12/02/1978 - Ritiro Quaresima Giovani

12/02/1978
Ritiro spirituale quaresima

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I MEDITAZIONE

Lc 18, 31-43

Poi prese con sé i Dodici e disse loro: “Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo si compirà. Sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà”. Ma non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto.

Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: “Passa Gesù il Nazareno! ”. Allora incominciò a gridare: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me! ”. Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me! ”. Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: “Che vuoi che io faccia per te? ”. Egli rispose: “Signore, che io riabbia la vista”. E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”. Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.

Quel salire a Gerusalemme in fondo segna tutta la nostra vita spirituale. Andare a Gerusalemme: la Quaresima, perché Gerusalemme vuol dire “Pasqua”, perché Gerusalemme vuol dire la “Pasqua con Lui”, perché andare a Gerusalemme vuol dire identificarci con Lui, scegliere con Lui.

Abbiamo iniziato il cammino quaresimale e vorrei che per prima cosa comprendessimo che far la Quaresima vuol dire guardare alla Pasqua, far la Quaresima vuol dire sentire che “la nostra vita dev’essere (le parole sono di S. Paolo) sepolta con Cristo nella morte per potere con Lui risorgere”.

E’ il mistero della nostra identificazione con Cristo. Convertirci è una parola che adesso adoperiamo spesso, ma lo dobbiamo intendere non in un senso moralistico, ma in un senso molto più profondo: convertirsi è darsi a Cristo, è voler essere una sola cosa con Lui. Perché Lui, diventato il primogenito di molti fratelli, ci chiede e insistentemente ci chiede di essere nella sua strada, di essere in un unico pensiero e in un unico cuore con Lui.

Salire a Gerusalemme allora comporta un riproporci addirittura il nostro Battesimo, perché il nostro Battesimo ci colloca in una scelta radicale: “Chi non è con me è contro di me”. La nostra tendenza sta sempre nel confondere le cose per diminuirne la portata e l’importanza, per diminuirne il peso e la forza.

Convertirci a Cristo è dunque avere molto amore per Lui, un amore che ci porta ad abbracciarlo in tutti i nostri atteggiamenti di vita, a non volere altra cosa se non quello che vuole Lui, a non desiderare, a non sognare, a non preoccuparci che delle cose che dice Lui. Una scelta radicale di vita che ci porta allora a capire che la Pasqua non è un ieri: la Pasqua è di oggi, la Pasqua è una cosa che si deve compiere anche in noi, proprio come ha detto di se stesso: Gesù ha detto “è necessario che io salga a Gerusalemme” e poi dirà a Pietro: “tu mi sei satana, tu sei per me il tentatore perché non vuoi che io vada a Gerusalemme, tu non vuoi che io faccia la mia Pasqua: io desidero che venga la mia ora”. Dobbiamo capire bene che la sua ora è anche la nostra ora e che non possiamo assolutamente prescindere da questa scelta fondamentale: essere con Lui nella Pasqua.

Diceva poco prima il Vangelo di Luca: “Si diresse velocemente verso Gerusalemme” (Lc 9, 51). Si diresse decisamente, perché sapeva che solo nel dramma della sua decisione c’era la nostra salvezza; “ma essi non comprendevano il senso e avevano paura a fargli delle altre domande”: abbiamo visto che non compresero nulla, che quel parlare restava oscuro per loro, non capivano che bisogna passare per la croce, che tutti dobbiamo passare per la croce, che non c’è un’altra forma di adesione a Dio che sia possibile. Non si va a Dio, se non per Cristo e Cristo passa per la croce, e Cristo fa la Pasqua e Cristo vuole che tutti noi facciamo la Pasqua.

Tutti noi facciamo la Pasqua, la dobbiamo fare: la Quaresima essenzialmente ci ricorda questo, ci ricorda che il Cristo totale è Gesù più noi, che quello che ha accettato Cristo a maggior ragione, perché siamo peccatori, lo dobbiamo accettare noi.

Quindi la vita spirituale non consiste in un facile cammino, in una bevanda inebriante, in una specie d’idea entusiasmante e superficiale: no, no, consiste nell’andare verso Gerusalemme, verso la Pasqua, una Pasqua per cui noi dobbiamo morire al peccato, vincere le nostre passioni, fare di noi un uomo nuovo, un essere nuovo, creato, dice S. Paolo, secondo la giustizia e la verità. Cioè dobbiamo buttare via tutta la bugia, tutta la forma ipocrita che ci domina molte volte per cui i nostri atti religiosi sono atti essenzialmente formali. Noi dobbiamo andare incontro al Signore che ci assimila a se’ attraverso la fede e la carità.

