I MEDITAZIONE
Per la nostra parrocchia è una Quaresima molto importante, perché preludia a una riforma radicale. Noi avremo Giovedì Santo ordinati i diaconi, quindi la parrocchia divisa in diaconie, quindi tutte nuove strutture che si andranno man mano affermando. Non è una piccola cosa. Vorrei che ce ne preoccupassimo molto. Finora non dico che non ci sia, ma non la vedo molto la preoccupazione. Vorrei invece una sensibilizzazione a livello profondo, ma ho pensato di non insistere in questo ritiro, anche se come obiettivo è il primo: ho pensato di non insistervi sia perché del servizio ha parlato il Vescovo nella sua lettera pastorale, che vedremo, sia perché nel dinamismo dei gruppi spero di poter, in questa Quaresima, agire, suscitare, porre un’accentuazione che rovesci sempre di più una mentalità.
Si tratta di fare una nuova pastorale. L’abbiamo un po’ fatta, ma senza il carisma dell’ordinazione e perciò senza particolari grazie: dovremo tener conto molto di quelle grazie, perché il Signore dà alla sua Chiesa attraverso i normali canali dei sacramenti e i nostri uomini che riceveranno quel sacramento ne riceveranno anche tutta la ricchezza.
Allora il fatto che avremo dei diaconi ci interessa comunitariamente, ma il discorso comunitario dev’essere portato anche a un livello individuale, dev’essere portato a quel livello perché bisogna sentire e vivere certe cose, bisogna provarle perché altrimenti la nostra azione insieme o diventa formale e vuota, o diventa sbagliata.
L’intento allora del nostro ritiro sarà quello di metterci in disposizioni adatte all’azione dello Spirito, perché la Quaresima è soprattutto la disponibilità alla sua azione: è tempo propizio, dice più volte la liturgia, propizio perché l’azione di Dio, che si svolge anche in una grazia del tempo, possa veramente spingerci ed occuparci.
“In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorchè il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Gv 3, 11-21).
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Ci dobbiamo fermare su quelle parole così piene di mistero: “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”, bisogna! La necessità nel piano di Dio che Cristo fosse crocefisso, che Cristo dovesse subire il disonore della croce, i tormenti dell’anima e del corpo.
S. Paolo più volte sottolineerà questo aspetto terribile della croce: il Figlio di Dio, la potenza di Dio, l’immagine della sua sostanza è appeso alla croce. “Ecco, io sono non un uomo, ma un verme”: nella sua profezia Isaia vedeva tutto l’assurdo, umanamente parlando, di questa condizione del Messia, l’assurdo, un assurdo che è scandalo, che è disorientamento per tutti quelli che hanno lo spirito del mondo è non hanno lo spirito di Dio, dirà ancora l’apostolo.
Noi abbiamo ogni anno il tempo della Quaresima per entrare in questo mistero che è mistero di umiliazione, è mistero di profanazione, il mondo che si scaglia su Cristo, che rifiuta Cristo. Entrare nella discussione del come noi praticamente accettiamo la croce, perché anche noi siamo gli uomini della croce, siamo gli uomini che dietro Cristo devono portare la croce. E anche per noi si ripetono le parole: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto”. L’assurdo lo dobbiamo portare anche noi, se siamo suoi, se vogliamo collaborare con Lui, se vogliamo anche noi far parte con Lui.
Perché il facile nostro scivolare? E’ tanto facile dalle altezze cui ci chiama la nostra vocazione scivolare man mano e non essere più nel nostro interno, nelle nostre scelte, nelle nostre relazioni, gli uomini della croce. E’ facile adattarsi.
Bisogna visibilizzare la parola che abbiamo ricevuto: la parola di Dio non va semplicemente accolta, non va solo meditata, non va solo predicata, ma si deve rendere visibile nella nostra vita. Nella nostra vita ci dev’essere piena questa manifestazione e questo viene come conclusione logica dell’accettare quella parola: “Il Figlio dell’uomo bisogna che sia innalzato”. In fondo è quello che dice S. Giovanni nella sua prima lettera:
“Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi)” (1 Gv 1, 1-2). Il messaggio che ci dà Dio non è principalmente un messaggio di ordine intellettuale, non ci insegna delle verità su Dio, ma ci insegna piuttosto chi è Dio, ciò che fa Dio, perché Dio entra nella nostra storia, perché noi lo dobbiamo conoscere visibilmente, cioè lo dobbiamo conoscere e visibilmente dobbiamo fare storia con Lui: dobbiamo tradurre nella nostra vita la sua vita.
