19/12/1982 - Ritiro di Avvento Adulti

19/12/1982
Ritiro spirituale avvento

I MEDITAZIONE

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l’insegnamento, all’insegnamento; chi l’esortazione, all’esortazione. Chi dá, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia.

La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità” (Rm 12, 1-13).

Qual è la nostra situazione spirituale?

Perché è giusta l’osservazione dell’apostolo: c’è il pericolo di sopravvalutarci più di quanto è conveniente valutarci. Ci dobbiamo vedere in Lui, perché la grazia del Natale è grazia, per definizione, di nascita, richiede un animo teso, ardente al meglio.

Il nostro sopravvalutarci molte volte è un accontentarci: ci accontentiamo di quello che siamo, del nostro tirare avanti in qualche maniera, con dei propositi talvolta stonati, con dei propositi, almeno in parte, inefficaci, con una miseria di vita che ci dovrebbe disgustare e invece, purtroppo, non ci disgusta; ci accontentiamo e ci diamo, come uno scolaro pigro e sprovveduto, un voto migliore di quello che ci dovremmo dare.

Abbiamo bisogno di sentire che il nostro vero stato non può essere questo che abbiamo descritto, ma dev’essere uno stato di molto fervore. Parlo di fervore, cioè intendo quello stato di attivismo della vita spirituale. Non quindi quel sentimento che ci può prendere qualche volta e ci fa gustare certi momenti particolari di sensibilità, ma parlo di uno stato permanente di fervore, cioè di un’attività sempre in movimento ascensionale e forte.

Il fervore è allora tanto diverso da stati che definiamo nocivi, come per esempio lo stato di passività, l’anima è praticamente senza iniziativa, lo stato di rassegnazione, cioè mi rassegno da essere come sono, stati di falsa tranquillità, il pensare che vado bene, che ci sono ben altri che vanno peggio, il pensare d’aver raggiunto un certo livello spirituale perché non commetto peccati particolarmente degni di nota.

Dobbiamo esaminarci perché la strada che ci ha indicato il Signore è unicamente la strada di questo fervore permanente, di questa generosità.

Se esaminiamo il testo, troviamo che S. Paolo esorta in nome della misericordia di Dio a uno stato di offerta. Ecco, vorrei che capissimo bene come il primo passo verso il fervore è un’offerta, una disposizione d’offerta, un dono.

Troppo spesso la nostra pigrizia nasce da una troppo gelosa proprietà di noi stessi. Abbiamo paura di perdere qualche cosa, abbiamo paura di dare a nostro Signore esageratamente, abbiamo paura che il Signore voglia fare troppo da padrone e che a noi non resti quello che amiamo che resti. Perché immaginiamo che Dio voglia avere in maniera (non possiamo dire sbagliata) invadente e noi restiamo nella povertà e certe gioie, e certe rivalse, e certi comodi, li abbiamo proprio come un attaccamento tenace.

Dice l’Apostolo:

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio.”

Lo stato di offerta perché il Signore possa avete tutto da noi, senza calcoli, senza neanche fare l’inventario. Consegnare noi stessi a Dio. Sappiamo quanto questo entra nella spiritualità del Natale, perché il Natale è dono totale.

Dio ci ha dato il suo Figlio e suo Figlio ha acconsentito e si è messo tutto, si è consacrato tutto senza tenere nulla. Betlemme inizia questo dono all’umanità che sarà di sempre. Gesù pensa per noi, Gesù piange per noi, Gesù soffre per noi, ci dà il suo corpo, la sua vita, ci donerà tutto il suo sangue. E dopo la vita terrena continua il dono nell’Eucarestia.

Al suo dono la risposta è unica, il tuo dono: il dono delle tua mente, della tua volontà, delle tue energie, del tuo tempo. Il dono. Non pensare che questo dono tu lo faccia già se sei pigro, se sei svogliato, se dai al Signore col contagocce. Il Signore ti domanda il vero tuo dono.

Dice Paolo “come sacrificio vivente” e il termine sacrificio ha un peso ben specifico: l’olocausto, la vittima immolata sull’altare. E’ un’immolazione che dà la morte, è un sacrificio che vive.