E’ tanto vero che siamo ipocriti, perché molte volte la nostra adesione resta generica, resta a livello di sentimento, resta improntata a qualcosa dalla quale poi fuggiamo in pratica. Noi diciamo: “Signore ti seguo” e poi tutti i giorni ci rimangiamo la parola, diciamo: “Signore ti seguo”, ma figgiamo una preghiera impegnata, fuggiamo una meditazione metodica e perseverante; diciamo: “Signore ti seguo”, ma poi non ci decidiamo mai a vincere certe golosità di piacere. Siamo idolatri del piacere egoistico, ci dilettiamo di qualche cosa che in fondo non ci disturba e sembra religioso. Noi diciamo: “Signore ti seguo”, ma poi i nostri propositi restano castelli di carte, un soffio e vanno per terra, perché ci proponiamo una forma di vita spirituale e poi la scriviamo, poi la offriamo a Dio e poi non la manteniamo mai. Per cui ci troviamo sempre svogliati, pigri, facili all’entusiasmo per le cose sciocche e duri ad entusiasmarci per le cose sante, per le cose degne di Dio. E siamo sempre lì, e non saliamo, e diciamo “sì, sì, la Quaresima è salita” ma la Quaresima resta una pesante ipocrisia, perché in realtà o non ci muoviamo o addirittura facciamo dei passi indietro, perché di fronte alle nostre grandi responsabilità non accettiamo la grazia e non accettare non è andare avanti, ma è tornare indietro.

Io vorrei che il nostro discorso fosse eminentemente pratico, perché se vogliamo fare davvero questa salita dobbiamo rifare certe cose che abbiamo già fatto, ma farle sul serio, farle con molta umiltà. Sentite questa parola: umiltà. Cosa vuol dire fare le cose con umiltà? Vuol dire farle riconoscendo che noi siamo fragili, che noi siamo deboli, che la forza non viene da noi, ma che la forza viene da Lui e che quindi l’avvilirci, il buttare via con disprezzo, o cadere in forme di superficialità è l’atteggiamento dell’orgoglioso, l’atteggiamento che va paurosamente a tutte le forme più deleterie di autolesionismo.

Noi dobbiamo salire a Gerusalemme sul serio. Abbiamo detto: questo è l’anno della Parola, è l’anno in cui vogliamo stimare la parola di Dio, vogliamo essere sensibili alla parola di Dio, vogliamo lasciarci condurre dalla parola di Dio. Ma come abbiamo fatto la meditazione? Ma con quale perseveranza, con quale impegno? Che trasformazione di preghiera è avvenuta? Non c’è stata forse una forma abbastanza penosa di su e giù e niente differente dagli altri anni? La parola di Dio è restata in qualche maniera inefficace, non abbiamo fatto un passo.

Abbiamo detto che dobbiamo studiare la parola di Dio e particolarmente dobbiamo lasciarci trasportare dalla parola di Dio nella liturgia; abbiamo detto che la nostra preghiera quest’anno dev’essere una preghiera illuminata di ascolto: “io ti ascolto, mio Dio, perché so che la tua parola è luce ai miei passi, dirigi le mie vie secondo la tua parola”.

Andiamo proprio al cuore di questo nostro tracciato, di questo nostro proposito: da Settembre ad adesso, ecco, siamo nel cuore, dobbiamo misurarci bene, vederci bene, interrogarci bene, impegnarci fino in fondo, senza cercare delle altre cose, insistendo unicamente su queste. Salire con Lui, sentire l’entusiasmo di essere con Lui, un entusiasmo profondo, perché essere con Lui è essere col Figlio di Dio, perché essere con Lui è valorizzare al sommo la nostra vita, perché essere con Lui è assolutamente sorpassare le norme di questo povero mondo. Dobbiamo camminare nel mondo, dobbiamo vivere, nel mondo, dobbiamo agire nel mondo come ha agito Cristo, perché siamo le sue membra, perché siamo i suoi fratelli, perché abbiamo la stessa missione, perché dobbiamo accettare la stessa Pasqua. Una stessa Pasqua: non ci sono due pasque, non ci sono due tracciati. Permettete la ripetizione che insistentemente faccio, perché è di questo che ce ne dobbiamo persuadere, è di questo che dobbiamo domandare allo Spirito Santo la forza e l’illuminazione, è di questo: non ci sono due pasque, ce n’è solo una e noi andiamo, saliamo verso questa Pasqua.

E’ evidente allora che noi non possiamo restare allo stato in cui erano allora gli apostoli: “Non compresero nulla di tutto questo”. Non possiamo. Se noi facciamo così tradiamo il Signore come lo hanno tradito loro. Dobbiamo prendere l’ignominia di Cristo nella nostra vita: “L’ignominia di Lui – dice l’apostolo – la portiamo”- Sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e dopo averlo flagellato lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà: consegnargli la vita perché Lui ne faccia una pasqua.

