13/11/1977 - Ritiro di Avvento Adulti

Sant’Ilario d’Enza 13.11.77 (DATA INCERTA)
Ritiro spirituale Avvento

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I MEDITAZIONE

1 Gv 1, 1-4

Giovanni apostolo scriveva questa lettera quando era vecchio e ricordava Gesù, il suo incontro con Gesù, il suo amore a Gesù, la sua venerazione per Gesù: noi l’abbiamo visto con i nostri occhi, è la vita che si è resa visibile, noi l’abbiamo toccato.

E’ il nostro problema, è l’impostazione che dobbiamo dare al tempo di Avvento: dobbiamo chiederci se anche noi, purtroppo, meritiamo il rimprovero di Giovanni Battista: “c’è in mezzo a voi uno che voi non conoscete”. Perché sta tutto qui la nostra esperienza di Gesù, la nostra comunione con Gesù, la nostra adesione a Gesù.

E’ ciò che ci deve portare la devozione alla Madonna: la Madonna ci conduce a se’ per condurci a Gesù, per farci avere questa soavità d’incontrare Gesù, questa soavità di stare con Lui, di ascoltarlo, di tradurre i suoi atteggiamenti e i suoi sentimenti.

L’Avvento ci dice: non l’hai conosciuto? Perché se non lo hai conosciuto, ecco, la tua preghiera di attesa, ecco la tua tensione perché i cieli diano questa rugiada e il “rorate cieli” diventi una magnifica tua conquista. Accogliere la rugiada.

Il problema è tanto più serio, quanto noi con facilità diciamo di conoscerlo, con facilità diciamo di amarlo, ma se guardiamo un po’ più attentamente, un po’ più seriamente ci accorgiamo di paurose nostre lacune.

Bisogna che ci rinnoviamo in questa conoscenza e in questo amore, bisogna che noi arriviamo molto più in profondità. Abbiamo bisogno di possederlo in pienezza. Lui è con noi, è desideroso di noi, è venuto per noi, è venuto a consolare la nostra miseria, a dare un senso alle nostre giornate: un senso, proprio così, perché tutto quello che non è in Lui è fuori e distrugge.

Dobbiamo conoscere Gesù proprio non come un personaggio storico, perché se noi lo conosciamo come uno che è stato un tempo, noi non lo conosciamo, perché Gesù è una realtà presente, è una realtà forte, è una realtà concreta.

Bisogna che noi arriviamo a una conversazione continua con Lui, a una comunione di vita.

Noi sappiamo che Gesù è il risorto e nella sua onnipotenza è dappertutto nel mondo, è presente ad ogni anima, è presente con quella tenerezza così meravigliosa come leggiamo nel Vangelo, quella tenerezza che vuol guarire tutte le nostre infermità. Ricordate come ce lo presente il Vangelo, per esempio in Mt 9, 35-38: è vicino a noi, vicino col suo cuore. Dobbiamo prima di tutto scoprire il cuore di Gesù, vedere che quello che ha fatto lo ha fatto nel calore meraviglioso del suo amore. Ha amato, ha amato sempre, ha amato tutti, ha amato i giusti e i peccatori, ha amato quelli che si contraddicevano, ha cercato di aiutare tutti, tutti.

La tua malattia non ha nessuna altra possibilità di guarigione, se non Lui, se non il suo amore. Guarda che se non scopri quanto ti ama non entri nel suo regno; ma tu sei freddo, ma tu preghi distratto, svogliato, ti stanchi, la tua preghiera si assomiglia più a una contraddizione, a una consuetudine, più che a una vera risposta al suo amore.

Guarda, tu devi cominciare proprio dal riformare la tua preghiera, perché, tu lo sai, la preghiera è ricerca di Lui perché ti sai cercato. Il primo è sempre Lui, è Lui che ti sollecita, è Lui perché ti ama: tu devi lasciarti cercare e devi collaborare a questa ricerca. Sempre così, come è raccontato in Mc 1, 35-39, è proprio così: trovare Gesù nella preghiera, modellarci sulla sua preghiera, entrare in colloquio intimo e profondo con Lui, ma col cuore e non solo con l’intelligenza, non solo perché lo troviamo giusto, col cuore.

