Sant’Agostino è passato alla storia come il “Dottore della grazia”; infatti ha formulato la dottrina sulla grazia attuale, che ha formato così, veramente in una maniera così profonda, così vera, che la Chiesa l’ha fatta sua. Molte volte le eresie sono un prodotto di quello che chiamiamo “razionalismo”. “Razionalismo” vuol dire ridurre alle proporzioni della ragione umana i misteri di Dio ed eliminare tutto quello che in qualche maniera eccede la ragione umana, l’intendimento umano. Al tempo di sant’Agostino c’era quel terribile razionalismo che era l’arianesimo, che voleva scartare dal mistero di Dio tutto quello che in qualche maniera non era chiaro secondo la ragione umana. Ora ne veniva un'altra delle eresie, formulata da un monaco che viveva a Roma attorno all’anno 400: questo monaco si chiamava Pelagio. Pelagio dava un’importanza totale agli esercizi ascetici propri del monachesimo e in questi esercizi poneva il valore della giustificazione umana. Diceva cioè, che l’uomo da solo può arrivare fino a Dio, da solo; ha l’esempio del Cristo: basta! La grazia, cioè quell’aiuto soprannaturale che Dio ci dà per fuggire il male e fare il bene, non è necessaria, è caso mai utile, necessaria no! Negava il peccato originale e diceva che il peccato non è possibile trasmetterlo; si può parlare di peccato solo in un senso personale. L’uomo perciò non è inclinato al male; l’uomo non ha una tendenza deteriore. L’uomo può, seguendo Cristo, raggiungere la vita eterna. Era errore, Gesù aveva detto: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5), era presunzione, l’orgoglio prendeva il monaco come un nuovo fariseo che confidava sulle sue opere, non sulla misericordia di Dio. Era, ancora, un rovinare tutto il valore grande, incredibile della preghiera. Sant’Agostino intervenne con autorità, ma lunga fu la lotta, perché sia il monaco Pelagio, sia il suo sostenitore di nome Celestio erano molto abili e la loro dottrina trovava facile esca nell’orgoglio umano, in quella che anche allora dicevano “la valorizzazione dell’uomo, dei valori dell’uomo”. Lunga fu la lotta, ma la Chiesa condannò con decisione e con molta luce (e sant’Agostino ne fu il principale artefice), formulò quella dottrina che sempre noi dobbiamo ricordare. Che cosa dice questa dottrina della grazia? Dice che la nostra salvezza viene solo dall’intervento di Cristo, un intervento soprannaturale. Cristo ci ha salvato sulla croce e la sua salvezza viene a noi applicata ogni momento. Da noi, non può nascere la salvezza: viene sempre da Cristo. Ecco perché ad ogni opera buona, è necessaria la grazia attuale; parliamo di grazia che previene. Non è per tua iniziativa che puoi convertirti, che puoi pentirti dei tuoi peccati; non nasce da te questo desiderio, se è soprannaturale: nasce da quella grazia che chiamiamo “preveniente”, che previene la tua stessa volontà. È lei che ti sollecita e ti dice: “Torna al tuo Signore” e te ne dà la forza. È evidente che parlando di “atti soprannaturali” ne vediamo già, fin dall’inizio, che non è possibile: superano le nostre forze, soprannaturali. Noi possiamo fare solo degli atti naturali. Durante la buona azione, è la grazia che ti accompagna e ti sostiene; se non hai la grazia, non realizzi, non ci arrivi in fondo. Anche a una semplice elevazione dell’anima nostra è necessaria la grazia. Questa grazia viene data per pura bontà del Signore; è una grazia che il Signore dà perché ci ama, è una grazia però che noi possiamo chiedere, e in un certo senso meritare. È una grazia che ci deve condurre fino all’ultima grazia, che è così grande che non possiamo nemmeno meritare: la grazia della perseveranza finale, cioè del morire in grazia di Dio. Siamo cioè ben poveri. La salvezza viene totalmente da Cristo. Ecco perché dobbiamo stare uniti a Lui, ecco perché il grande mezzo che ci è dato è la comunione con Lui, è la preghiera. Questa Quaresima non solo dobbiamo sottolineare i nostri impegni: dobbiamo particolarmente sottolineare gli aiuti che abbiamo: questa meraviglia della grazia. Chiedi molto, hai molto; chiedi tantissimo, hai tantissimo. Dio è infinita ricchezza e Dio dona, purché l’uomo resti nell’umiltà. E la preghiera è esercizio di umiltà. Vogliamo, nei momenti particolarmente difficili, ricordarci dell’importanza della grazia, perché, sostenuti, possiamo affrontare qualsiasi pericolo, qualsiasi tentazione; ma se ci fidiamo di noi stessi cadiamo anche alla più piccola di tutte le prove.
CODICE | 76D3V01344N |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario d'Enza, 04/04/1976 |
OCCASIONE | Catechesi Vespro V domenica di Quaresima |
DESTINATARIO | Comunità Parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | I Padri della Chiesa (S. Agostino) |
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