28/04/1974 - Ritiro di Pasqua Giovani

28/04/1974
Ritiro spirituale tempo di Pasqua

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I MEDITAZIONE

Vogliamo fare il ritiro per vivere meglio questo tempo, viverlo nel tono giusto, viverlo cogliendo bene i punti essenziali.

Perciò non mi fermo su una lunga introduzione e vado subito all’essenziale, ricordo un principio basilare: il cristiano fa parte del Cristo, il cristiano è un membro del Cristo, perciò il cristiano deve ripetere Cristo. Sarebbe veramente mostruoso che le membra non fossero simili al capo, che le membra fossero di un’altra natura, di un altro indirizzo. Gesù è Figlio di Dio e noi siamo figli di Dio, anche se per adozione; Gesù come Figlio di Dio ha determinati atteggiamenti verso il Padre e noi dobbiamo ricalcare questi insegnamenti; Gesù ha particolari virtù e dobbiamo averle anche noi; Gesù ha particolari atteggiamenti verso i fratelli e dobbiamo averli anche noi.

Insomma, tutto dev’essere in quest’ordine: dobbiamo rinnovare Cristo nelle nostre membra. Perciò l’anno liturgico ci suggerisce i misteri di Gesù, perché siano anche i misteri nostri; anzi, l’anno liturgico ci dà la grazia per entrare in questi misteri, per partecipare meglio col Signore.

Fermandoci nel mistero della risurrezione, ascoltiamo le parole di S. Paolo: “Voi dovete risorgere con Gesù Cristo” e se siete risorti con Gesù Cristo dovete avere particolari atteggiamenti, particolari scelte, particolari indirizzi. Non è dunque per fare degli atti di devozione, ma è una dinamica fondamentale della vita cristiana: dobbiamo essere come Lui, dobbiamo vivere interiormente l’esperienza di Cristo.

Prendiamo allora i dati fondamentali.

“Dopo tre giorni risorse”: sono le parole del Credo. C’è dunque un tempo di mortificazione: “Se voi siete consepolti col Cristo” dice S. Paolo, ed ecco i tre giorni, “con Lui risusciterete”.

Durante la quaresima abbiamo cercato di fare questa esperienza fondamentale, l’esperienza di essere sepolti col Cristo, cioè di partecipare alla sua crocefissione, alla sua morte, “per poi camminare – dice sempre la Scrittura – in novità di vita”. Dobbiamo essere nuovi, di una fondamentale novità.

Quindi la prima grande impostazione è dunque in quel senso, la grande impostazione sta in una vita da risorti. Il cristiano come tipo di vita da realizzare in se stesso ha quello del risorto. Si parla allora di una vita fresca, di una vita nuova, di una vita dinamica, di una vita che non si ferma a certi momenti, che non si ferma a certi aspetti, ma una vita autentica di crescita.

Tre punti allora.

Il primo punto: bisogna realizzare una vita autentica. Lo spirito pasquale è rimprovero soprattutto alla mediocrità di vita. Il mediocre si deve trovare molto a disagio nel tempo pasquale, perché il Signore ci ha comunicato e ci comunica continuamente una vera partecipazione alla sua risurrezione. La mediocrità è rendere la vita a qualche cose di estremamente povero, il lucignolo che fumiga, una vita asfittica e non da risorti. Il Signore non ci ha chiamato alla mediocrità, ma ci ha chiamato a vivere con Lui.

E’ evidente allora che questa nostra impostazione deve dominare tutto. Il mediocre ha qualche slancio, ogni tanto, ma tutto il resto non è rigoglio di vita, ma è uno strascicarsi pesantemente.

Ci dobbiamo interrogare se dopo la Pasqua noi siamo ricaduti in forme di mediocrità che hanno annullato lo sforzo della nostra quaresima e la gioia del nostro incontro con Gesù risorto.

Secondo punto: la nostra vita dev’essere una vita dinamica, di progresso. La vita cresce, si espande, la vita vuole portare frutto. Nessun vivente è senza la finalità di un frutto: gli alberi producono i loro frutti, gli animali producono i loro frutti nella trasmissione della vita, ognuno deve portare dei frutti. Ecco il dinamismo.