S. Paolo osserva che nella sopravvalutazione c’è proprio alla radice questa paura dell’esproprio: tu temi di essere espropriato da Dio e tieni una mentalità che non è conforme a Cristo, tieni dei gusti che Cristo non potrebbe approvare, hai uno strascicarti in forme mediocri che al Signore non possono piacere. Tu ti illudi, dici che va bene così, ma purtroppo tu gelosamente nascondi qualcosa al quale dai una ragione e fai del tuo tenore di vita umano dicendo che è necessità, fai di un divertimento il necessario relax, fai tante altre cose che non hai preso da Cristo, che non hai mutuato dal suo cuore e che prendi dal mondo, cose che in fondo vuoi conciliare con Lui. Voi dire che si può essere cristiani senza essere esagerati, che necessariamente un cristiano non può cadere in certe forme che gli altri definiscono fanatismo.

Invece le esigenze di Dio lo sappiamo quanto sono assolute: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo.”

E’ proprio qui la seconda cosa cui volevo accennare: abbiamo detto offerta e ora diciamo di non conformarci.

Non conformarci, cioè lo stile di Gesù, il cammino di Gesù è tutto diverso. Lo ricordiamo bene: “Chi ama la sua anima la perderà e chi perde la sua anima la guadagnerà.”

Noi dobbiamo allora conformarci a Cristo. Perché noi lo invochiamo dicendo “vieni, Signore, salvaci”? Perché Gesù Cristo non è uno da mettere là e accontentarsi di qualche ossequio: Gesù Cristo va preso, messo nella nostra vita, va posto come principio di un’altra vita. “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me.” Lo sforzo di santità è proprio questo: perdere se stessi, quella che è la nostra miseria umana e ricevere Lui e vivere di Lui.

E’ questo che a noi costa, ma è questo il principio della gioia vera, della pace vera: questa è la conquista del Natale.

E’ Gesù Cristo che deve crescere in noi, per cui dobbiamo desiderare che Cristo venga a noi comunicandoci il suo Spirito, facendoci partecipi delle sue virtù, facendoci così conformi a Lui che la nostra preghiera sia una partecipazione alla sua per cui pregando noi preghiamo con le labbra di Cristo, per cui amando noi amiamo col cuore di Cristo, per cui esercitando delle virtù noi non pensiamo alle virtù umane e all’equilibrio dei pagani ma vogliamo rivivere in noi stessi le esperienze e i gusti di Gesù.

E’ questa trasformazione cui accenna l’Apostolo: “Trasformatevi rinnovando la vostra mente.”

Allora essere cristiani è trasformarsi. Questo processo di trasformazione segna il progresso di un’anima. La mente che si rinnova, la mente che cambia e questo come un lavoro di sempre: lo diciamo all’adolescente e a chi è arrivato alla maturità della vita, o addirittura verso il tramonto della vita.

Rinnovatevi, rinnovate la vita, trasformatevi in Cristo, perché l’eternità è Cristo tutto in tutti perché ci sia una sola realtà: il Cristo, il Cristo reale, il Cristo mistico, il Cristo totale.

Rinnovare la mente, dice ancora, “per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto.”

Dunque fare la volontà di Dio, farla in maniera totale. L’Apostolo porta tra aggettivi: cioè che è buono, ciò che è gradito a Lui e ciò che è perfetto. Eliminiamo perciò dalla nostra vita tutto ciò che non è buono, tutto ciò che non è gradito tendendo sempre di più a ciò che è perfetto.

L’anima allora in questo Natale cercherà di attirare in se’ le virtù di Gesù, di attirarle in se’ con le disposizioni migliori: la disposizione fondamentale dell’umiltà, la disposizione del desiderio forte e insaziato. “Signore vieni, perché la nostra umanità non trova nessun punto d’appoggio fuori di te: vieni Signore, insegnaci la via di una perfezione ben chiaramente delineata nello studio della vita di Gesù”.

Allora capiamo la legge della perfezione: io mi offro, io mi conformo, io cresco allora nel vero amore di Dio. Altrimenti passano i mesi, passano gli anni, ma noi non diventiamo migliori: siamo pressappoco sempre così, pressappoco con qualche punta in basso o qualche punta in alto, ma pressappoco siamo sempre così. E passa il Natale, passa la Pasqua, passa un anno liturgico e il Signore semina in noi i prodigi di una misericordia che non si stanca, ma noi siamo sempre così.

Bisogna che realizziamo questo fervore permanente, questa tensione continua verso quello che è bello, quello che è gradito e perfetto.