Allora comprendiamo come sia necessaria questa apertura del cuore, questo ricevere Dio. Lo abbiamo meditato nell’Avvento e parlavamo della nostra povertà, di avere un’anima da poveri per potere accogliere il Signore. Ora diciamo che per essere veramente poveri bisogna essere crocefissi con Cristo.
La virtù della penitenza. Bisogna essere crocefissi, cioè accettare l’itinerario della croce, accettare le mortificazioni e le umiliazioni che portano alla croce, accettare quella sequenza di cose crocifiggenti che tutti i giorni spuntano, ecco qui, con un’anima disposta, con un’anima semplice, con un’anima che sa ringraziare, con un’anima che capisce il motivo della crocifissione, il motivo della croce che rende risibili tutte le potenze e le sapienze del mondo. “Tutto ritengo spazzatura” dice S. Paolo e una sola cosa mi dà modo di gloriarmi: la croce. Io mi glorierà della croce del Cristo, nella quale vi è la salvezza, vi è la vita.
La comprensione nasce dalla comprensione del piano di Dio; ce lo ha detto Gesù nello stesso discorso: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia “. Ecco, c’è l’amore, l’amore di Dio, quell’amore che, dice S. Paolo, supera ogni intendimento, quell’amore per cui Dio ha sacrificato suo Figlio per la salvezza dell’universo: “Non ha risparmiato – dice ancora la Scrittura – neanche suo Figlio”, e noi diciamo “neanche i suoi figli”, perché se noi vogliamo essere con Cristo redentori di noi stessi in una collaborazione piena e essere per il mondo, dobbiamo essere le membra di Cristo, ma di Cristo crocefisso. “Essi (quelli di Cristo) hanno crocefisso – dice S. Paolo – le loro membra con i vizi e con le concupiscenze”.
E’ necessario che ognuno di noi apprenda questa legge, una legge di amore: non si dà la vita che quando si è sulla croce, non si dà la vita se non si è con Lui nella sofferenze e nella penitenza. Cristo, il grande penitente, ci viene tutti i giorni presentato nella liturgia di Quaresima, chiama noi a penitenza, a una penitenza motivata dall’amore, da un amore grande per la gloria del Padre e per la salvezza degli uomini.
Noi abbiamo bisogno di essere disponibili fino in fondo: ecco la Quaresima nella sua multiforme attività, ecco la Quaresima a che cosa ci deve portare. Notate che questa penitenza, questo entrare con Cristo nel suo mistero dev’essere per noi motivo di gloria, come accennavo dalle parole di Paolo, dev’essere un motivo di ringraziamento. Spesso nella liturgia di Quaresima viene accennato a quest’aspetto: voi potrete in ogni Messa della Quaresima scoprire questa efficacia. Mi fermo a un prefazio di Quaresima (prima della riforma era l’unico prefazio, ora è il numero 4); in generale nella liturgia i prefazi svolgono il motivo centrale di quell’azione di grazia, il motivo centrale del rendere grazie a Dio. Il prefazio n. 4 dice con l’introduzione solita, ma che diventa insolita pensando alle parole che ci sono dopo:
“E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno. Col digiuno (più volte “digiuno” è messo al plurale, cioè la nostra penitenza, la penitenza con la quale ci mettiamo disponibili al piano di salvezza, all’attuazione della storia della salvezza) quaresimale tu vinci le nostre passioni, elevi lo spirito, infondi la forza e doni il premio, per Cristo nostro Signore”.
Notate, non è la nostra azione che vale, la nostra azione assurge a segno, cioè Dio ci invita a penitenza, ci invita ad entrare nei suoi disegni di salvezza e poi compie la sua azione. Col digiuno che noi gli offriamo fa i suoi miracoli: “Tu vinci le passioni, elevi lo spirito, infondi la forza e doni il premio”. E questo per Cristo nostro Signore, cioè attraverso Cristo, perché Cristo ci prende con se’.