I maestri di spiritualità ci parlano di tre età della vita spirituale e ci dicono che le prime due età devono essere di passaggio e si deve arrivare alla terza, si deve arrivare cioè ad una pienezza. Dicono che la prima età è caratterizzata dalla purificazione: un’anima deve convertirsi e purificarsi bene, abbandonando ogni forma di peccato. E quando un’anima ha realizzato fino in fondo la sua purificazione, allora abbiamo la seconda età dell’anima, che è uno stato di progresso, d’illuminazione di progresso. Allora si ha l’anima che capisce le cose di Dio, che le gusta, che le vuole così come lo Spirito Santo suggerisce. Poi c’è la terza età, che la vera età del cristiano maturo ed è la vita di unione continua con Cristo, la via unitiva che è espressa bene nelle parole di S. Paolo: “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”.

E’ evidente che l’impegno per tutti noi è in quest’ordine di continuo cammino: bisogna camminare. Se noi non camminiamo, sciupiamo delle grazie, ci poniamo in una posizione di infedeltà. Allora non sentiamo più, non gustiamo più, allora non siamo sufficientemente utili alla Chiesa, agli altri.

E’ evidente allora che, quando meditiamo sul Mistero Pasquale e meditiamo su questa dinamicità della vita, dobbiamo sentirci molto sensibilizzati, perché non succeda che siamo sempre lì, sempre in principio, sempre a bisticciare con le stesse cose, sempre ad affaticarci su delle cose mai superate da anni, una vita spirituale debolina, debolina, una vita spirituale che rischia sempre, abusando dei doni di Dio, di cadere nell’abbandono di Dio. Perché il Signore ci offre milioni d’inviti, ma si compie anche la sua giustizia.

Ci dobbiamo allora interrogare e tutte le Messe di questo tempo pasquale sono un evidente invito a questo riesame di dinamicità, a questo slancio che dev’essere in noi. Per cui dobbiamo interrogarci, tornare a interrogarci in ogni Messa se si attua in noi questo slancio vitale, questa forza che sempre ci deve condurre.

Terzo punto: la nostra vita pasquale ci porta ad una vita piena. Abbiamo detto vera vita, vita dinamica e vita piena. Con vita piena, voglio dire che non può fermarsi in un settore, ma deve raggiungere la perfezione dappertutto. Per stare allo schema di prima: ci dev’essere una purificazione nella preghiera, rendendo la nostra preghiera meno sciocca, meno impacciata, meno puerile; ci dev’essere un progresso nella nostra preghiera continuo, particolarmente nell’ascolto della Parola e nell’illuminazione interiore; ci dev’essere una vera unione nella preghiera, un’unione profonda e fervida col Signore; ci dev’essere una pienezza di vita nelle virtù, dobbiamo purificare certe nostre forme di virtù: ci dobbiamo purificare nell’umiltà, nella pazienza, nella purezza, dobbiamo progredire nell’umiltà, nella pazienza, nella purezza e dobbiamo attuare veramente l’unione con Gesù umile, con Gesù paziente, con Gesù puro. Cioè, il nostro progresso spirituale deve toccare tutti i punti, dobbiamo sentire la vocazione ad essere completi: il cristiano non può limitarsi ad essere tale solo in alcuni settori, dove per esempio trova meno difficoltà.

Vorrei che ci impegnassimo fino in fondo, sicuri che questo tempo pasquale ci dà le grazie per andare, per camminare, per correre, ci dà le grazie per realizzare una vera vita insieme con Lui, col Signore.

E’ stato svolto questo lavoro? Abbiamo vissuto così questi quindici giorni dopo la domenica di Pasqua? Che cosa ci resta da fare? Dopo qualche sforzo generoso ci siamo lasciati andare e così abbiamo perso la gioia della Pasqua, così abbiamo lasciato cadere delle cose meravigliose?

Ci dobbiamo veramente interrogare fino in fondo, perché sta qui la nostra vera partecipazione al mistero di Gesù risorto.

