci in famiglia, dobbiamo realizzare profondamente una fraternità), chi si ferma qui non si ferma al mistero, ma si ferma un po’ più in qua.

Il mistero si enuclea così: è un’assemblea di fratelli, ma intorno a un Crocefisso, intorno alla ripetizione dell’atto più grande di amore, dell’atto massimo di amore. Per cui dobbiamo associarci a Gesù, altrimenti si finisce che ci uniamo tra di noi, ma non ci uniamo con Lui, non ci uniamo con Lui, perché unirci con Lui vuol dire entrare nel suo spirito di adorazione, nel suo spirito di ringraziamento, nel suo spirito di riparazione e d’implorazione. Noi siamo perfettamente uniti tra di noi, quando siamo uniti con Lui: se non siamo uniti con Lui, la nostra unione è ancora troppo esteriore, può essere anche commovente ma è troppo esteriore.

Noi dobbiamo unirci intimamente al suo sacrificio. Quindi leggere nell’Eucaristia la passione, la morte, la risurrezione di Gesù: entrare profondamente in questo spirito, perché sappiamo che siamo giustificati, cioè siamo redenti, così e non diversamente. Il credere che Cristo mi ha amato, che Cristo è morto per me, che Cristo mi dà questa sua salvezza è il centro della nostra vita cristiana. Io mi unisco a Cristo e più mi unisco a Lui più larga, grande è la mia speranza e la mia gioia.

Quindi, in questa Quaresima cerchiamo di crescere in questa partecipazione che costa, perché molte volte, se facciamo sforzo per andare a Messa, non facciamo lo sforzo nella Messa: è uno sforzo per dimenticare noi stessi, è uno sforzo per dimenticare i nostri piccoli problemi, è uno sforzo per adeguarci ai sentimenti di Gesù che sono per la gloria di Dio e per la salvezza dell’uomo. Allora le nostre piccole cose scompaiono, allora sentiamo che entriamo davvero come artefici nella redenzione, perché Cristo ci vuole insieme a Lui per compiere l’opera che vuole Lui, l’opera di riconciliazione di tutta l’umanità al Padre attraverso il Cristo.

Compiano dunque questo sforzo per cui l’esercizio quotidiano della Messa diventa esercizio di gioia, esercizio di lavoro per la salvezza dell’umanità.

Entrare nella passione di Gesù, entrarci con umiltà, entrarci con volontà, entrarci con disponibilità, entrarci portando anche noi le nostre piccole cose, i nostri contributi: le preghiere, i sacrifici, i travagli, i lavori, tutto quanto. Entrare nella passione di Gesù allora è sommamente utile e sommamente efficace.

Avere sempre la volontà di unire i nostri sacrifici al sacrificio di Gesù comporta un’altra visione dei nostri dolori, delle nostre sofferenze. Noi troppe volte li guardiamo sotto un lato umano e sotto un lato umano i nostri dolori sono sempre più o meno inspiegabili. Noi abbiamo la chiave della nostra vita, se la mettiamo nella sequela di Gesù: “Se uno vuol venire dietro di me, prenda la sua croce, rinneghi se stesso e mi segua”. E’ una legge molto evidente. Ecco perché, quando il Signore trova un’anima disponibile, il Signore è più largo con i dispiaceri, è più largo con i dolori, perché l’anima li sa usare. Ci spieghiamo tante tribolazioni dei buoni: il Signore ha bisogno di chi lo aiuta a salvare. Quando trova un’anima che dice di sì, il Signore accetta volentieri e la associa alla sua gloria, alla sua ora. Lui ha detto: “Mi urge che venga la mia ora”, aveva fretta di sacrificare se stesso, aveva fretta; la chiamava la sua ora: “Padre, glorifica il figlio tuo” ed era la glorificazione della sua morte, della sua risurrezione.