Bisogna credere all’amore del Signore, bisogna crederci con tutte le nostre forze. Interrogati: credi all’amore di Gesù? Credi che ha un amore particolare per te? Credi che ti vuole vicino a Lui, unito a Lui? Così puoi risolvere i tuoi problemi. Tu vai sempre cercando, tu vai sempre preoccupandoti, tu sei inquieto e le tentazioni hanno troppo peso su di te, ti lasci sedurre proprio perché non hai pensato che il Signore ti ama fino in fondo. Tu devi credere al suo amore, tu ti devi arrendere al suo amore, tu non puoi avere altra soluzione.

Se tu pensi a tutte le resistenze che hai fatto, a tutti i tuoi “no” o a tutti i tuoi “sì” ipocriti, falsi, erano “sì” che volevano dire “no”, ma avevi paura di affrontare la vera realtà della tua anima; ecco la necessità che tu finisca di resistere al tuo Dio e tu ti dia vinto, perché è gloria essere vinti quando ci arrendiamo al suo amore.

In questo Avvento tu devi proprio cominciare di qui, a dire al Signore: “Basta, basta con le mie stupide idolatrie”.

Il Signore lo diceva fin dall’Antico Testamento: il secondo comandamento, non nominare il nome di Dio invano, era soprattutto un atto di grande misericordia, col primo comandamento c’era il dovere dell’adorazione e col secondo comandamento Dio ci dà il suo nome, ci dà il nome della sua grandezza, della sua maestà, della sua santità, perché diventi un baluardo, una difesa della nostra vita, perché la nostra infermità possa essere la nostra difesa, la difesa dal nostro orgoglio e l’affidamento al suo magnifico potere.

Nel Nuovo Testamento Gesù ci dà proprio nel suo nome, voluto dall’alto (perché è nome che è invenzione di Dio: “tu lo chiamerai Gesù, perché salverà il suo popolo dai suoi peccati” così ha detto l’angelo a Giuseppe), perché nel suo nome possiamo totalmente realizzare. La nostra preghiera diventa potente così unendoci a Lui che ci dà veramente tutto quello che è, tutto quello che può, secondo le leggi dell’amore: l’amore quando è grande non dà dei pezzi, ma dà una completezza.

Darsi all’amore di Dio, realizzare quello che il Signore intende darci non secondo il nostro criterio: noi vorremmo sempre dei doni da capire e ci sono dei doni che non sempre si capiscono e se Lui ci chiede delle rinunce, se ci chiede dei sacrifici è per darci, non è per Lui, ma ci chiede dei sacrifici perché diventiamo più forti, perché diventiamo degni del suo regno. Ricordate il noto episodio in Mc 10, 13-16: pensate all’indignazione di Gesù che vuole accarezzare i bambini e noi siamo i suoi bambini. Come sentiamo il bisogno d’essere presi tra le sue braccia, come sentiamo il bisogno della sua mano su di noi, come sentiamo il bisogno della sua benedizione!

Credere al suo amore.

Il secondo punto è proprio lasciarci prendere dal suo amore, lasciarci governare come bambini dal suo amore. Perché se crediamo e preghiamo anche la nostra azione diventa molto logica, perché ci sono tante cose in cui noi ci smarriamo; ci smarriamo per una caduta, ci smarriamo per un susseguirsi di tentazioni, ci rattristiamo per un dovere fare sempre le stesse cose e avere sempre delle cose pesanti e antipatiche e ci viene voglia di ribellarci e di non costruire, di chiuderci in noi stessi e di non aprirci agli altri, di non aprirci perché diciamo: “Ne ho abbastanza di me e delle mie noie senza prendere quelle degli altri”: non accogliamo il regno di Dio come i bambini, non lo accogliamo.

Ci dobbiamo lasciare prendere da Gesù sapendo che c’è una meraviglia di azione che Lui svolge per noi. Non per altro ci ha dato una mamma in Maria: sapeva come nell’uomo resta sempre il bambino, resta sempre il bambino facile ai capricci, facile alle agitazioni, facile allo sgomento. Ci ha dato una madre e noi vogliamo sempre più scoprire quanto dice questa maternità, quanto è una stupenda realtà l’avere una madre. E dobbiamo collaborare con la grazia del Signore fino il fondo e dire: “Signore, io mi metto nel tuo cuore e so che le cose sono nella tua Provvidenza, sono fatte per costruirmi e non per demolirmi, sono fatte per una realizzazione totale e completa”.