“E’ poi risorto il terzo giorno”: per ognuno di noi si deve verificare questo “e risorse il terzo giorno”. Il terzo giorno è giorno di decisione, è giorno di dono che non conosce forme di mediocrità o di limitazione.

Comporta allora con molta generosità, comporta il nostro sì: dare al Signore fino in fondo il sì al prorompere della sua vita in noi, volere a tutti i costi essere risorti con Lui sempre.

Perciò il vostro esame di coscienza si fermi soprattutto su due punto: sulla volontà di essere con Cristo membra del suo corpo, avere quindi il suo iter, il suo cammino, e fermiamoci sulle forme di mediocrità, di vigliaccheria, di pigrizia che possono averci impedito questo trionfo della vita di risorti in noi.

II MEDITAZIONE

Il tempo pasquale è caratterizzato da un profondo senso di preghiera, è il tempo classico della preghiera, se l’espressione può essere corretta, cioè è il tempo nel quale noi saliamo con Gesù verso il Padre, è il tempo perciò che comprende l’ascensione, è il tempo nel quale l’anima insieme a Gesù vuol essere vera gloria, vuol essere vera testimonianza per tutta l’umanità davanti al Padre.

Quindi questo aspetto della preghiera è tanto importante, che vogliamo fare una meditazione sulla preghiera per dare un respiro più ampio e più forte al nostro salire verso il Padre.

Tante volte quando ci facciamo domande sulla preghiera rimaniamo incerti, rimaniamo oscillanti: come possiamo dire di pregare bene? Come possiamo dire che la nostra voce è una voce giusta?

Per cui, più approfondiamo l’idea della preghiera, più la nostra anima può essere più serena, può essere più limpida, può essere di più al suo posto.

Poniamoci subito di nuovo la domanda: che cosa è pregare?

Pregare è incontrarsi. Pregare è incontrarsi amando. Pregare è incontrarsi amando e crescendo nella conoscenza. Perché mi sembra evidente: la nostra vita spirituale molte volte è una vita spirituale solitaria, cioè nella quale ci organizziamo noi, facciamo noi, ci desoliamo noi, ci inquietiamo noi, più che un incontro è un monologo, più che un amore è una formalità, più che una conoscenza è una noiosa ripetizione sempre delle stesse cose.

Vogliamo allora gustare sempre di più la preghiera, perché sta in noi gustarla, sta in noi volerla completa, sta in noi realizzarla passo per passo.

La gioiosità del tempo pasquale dispone l’anima a un incontro, a un incontro di fede, a un incontro nella fede, a un incontro per la fede.

La verità è qui allora: noi credendo in un Risorto, credendo che quel Risorto è nella Chiesa vicino a noi, sappiamo che non solo è possibile, ma è bello, è grande, è ricco l’incontro con Lui e con Lui e per Lui al Padre. Non è allora un’immaginazione la nostra, non è una costruzione acrobatica: è vero ed è il fondamento della nostra fede; ricordate infatti la Scrittura: “Se Cristo non è risorto vana è la nostra fede”.

Allora noi abbiamo la possibilità sempre della comunione con Gesù, una comunione che è composta da due elementi: “Colui che io amo è per me e io sono per Lui” (Ct *). Cos’è la preghiera? E’ tutta qui. Non è dunque un monologo, è un dialogo, ma non un dialogo come con gli altri uomini, con le altre creature; mi viene in mente le parole della Scrittura quando, riferendosi all’amicizia tra Davide e Gionata, diceva che l’anima di Davide era conglutinata con quella di Gionata, cioè la loro amicizia era profondissima, ma la preghiera è molto di più: in quello che noi chiamiamo dialogo con Gesù veramente Gesù si riversa in noi e noi ci riversiamo in Lui, tanto da formare un’unica cosa, poiché noi siamo membra del suo corpo. “Io sono la vite e voi i tralci: chi rimane in me e io in lui porta molto frutto”.

Cos’è la preghiera? “Rimane in me e io in lui”.