Non dobbiamo guardare ai dolori con la paura che hanno alcuni, meno ancora come i pagani che devono non pensare al dolore e quando è possibile hanno bisogno di qualcosa che li stordisca, perché di fronte al dolore hanno solo la paura che ha un’animale, l’istinto del fuggire, l’istinto di darsi in qualche maniera un diversivo. Noi dobbiamo guardare al dolore con serenità, alle nostre croci con calma, la calma grande, perché ci sentiamo piccoli, incapaci, deboli e come possiamo affrontare il dolore? La risposta viene dalla croce: non solo lo puoi affrontare, ma è gloria per te affrontarlo, ma è salvezza per te affrontarlo, ma è salvezza per il mondo affrontarlo. Aggiunge di più: ma se tu unisci la tua croce alla mia – dice il Signore – le porto tutte e due Io. Il modo di non sentire la propria croce è quello di farla portare a Gesù e Gesù ha voluto soffrire proprio per questo, per portare la croce di tutti gli uomini.

Ci dobbiamo educare a soffrire, dobbiamo educarci alle contraddizioni della vita, dobbiamo educarci alle prove della vita, anche alle più lunghe, alle più umilianti, dobbiamo educarci; c’è una Provvidenza di Dio che riguarda il dolore e riguarda quelli che sono i soggetti del dolore.

Noi nella Quaresima dobbiamo talmente leggere il crocefisso, talmente innamorarci del crocefisso, da avere massima serenità anche nelle grandi prove. Allenarci. Nessuno sa quello che la vita gli può presentare, nessuno lo sa. Di fronte alle ipotesi di prove, di dolori, di perdite, qual è la risposta di un cristiano veramente compreso? Dalla croce di Gesù viene l’esempio, dalla croce di Gesù viene la forza, dalla croce di Gesù viene l’indicazione: tutto passa attraverso la croce per giungere alla risurrezione. Soffrire passa, aver sofferto non passa mai, resta la gloria della sofferenza. Ecco perché – soggiungeva S. Paolo in una parola che sembrerebbe incomprensibile – “io sovrabbondo di gaudio in tutte le mie tribolazioni”: pensare a questo non è rivestirsi di lugubre e triste, è solo aver le chiavi per risolvere tutti i problemi della vita.

Di conseguenza, studiare la passione di Gesù, averla così famigliare che di fronte a tutte le situazioni abbiamo precisa, mirabile la medicina, la sua medicina. Di fronte ai dolori fisici, di fronte ai dolori morali rapportarci sempre a Lui.

Per alcuni cristiani è cessato l’uso della Via Crucis e di per se’ vorrebbe dire poco se ci fossero altri modi per entrare nella passione del Signore, ma cessata questa consuetudine, non entrano più nella passione del Signore. La passione del Signore è raccontata da tutti e quattro gli evangelisti e non c’è migliore esercizio nella Quaresima che piamente meditare i testi della passione.

Il suo esempio, dicevo: la sua pazienza, il suo silenzio, il suo dimenticarsi anche nei più grandi dolori, pensa agli altri quando è in tanto tormento, pensa a Pietro e lo converte, pensa a sua madre, pensa alle donne incontrate lungo la strada del Calvario, pensa al ladrone crocefisso con Lui, pensa a tutti quanti gli uomini, anche a quelli che lo stanno beffeggiando. “Scenda dalla croce e crederemo a Lui, se è il Figlio di Dio che scenda”: era la sfida, era l’insulto e l’ironia e Gesù: “Padre perdona loro (e poi dice anche il perché: è proprio un avvocato di difesa),, perché non sanno quello che fanno”. Ecco l’esempio, l’esempio di fronte all’ingratitudine. Giuda, il tradimento, Pietro, il rinnegamento, i discepoli che fuggono, la folla che aveva beneficato (non gli lasciavano nemmeno il tempo di mangiare), che aveva guarito, che aveva istruito disse: “non Lui, ma Barabba” e Gesù accetta e Gesù rimane pazientissimo e umilissimo. “Ho porto la mia guancia a coloro che mi schiaffeggiavano, a coloro che mi strappavano la guancia”: il Signore è là in una meravigliosa sopportazione, è là come esempio nostro, come soavità nostra, perché se hanno trattato Lui così non possiamo avere le pretese di essere trattati anche un po’ meglio.

