Proseguiamo con la giaculatoria venticinquesima: “Cuore di Gesù, obbediente fino alla morte, abbi pietà di noi”. Ciò che ha stupito in modo singolarissimo le prime generazioni cristiane è stato questo: come in Gesù si assommavano delle cose apparentemente opposte, apparentemente contraddittorie. Gesù è chiamato il re della gloria, Gesù è chiamato ancor più l’immagine di Dio, l’immagine sostanziale di Dio. Gesù è il Verbo eterno di Dio dal quale è venuto tutto l’universo, e poi si dice: Gesù servo, Gesù umile, Gesù fatto come l’ultimo degli uomini. San Paolo dirà: “Egli si è annichilito, si è fatto obbediente fino alla morte di croce”. Come mai possono andare d’accordo queste due cose? Certo il Verbo di Dio non può essere obbediente, perché nella Santissima Trinità ogni Persona è uguale all’altra, uguale nella grandezza, uguale nella dignità, uguale nella potenza, perciò non possiamo parlare di obbedienza. Ma nel Verbo fatto carne noi parliamo di uno stato di obbedienza. Il Figlio di Dio è diventato il Servo di Dio obbediente, nelle cose anche più difficili e più tremende, si è fatto ubbidiente, anzi, proprio perché Lui è diventato obbediente e ha condotto tutta la sua esistenza nell’obbedienza, noi siamo salvi; noi siamo salvi per la sua obbedienza, noi siamo redenti dal suo sacrificio compiuto nell’obbedienza. E Gesù si presenta così, come nostro modello, si presenta così, come annientato, perché era venuto a farci capire l’infinita distanza che ci separa da Dio e come noi davanti a Dio dobbiamo essere ben consci del nostro niente, e in tutto tesi a fare la volontà del Padre. Il peccato per definizione è una disobbedienza, è una ribellione, è un'esaltazione della libertà come valore in se stesso. La redenzione ci portava a una vera cognizione della libertà. Gesù era perfettamente libero, l’aveva detto Lui stesso “Io posso porre la mia vita e non porla” (Gv 10, 17-18). Io posso! Ma il suo posso si è realizzato così che liberamente ha accettato la volontà del Padre, e il suo merito è stato proprio qui, non è stato costretto, ha fatto l’uso più grande, l’uso ottimo della sua libertà, ha condotto se stesso secondo la linea di Dio. Ecco allora una prima lezione, un concetto nuovo di libertà, che la libertà non è abuso, che la libertà non è disordine, che la libertà non è qualche cosa che debba servire alle nostre passioni peggiori; la libertà è dominio di noi stessi e in questo dominio ci dobbiamo condurre secondo la ragione e secondo la fede. La tentazione di un’autonomia sbagliata è sempre stata la più grande delle tentazioni e anche noi ne soffriamo: fare quello che ci pare, ma quello che ci pare in un senso deteriore, scapigliati, egoisti, in un disordine che segue disordine. Il Signore Gesù ci insegna che la nostra grandezza viene radicalmente dal sapere adoperare bene la nostra libertà. Noi dobbiamo essere intelligenti nell’uso della libertà, dobbiamo essere forti, dobbiamo saper scegliere sempre ciò che è migliore. Allora comprenderemo come l’obbedienza a Dio non è una cosa che umilia, anzi è una cosa che ci potenzia, è una cosa grande, è una cosa meravigliosa nei suoi frutti di bene. Ubbidire a Dio è regnare, ubbidire a Dio è far nostra la sua volontà, essere ricchi della sua volontà. Proponiamoci quindi di usare questa nostra libertà e di stimarla per quello che vale.
CODICE | 77L8V0133RN |
LUOGO E DATA | Sant'Ilario d'Enza, 09/10/1977 |
OCCASIONE | Catechesi al Vespro |
DESTINATARIO | Comunità Parrocchiale |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | 24- Obbediente fino alla morte |
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