Allora devo imparare a vincere i capricci. Sappi ben definire certe cose, ti sa fatica, ma sono capricci: certi peccati sono proprio frutti dei capricci, certi capricci che ti portano ad essere inquieto e superbo, che ti portano ad essere materialista e grossolano, che ti rendono così debole di fronte all’ostentata tentazione che hai attorno a te. Devi pensare a Gesù e come Lui era delicato con gli apostoli, con tutti quelli che andavano a Lui, ancora è così, ancora è Lui, è sempre Lui che si preoccupa e difende i suoi apostoli. Ricordate quando gli apostoli passavano per il campo di grano e strappavano qualche spiga perché avevano fame (Mt 12, 1-6): Gesù difende gli apostoli ricordando Davide e non si poteva certo rimproverare il grande profeta. Gesù proclama la sua grandezza per difendere i suoi apostoli.

Il rimedio delle nostre debolezze, delle nostre incoerenze, è la sicurezza che Lui si preoccupa di noi, che è vero nostro amico, è nostro Salvatore ma un Salvatore così vicino, che capisce tutte le nostre tristezze e tutte le nostre noie e ci è vicino e ci difende e ci provvede e ha la parola giusta per ognuno di noi, la parola giusta, la parola di conforto, la parola che ci fa andare avanti, la parola che ci esorta e che ci fa trionfare delle nostre stanchezze.

Oh sì, io vorrei che allora facessimo questa precisa risoluzione, la risoluzione di credere non solo che Lui ha il cuore come dicevamo, ma Lui ha l’opera di amore, cioè tutto quello che fa lo fa così. Ecco l’aprirci a vedere le cose come dono della sua bontà e come noi possiamo dimostrargli che gli vogliamo bene attraverso le cose concrete di ogni giorno. La santità non è fare delle cose straordinarie, ma è fare straordinariamente bene le cose ordinarie. Bisogna che noi sappiamo che l’amore suo è andato fino alle piccole cose: le spighe.

Il nostro amore non può sussistere, se non va anche Lui alle piccole cose. Le piccole cose, le piccole cose di ogni giorno, le piccole vittorie che preparano le grandi vittorie.

Questo Avvento dev’essere la grazia del tempo: dobbiamo pensare che il Signore ci dà un aiuto speciale, un aiuto speciale adesso, per conoscerlo, per amarlo. “Tardi ti ho conosciuto” diceva S. Agostino nelle Confessioni: che non succeda anche per noi.

Dobbiamo riformare la nostra fede e sentire Gesù il nostro Dio diventato nostro salvatore e nostro amico, il nostro Dio che tutti i giorni è vicino a noi, che tutti i giorni ci offre la dimostrazione del suo amore e vuole fare alleanza con noi, vuole cioè la nostra corrispondenza e il nostro amore.

Nella nostra riflessione dobbiamo allora scendere molto in concreto e vedere come possiamo cominciare a nuovo questo anno liturgico: cosa c’è da prendere via ? Tu lo sai. Scendi bene in concreto. Cosa c’è da mettere? Scendi bene in concreto. Sei troppo preoccupato di te? Apriti! Sono tanti i problemi nella Chiesa e nel mondo. Sei troppo angustiato dalle tue ricadute? Domanda al Signore che ti faccia un gusto buono, perché tu sappia gustare il bene e avere il vomito del male. Non hai realizzato dopo gli Esercizi perché sei stato disordinato? Credimi, l’ordine è segno di amore. Se tieni ordine l’amore trionferà ancora di più in te.

Poniti con decisione e umiltà, poniti con quell’umiltà che strappa le grazie al Signore.

II MEDITAZIONE

1 Pt 5, 5-11

Chiamati a servire Dio, a unirci a Gesù per realizzare la sua gloria.

Il cristiano chiamato alla sequela di Gesù dev’essere molto forte. Senza fortezza non realizza, perché vuol dire che è senza amore.