Insistiamo su questo, è necessario: la passione deve diventare la vera nostra lezione, il nostro vero segreto, la vera sorgente della nostra forza. Impegnamoci in questo studio: non troveremo nulla di meglio. Impegnamoci volentieri, la Quaresima ce ne dà l’opportunità.

E’ facile a farsi il nostro esame di coscienza: vedremo come abbiamo saputo valorizzare la passione del Signore, come siamo penetrati nella passione del Signore, se vi siamo penetrati attraverso la preghiera, la meditazione e l’Eucaristia, se ne abbiamo tratto degli esempi di salvezza e di umiltà, se abbiamo imparato ad amare gli altri sull’esempio di Gesù crocefisso, se abbiamo imparato a scusare gli altri, a perdonare davvero proprio come Lui ci ha insegnato. Vedremo poi come di solito accettiamo le sofferenze quotidiane, sia che ci vengano dalle cose, sia che ci vengano dalle persone. Le nostre croci quotidiane: come le abbiamo santificate? Con quale impegno, con quale umiltà, con quale serenità? Guardiamo se ci siamo invece smarriti di fronte alle contraddizioni e abbiamo covato dentro di noi il risentimento, se abbiamo lasciato depositare tanta amarezza, tanta ribellione, se ci siamo ribellati credendo di essere una gran cosa e di avere della personalità nel ribellarci e invece dimostravamo evidentemente che non eravamo neanche inizialmente cristiani.

Facciamo questo esame di coscienza perché profonda e viva sia la lezione quaresimale sulla passione del Signore.

III MEDITAZIONE

2 Tm 2, 8,-17

“Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo, a causa del quale io soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Certa è questa parola:

Se moriamo con lui, vivremo anche con lui;

se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo;

se lo rinneghiamo, anch’egli ci rinnegherà;

se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele,

perché non può rinnegare se stesso.

Richiama alla memoria queste cose, scongiurandoli davanti a Dio di evitare le vane discussioni, che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi le ascolta. Sfòrzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola della verità. Evita le chiacchiere profane, perché esse tendono a far crescere sempre più nell’empietà; la parola di costoro infatti si propagherà come una cancrena.”

L’itinerario quaresimale è dunque un itinerario che tende a conformarci a Gesù Cristo: conformati alla passione di Lui, conformati alla vita di Lui per arrivare ad essere conformati alla sua risurrezione.

La conformazione a Cristo dev’essere il nostro più grande desiderio e il nostro più grande lavoro. Voglio dire che lo studio quaresimale dev’essere lo studio per eliminare da noi tutto quello che non sa di Gesù Cristo e per mettere in noi tutto quello che è di Gesù Cristo.

La penitenza mi pare che sostanzialmente voglia dire questo: perdere alcune cose per acquistarne alcune altre.

Il senso della penitenza dev’essere un senso che abbiamo vivo dentro di noi e che la Quaresima ci richiama.

Pentirsi vuol dire disapprovare una certa condotta di vita con la vera volontà di mettere un’altra vita. Evidentemente, chi non ha spirito di penitenza non vuol cambiare niente, non ha bisogno di niente, si preoccupa solo di quello che lo fa star bene istintivamente, umanamente, mentre lo spirito che dobbiamo coltivare è proprio spirito di rinnovamento.

“Rivestitevi del Cristo Gesù”: è insistente il rischiamo. Rivestirci di Cristo Gesù, della sua squisita mansuetudine, della sua pazienza, del suo saper adeguarci, del suo saper donarsi. Vi raccomando di meditare altri testi che sono molto importanti (come Rm 13, 14) e di acquistare questa volontà di recupero, questa volontà di combattimento. Paolo porta spesso l’esempio del soldato romano: per lui il cristiano è un soldato (Ef 6, 13-17; 1 Ts 5, 8; 1 Cor 9, 24-25), ma perché? Perché il soldato conquista ed è in difesa.

Lo spirito di penitenza diventa allora una notevole conquista; non intendere penitenza come passività, non intendere penitenza semplicemente come rinuncia: il vero concetto di penitenza è un concetto di conquista per poi, nella difesa, mantenere ciò che abbiamo realizzato.