Allora è logico: il nostro digiuno, cioè la nostra penitenza, diventa la materia che Dio adopera, la povera materia che Dio adopera, l’occasione con la quale Dio entra e salva, salva noi purificando, salva il mondo estendendo a tutte le anime di buona volontà l’azione della sua misericordia. “Nessun uomo si glori” dice l’apostolo: certo, nessuno di noi può gloriarsi di quel poco che fa, ma è Dio che celebra le sue meraviglie. “Cantiamo al Signore – diceva Mosè dopo il passaggio del mar Rosso – perché Egli ha operato cose meravigliose”. Ecco, quello che ha fatto, tutti i prodigi della Pasqua, Lui li ha operati perché è grande, noi dobbiamo solo innalzare a Lui la nostra riconoscenza e ritenerci i servi della sua gloria ricordandoci le parole del Signore: “Quando voi avete fatto tutto quello che avete potuto dite: siamo servi inutili”.
Quindi il senso della nostra penitenza, necessaria, forte, è per aprire la strada al Signore, perché i prodigi della nostra Pasqua possano completamente avverarsi. La Quaresima è tutt’uno con la Pasqua: s’inizia la Pasqua di salvezza e ogni generazione degli uomini ha le sue esperienze di Pasqua, ogni uomo collabora a questa Pasqua con umiltà è fervore.
Ecco, il senso della nostra Quaresima mi pare delineato così, delineato dunque in un renderci ben responsabili della nostra chiamata, proprio come diceva la Messa di questa mattina in S. Paolo: “Fratelli, sentite le vostra chiamata”. La nostra chiamata, questa nostra partecipazione alla sorte del Cristo. Quando Dio parla, agisce. Dio ha parlato in Cristo crocifisso, Dio agisce in Cristo crocifisso.
Vorrei perciò che la nostra disposizione fosse prima di tutto in quest’ordine: capire perché dobbiamo offrirci, capire il significato profondo della nostra oblazione, capire come la nostra vita non può essere una vita mediocre, verniciata in qualche modo per avere una certa apparenza, una certa dignità, ma la nostra vita dev’essere in una intensa comunione con Cristo, perché non c’è altro nome, dice sempre la Scrittura, in cui noi possiamo sperare.
Allora, in questa comprensione, il nostro spirito diventa più che è possibile simile allo spirito di Gesù. Allora la nostra umiltà nell’entrare in Quaresima, la nostra umiltà per cui, ogni giorno, valorizziamo ciò che il Signore ci manda: tutte le nostre preoccupazioni, tutti i nostri limiti, tutte le cose che ci mordono la carne o lo spirito, tutte le cose che insultano la nostra tranquillità, tutte le cose che ci impediscono quella pace troppo umana che desidereremmo. E’ la prima nostra penitenza, è quella penitenza che dobbiamo sapere sostenere attraverso la meditazione della liturgia, attraverso la meditazione particolarmente della Messa, della celebrazione eucaristica nella quale noi siamo viva parte, perché la Messa è la nostra Messa, cioè la celebrazione di questa nostra scelta con Cristo, di questa nostra perfetta adesione al suo piano, che è il piano del Padre: “Io faccio sempre la volontà di Colui che mi ha mandato”. E’ l’accettazione grande e terribile di essere un seme. Noi vorremmo già essere un frutto, vorremmo già aver ottenuto tutto, ma capiamo che la nostra scelta dev’essere la scelta di Cristo: ecco perché è grande, ecco perché è piena, perché diceva di Lui stesso di essere un seme e che doveva morire per dare la spiga.
Noi dobbiamo accettare di essere così nell’umiltà, nella scelta faticosa di ogni giorno: dobbiamo dare le nostre membra per il regno di Dio, perché venga la messe, perché venga la spiga. Ci è facile invece rifiutare e saremmo dei superficiali se non scendessimo in concreto, se non scendessimo a discutere proprio nei particolari la nostra vita. Questa è la scelta del nostro Battesimo, ma ci viene proposta particolarmente in Quaresima e si dice che bisogna ritornare ad essere catecumeni, cioè ogni anno bisogna rifare il nostro cammino.