E’ evidente allora che sta qui tutta la nostra risoluzione quaresimale, sta qui tutto il nostro proposito: consegnarci a Lui. E’ inutile dirvi le forme di questa nostra partecipazione, perché ognuno di noi ha le sue lotte interiori, ognuno di noi ha le sue difficoltà interne ed esterne e delle volte dobbiamo partecipare allo scherno che ha avuto Lui dai pagani, dobbiamo come Lui accettare gli sputi, i flagelli, per dare testimonianza di Lui, per vincere in noi tutta la dinamica delle tentazioni, di quelle tentazioni che meditavamo prima nella liturgia.

Allora se ci consegniamo a Lui, Lui vivrà nelle nostre membra mortali, Lui sarà quello che comprende in noi, che fa suo i nostri sentimenti e li innalza, li purifica, li rende efficaci, sarà Lui che parlerà per la nostra bocca e agirà attraverso le nostre azioni; non vi è un’altra scelta, non vi sono due Cristo, ma vi è un solo Cristo che ha agito allora in Gesù e agisce ancora in noi in modo che noi riviviamo la sua vita. “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me”.

E’ in quest’ordine che noi dobbiamo porre con precisione la nostra risoluzione e pregarci su. Voi sapete che nei salmi ci sono i cosiddetti salmi graduali, o ascensionali: sono quelli che cantavano i pellegrini mentre salivano a Gerusalemme. Sono i salmi dal 119 (120 secondo il testo ebraico) al 133.

Sal 119

Nella mia angoscia ho gridato al Signore

ed egli mi ha risposto.

Signore, libera la mia vita

dalle labbra di menzogna,

dalla lingua ingannatrice.

Che ti posso dare, come ripagarti,

lingua ingannatrice?

Frecce acute di un prode,

con carboni di ginepro.

Me infelice: abito straniero in Mosoch,

dimoro fra le tende di Cedar!

Troppo io ho dimorato

con chi detesta la pace.

Io sono per la pace, ma quando ne parlo,

essi vogliono la guerra.

E’ un salmo ascensionale, è il salmo di coloro che abitano in esilio. Noi cristiani siamo pellegrini sulla terra e la Chiesa è tutta pellegrina in cammino verso la patria. E siamo nell’angoscia; dice Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Voi sarete nella tristezza, ma io verrò e la vostra tristezza si cambierà in gioia”. La tristezza di coloro che devono andare verso Gerusalemme, cioè verso la vittoria su se stessi, verso il superamento di se stessi, verso quello che è definita una crocifissione, perché dobbiamo dominare i nostri istinti e inchiodarli alla croce. Siamo in mezzo alla menzogna, “Signore, libera la mia vita dalle labbra di menzogna”, siamo in mezzo a tutta una sequenza di cose che è completamente sbagliata, tutta una mentalità sbagliata, tutta una società combinata male, tutta una serie di imposture, una società che ha perso il senso dell’esistenza, il senso di quel che si deve fare, si chiude in se stessa per cui lavora per produrre e produce per lavorare, con nessun spiraglio.

“Libera la mia vita dalle labbra di menzogna”: che cosa possiamo fare noi, che cosa possiamo realizzare di fronte a questo piovere di frecce infuocate? Cosa dobbiamo fare noi che ci sentiamo stranieri in questo mondo, noi che ci sentiamo in Mosoch, che ci sentiamo in Cedar? Dobbiamo conquistare la nostra vera identità, l’identità di figli di Dio, l’identità di essere con Gesù, l’identità di avere con noi la parola di Dio che salva.

Noi dobbiamo scoprire questa nostra fisionomia: allora sentiamo veramente la funzione che abbiamo, perché, lo ha detto Gesù, “voi siete il sale della terra, ma se il sale non è sapido a che serve? Dev’essere calpestato dagli uomini”. Un cristiano che ha perso la propria identità non serve a nulla né a se’ e né agli altri, né alla propria famiglia, né agli amici, né alla società, non serve. “Voi siete la luce del mondo” e la luce è posta per illuminare.

E’ chiaro allora che il nostro interrogativo è qui: come sono cristiano? Quanto ho realizzato di autentico cristianesimo in me? Un cristiano vero, dicevo, è un Cristo, un altro Cristo: allora, scoperta questa identità, conquistata questa magnifica realtà si può andare nel mondo. Allora c’è sicuramente il nostro compito di redenzione come per Gesù. Noi ci sentiamo una sola cosa con Lui e quindi con Lui la croce, la redenzione, la salvezza nostra e degli altri, con Lui la risurrezione.

“Me infelice”: sì, infelice se non mi realizzo, perché perdo allora il mio significato. E allora sono metà del mondo e metà di Dio, non sono di nessuno e non combino niente: giornate scialbe, giornate monotone, una vita stentata, linfatica, una vita senza senso.

Ecco, la mia conversione sta qui.