La fortezza nasce infatti dall’accoglimento del suo amore e man mano che il suo amore prende dominio in noi si sviluppa la fortezza.

Fortezza non è dunque, quella che salva, una virtù solo umana: è una virtù che viene dall’alto, la virtù che è un corollario dell’amore di Dio diffuso nel nostro cuore.

Noi dobbiamo insistentemente verificare questo amore: dico insistentemente perché misurando e accrescendo la nostra fortezza noi vediamo l’amore, noi vediamo affermarsi l’amore e trionfare l’amore.

Molte volte ci possiamo chiedere se è vero quell’amore che sentiamo in noi, se è nella misura giusta, se veramente abbiamo detto un “sì” di tutto cuore.

Fin dalle prime predicazioni Gesù ha insistito su questa nostra collaborazione, ha detto che dipende dalla nostra collaborazione, che il seme non è nostro, ma il terreno dev’essere nostro (parabola del seminatore). Ci accorgiamo subito che insegnamento ne riceviamo: il seme sulle pietre sono coloro che quando ascoltano la parola subito l’accolgono con gioia (notate che il seme sulle pietre sono quelli che accolgono con gioia), ma non hanno radici, sono incostanti e quindi al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola subito si abbattono.

Il fenomeno della nostra incostanza, di questa incostanza ricorrente: manchiamo di fortezza, perché cominciamo e poi lasciamo, poi torniamo a cominciare e poi lasciamo di nuovo e sono più i giorni che lasciamo di quelli in cui siamo perseveranti. E’ tutto un su e giù pauroso. Ecco perché poi ci domandiamo se c’è l’amore o se è un’illusione, o se è qualcosa che noi poniamo proprio come superficialmente poniamo altre cose.

Dice il Signore che “l’accolgono con gioia, ma non hanno radici in se stessi”. Allora per essere forti dobbiamo necessariamente insistere su questo far le radici e le radici si fanno esperimentando la nostra fortezza nella maturazione e nell’approfondimento della parola di Dio.

Questa meditazione, che diventa così preziosa e così grande, ci mette davanti le grandi figure di penitenti, con a capo Giovanni Battista. Fin da questa domenica il profeta Isaia ci ha avvertito con tutta la severità e l’energia della sua parola; poi Giovanni Battista ci dirà che non è tempo di dissipazione, ma è tempo di riflessione.

Tu resti una pietra e il seme non può sbocciare, resti una pietra: hai bisogno della meditazione, hai bisogno dell’ascolto gioioso ma insistente, non ti basta il gioioso, perché se hai solo il gioioso ti dimentichi e domani la gioia è passata, resta il dovere e tu non hai abbastanza forza e abbastanza energia.

Tu ti devi dare al Signore, ti devi consegnare a Lui con tutta la forza possibile, con tutta l’energia grande della tua anima.

Allora se siamo incostanti sappiamo il perché: sta nella tua mancata fedeltà alla meditazione, del tuo approfondimento nella meditazione.

La parabola continua e dice del seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola, l’accolgono, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo, tutte le bramosie che soffocano la parola e questa rimane senza frutto.

Il secondo pericolo contro il nostro progresso spirituale è questo sciupare il tempo, dare il tempo alle cose e non darlo a Dio, dargli poco tempo, dargli un tempo in fretta, un ritaglio ridicolo di tempo al mattino con in testa quello che devi fare e rapido te ne vai, e un ritaglio di tempo alla sera quando sei addormentato, quando caschi da tutte le parti. Le preoccupazioni non ti fanno misurare la vera gerarchia dei valori. Torna il rimprovero di Gesù: “Marta, Marta, perché ti preoccupi? Una sola cosa è necessaria”; il Signore ci ha istruito bene: umanamente aveva ragione Marta, visto che c’era il pranzo da preparare e c’era tanta gente e lei era sola e sua sorella stava seduta ad ascoltare Gesù. Gesù dà ragione Maria e dice che ha scelto l’ottima parte.

Ecco la sapienza evangelica. Noi non possiamo misurare con la misura del mondo, delle cose mondane, ma dobbiamo misurare secondo la sua parola.