Proprio in questo senso guardare quello che ci ha impedito fino ad adesso il nostro vero progresso, la nostra totale iniziazione, tutto quell’amore del nostro comodo e tutto quell’amore delle nostre idee, del nostro orgoglio che ognuno di noi sa bene quanto ha pesato, tutto quel peso di cose che davanti agli altri sappiamo abilmente mascherare, o che addirittura sappiamo camuffare come cose dignitose e buone, ma che davanti allo splendore della verità che ci dà Dio non possiamo negare. Dobbiamo guardare come abbiamo vissuto la nostra vita cristiana, quali le nostre speranze, quali le nostre aspirazioni, quale è stata questa traduzione pratica nei nostri doveri, dalla nostra pazienza al nostra lavoro, dalla nostra opera di apostolato alla vita di ogni giorno in famiglia. Come abbiamo fatto? Perché altrimenti la nostra Quaresima verrebbe a mancare del più, fosse solo chiusa in riti sarebbe estremamente povera.
La gloria di Dio deve manifestarsi in noi, deve manifestarsi perché per mezzo del Cristo, cui noi siamo uniti, gli angeli lodano la gloria, le dominazioni adorano, le potenze venerano con tremore: restare in questo spirito, guardarci fino in fondo, visibilizzare la parola attraverso l’accettazione di Cristo nella sua realtà di modello e di redentore.
Lo vogliamo seguire come modello proprio per seguirlo come redentore.
II MEDITAZIONE
Dicevo questa mattina che la Quaresima è data per un’esperienza totale di vita, per indirizzare la nostra vita, almeno per verificarne la marcia, per vedere ogni anno quello che è stato il cammino percorso e se ci siamo mondanizzati, perché il pericolo sta proprio nell’assorbire le cose del mondo, i principi del mondo, le teorie del mondo, la sequenza di cose che glorifica il mondo, per vedere cioè come salvare l’autenticità del nostro cristianesimo. Purtroppo abbiamo attorno a noi molte contaminazioni e, senza insistere su elementi di tragedia, dobbiamo dire che la Chiesa, anche attualmente, passa una prova molto dura.
Si richiede da noi un distacco, un lasciare irrompere la forza di Cristo, un lasciarci occupare da Lui, un lasciarci forgiare secondo quello che Lui desidera.
Il secondo elemento, perciò, mi pare che vada riscontrato nel desiderio di Dio, il desiderio della sua grazia, della sua presenza, il desiderio della comunicazione con Lui.
Spesso, voi lo ricordate, questo è raffigurato nella Scrittura con l’espressione molto plastica della sete e della fame.
Vorrei che riguardassimo un famoso salmo, vorrei che lo guardassimo per farne motivo del nostro itinerario quaresimale.
“Come la cerva anela ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela a te, o Dio” ( Sal 42).
Il primo elemento della preghiera sta nel non essere soddisfatti, nel non accontentarci, nell’essere inquieti di questa magnifica inquietudine di non riposare nelle cosucce di ogni giorno, nelle sciocchezze che troppe volte ci colmano. Questo stato che ci fa star male, come sta male uno che soffre la sete, il tormento della sete, questo perpetuo anelito a Dio verità e amore così ben raffigurato negli scritti di S. Agostino, è il primo elemento vero della preghiera. Il desiderio di Dio, il bisogno di comunicazione con Lui.
“La mia anima anela a te, o Dio”: colui che ha fatto la nostra anima per Lui è pronto a venire incontro, a venire con misericordia (abbiamo sempre bisogno di perdono), a venire incontro a noi e siccome il nostro spirito non riposa in nessuna cosa sensibile, non può riposare, non può essere contento, si muova verso di Lui. Da Lui parte l’invito (“non ti cercheremmo, o Signore, se tu non ci avessi già cercato” dice S. Agostino). Una sete che è Lui stesso che provoca, che è Lui stesso, solo Lui, che può colmare.
L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:
quando verrò e vedrò il volto di Dio?
Per volto, lo abbiamo osservato altre volte, si intende una relazione personalissima, come si parla a faccia a faccia con una persona e la si guarda negli occhi. La preghiera è anelito, ma è anelito di una relazione personale, intima, un tu a tu perché Dio, che è infinito, sa trovare le parole per noi e sa suggerirci le parole che vanno bene. Personalizzare molto la nostra preghiera: alle volte il difetto sta proprio in preghiere anonime, anonime perché non escono dalla nostra persona, ma dalla nostra consuetudine, anonime perché non si rivolgono a una Persona ben determinata di cui si conosce il volto, da cui si aspetta una parola viva per noi, per me, secondo le esigenze della mia persona, del mio momento.