Quindi, proponendovi la Quaresima, dovete proporvi questo dinamismo che è proprio delle anime che amano: l’amore infatti non è una cosa inerte, è paragonato al fuoco, giustamente, perché il fuoco è l’elemento più attivo. La nostra penitenza dev’essere amore. Dobbiamo conquistare ciò che ci manca e la conquista è evidente: dobbiamo conquistare Gesù Cristo, dobbiamo conquistare quei pregi che Gesù Cristo ci offre, perché essendo uniti a Lui nella comunione di vita lo dobbiamo essere anche nella comunione delle virtù, nel muoverci.

Una cosa sono le virtù pagane e altro sono le virtù cristiane. Un pagano prende le virtù come un giusto mezzo, per lui virtù è una sorte di equilibrio, il pagano vuole ornarsi di virtù perché diventano un pregio personale. Le virtù cristiane invece sono molto diverse, sono un immedesimarsi con Cristo, un partecipare di quello che ha fatto Lui, di quello che vuole comunicare a noi. Le virtù cristiane perciò non cercano un giusto metodo, perché cercano un adeguamento, quanto è più possibile, con Gesù. E si sa che non si ama mai abbastanza, che non ci si dona mai abbastanza, che non si fa mai a sufficienza: “Quando avete fatto tutto quello che potete dite: siamo servi inutili”.

La necessità quindi è una necessità nostra di adeguamento a Cristo: perciò la penitenza è scartare per conquistare, è rifiutare per avere. Sono ancora troppe le cose che ci impacciano, sono ancora troppe le cose che tendono a soffocarci: ecco la sanità della penitenza cristiana.

“Io tendo a quello che è più perfetto” dice sempre l’Apostolo e la perfezione è Lui, e la perfezione è possederlo e viverlo, e la perfezione è gioire del suo amore avuto e ricevuto con disponibilità piena.

Proponendovi quindi la vostra penitenza quaresimale, tenete proprio conto di quello che vi manca, di quello che sentite assolutamente necessario. La penitenza non va fatta a caso, non va fatta così, perché bisogna farne: essendo conquista, deve avere una mira ben precisa, deve avere una modalità ben precisa. Facciamo fatica a perdere noi stessi, facciamo fatica a perdere i nostri punti di vista, facciamo fatica a perdere certi nostri comodi, certe nostre pretese, facciamo fatica a chiamare cattivo ciò che ritenevamo onorifico: qua sta la penitenza, che ci chiama all’austerità, ma a un’austerità ricca di contenuto, ricca d’amore, ricca di dono.

E’ allora una ricerca della sua volontà. In fondo tutta la sapienza sta qui: cercare quello che Lui vuole da noi. Allora capiremo cosa vuole da noi per unirci strettamente alla vita e alla sua missione. La volontà di Dio!

Possiamo dire adesso (interroghiamoci con precisione, non fermandoci alla superficie) di fare la volontà di Dio? In questo momento possiamo dire di essere nel suo beneplacito (“questo è il mio figlio diletto”), che abbiamo fatto quello che vuole Lui, che stiamo facendo quello che vuole Lui? Possiamo dire che il Signore è contento di noi?

Ecco la penitenza: lasciare tutto ma fare la sua volontà, togliere tutto quello che è contro la sua volontà, tutti i nostri egoismi, tutto il nostro orgoglio, tutto il nostro voler prevalere, tutte le nostre ambizioni smodate, tutto quello che insomma non è secondo la sua volontà.

Quando, lo meditavamo domenica, Gesù ha respinto le tentazioni come le ha respinte? Le ha respinte riferendosi a quello che voleva il Padre. Ecco la nostra vita come sarà piena riferendoci alla volontà del Padre…

CODICE 77C5R083
LUOGO E DATA Montechiarugolo 06/03/1977
OCCASIONE Ritiro spirituale quaresima
DESTINATARIO Gruppo adulti
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Quaresima tempo di nuova intimità con Dio / La passione / La penitenza
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  • “È evidente come Don Pietro abbia vissuto il suo sacerdozio
    tra la vita delle persone, condividendo tutto. 
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    Umberto Roversi

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