Ecco la fortezza nell’uso del tempo, è una fortezza che è sempre messa in discussione: un po’ di sonno di più, un piccolo disturbo, una cosa da niente, un compiacere, un volere mostrarsi capaci, distrugge il tempo che dovremmo dedicare solo al Signore. L’Avvento ci avverte: misura il tuo tempo. Gli anni si inseguono e il tempo è breve: non negare il tuo tempo al tuo Signore, al tuo Redentore, alla soave amicizia di Gesù. Come si può fare, del resto un’amicizia senza tempo? Tu non stai con Lui, tu borbotti delle preghiere in fretta o assonnato: non si fa così l’amicizia, non si fa così. All’amico si danno le porzioni migliori: dà quanto sta in te, le tue porzioni migliori al Signore, perché se non fai così la tua vita diventa proprio come il seme soffocato tra le spine, che cresce ma non porta frutto e poi muore.

Il preoccuparci allora di una fortezza che non ha nulla di eroico, che è una normalità, per servire il Signore.

Il terreno buono è quello che porta frutto secondo una determinata misura, chi del trenta, chi del sessanta, chi del cento per uno.

La parabola è molto eloquente per noi, perché indica questo nostro lavoro, sapendo di essere disturbato.

Le parole di S. Pietro ci dicono dunque che il male non è solo una forza, è anche una persona: “Il vostro avversario, satana, gira attorno a voi cercando chi divorare”.

Abbiamo dunque un’impostazione ben chiara: i pretesti sono facilmente suggeriti: è satana, è il nemico che sa bene i nostri punti deboli, che sa bene come facilmente cadiamo nella confusione e nel disordine, come facilmente vanifichiamo i nostri propositi migliori con delle forme di pretesti. Vanifichiamo, vanifichiamo perché ci rendiamo conto che la vita nello Spirito è una vita che costa, che impegna e siamo deboli e non vogliamo diventare forti, non vogliamo.

Il segreto della nostra fortezza sta proprio nella meditazione, nell’uso del tempo, nello sforzo per purificarci e riprenderci. Lo sforzo della purificazione è sforzo di amore: come possiamo stargli vicino, se siamo in una certa maniera? Come possiamo stare vicino alla sua infinita purezza quando ci sentiamo immondi e quando sappiamo che col dolore nostro possiamo diventare puliti, meno indegni, quando sappiamo che lo possiamo incontrare nella totalità della sua misericordia nelle nostre Confessioni? Torna quello che dice S. Paolo nella lettera ai Filippesi: “Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui… E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte” (Fil 3, 7-10).

Ecco la fortezza dove nasce: nasce dallo spirito di purificazione che mi fa valutare giustamente le cose, me le fa valutare secondo il loro criterio. La Confessione non si può ridurre a una spugna che pulisce: la Confessione è il suo amore che viene in noi e ci dà il senso delle cose e ci proporziona le cose. Dice Paolo che conoscere Cristo è la sublimità, la cosa somma; le cose che non sono Cristo, che non si possono trovare in Cristo le lascio perdere, le considero come spazzatura. Noi non siamo chiamati alla tristezza: siamo chiamati alla gioia e la gioia è proprio in questa visione limpida, chiara dei valori della vita.

Bisogna avere molto desiderio di santità per capire come tante cose che riteniamo interessanti valgono meno di zero, bisogna avere grande sete e desiderio di Lui: “Venite a me voi tutti che siete assetati e io vi ristorerò”.

Andiamo quindi a Lui con molta fedeltà e molta umiltà, andiamo a Lui.

Ecco la Confessione che cos’è. La Confessione confluisce tanto alla nostra fortezza, noi riceviamo la grazia sacramentale che ci viene come un grande dono. E’ proprio quello che dicevamo questa mattina: è il comunicare col suo amore, il suo amore che ha avuto tante invenzioni per stare con noi; ha avuto l’invenzione dell’Eucaristia, per cui diventa nostro pane quotidiano, diventa mirabile la sua presenza e ci offre continuamente nella Messa i frutti del suo sacrificio; ha avuto l’invenzione della Confessione per la quale da poveri peccatori usciamo totalmente diversi, da deboli e fiacchi usciamo forti.