Allora vi pregherei di considerare la conversione nelle idee, ma la conversione nei mezzi. Hai deciso di aderire alla parola, alla liturgia, di fare quelle determinate devozioni, hai deciso la direzione spirituale? Falle le cose, non proportele e poi se non le fai restano parola contro di te. Far bene, far tutto bene per essere Lui, per continuare la missione di Lui, in tutta fiducia.

Allora leggiamo volentieri anche il salmo 120: li leggerete tutti i salmi che abbiamo detto come scadenza della quaresima.

Sal 120

Alzo gli occhi verso i monti:

da dove mi verrà l’aiuto?

Ecco la confidenza: la confidenza è prendere consapevolezza di questa idea e si traduce nell’umiltà.

Il mio aiuto viene dal Signore,

che ha fatto cielo e terra.

L’avvilimento non è che una forma d’ipocrisia, d’ipocrisia verso se stessi, di autovittimismo che non serve.

Non lascerà vacillare il tuo piede,

non si addormenterà il tuo custode.

Non si addormenterà, non prenderà sonno,

il custode d’Israele.

Il Signore è il tuo custode,

il Signore è come ombra che ti copre,

e sta alla tua destra.

Di giorno non ti colpirà il sole,

né la luna di notte.

Il Signore ti proteggerà da ogni male,

egli proteggerà la tua vita.

Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri,

da ora e per sempre.

Se uno vuole avere una preghiera di fiducia, questa è una preghiera meravigliosa: lo Spirito Santo l’ha dettata per venire incontro a tutta la nostra debolezza, a tutta la nostra paura, a tutta la nostra desolazione, quando sentiamo d’essere circondati, quando sentiamo che è troppo forte quello che preme in noi e sopra di noi.

Vorrei raccomandarvi questa meditazione dei salmi.

La traccia della meditazione:

La nostra chiamata è una chiamata a una grandezza piena, la nostra identificazione con Cristo. Con Cristo dobbiamo celebrare Pasqua.

L’itinerario quaresimale Cristo lo fa con noi, Cristo ci conduce a Gerusalemme. Egli, il Maestro, vuole far Pasqua con te.

Per far Pasqua con Lui bisogna aver fede in Lui e amarlo. La scelta di Gesù è stata una scelta d’amore: dev’essere una scelta d’amore anche per noi.

Per realizzare questa scelta dobbiamo capire che non ci possiamo accontentare di cose generiche e astratte ma dobbiamo compiere la nostra scelta concreta, al nostra vera scelta.

Noi dobbiamo operare la conversione dei mezzi. Questa conversione dei mezzi ci deve dare entusiasmo e spinta, difendendoci dal mondo, dalle suggestioni del mondo, dalle nostre tentazioni (salmo 119) e si deve operare attraverso la confidenza e l’abbandono (salmo 120).

Vi consiglio i salmi fino al 133: se riuscite a meditarli bene, ma se non riuscite me lo direte e io ve li commenterò.

II MEDITAZIONE

Mc 3, 1-6

Entrò di nuovo nella sinagoga. C’era un uomo che aveva una mano inaridita, e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. Egli disse all’uomo che aveva la mano inaridita: “Mettiti nel mezzo! ”. Poi domandò loro: “È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla? ”. Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell’uomo: “Stendi la mano! ”. La stese e la sua mano fu risanata. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.

Anche per noi spesso è proprio questo problema della mano paralizzata, cioè della nostra impotenza ad agire, impotenza che purtroppo non riusciamo a superare.

Il problema della Quaresima è ancora questo, il problema di farci guarire da Gesù, di ubbidire: “Mettiti nel mezzo”. E’ proprio nel mezzo che non vogliamo andare, vogliamo il nostro angolo per fare i nostri comodi in quell’angolo. “Mettiti nel mezzo”: quando abbiamo il coraggio di prenderci su, di superare tutti gli sguardi attorno di riprovazione, allora avviene il comando, allora avviene la misericordia, allora avviene veramente il prodigio, allora “stendi la mano”. La stese e la sua mano fu risanata.

Quando si parla di penitenza, difficilmente se ne coglie il lato fondamentale che è la liberazione. Non riusciamo a liberarci dal peso delle nostre abitudini, dal peso dei nostri comodi, dal peso dei nostri condizionamenti proprio perché non abbiamo indovinato e saputo riconoscere nella penitenza una grande forza di liberazione. Liberarsi dalla tirannia del proprio corpo, liberarsi dalla tirannia delle proprie abitudini: liberarsi.

La penitenza ci ricorda il valore della libertà, ce lo ricorda con molta forza, perché è tanto difficile per noi averlo davanti e quindi ogni giorno di Quaresima si parla dei digiuni, si parla dei salutari digiuni, si parla di un digiuno che è occasione di redenzione. Certe, è occasione, perché non è in se’ che il nostro digiuno conta: Dio lo prende per liberarci, Dio prende la nostra disponibilità, prende l’umiltà della nostra offerta e lo rende mezzo di santificazione e di riscatto.