Le lacrime sono mio pane giorno e notte,
mentre mi dicono sempre: “Dov’è il tuo Dio? ”.
Questo io ricordo, e il mio cuore si strugge:
attraverso la folla avanzavo tra i primi
fino alla casa di Dio,
in mezzo ai canti di gioia
di una moltitudine in festa.
Un terzo elemento della preghiera: è l’elemento speranza, perché la preghiera per noi creature, per noi figli di Dio è particolarmente speranza, speranza che asciuga le nostre lacrime, speranza che dà fortezza al nostro cuore.
L’elemento speranza vuol dire che in ogni preghiera il moto dev’essere dato dalla speranza, cioè noi dobbiamo attendere molto da Dio, essere ben sicuri che Lui ce lo dà, sapere che il Signore ha compassione da noi e non delude quelle che sono le nostre necessità. “Dov’è il tuo Dio?”. Noi dobbiamo essere il popolo di Dio, non siamo massa che si confonde in mezzo alla folla e non rappresentiamo solo un numero: ognuno di noi ha i suoi modi perché ha le sue particolari attese. La preghiera non dev’essere avulsa dalla vita, dev’essere un’espressione di vita, dev’essere proprio il modo per avere una ricchezza incredibile nella nostra vita.
Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.
In me si abbatte l’anima mia;
perciò di te mi ricordo
dal paese del Giordano e dell’Ermon, dal monte Misar.
Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.
La nostra preghiera si deve inserire in tutta la nostra giornata, dev’essere una preghiera di speranza, dev’essere una preghiera perseverante, dev’essere una preghiera che esce da tutta la nostra vita. Abbiamo molte volte peccato e forse basta un peccato, basta un mancare a certe scadenze che ci buttiamo giù e passiamo giorni e giorni, forse settimane e settimane scialbe, monotone, con delle formalità al posto delle preghiere, formalità ansiose di molte cose, preoccupate di tante altre e l’abisso delle nostre cose chiama un altro abisso che è un abisso di stanchezza, un abisso delle tante cose che ci frastornano. E passano i flutti e passano le onde, ma sono passati sopra di me: si resta come in un mare in tempesta.
La preghiera è perpetuo ritorno a Dio dalla miseria del nostro peccato, dalla nostra vita convulsa e dispersa in mille cose. Noi ci perdiamo se non abbiamo la preghiera, se non abbiamo in continuazione il richiamo della sua misericordia.
Io vorrei che meditassimo molto questa preghiera di perdono, d’invocazione di perdono, questa preghiera che sa superare l’abbattimento dell’anima, che supera la rassegnazione. Troppe volte siamo rassegnati ad essere mediocri, ad andare avanti da mediocri, a pensare da mediocri, ad agire da mediocri, ci sembra che le virtù grandi, che le grandi opere di Dio siano delle eccezioni date a personaggi del passato che emergono come un’eccezione. Ma la santità è per tutti, ma la santità non è solo un pieno di speranza: è un pieno di confidenza, anche quando abbiamo peccato, proprio perché abbiamo peccato, proprio perché non combiniamo niente tutti i giorni dobbiamo pregare.
Il tempo della Quaresima ci invita quindi a questa riflessione sulla nostra preghiera, soprattutto, dato il carattere della Quaresima, a questa preghiera di recupero, a questa preghiera che ci aiuta a rifare la nostra strada, perché molte sono le nostre fragilità e si abbatte l’anima mia, si abbatte perché “di te mi ricordo”, mi ricordo come dovrei essere, come tu vuoi che io sia, perché mi ricordo che tu mi chiami. Mi lascio sgomentare e non vado avanti.
Imparare la preghiera di confidenza è di somma importanza, è un ritmo che ci deve sempre essere, perché resteremo sempre dei poveri peccatori che hanno bisogno giorno per giorno di riprendere ciò che hanno fatto male, di rifare dei propositi che mille volte hanno infranto. Abbiamo bisogno di recuperarci.
Di giorno il Signore mi dona la sua grazia
di notte per lui innalzo il mio canto:
la mia preghiera al Dio vivente.