Si capisce poi ancora quello che dice l’Apostolo: ognuno ha la sua strada, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato, perché il Signore vuole da ogni anima una determinata perfezione, ma perfezione, perché nella Chiesa di Dio, continuerà l’Apostolo, ognuno ha il suo posto e la sua missione.

Non ci paragoneremo in questo, ma vorremo adempiere la volontà di Dio con coraggio, con umile perseveranza, con la sicurezza che Dio quello che ha cominciato in noi non lo interrompe, quello che ha cominciato, che ha dovuto cominciare tante volte, perché noi troppo spesso abbiamo rotto, abbiamo sottovalutato, abbiamo forse buttato via.

Il nostro esame di coscienza sarà allora nelle sue tracce molte evidente: vedrete in che stato è l’anima vostra, se di fervore o meno. Vedremo di dare un giusto giudizio su di noi, giusto, prescindendo dalle nostre categorie e prendendo la misura della parola di Dio. Poi vedremo le cause e vedremo se nelle cause c’è una mancanza d’offerta, oppure c’è una mancanza d’entusiasmo ad essere come il Signore. E i nostri punti fallosi li vorremo così correggere per renderci pronti alla grazia del Natale, che, come dicevamo, è grazia di dono. Il Signore viene a noi, ci vuole dare il suo Spirito, ci vuol dare la partecipazione alle sue virtù: spetta a noi essere così intelligenti, così onesti, così risoluti da non perderne neanche una briciola, perché Lui vuole che noi raccogliamo anche le briciole.

In questa idea maturiamo una grande, vera atmosfera di spiritualità per vivere intensamente il Natale.

II MEDITAZIONE

Il Natale di Gesù ci porta, se crediamo in Lui, a nascere pure noi di nuovo. Nascere di nuovo.

Dobbiamo fermarci molto su questa parola nella nostra riflessione, perché in troppe nostre giornate si verifica il contrario: non nasciamo, nasciamo da mille cose e da mille fonti che non piacciono a Lui.

Noi abbiamo bisogno di attuare una grande fede, una fede che ci dia la vittoria, la vittoria piena. Noi abbiamo bisogno di capire che la fede non è una cosa che poniamo una volta e poi basta, e poi ci esercitiamo in tutt’altra cosa.

Il problema nostro, in fondo, è quello di realizzare una vera e autentica preghiera.

Troppe volte, se vogliamo essere sinceri, dobbiamo dire: noi non sappiamo pregare, noi non sappiamo cioè affidare la nostra fede perché sia vero ascolto e vera risposta.

Il fervore di cui parlavamo questa mattina si concretizza, si articola, si dispiega attraverso la preghiera, perché la preghiera è incontro e ci permette continuamente si nascere da Dio, di amarlo e di corrispondere alla sua volontà. Perché una preghiera vera, forte, autentica è la strada unica per realizzare il nostro servizio, il nostro servizio di amore, la nostra donazione, perché la preghiera autentica dà più gloria a Dio di tante, tantissime altre cose che giudichiamo importanti.

Bisogna saper pregare, bisogna saper allora prima di tutto impostare bene la nostra vita di fede, che è sostanzialmente una vita d’abbandono a Dio. Sottolineo la parola abbandono. E’ una parola che vuol dire molte cose: vuol dire una confidenza totale, un’ammirazione piena, un bisogno di abbandonarsi all’amore di Dio e di vivere di questo amore.

Lo sappiamo bene: troppo confidiamo in noi stessi, troppo contiamo sulla nostra intelligenza, sulla nostra volontà, sul nostro saper fare, saper calcolare, saper prevedere. La nostra vita diventa così un esercizio della nostra acrobazia che è tanto più pericolosa quanto più spericolata. Vorremmo fondare la vita di fede su cose umane, che le cose divine vengano a posarsi su cose umane.

Quando parliamo di confidenza, diciamo che la fede ha raggiunto il suo obiettivo, cioè un porci totalmente in Dio nella speranza che ci ha manifestato la sua parola, una confidenza che vuol dire una decisa e forte proiezione di tutto il nostro essere. Tutto dev’essere visto in Dio, sentito in Dio, respirato in Dio.