E’ per questo allora che la preghiera supera in valore e in gioia tutte le altre cose.

L’ostacolo nostro è la impressionante nostra mancanza di fede, è il nostro sciocco disperderci, è il nostro continuo fuggire.

La preghiera noi la dobbiamo allora perseguire, cercare con tutte le nostre forze, ci dev’essere in noi una volontà incrollabile di fare una vera preghiera, ci dev’essere in noi una polarizzazione di tutte le nostre forze per questo, altrimenti anche dopo anni di meditazione, altrimenti anche dopo anni di comunioni sacramentali non usciamo da una preghiera assolutamente puerile e vacua, vuota, che non si può dire neanche preghiera.

La vera riforma di un’anima consiste soprattutto nella preghiera, la vera conversione è qui nella preghiera.

Voi non sapete pregare: è il rimprovero che ci può fare sempre, perennemente Gesù; ci può dire: voi non sapete pregare ed ecco perché non ottenete, cioè non realizzate, nella vostra vita spirituale.

E’ un incontro di amore la preghiera, cioè è l’espressione piena dell’amore. L’anima impara a conoscere questo prodigio dell’onnipotenza di Dio. Pensateci bene, pensateci bene: Dio infinitamente bastevole a se stesso, Dio ricchissimo mi viene a cercare, quasi potesse trovare qualcosa in me. Noi immaginiamo che la parabola della pecorella smarrita sia la parabola per i grandi peccatori, ma la parabola descrive l’atteggiamento continuo di Dio: è Dio che cerca l’uomo, peccatore più o meno. L’anima allora si accorge di questo grande prodigio: Dio mi cerca, Dio vuole incontrarsi con me, mi vuole incontrare per saziarmi, per arricchirmi, per donarmi. Basta, quando l’anima capisce questo si spalanca e allora anche lei è il fiore che si apre alla carezza del sole, cioè l’anima capisce che non ci può essere vera preghiera fuori dall’amore, di un amore grande, fortissimo, di un amore che veramente prende tutto. Ed è sempre nell’ordine non di una mia immaginazione. La mia preghiera non è un incontro con me stesso, con la mia fantasia, ma proprio nell’ordine della fede, perché la fede mi manifesta meravigliosamente che Dio è per me, che mi ama.

Sicché la preghiera è frutto dell’amore e, nello stesso tempo, la preghiera è il terreno dove cresce l’amore.

Una ricchezza incalcolabile dove allora nell’amore, nelle sublimi intuizioni dell’amore, vengo a conoscere Dio, perché Gesù me lo manifesta, mi introduce nel seno della Trinità, dove imparo a conoscere il Padre e vivo da vero figlio in docilità e ubbidienza, dove imparo a conoscere il Verbo e nella sua luce vedo la luce, cioè nel Verbo vengo a conoscere tutto dell’opera di Dio, vengo a conoscere le infinite perfezioni divine, dove vengo a conoscere anche me stesso. Una nuova conoscenza di me si attua nella preghiera, una conoscenza di me stesso che mi permette di volermi bene e non di odiarmi (i peccatori odiano se stessi), di volermi bene in Lui e di voler bene ai miei fratelli. Nella preghiera imparo a conoscere lo Spirito Santo e la sua meravigliosa opera di santificazione: particolarmente attraverso lo Spirito Santo, vengo a conoscere la Chiesa, vengo a conoscere la missione della Chiesa, vengo a conoscere la mia missione nella Chiesa.

Potremmo prolungarci tanto su ognuno di questi punti: ci basti una visione in prospettiva, perché poi se un’anima entra, l’anima è sommersa come in un oceano e prova delle gioie meravigliose.

Ma questa preghiera che presento così è una preghiera straordinaria, una preghiera riservata ai santi? No, è solo una preghiera normale, che dev’essere di tutti quelli che sono cristiani normali. Il cristiano normale è con Gesù nella Trinità: “Il nostro conversare è nel cielo” dice S. Paolo.

Allora com’è stata fino ad adesso la nostra preghiera?

