15/02/1976 - Vespro VI Domenica Ord

Sant'Ilario d'Enza, 15/02/1976
Catechesi Vespro VI domenica Tempo Ordinario

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Parlavamo della santità delle comunità apostoliche. Ben presto queste comunità si trovarono di fronte alla persecuzione, al martirio. Gesù aveva dato la consegna, non si meravigliavano; Gesù aveva detto: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Non si dà un discepolo superiore al maestro” (Gv 15, 20). Perciò, queste comunità hanno guardato con molta serenità e con molta forza alla persecuzione dei cattivi; i cattivi dico, cioè coloro che rifiutavano il messaggio della salvezza, il messaggio dell’amore e si ponevano in un odio. Gesù aveva sottolineato come chi agisce così lo fa perché istigato dal demonio, Gesù infatti aveva detto: sono i figli di Satana. Guardarono con serenità, non pretesero dei miracoli, non vollero dei privilegi; soffrivano tutti gli oltraggi, le calunnie più perfide, l’abbandono dei familiari, accettavano con serenità la perdita dei loro beni, i beni venivano confiscati, portati via; erano denunciati come cristiani da speculatori che volevano il loro beni. Lasciavano tutto mirando, come sottolinea la lettera agli Ebrei, mirando a qualche cosa di molto più grande: la loro eredità nel cielo. Patirono tormenti nel loro corpo fino alla morte. Sono molte centinaia di migliaia i cristiani morti nei tre secoli di persecuzione; un numero sterminato, di tutte le età, di tutte le condizioni. La spiritualità dei martiri è una spiritualità di amore. San Paolo aveva dato il tono, quando aveva detto: “Chi mi potrà separare dall’amore di Cristo? Né la fame, né la sete, né la spada, né la vita, né la morte, nulla mi può separare dal Cristo che amo” (cfr. Rm 8, 35). Perciò, la spiritualità del martire è spiritualità che vuol dare a Gesù quello che Gesù per primo ha dato. Gesù ha amato e ha dato il sangue: ecco, i martiri restituivano il sangue a Gesù. Una spiritualità basata sull’amore semplice, ma estremamente vigoroso: ha dato, io devo dare; ha amato, anch’io amo; si è sacrificato per me io mi sacrifico per Lui. Una spiritualità allora ricca di fede, ricca perché tornano le parole di san Giovanni: “Qual è la vittoria che vince il mondo? La nostra fede” (I Gv 5, 4). E nella fede erano più coraggiosi, erano più inflessibili di qualsiasi eroe che era stato esaltato nei secoli del paganesimo. Erano enormemente forti. Vi ricordate san Ignazio di Antiochia che scrive alla Chiesa di Roma, non per raccomandare la sua salvezza, ma per raccomandare che nulla facciano perché Lui sia preso via dalla condanna a morte. Veniva dall’Oriente e veniva a Roma per essere dato in pasto ai leoni nell’anfiteatro. Diceva Ignazio di Antiochia: “Lasciate che diventi frumento di Cristo e come frumento di Cristo io sia macinato dai denti delle belve per diventare il pane di vita nell’eternità”. Mesi di attesa, non solo serena ma entusiasta: l’entusiasmo del martirio. Hanno allora i martiri capito come tutte le cose di questo mondo sono meno che niente; le cose di questo mondo sono un sogno che passa: quello che resta, resta per l’eternità. E all’eternità guardavano con molta sicurezza, con molto desiderio; era una spiritualità di speranza, grande, meravigliosa. Ed era ancora una spiritualità di amore per il loro Dio e per i loro fratelli. Per il loro Dio, dicevo, nel guardare la croce del Signore: “O buona croce, – dice santa Andrea apostolo – o buona croce a lungo desiderata, tanto attesa, finalmente io vengo a te! Perché io possa essere come il mio maestro, steso così, perché anch’io possa unire le mie sofferenze alle sue”. Di amore per i fratelli, perché sapevano che il loro sangue era seme dei cristiani, perché sapevano che la Chiesa sorgeva così dal loro martirio. Ecco vorrei che noi ci ricordassimo sempre che siamo gli eredi dei martiri e che la nostra spiritualità fosse sempre sostanziata di tanta forza. Troppo poco vogliamo bene al Signore. Recentemente avete sentito il Papa: ha richiamato i cristiani a molta generosità; ha detto che i cristiani non possono essere dei tiepidi e dei fiacchi. Ecco, non siamo mai tiepidi; il Signore non ci ha ancora chiamato al martirio, ma in tante cose noi dobbiamo dare vera testimonianza. In tante cose, giorno per giorno, siamo chiamati a fare risplendere nella nostra vita la luce del Cristo. Non dimentichiamocene mai, soprattutto non siamo mai pigri.

CODICE 76BEV01335N
LUOGO E DATA Sant'Ilario d'Enza, 15/02/1976
OCCASIONE Catechesi Vespro VI domenica Tempo Ordinario
DESTINATARIO Comunità Parrocchiale
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Le prime comunità apostoliche: i martiri
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