Vogliamo dunque in questa Quaresima capire questa forza di liberazione riflettendo.

Il Signore ha preso un corpo, lo ha voluto Lui un corpo, Lui, il figlio di Dio infinito ha voluto un corpo, si è incarnato, perché nell’incarnazione ci fosse la perfetta sua comprensione dell’umana natura. Lui ha voluto avere il “corpo di peccato”, questo corpo che ci conduce al peccato, per insegnarci come il peccato ha distrutto tutto, ma il peccato sconfitto può far sì che il corpo possa essere strumento di riscatto. Fu così per Gesù: diventò strumento di riscatto. E’ il suo corpo straziato sulla croce, il suo corpo innocente, il suo corpo sfigurato, il suo corpo sul quale si è riversata tutta la rabbia degli uomini. Non per niente Lui sottolinea questa posizione del corpo: sarà flagellato, sarà coperto di sputi, sarà inchiodato.

Ecco, il corpo diventa strumento dell’elevazione più grande, il corpo diventa strumento di vita: quello che era stato strumento di morte diventa sicurezza che ci avvia alle vette più sublimi.

E come si tratta il corpo? Come lo si considera? Come lo si valuta? Il corpo tiranno e il corpo servo, il corpo nella superbia della lussurie e il corpo nella umiltà che è consapevolezza. Il nostro corpo: la strada che ci conduce a Dio è proprio il nostro corpo. Questo insieme di muscoli, di ossa, di nervi, questo complesso che Dio ci ha dato deve diventare la scala per andare in alto.

Dobbiamo glorificare il buon Dio perché attraverso la materia noi possiamo andare alle più alte vette dello Spirito. Dobbiamo guardare il corpo di Gesù: è nel corpo di Gesù che troviamo la strada per innalzare la nostra povera fragilità agli alti splendori di una ascesa mistica. Il nostro corpo, quel nostro corpo che possiamo avere avuto come strumento di male, deve diventare strumento di bene. Il nostro corpo deve sbocciare nella misericordia che noi vogliamo conquistare con al penitenza.

Parlo dunque di penitenza prima di tutto fisica: piegare il nostro corpo, da nemico dello spirito renderlo amico, Liberarlo vuol dire renderlo alleato, renderlo sicura strada al successo.

In fondo, è una scoperta recentissima, si capisce come i vecchi avevano ragione: c’entra anche il corpo nella preghiera, anche la posizione del corpo ci serve a pregare. Ma abbiamo avuto bisogno, in questo nostro tempo, del contatto con le religioni orientali, soprattutto col buddismo, per tornare a scoprire il valore del nostro corpo, il valore che ha nell’educazione di noi stessi, cosa che l’ascetica cristiana aveva messo in luce da secoli.

Il nostro corpo noi dobbiamo saperlo educare, guidare, portare avanti. Che non diventi invece, come lo diventa senza dubbio se non ce ne preoccupiamo e se non abbiamo tutta un’azione a questo riguardo, un inciampo, un ritardo, un pesante condizionamento. Noi diventiamo schiavi dei nostri piaceri, schiavi dei nostri istinti, non è più l’anima che comanda, non è più lo Spirito che guida, ma è un sussulto di materia quello che diventa l’idolo.

Abbiamo bisogno d’imparare la penitenza in questo tempo di Quaresima e non dobbiamo vergognarci di insistere, perché è ancora all’inizio della vita spirituale colui che non ha imparato a dominare il proprio corpo, a renderlo vero mezzo di riscatto.

Di conseguenza, la penitenza fisica noi la vedremo così, una necessaria disciplina per costruirci, una forma di allenamento e di guida ogni giorno, una palestra di autogoverno.

Colui che non ha imparato si scandalizza e pensa che basti semplicemente una risoluzione dello spirito, o al massimo che basti una disciplina dello spirito: ma lo spirito è un tutt’uno col corpo e difficilmente riusciremo a fare la penitenza spirituale se non facciamo anche la penitenza fisica, proprio perché troppo attaccati, proprio perché troppo idolatri, proprio perché troppo schiavi della nostra materia.

Portare su, portare su, andare in alto!

Ecco quindi il nostro sforzo che possiamo configurare così: ognuno ha i propri difetti, ognuno ha le proprie inclinazioni, ognuno dunque deve svolgere il suo piano di penitenza. Una penitenza dev’essere personalizzata, cioè dev’essere finalizzata alla mia persona, ai miei impegni, alle mie prospettive, dev’essere finalizzata ma dev’essere sempre vista come una grande forza senza la quale difficilmente raggiungo gli obiettivi, difficilmente e a stento raggiungo anche le mete più elementari. La penitenza invece abbrevia il cammino, la penitenza invece ci prepara alla preghiera.