Dirò a Dio, mia difesa:
“Perché mi hai dimenticato?
Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico? ”.
Per l’insulto dei miei avversari
sono infrante le mie ossa;
essi dicono a me tutto il giorno: “Dov’è il tuo Dio? ”.
Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.
Vorrei che esaminassimo un altro aspetto fondamentale della preghiera, sulla quale abbiamo già insistito: la preghiera ascolto.
“Mi dai la tua grazia”: la preghiera è contemplazione, è accoglimento della parola, è sentimento di piena adesione a quanto Lui esprime in me, mi fa capire. Solo la preghiera così diventa un’inespugnabile fortezza, una fortezza meravigliosa, perché io vado via forte della fortezza stessa di Dio. La parola di Dio è l’azione di Dio: raccolgo la sua parola, ho la sua fortezza, la sua mirabile fortezza.
Troppo spesso le mie preghiere sono soliloquio. Ecco perché il nostro ascolto della sua parola è la vera nostra ricchezza, Il tempo di Quaresima è tempo di riflessione e di umiltà, è tempo di accoglimento in pieno di una parola che è salvezza, di una parola che è promessa. Si devono verificare in noi le parole di Amos:
“Ecco, verranno giorni,
- dice il Signore Dio -
in cui manderò la fame nel paese,
non fame di pane, né sete di acqua,
ma d’ascoltare la parola del Signore.” (Am 8, 11)
E’ molto bello, è molto bello: arrivare a verificare questa profezia.
“Allora andranno errando da un mare all’altro
e vagheranno da settentrione a oriente,
per cercare la parola del Signore,
ma non la troveranno.” (Am 8, 12)
Coloro che hanno respinto, coloro che si sono vanificati non la troveranno, ma noi la possiamo trovare perché siamo nella Chiesa di Dio e non dobbiamo andare da “settentrione a oriente”: noi abbiamo questa parola. Abbiamo solo da insistere perché possiamo accoglierla bene.
Torna qui l’altro versetto di Isaia:
“Così dice il Signore che ti ha fatto,
che ti ha formato dal seno materno e ti aiuta:
“Non temere, Giacobbe mio servo,
Iesurùn da me eletto,
poiché io farò scorrere acqua sul suolo assetato,
torrenti sul terreno arido.
Spanderò il mio spirito sulla tua discendenza,
la mia benedizione sui tuoi posteri;
cresceranno come erba in mezzo all’acqua,
come salici lungo acque correnti.” (Is 44, 2-4)
E’ sempre la stessa immagine che mirabilmente ritorna.
Sicché il tempo di Quaresima è una verifica del nostro spirito di preghiera e delle modalità che deve avere la nostra preghiera. Alle volte manca la preghiera, mancano gli spazi della preghiera, così affannati come siamo, alle volte manca il contenuto della preghiera perché manca questa disponibilità totale alla misericordia di Dio.
Una Quaresima di voi grandi è una Quaresima di grande recupero di preghiera. L’invito potremmo farlo con le parole stesse del profeta Isaia:
“O voi tutti assetati venite all’acqua,
chi non ha denaro venga ugualmente;
comprate e mangiate senza denaro
e, senza spesa, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro patrimonio per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me,
ascoltate e voi vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide.” (Is 55, 1-4)
Ecco, questa parola di Dio è per noi e il suo significato dev’essere applicato spiritualmente a noi, perché ci deve saziare una preghiera fatta meglio. Dobbiamo conquistare il gusto della preghiera, il cristianesimo è la religione della preghiera: noi non pregheremo mai abbastanza, noi non ascolteremo mai troppo il nostro Dio, noi non saremo ingrati nel non rispondergli, nel tirarci da parte.
Il Signore è nostra misericordia.
La riforma della nostra preghiera, riforma della nostra preghiera di contemplazione, della nostra preghiera di confidenza, della nostra preghiera di domanda, della nostra preghiera individuale, della nostra preghiera liturgica. E’ proprio la Quaresima che ci presenta i prodigi di una liturgia frutto di Spirito Santo.
