08/05/1977 - Vespro V Domenica Pasqua

Sant'Ilario d'Enza, 08/05/1977
Catechesi al Vespro

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Parlavamo domenica scorsa dell’umiltà, contemplando il Cuore di Gesù saturato di obbrobri. Dicevamo che il discorso dell’umiltà è un discorso da farsi in profondità, perché il primo peccato degli angeli è stato un peccato di orgoglio, il primo peccato di Adamo ed Eva è stato un peccato di orgoglio, e nella storia di tutte le anime, che disgraziatamente si sono allontanate da Dio, c’è sempre l’orgoglio. L’orgoglio è il più grande male che affligge l’umanità, perché l’orgoglio porta alla ribellione a Dio, a non volere accettare le sue leggi, a costruirsi una propria strada, nel crederla migliore, nell’avanzare sempre dei diritti e mai dei doveri; e nella storia della nostra anima non faremo fatica a vedere quanti danni ci ha recato l'orgoglio, quante grazie ci ha sottratto. Nel grande cantico della Madonna è segnato, e lo cantavamo poco fa, è segnato il trionfo dell’umiltà e il castigo di coloro che sono superbi. Perciò l’umiltà interessa prima di tutto la nostra salvezza eterna; non si salvano che gli umili, quelli almeno che hanno l’umiltà essenziale. Interessa il progresso spirituale, progrediamo in tanto in quanto avanziamo nell’umiltà, perché ogni altro progresso è falso. Può essere l’apparenza che inganna gli uomini, ma davanti a Dio si progredisce nel bene, nei meriti, nella grazia, in proporzione dell’umiltà. E dicevamo che nemmeno la carità, tra di noi, può essere in qualche modo generosa se non c’è alla base l’umiltà. Ma che cos’è questa umiltà? L’umiltà è la vera cognizione delle cose, è la verità, è l’amore alla verità, quando vediamo Dio sorgente di tutti i beni, quando a Lui attribuiamo giustamente tutto il merito, quando non esaltiamo le nostre qualità quasi che fossero pregi nostri, quando rimaniamo volentieri quello che siamo, al nostro posto, senza pretendere di sopravanzare gli altri. L’umiltà è allora un vero equilibrio di verità e di amore, l’umiltà è un senso spiccato della nostra posizione creaturale e dei doni che il Signore ha sparso nel mondo e negli altri uomini. Ecco perché dobbiamo desiderare l’umiltà: per avere una visione vera e serena delle cose, per stare dove Dio ci ha messo, per lavorare a usare bene e a progredire in questo uso dei suoi doni, nel riconoscere negli altri ciò che Dio ha seminato. L’umiltà è allora veramente la pace del cuore. Molte volte si perde la pace solo perché non siamo umili, solo perché ci consideriamo quasi infallibili, proprio perché vogliamo che vadano avanti le nostre idee, non perché sono le giuste, ma perché sono le nostre. Ognuno deve confrontarsi allora con il Cuore di Gesù: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29). Queste parole devono starci sempre davanti “Voi mi chiamate Signore e Maestro - ha detto Gesù alla conclusione della sua vita terrena - mi chiamate Signore e Maestro e dite bene; se io allora, vostro Maestro e Signore, vi ho lavato i piedi dovete fare anche voi così”( Gv 13,13-14 ) e lavare i piedi vuol dire chinarsi, vuol dire inginocchiarsi davanti a uno, essere nella posizione del servizio. “Gli altri - ha continuato Gesù- quando sono capi, dominano e si fanno servire, ma per voi non sia così. Chi è più grande tra voi diventi come servo e chi presiede sia come uno che si dà attorno per servire” (Mc 10, 42-43). Ecco, sia il motivo della nostra meditazione, proseguendo quello che dicevamo domenica: il fervore del nostro mese di Maggio, un fervore che è farci guidare dalla Madonna verso la grazia dello Spirito Santo e dell’Eucaristia. Vorremo essere umili, per accogliere la grazia. La pioggia non si ferma sulle cime, ma si ferma nelle valli, chi si fa cima non raccoglie, chi si fa valle, l’umiltà, può raccogliere molto.

CODICE 77E7V01364N
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 08/05/1977
OCCASIONE Catechesi al Vespro
DESTINATARIO Comunità Parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI 23- Saturato di obbrobri
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