Questo è base di preghiera. Questa mattina nella liturgia c’era il brano della visitazione e la visitazione è proprio l’insegnamento che ci dà la Madonna in questa sorta di confidenza oltre ogni aspettativa umana. “Dio mi ha guardato” dice la Madonna, ha guardato me, povera creatura, misera creatura e mi ha adoperato per le sue grandi cose; il suo braccio potente ha fatto tutto e nella sua misericordia completerà questa opera di salvezza disperdendo i superbi, rovesciando i potenti, ricolmando di beni gli affamati e rimandando a mani vuote i ricchi.

La confidenza permette all’anima l’entrata di Dio fino in fondo, vedendo con chiarezza che tutto è da Lui, che tutto è per Lui.

Quando un’anima è piena di se stessa non c’è posto per la vera preghiera, la preghiera allora rischia di diventare una formalità esteriore, una formalità che non può certamente piacere a Dio che scruta il cuore.

Confidenza allora che è senso della realtà, che è verità umiltà. Confidare nel Signore, sentire che non ci può essere nulla di più costruttivo che abbandonarsi a Lui.

Per cui allora l’anima passa all’ammirazione: la preghiera contemplazione è preghiera che si inabissa in Dio, che trova la gioia in Dio, che trova il gusto nel guardare (…)

Ammirazione che dice quanto il Signore è buono e quanto è potente e quanto è misericordioso, perché non si è fermato di fronte ai peccati dell’umanità, non si ferma davanti ai miei peccati, ai peccati della mia anima, alle mie ipocrisie, alle mie tergiversazioni, non si ferma di fronte alle mie ripetute stanchezze o tradimenti. Ammirare. L’anima s’inebria, sente che non ci può essere nulla di più bello e di più grande di questa contemplazione e volentieri si abbandona alla contemplazione. Lascia perciò tutti quegli interessi che sembrano prevalere e che in realtà prevalgono se un’anima non è energica e forte.

Tempo di preghiera tempo di gioia, tempo di preghiera tempo di attività, tempo di preghiera tempo di misericordia, tempo di preghiera tempo di salvezza. Per cui l’anima vede il suo Dio in un’azione perenne. Dio ama e Dio agisce.

Di qui il bisogno di contraccambiare al suo amore.

Il tempo della preghiera è un tempo privilegiato di amore. L’anima sente questa vicinanza, avverte questa azione di Dio, questa attrattiva che Dio esercita su di lei e l’anima allora ama e si abbandona, l’anima si riempie di una tale ondata di divino che volentieri lascia tutte le sciocchezze e sa tesorizzare il suo tempo.

Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede. E’ la vittoria nella fede, per cui vinciamo tutto il mondo che ci attornia e che invade l’anima nostra e ci decidiamo a fare una vera preghiera.

L’interrogativo che ci dobbiamo porre in questo tempo di Natale in cui il Signore viene a noi è proprio se noi lo sappiamo accogliere con questa dilatazione della nostra anima, con questa espansione del nostro cuore.

Lo sappiamo bene: alle volte la nostra preghiera manca di un elemento, per esempio manca di confidenza, alle volte manca di ammirazione, alle volte manca di amore, alle volte purtroppo manca di tutto e la preghiera è così povera e miserabile che non si può neppure chiamare preghiera, frastornata da mille distrazioni, posta come a liberarsi da un peso.

Un proposito molto forte si presenta a noi: bisogna imparare a pregare, bisogna migliorare la nostra preghiera, bisogna terminare, con una decisione fortissima, un’eventuale tempo di una preghiera vuota, distratta, superficiale, intermittente, una preghiera posta così come un’elemosina al buon Dio, un’elemosina più o meno interessata, un’elemosina che non oseremmo neanche dare a una creatura umana. Troppa preghiera è da buttare via, troppa preghiera è da assomigliare a una spazzatura, troppa preghiera dove lasciamo che altro occupi i nostri tempi dati al Signore.

Bisogna allora mettersi coraggiosi e riformare, se ne abbiamo bisogno, tutta la nostra preghiera, tutta.