Ecco, voi assetati venite all’acqua. Ed è così che possiamo meditare anche le parole di Zaccaria profeta:
“In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità.” (Zc 13, 1)
Se vogliamo la Quaresima è questa sorgente zampillante, quella sorgente zampillante in cui parla Gesù nel capitolo 4 di Giovanni, nel discorso alla samaritana:
“Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana? ”. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. 1Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere! ”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge? ”. Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. (Gv 4, 7-14).
Ricordate bene quello che dice Gesù sempre nel Vangelo di Giovanni:
“Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete.” (Gv 6, 35)
Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. (Gv 7, 37-38)
E’ molto bello riesaminare così la nostra preghiera, porre in seria discussione il nostro modo di pregare. Oh sì, dobbiamo vergognarci molte volte delle nostre preghiere, dobbiamo vergognarci; cito spesso le parole di S. Agostino: “piace di più a Dio l’abbaiare dei cani delle nostre preghiere”: la molestia, il fastidio dell’abbaiare dei cani è un’immagine molto eloquente.
Io vorrei che riesaminassimo la nostra preghiera, per vedere quanta stanchezza si annida dentro, quanta poca umiltà la contamina, quanta facilità di cercare noi stessi, quanta agitazione psicologica. La preghiera non è un’agitazione, non è una preoccupazione: la preghiera è un aprire il cuore a Lui. “Perché risuoni dentro di noi senza un suono e senza strepito di parole dica tutta la verità”: nell’aprire così il cuore al Signore c’è la vera felicità in questo mondo, l’anticipo del Paradiso si ha nella preghiera. La soavità della preghiera è la soavità più grande, da non confondersi con i sentimentalismi: la soavità della preghiera è la soavità del possesso nella fede di Dio, per averlo poi nella gloria.
Quindi insistere nel esaminare a fondo il problema del nostro pregare. Ricordate due passi dell’Apocalisse:
Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
Non avranno più fame,
né avranno più sete,
né li colpirà il sole,
né arsura di sorta,
perché l’Agnello che sta in mezzo al trono
sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi”. (Ap 7, 15-17)
“Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni! ”. E chi ascolta ripeta: “Vieni! ”. Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita.” (Ap 22, 17) e prima diceva: “Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque ama e pratica la menzogna!” (Ap 22, 15)
Ecco la visione meravigliosa di Dio, essere completamente con Lui, il vivere del tutto nella sua gloria.
Ecco, la Quaresima è preludio della risurrezione. La Pasqua è risurrezione di Cristo, è segno della risurrezione nostra.
III MEDITAZIONE
Questo terzo momento ha semplicemente un compito di suggerimenti pratici, non vuole proporre dei temi di meditazione bastando, o almeno dovrebbero bastare, quelli dati. Volevo semplicemente insistere su alcune cose.
La preoccupazione per noi dev’essere quella di tradurre le idee che abbiamo ricevuto dal Signore, o meglio, tradurre i movimenti che lo Spirito Santo ha voluto suscitare nel nostro cuore, perché non ci succeda d’essere ben persuasi e poi di non fare tutto quello che dobbiamo fare.
Vi ricordo solo delle cose che ben conoscete. Vi ricordo che la Quaresima è soprattutto una grande scuola nella liturgia, che ad ogni Messa di Quaresima abbiamo un tema ben particolare per la nostra riflessione: tante volte queste Messe quaresimali sono dei veri capolavori, hanno una ricchezza incredibile.
Perciò lo sforzo nella Quaresima di vivere meglio la liturgia, sia la liturgia della lode che la liturgia eucaristica. Non cercate delle altre cose: state nella liturgia. State nella liturgia perché è sostanziata di Sacra Scrittura, è sostanziata della parola dei padri della Chiesa e dei santi. Quindi insistete sulla liturgia.
C’è chi, direi tutti, ha la buona consuetudine delle lodi al mattino e della compieta alla sera: io insisto perché nella Quaresima ci siano i vespri. Sicché, verrebbero ad essere tre le ore da dire: lodi, vespri e compieta. Abbiamo l’esempio dei nostri candidati diaconi che già dicono l’ufficio di lezione e l’ora media, oltre il resto. Almeno insistere nell’aggiungere il vespro. Le lodi e i vespri sono le due ore principali.