Perché poi questo è il nostro incontro con Gesù e attraverso Gesù con la comunità e insieme ci incontriamo col Padre: è la preghiera liturgica, sulla quale oggi non ci fermiamo. La nostra partecipazione alla preghiera liturgica è direttamente proporzionale alla nostra preghiera personale.

Conosciamo allora la preghiera? O c’è un processo di analfabetismo spirituale? Siamo in posizioni rozze, dissipate, vuote, imprecise? Ci accontentiamo di tirare avanti in qualche maniera con delle preghiere piene di distrazioni, con delle preghiere in cui, ogni tanto, emerge come dai flutti del mare artico un iceberg, qualcosa che però è ghiaccio? Dove ogni tanto emerge anche un fiore, ma il fiore non fa primavera così come non lo fa una rondine, dove crediamo di avere realizzato una bella preghiera, perché qualche volta abbiamo qualche sentimento dolciastro.

E’ necessaria un’analisi forte e grave della nostra preghiera. Non è possibile una vera nostra conversione, senza attuare prima di tutto questa. Difficilmente, senza aver gustato le dolcezze di Dio, abbandoniamo le false dolcezze del mondo: l’egoismo, la sensualità, ecc.

Per cui, se uno di voi mi dicesse “Io ho bisogno di riformare la mia preghiera: come può essere una traccia di riforma?” allora rispondo così: “La maggior parte delle direzioni spirituali dev’essere sulla preghiera”.

Il primo elemento di riforma è una studio insieme al proprio direttore spirituale della preghiera attuale, di quella di adesso. Vedere a che punto si è: è la parte più difficile quella iniziale, per cui è molto facile non afre niente e accontentarsi di frasi che non vogliono dire un cavolo. Vi esemplifico una di queste frasi: “E’ presto detto com’è la mia preghiera: è un disastro”. Ma cosa vuol dire? In quel momento si pronuncia il disastro della propria direzione spirituale, se ci si ferma lì. Oppure: “Nella preghiera? Nella preghiera non mi ci raccapezzo”, oppure “nella preghiera non c’è male”. Non si fa così.

Un’analisi si deve fare precisa, chiara: ecco perché bisogna che ci aiutiamo col ministero del sacerdote, perché è molto facile restare alla superficie. Bisogna guardare le idee che ci muovono, i sentimenti che ci aiutano, le cause favorevoli alla preghiera e le cause sfavorevoli quotidianamente alla preghiera.

Fatta un’analisi, bisogna passare a una volontà assolutamente decisa: nonostante sia così, io voglio, mi è necessario risolvere il problema della preghiera, lo voglio risolvere.

Poi mi prefiggo dei punti particolarissimi: voglio che questa idea sia la base della mia attuale preghiera, voglio dedicare alla preghiera questo tempo, voglio, a tutti i costi, realizzare questa mia disponibilità, questa mia apertura; le mie distrazioni le voglio eliminare attraverso questa dinamica di cose.

Una volta fatto così, il resto avviene e avviene senza dubbio, perché Dio è il primo a muoversi e Dio si muove con la sua onnipotenza.

Il tempo pasquale insiste nel trovarsi con Gesù, nel riconoscere Gesù: “Lo riconobbero allo spezzare del pane”, o lo riconobbero dal miracolo “e non si attentavano a chiedere chi sei, perché sapevano che era il Signore”. Il dialogo lo vuole così: “Simone di Giovanni, mi ami tu?” e non si accontenta di un sì solo, del resto poteva far senza anche quel solo sì, perché il Signore sapeva tutto, “Signore tu lo sai”. Il Signore vuole sentirselo dire molte volte, perché la nostra vita è essere con Cristo e essere con Cristo non è dirgli una volta sola “ti voglio bene”, ma è costruire tutta la vita nel volergli bene, nel colloquio di grazia e di amore con Lui.

III MEDITAZIONE

CODICE 74DTR093
LUOGO E DATA 28/04/1974
OCCASIONE Ritiro spirituale tempo di Pasqua
DESTINATARIO Gruppo giovani
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Vita da risorti / Come pregare. La direzione spirituale sulla preghiera
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