E come faremo la nostra riforma? Cominceremo proprio da un vivacizzare la nostra fede. Cosa ci dice la fede? La fede ci dice: il Signore ci ascolta, il Signore ci ammette al dialogo con Lui. Dice la Scrittura: “Abbiamo accesso al Padre per mezzo di Gesù.” Dunque la fede ci dice: la tua preghiera, se fatta con sforzo, se fatta con amore, è raccolta da Gesù, è fatta sua ed è presentata al Padre. Fatti figli di Dio abbiamo una voce che penetra i cieli, perché è Gesù, il nostro fratello maggiore, che ci porta fin nel seno della Trinità. Diciamo nella consuetudine: mettersi alla presenza di Dio. Vuol dire proprio questo atto di fede per cui siamo introdotti e l’Infinito ci ascolta, ci ascolta e ci parla, ci parla e la sua parola è vita, e la sua parola crea, e la sua parola dà a noi la speranza. Egli ci parla. E la nostra povera risposta trova un eco grande nel suo Figlio.

Preghiamo male, molte volte, perché non ci mettiamo in questo spirito di fede. E’ da suggerire prima di entrare nella preghiera un breve spazio di silenzio in cui noi cerchiamo questa fede, in cui noi accendiamo la nostra fede, perché la preghiera vale se veramente siamo così, se è la ricerca nell’amore di Dio.

Seconda cosa per migliorare la nostra preghiera: dobbiamo averne sempre più stima, sapendo che essere ammessi, avere accesso al Padre è una grandissima cosa, è un grandissimo dono, è qualcosa che supera ogni altra dignità. Stimare molto la preghiera vuol dire scegliere bene i tempi di preghiera, vuol dire eliminare tutto quello che in qualche maniera la può ostacolare e porci così a totale disposizione.

Ed è questa maniera che noi eliminiamo le nostre distrazioni impertinenti e che rovinano tanto nostro tempo. Noi ci rassegniamo troppo ad essere distratti, ci rassegniamo troppo ad avere due minuti quando diciamo il rosario, ci rassegniamo troppo e allora la mediocrità della nostra preghiera diventa cronica e non ne usciamo più .

Dobbiamo stimare la preghiera, cioè dobbiamo credere davvero che se abbiamo accesso al Padre abbiamo anche l’aiuto di Dio per vincere le nostre distrazioni, le nostre stanchezze, le cose che vogliono entrare in noi, dialogare con noi e toglierci il dialogo con Dio.

Noi non ci dobbiamo rassegnare alle distrazioni e dobbiamo con sforzo curare il nostro raccoglimento e immergerci in quella che è l’ammirazione di Dio, perché il Signore si fa conoscere a noi e la miglior parte della nostra preghiera dev’essere in questa conoscenza ammirata, in questa contemplazione del Signore.

Noi dobbiamo riconoscere che troppe volte le nostre debolezze ci hanno impedito di accumulare dei tesori di meriti per noi e per gli altri. Ci deve spingere allora l’idea che se Dio ci svela le sue meraviglie è per darcele. Dio non si fa vede a noi nella fede per poi respingerci. Come quando lo vedremo nella gloria in Paradiso Dio si farà vedere per essere la nostra eterna beatitudine, così sulla terra si fa vedere nella fede per dare se stesso al mondo: di qui nasce l’amore, che è un trasporto di tutta la nostra anima verso di Lui, che è una corrispondenza tra il suo amore e il nostro piccolo amore, piccolo amore che però non si dà pace e non si rassegna a stare così, ma vuole sempre crescere.

Allora la preghiera diventa un esercizio di amore, diventa un esercizio che fa crescere l’amore e appaga e sazia l’anima nostra.

Noi in questo tempo di Natale siamo invitati all’adorazione: “Venite, adoriamo.” Andare a Betlemme e stare davanti al presepe è rimanere davanti all’Eucarestia, perenne presepio, in un atteggiamento di vera comprensione: Gesù ci farà capire il perché della sua presenza, il perché della sua povertà, il perché della sua umiltà, soprattutto il perché Lui ci cerca così e ci cerca anche quando noi fuggiamo.

Bisogna che noi scuotiamo la nostra indifferenza, la nostra pigrizia (ricordiamo sempre che è un vizio capitale la pigrizia), che scuotiamo quello che ci è d’impedimento per entrare proprio, ed entrarci in pienezza, nel “venite adoriamo”.

La crescita della nostra vita spirituale dipende dalla crescita della nostra preghiera: riformare la preghiera è riformare la vita. Quante volte abbiamo detto questo.

Rivediamo la nostra preghiera davanti all’Eucarestia. Bisogna che noi rompiamo quelle facili evasioni, quei facili pretesti per cui ci accontentiamo di una brutta preghiera, per cui da anni facciamo una brutta preghiera, per cui da anni stiamo lì in una preghiera bambinesca, una preghiera che non vale, una preghiera che il Signore indubbiamente non ascolta.