Con quanta sapienza dobbiamo usare di questo mezzo mirabile che ci ha dato l’amore di Gesù. Non fermarci quindi di fronte agli inconvenienti, alle difficoltà, ma dilatare il nostro cuore e aprirlo fortemente a questa presenza mirabile di Gesù che ci dà il suo Spirito e il suo Spirito ci trasfigura. Tornano le parole di S. Paolo nella seconda lettera a Timoteo: “Questa è la parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, anch’egli ci rinnegherà; se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso… Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore (sentite la definizione: un lavoratore. Cos’è la vita spirituale? Un lavoro) che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola della verità. Evita le chiacchiere profane, perché esse tendono a far crescere sempre più nell’empietà… Fuggi le passioni giovanili; cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace” (2 Tm 2, 11-13.15-16.22).

Vogliamo perciò domandare allo Spirito Santo particolarmente per questo tempo di Avvento molto spirito di fortezza, un grande spirito. Dobbiamo valutare bene le nostre responsabilità nella meditazione, nel tempo, per rendere a Dio ciò che è di Dio nella nostra vera adesione al Signore che ci vuole purificare e che è sempre pronto a ristabilire l’equilibrio dell’anima nostra con la sua misericordia soprattutto nel sacramento della Confessione.

Impegnamoci allora perché i nostri propositi diventino molto concreti: come farò la meditazione in questo tempo? Stabilisci le modalità: quando la vuoi fare, quanto tempo vuoi restare, con che metodo la vuoi fare. Non ci mancano i testi e dobbiamo però proseguire in questa riflessione sull’amore di Gesù, sulla preziosità dell’amore di Gesù.

Il secondo punto: dov’è che il tuo tempo è impiegato male? Quanto tempo perdi? Hai del tempo che impieghi per cose pericolose (televisione, riviste, ecc.)? Non dire: “non ho tempo”, ma di’: “il mio tempo va gestito meglio”. Devi vincere la tua pigrizia, la pesante accidia e devi così dare tutto quello che ti è possibile dare.

Poi la cura della mia purificazione, perché sia veramente una purificazione che mi fa vedere le vere realtà, mi fa vedere ciò che è giusto raggiungere, ciò che è giusto far trionfare. Altrimenti il nostro tempo e le nostre energie non servono per il regno.

Lo spirito d’Avvento è lo spirito dell’accoglienza: accogliamolo, è il Signore che viene. Lo spirito dell’Avvento è poterci incontrare con molta interiorità con Gesù nel Natale, è capire Gesù e capire Gesù è restare travolti dal suo amore. Altrimenti il presepio è una cosa che non capisco. Sapete che per tanti il Natale non dice niente, è solo una consuetudine, scrivono biglietti di auguri con “buon Natale”, ma del Natale hanno perso ogni nozione. Voi no, voi dovete poter arrivare alla vigilia del Natale con una maggiore comprensione del mistero di Gesù, del mistero dell’amore di Gesù che è anche il mistero vostro.

III MEDITAZIONE

Resta da dire solo una cosa: per possedere il suo amore non bisogna dividere il cuore con gli idoli. Perché c’è un’idolatria tanto diffusa: non è più l’idolatria degli antichi pagani che prendeva forma negli dei, ma la nostra idolatria si chiama speranza nelle cose, speranza di dare un senso alla vita mediante le cose.

Il Signore dice: “Guai a voi”, perché il tradimento più grosso all’amore di Gesù è porre un altro al suo posto.

Bisogna che noi, decisamente, consideriamo il nostro amore per Lui come un amore totalitario e forte, come un amore che non conosce alcuna evasione.

Lo spirito di povertà deve prendere ogni cristiano, deve prendere ognuno che vuole essere con Gesù e partecipare al suo regno. Noi, con la scusa che non abbiamo a disposizione dei patrimoni, non coltiviamo la purezza, la povertà, che sono così unite, e non coltiviamo l’obbedienza e siamo tanto sbagliati che deformiamo le cose. Dobbiamo vedere le cose come mezzi, mai come un fine e dobbiamo sapere rinunciare a delle cose quando ci impediscono (e ce lo impediscono veramente) il regno di Dio.