La nostra preghiera, lo sappiamo bene, richiede una disposizione dell’anima, una disposizione molto costante: non si impara a pregare che in uno sforzo ascetico. In fondo quando uno è grossolano e materiale non può esprimere una grande preghiera: man mano che uno si purifica, man mano che uno si innalza (la preghiera è detta l’elevazione della mente in Dio), cioè abbandona le tirannie, più uno impara ad aprirsi sotto l’azione della grazia. Pregare è aprirsi, pregare è un partecipare, è un vivere sempre più intensamente nella fede e nell’amore. Ma che cos’è che si vive? Si vive un rapporto, il rapporto che si è iniziato col Battesimo. Il Battesimo ha stabilito tra noi e le Persone della Santissima trinità, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, un legame, una comunione, un rapporto, per cui pregare è nient’altro che un riattualizzare le meraviglie che il Signore ha compiuto per noi nella storia della salvezza.

Ora, questo aprirsi è impedito dalla nostra idolatria, dal nostro piegarci sempre a tutte le forme di istinto, è un chiuderci perché la sensualità, l’orgoglio della carne e l’orgoglio dello spirito ci impediscono questa soavità di rapporto.

Un grande scrittore cristiano dei primi secoli, Tertulliano, diceva che quando siamo battezzati noi siamo immersi (battezzare vuol dire immergerci) nel nome delle singole persone, cioè battezzare nel nome vuol dire istituire un rapporto intimo con la Trinità che noi dobbiamo rinnovare, approfondire, far progredire continuamente. In fondo la vita del cristiano è un proseguire in questo far crescere, sicché se poniamo le parole che usavamo, cioè l’esempio del seme, ecco il seme sboccia, il seme si fa pianta, la pianta cresce fino ai fiori e fino ai frutti: qui è la preghiera, è questo sbocciare. Dicevamo agli Esercizi Spirituali che la preghiera è questo ascolto della parola, è questo dire di sì alla parola, è questo aprirci e crescere: questo è pregare. Ma la preghiera è maturata, è proseguita, è intesa profondamente solo se c’è la forma di penitenza.

Parlavo della collaborazione del corpo e dell’educazione del corpo e dello spirito: ecco questa forma di penitenza per cui capite che non c’è nulla di esagerato e di bigotto nel parlare di penitenza anche fisica, nel parlare di penitenza necessaria, ma è piuttosto lasciare finalmente a Dio il suo posto nella nostra vita, è finalmente lasciare a Dio quello che è di Dio, è poter crescere quando tutto ci impedirebbe di crescere, quando tutto ci porterebbe fuori da noi stessi.

In fondo abbiamo bisogno, attraverso la penitenza, di arrivare a vivere in profondità la nostra vocazione di battezzati, la nostra vocazione di preghiera.

Un grande scrittore moderno, parlando della povertà e della preghiera nel nostro tempo, ne dava alcune cause: diceva che si fugge dalla preghiera perché ci si rifugia nell’azione, si fugge dalla preghiera perché si compie la fuga dalla liturgia, si fugge dalla preghiera perché ci si rifugia nel sociologismo. Cosa vuol dire? Vuol dire che molto spesso ci si esenta dal pregare perché si deve fare, si deve sempre fare, perché siamo degli agitati, dormiamo agitandoci (la nostra è una forma di sonno). Ci si esonera dal pregare prendendo come pretesto la liturgia, quando invece della liturgia si coglie solo una forma esteriore, un’impalcatura, non penetrando nella liturgia che è la più bella delle preghiere, Ma quando si dice: “Vuoi penetrare nella liturgia?” le due strade sono queste: la penitenza e la tua preghiera personale, ti fanno vincere il tuo egoismo e ti introducono nell’assemblea dei santi, ti introducono nello spirito della Chiesa, ti fanno sentire che cosa vuol dire Chiesa.

Ecco la Quaresima, allora, che è educazione alla vera liturgia e non alla liturgia formalizzata, esteriorizzata, che invece di educarti alla preghiera ti educa al formalismo. Ecco la vera liturgia che è comunicazione profonda nella Chiesa e con la Chiesa insieme a Gesù Cristo nella vita della Trinità.

Poi la fuga dalla preghiera prendendo a motivo l’essere insieme, il fare per la società, l’agitarci per gli altri: sono i pretesti, perché la vera carità verso gli altri può essere sì preghiera, ma la vera carità, la carità nutrita di preghiera, ma la carità sostanziata di soprannaturale e non un’alternativa tra preghiera e carità, ma una preghiera che si fa carità e una carità che si fa preghiera.

Sicché, in questo tempo di Quaresima la nostra penitenza, il nostro deserto, ci deve educare profondamente a quel dominio di noi stessi, a quel superamento di noi stessi, a quella volontà precisa che dobbiamo quotidianamente rafforzare nella grazia di Dio.