Si è sempre detto che la famiglia è una Chiesa: che vi risuoni la lode: le lodi per partecipare pienamente al coro che la Sposa offre allo Sposo, il vespro in rendimento di grazie. Il vespro nella Quaresima ha sempre assunto una particolare importanza, proprio come la meditazione della sera. Quindi se lo potete dire insieme, marito e moglie, sarebbe l’ottimo, anche perché salmeggiare insieme dà tanta soavità ed è molto sprone, ma almeno farlo individualmente. Certo questo aspetto della preghiera insieme è un aspetto sempre di più da sottolineare. La famiglia trova il suo splendore, trova nuova carità, trova nuova forza nella preghiera insieme. Quando due sposi compiono il sacrificio di pregare insieme indubbiamente poi fanno un passo dappertutto. Il pregare insieme è benedetto dal Signore, è benedetto nell’ordine proprio della vostra vocazione. Vi siete sposati per vivere insieme, per andare insieme al Signore, per compiere la missione che Dio vi ha dato. Quindi se potete fare il proposito del vespro mi sembrerebbe un proposito fruttuoso.
La liturgia eucaristica, la stazione quaresimale di ogni giorno: vi fornisce la meditazione, vi dà l’unione con la Chiesa, vi dà la soavità dell’Eucarestia. La stazione quaresimale è una meta da raggiungere per tutti quelli che, molto occupati, sembrano voler dire alla Provvidenza: “senza di me tu non fai; non vedi come va il mondo se io non me ne occupo, se io non occupo tutti i miei minuti?” e il Signore ci dice: “coraggio, sappi trovare questo spazio: quanto più sei occupato e tanto più devi essere fedele alla tua Messa di quaresima”.
I suggerimenti sono quindi in quest’ordine: molta decisione nel voler trovare il tempo, possibilmente dare almeno uno sguardo perché sia facilitata la percezione e poi insistere perché venga, con gioia, come cibo di tutto il resto della nostra giornata. Da una sera all’altra vivere di parola di Dio. Vivere dei sentimenti progressivamente forti della Quaresima è proprio intendere la preghiera come ascesi, come sforzo, come generosità di lotta.
Quindi Quaresima è preghiera.
Poi la Quaresima è penitenza: parlavamo questa mattina in che senso la dovete comprendere. Traducetela in una penitenza spirituale: le penitenze passive, le cose contrarie che ci mette Dio e le purificazioni attive, quelle che noi stessi cerchiamo di mettere, con molta intelligenza e molta umiltà.
La liturgia delle lodi dice, prendendo il versetto dalla Scrittura: “Vivere sobriamente e piamente”, dove sobriamente s’intende nella scelta e piamente nel cuore col quale dare alle cose un giusto indirizzo di affetto. La nostra penitenza dev’essere amore. Penitenza fisica per quanto lo possiamo fare, il digiuno: ricordato tutti i giorni nella Quaresima questo macerarsi, questo macerare lentamente ma sicuramente il tegumento, la difesa che mettiamo all’irrompere della grazia di Dio.
Poi la Quaresima è carità, è bontà. La Quaresima dobbiamo sentirla come un esercizio di amore a Dio e perciò un esercizio di amore al prossimo. La carità della pazienza, la carità, direbbe S. Paolo, della longanimità, del saper essere così comprensivi, largamente comprensivi. La carità in tutti i campi della nostra vita: nel perdonare agli altri, nell’applicare l’umiltà nella nostra casa, nell’applicare la generosità nel nostro campo di apostolato.
Voi cercherete allora il vostro tracciato della Quaresima, sapendo che ogni giorno il Signore vi aiuta, perché ogni giorno il Signore dispensa incalcolabili doni alla sua Chiesa, di cui noi facciamo parte, perché maturiamo un po’ di più nella preghiera, perché maturiamo un po’ di più nell’amore a Gesù, perché maturiamo un po’ di più nel distacco da noi stessi e nella carità.
Io vi auguro una santa Quaresima, vi auguro una Quaresima che sia veramente principio di molta crescita spirituale. Perciò quando farete meditazione, non dico questa sera ma domani, tirate le conclusioni pratiche, tiratele da soli, tiratele col coniuge.
CODICE | 78AUR083 |
LUOGO E DATA | 29/01/1978 |
OCCASIONE | Ritiro spirituale quaresima |
DESTINATARIO | Gruppo adulti |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Motivo della nostra quaresima / la preghiera nella quaresima / Suggerimenti pratici |
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