Troppo spesso l’attaccamento nostro è fonte di tutte le nostre infedeltà: non lo amiamo abbastanza e non ci lasciamo amare, perché facciamo come la moglie di Giacobbe, Rachele, che aveva portato via gli idoli da casa sua e li custodiva gelosamente.

Il distacco dalle cose dice una visione che ci dà la fede: le cose non possono saziare il nostro cuore, non possiamo trovare la felicità nelle cose create, ma la possiamo trovare solo in Dio, nelle cose increate. Perché Gesù ha voluto tanta povertà? L’Avvento è la meditazione della sua povertà ancora prima di nascere che conduce alla grotta di Betlemme. Il Signore ci ha guidato e ci ha insegnato a non dividere il nostro cuore, non dividerlo tra le cose e Dio, tra l’ideale che dobbiamo avere e le false aspirazioni.

Noi dobbiamo insistere perché è molto facile che il nostro cuore sia in questa condizione di divisione: diciamo di “sì” al suo amore, ma poi diciamo di sì a delle cose assolutamente contraddittorie, a delle cose che ci tolgono il respiro, ci tolgono la gioia delle cose vere ed eterne, ci tolgono la gioia.

Dobbiamo allora capire che l’Avvento è un grande annuncio di povertà, che l’annuncio dobbiamo accoglierlo, che l’annuncio dobbiamo viverlo. E’ quello che diciamo esercizio di mortificazione: l’esercizio di mortificazione è proprio questa sapienza che ci fa rifiutare delle cose, perché non stanno col Signore, che alle cose dobbiamo dare meno peso, che dobbiamo tenere il nostro cuore libero. Vogliamo le cose che ci piacciono, le vogliamo senza misura, ci stiamo male quando non le possiamo avere, ci agitiamo, ci preoccupiamo, ci inquietiamo e non pensiamo che il Signore, il Re della gloria, la Ricchezza infinita, ha preso l’uomo nella povertà, nella povertà di una famiglia, nella povertà di due anime che erano molto, molto superiori a tutte le tendenze terrene.

Abbiamo allora l’impegno in questo Avvento di pulire da ogni attaccamento il nostro cuore e l’esercizio quotidiano della nostra vita. Quanto dobbiamo essere vigilanti e pronti, perché il nostro cuore non si venda, perché possiamo, con molta sincerità, dire al Signore: “mio Dio sei il mio tutto”: è la giaculatoria delle anime che vogliono camminare nella spiritualità. “Mio Dio, mio tutto”: questo è possibile se con molta sincerità ristabiliamo l’ordine e l’equilibrio, quell’ordine e quell’equilibrio che è urgente perché altrimenti non si entra nella prima beatitudine “beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”.

Tu devi misurare il tuo attaccamento e devi vincerlo.

Diceva Gesù, spiegando il suo discorso fatto ai farisei, ai suoi discepoli: “Siete anche voi così privi d’intelletto e non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo? E’ quello che esce dall’uomo che lo contamina”; ecco l’attaccamento.

Dobbiamo allora guardare il nostro cuore e misurare la sua libertà: quanto è libero il tuo cuore? Se hai delle pretese, se ti lamenti spesso se ti manca qualcosa, se non sei mai contento il tuo cuore non è distaccato. Abituati ad affrontare la vita con sobrietà e con coraggio, non lamentarti mai, non dire: “non mi basta questo, vorrei quest’altro…”, non esagerare mai in quello che è la roba da comprare, agisci con molta energia. Accontentati delle cose, sii un vero povero di Dio e ringrazia tanto il Signore di quello che hai, non avere delle ansie inutili e stupide.

Un piccolo discorso sulla povertà chiude il nostro ritiro. Non abbiamo potuto svolgere questo argomento in tutta la sua ampiezza: sia la vostra riflessione che lo fa, che lo fa volentieri perché è tanto necessario.

CODICE 77MCR093
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza 13.11.77 (DATA INCERTA)
OCCASIONE Ritiro spirituale Avvento
DESTINATARIO Comunità parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Conoscere Gesù, conoscere il suo amore / La fortezza / Lo spirito di povertà
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