Ed allora viene il punto di vera revisione: a che punto sto, a che punto, a che livello, a che situazione sono arrivato con la penitenza, la penitenza come autoeducazione, la penitenza come strada alla preghiera.

Soprattutto dobbiamo vedere questo in due punti: trovare gli spazi per la preghiera e negli spazi darci totalmente alla preghiera. Il nostro spirito di mortificazione ci deve far rinunciare, ordinare, guidare i nostri spazi, perché ci sia quello spazio e ci sia ampio, distensivo. Quando impegniamo quello spazio di preghiera, dobbiamo consegnarci tutti, dobbiamo donarci tutti, tutti.

Il problema delle distrazioni nella preghiera (cioè hai dato uno spazio alla preghiera e tre quarti te lo prende via la distrazione, hai donato un’ora alla preghiera e cinquanta minuti sono per altri pensieri) è un problema grave che noi dobbiamo prendere in seria considerazione durante questa quaresima.

Le distrazioni vengono o da noi stessi (sono le più), dalle nostre fantasticherie, dalla poca disciplina che abbiamo, dalla poca educazione del corpo. Pregare yoga è pregare educando perfino il respiro, l’Oriente ci dice così. Noi dobbiamo vedere da dove vengono le nostre distrazioni e come possiamo sciogliere questa schiavitù. Il discorso della penitenza fisica e spirituale è ben chiaro.

Le distrazioni possono venire dal mondo attorno a noi, dal non saper fare dei rapporti col mondo senza lasciarci qualche cosa. Il mondo appena è contattato da noi ci contamina perché siamo degli esseri indifesi: siamo come un organismo privo di difesa che è sempre preda di tutti i germi che in qualche maniera vengono a contatto. Non sappiamo allora relazionarci e restare immuni: abbiamo bisogno di vaccino. Educazione alla relazione per cui contatto col mondo, contatto con le cose, contatto per dovere, contatto perché necessariamente c’è da entrare in un ambiente, però resto dentro di me padrone, resto dentro di me immune da contaminazioni. Quando vado a pregare il mondo lo lascio fuori.

Ma il Vangelo di oggi ci dice che le distrazioni possono assumere anche l’aspetto di tentazione, cioè le distrazioni possono venire anche dal maligno. Le tentazioni Gesù le ha avute mentre pregava nel deserto, non aveva chi poteva influenzarlo ed è arrivato satana, il tentatore. Le distrazioni possono venire anche da lui e possono venire da lui i tentativi per guastarci alla preghiera, perché la preghiera è educazione nostra all’amore e il demonio non vuole che ci educhiamo all’amore, non vuole che ci apriamo alle relazioni più profonde con la santissima Trinità, non vuole che ascoltiamo la parola di Dio o la vuole contrabbandare.

Di qui lo sforzo per porci in una ricerca di Dio molto intensa: cerco te, Signore. Si respinge la tentazione con l’intenzione aperta e sincera della gloria di Dio e dell’amore di Dio.

Vorrei che su tutto questo ci interrogassimo per arrivare a un progresso, un vero progresso, quel progresso che dobbiamo soprattutto ricercare nell’ordine delle nostre relazioni trinitarie. E allora meditiamo sulla penitenza, meditiamo sulla preghiera.

Prima ricordavo i salmi ascensionali, ora ricordo i sette salmi penitenziali: 6, 31, 37, 50, 107, 123, 142

Sal 6

Pietà di me, Signore: vengo meno;

risanami, Signore: tremano le mie ossa.

L’anima mia è tutta sconvolta,

ma tu, Signore, fino a quando. . . ?

Il senso del peccato che molti uomini hanno perduto e che dobbiamo riacquistare nella Quaresima. Progredire in questo, sentire come il peccato è sostanzialmente sconvolgimento, amarezza, distrazione.

Volgiti, Signore, a liberarmi,

salvami per la tua misericordia.

Nessuno tra i morti ti ricorda.

Chi negli inferi canta le tue lodi?

Sono stremato dai lungi lamenti,

ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio,

irroro di lacrime il mio letto.

Dovrebbe essere la condizione di chi ha veramente il senso di quello che ha fatto. Noi siamo superficiali e non bagniamo sicuramente il letto con le nostre lacrime.

I miei occhi si consumano nel dolore,

invecchio fra tanti miei oppressori.

Sicuramente i nostri occhi sono ben chiari e ben limpidi. Siamo superficiali: dovremmo avere molto desiderio di sentire così, perché allora incontriamo la misericordia. Noi commettiamo dei grandi peccati e poi un atto di dolore, un assoluzione, un atto di dolore eventualmente detto in fretta e poi andiamo a fare la Comunione credendo di avere tutti i diritti di accedere al Santo dei santi.

Via da me voi tutti che fate il male,

il Signore ascolta la voce del mio pianto.