Riformare la preghiera vuol dire allora fidarsi, abbandonarsi a Lui.

E’ questo che vogliamo proprio ripetere con la fiducia:

“Questa è la fiducia che abbiamo in lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci ascolta. E se sappiamo che ci ascolta in quello che gli chiediamo, sappiamo di avere già quello che gli abbiamo chiesto.” (1 Gv 5, 14-15)

Voglia il Signore darci questa grazia di diventare anime di vera e profonda preghiera.

III MEDITAZIONE

(…) fosse configurato così: entrare nel dinamismo della carità, perché è la maturazione della fede, la fede con le opere. Entrare in questo dinamismo di carità per cui finalmente diventiamo buoni, finalmente vinciamo le nostre impazienze, finalmente rinunciamo alle nostre pretese, finalmente ci circondiamo di quella dolcezza per cui il Signore ha detto: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore.”

Ecco, noi abbiamo bisogno di accompagnare e la nostra vita di fervore e la nostra preghiera da questo esercizio umile e continuo di carità, da questo esercizio per cui sempre e con costanza diamo al Signore il nostro vero tributo, il nostro vero slancio.

Nel Natale abbiamo questo amore senza fine, l’amore di Gesù nostro Signore, abbiamo l’amore di donazione della Madonna, abbiamo la presenza di servizio di S. Giuseppe: abbiamo allora il prodigio, la manifestazione prodigiosa della carità. Il presepio è la fornace della carità.

Durante il tempo di Natale dobbiamo impegnarci per questa carità che trasforma le nostre giornate da povere e scialbe in quello che l’Apocalisse chiama “l’oro purificato nel fuoco.”

Quanto dobbiamo essere buoni con gli altri quando Dio è così buono con noi; quanto dobbiamo essere buoni nell’esercizio di ogni giorno quando ogni giorno l’Eucarestia è la continua manifestazione che Dio è misericordioso.

Dobbiamo crescere nella carità: una piccola carità condiziona tutto il resto della vita spirituale, tutto il resto.

Una grande carità.

La carità che ci suggerisce il Natale, il tempo di Natale; il tempo liturgico del Natale ci fa passare sotto gli occhi la vita di Betlemme e la vita di Nazaret, una vita di carità, di comprensione, di mutuo rispetto, di tanta stima.

Non solo ci dobbiamo preoccupare di passare bene il tempo di Natale: tutto il tempo di Natale è consacrato alla carità, a questa carità quotidiana, con le persone che ci sono sempre vicine, perché tutto quello che è parola, tutto ciò che è gesto abbia il sapore del servizio e dell’amore. Proprio come ma meditazione della santa famiglia ci suggerisce con eloquenza: passiamo il tempo del Natale con la carità.

Il cuore di Gesù ci ha sedotti: per amore e nell’amore si matura tutta la vita che vuol essere conformata a Lui.

Il precetto della carità traduce la fede e la rende splendida, il precetto della carità dà verità alla nostra preghiera e ci apre “il segno della misericordia di Dio”, come dice la Scrittura.

Vogliamo restare così in questa buona volontà per cui la carità è sopra tutto.

Non scusiamoci, perché spesso ci scusiamo. Non scusiamoci, non imputiamo ai difetti degli altri i nostri difetti, non diciamo che vorremmo ma non ci riusciamo.

Poniamoci in totale e completa disponibilità.

Non scusiamoci perché davanti a Dio non esiste scusa.

Noi vogliamo che il tempo di Natale segnato così da una fervida carità sia una maturazione nostra e sia una testimonianza nostra.

Così con fede le nostre giornate saranno preziose agli occhi di Dio.

Poniamoci volentieri davanti all’Eucarestia e ogni giorno sentiamo la parola che esce dall’Eucarestia: vogliatevi bene, prendete via le vostre durezze, i vostri silenzi di chiusura, le vostre parole che risuonano male. Ponete le opere come opere di Dio, come opere di chi è nato da Dio e che vuol vivere di Dio.

CODICE 82NIR023
LUOGO E DATA 19/12/1982
OCCASIONE Ritiro spirituale avvento
DESTINATARIO Gruppo Adulti
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Andare verso il fervore
La revisione della nostra preghiera
Il tempo di Natale è consacrato alla carità
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