Il Signore ascolta la mia supplica,

il Signore accoglie la mia preghiera.

Arrossiscano e tremino i miei nemici,

confusi, indietreggino all’istante.

I nostri nemici sono le nostre passioni, i nostri comodi: noi non ce ne liberiamo perché non entriamo in questo spirito, perché la nostra preghiera resta povera, tremendamente povera, disgraziatamente povera.

Nel salmo 31 è svolto invece l’aspetto del recupero attraverso la penitenza e la preghiera.

In te, Signore, mi sono rifugiato,

mai sarò deluso;

per la tua giustizia salvami.

Porgi a me l’orecchio,

vieni presto a liberarmi.

Sii per me la rupe che mi accoglie,

la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo,

per il tuo nome dirigi i miei passi.

Scioglimi dal laccio che mi hanno teso,

perché sei tu la mia difesa.

Mi affido alle tue mani;

tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Tu detesti chi serve idoli falsi,

ma io ho fede nel Signore.

Esulterò di gioia per la tua grazia,

perché hai guardato alla mia miseria,

hai conosciuto le mie angosce;

non mi hai consegnato nelle mani del nemico,

hai guidato al largo i miei passi.

Abbi pietà di me, Signore, sono nell’affanno;

per il pianto si struggono i miei occhi,

la mia anima e le mie viscere.

Si consuma nel dolore la mia vita,

i miei anni passano nel gemito;

inaridisce per la pena il mio vigore,

si dissolvono tutte le mie ossa.

Sono l’obbrobrio dei miei nemici,

il disgusto dei miei vicini,

l’orrore dei miei conoscenti;

chi mi vede per strada mi sfugge.

Sono caduto in oblio come un morto,

sono divenuto un rifiuto.

Se odo la calunnia di molti, il terrore mi circonda;

quando insieme contro di me congiurano,

tramano di togliermi la vita.

Ma io confido in te, Signore;

dico: “Tu sei il mio Dio,

nelle tue mani sono i miei giorni”.

Liberami dalla mano dei miei nemici,

dalla stretta dei miei persecutori:

fà splendere il tuo volto sul tuo servo,

salvami per la tua misericordia.

Signore, ch’io non resti confuso, perché ti ho invocato;

siano confusi gli empi, tacciano negli inferi.

Fà tacere le labbra di menzogna,

che dicono insolenze contro il giusto

con orgoglio e disprezzo.

Quanto è grande la tua bontà, Signore!

La riservi per coloro che ti temono,

ne ricolmi chi in te si rifugia

davanti agli occhi di tutti.

Tu li nascondi al riparo del tuo volto,

lontano dagli intrighi degli uomini;

li metti al sicuro nella tua tenda,

lontano dalla rissa delle lingue.

Benedetto il Signore,

che ha fatto per me meraviglie di grazia

in una fortezza inaccessibile.

Io dicevo nel mio sgomento:

“Sono escluso dalla tua presenza”.

Tu invece hai ascoltato la voce della mia preghiera

quando a te gridavo aiuto.

Amate il Signore, voi tutti suoi santi;

il Signore protegge i suoi fedeli

e ripaga oltre misura l’orgoglioso.

Siate forti, riprendete coraggio,

o voi tutti che sperate nel Signore.

III MEDITAZIONE

Ef 4, 17-32

Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente, accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro, e per la durezza del loro cuore. Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile.

Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo, se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, per la quale dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri. Nell’ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità. Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione.

Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

La conclusione del ritiro mi pare che debba essere vista in queste parole: deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, cioè per l’uomo vecchio si intende l’uomo che si corrompe dietro le passioni, e invece rivestirci dell’uomo nuovo che è Cristo.

Rivestirci di Cristo. Già vi dicevo questa mattina che la nostra conversione è nell’ordine delle mete da proporsi, ma è ancora nei mezzi da attuare. Una preghiera vera è una preghiera sofferta, è una preghiera conquistata, un impegno che prenda tutto noi stessi.

Perciò il programma di preghiera della vostra Quaresima sia e rappresenti uno sforzo ascetico, la vostra preghiera personale e la nostra preghiera liturgica. Imperniate tutta la spiritualità attorno alla Messa e entrate nella parola di Dio per entrare nel mistero di Cristo, mistero di Cristo che è crocifisso ancora davanti ai vostri occhi. Impegnatevi perché non ci sia una durezza di cuore, come dice l’apostolo, una durezza di cuore che vi renda insensibili ai movimenti potenti della grazia. La parola di Dio vi occupi in pieno.

CODICE 78BBR093
LUOGO E DATA 12/02/1978
OCCASIONE Ritiro spirituale quaresima
DESTINATARIO Gruppo giovani
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Convertirsi per difendersi dal mondo / La penitenza educa alla preghiera / Il programma
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