Dicevo che quella seconda metà del quarto secolo, dal 340 circa al 400, è stata molto feconda. Abbiamo parlato dell’Oriente e ora dobbiamo parlare dell’Occidente dove ci sono due figure di altissimo piano. Ambrogio, vescovo di Milano, che lascerà un’impronta unica nella sua città, per cui anche adesso la Chiesa di Milano si chiama “Chiesa Ambrosiana” e hanno un rito diverso dal romano che si chiama anche lui ambrosiano. Tanto vale una persona, che lascia i segni per i secoli. Ambrogio era nato in Gallia, perché suo padre, romano, era là per incarichi politici. Cresce a Roma dove si forma alla cultura e allo stile romano. Poco più che trentenne, fu inviato a Milano come governatore e poco dopo che era a Milano venne a morire il vescovo di Milano, un certo Auscenzio, che disgraziatamente era ariano. C’erano quindi le due chiese a Milano: la chiesa ariana e la Chiesa cattolica. Alla morte del vescovo si azzuffarono perché i cattolici volevano un cattolico, gli ariani volevano ancora un ariano. Allora (ricordate che i vescovi erano eletti dal popolo riunito in chiesa) si riunisce il popolo e interviene con i suoi soldati Ambrogio per mettere quiete e far procedere con ordine le elezioni. Ambrogio fa un discorso nel quale raccomanda alla gente il buon senso, la pace, la calma. Finito il discorso si sente una voce che dice: “Ambrogio vescovo”: fu come un segnale perché tutti si misero a gridare: “Ambrogio vescovo”. Ambrogio non era neanche battezzato: era cattolico ma, secondo la consuetudine di allora, rimandava il battesimo. Si rifiutò dicendo di non essere neanche battezzato, ma il popolo insistette e allora lui si ricordò che l’autorità di Roma quando l’aveva inviato a Milano gli aveva detto: “sii un governatore buono: più di un governatore sii un vescovo.” Fatto sta che è costretto ad accettare e il 7 dicembre 374, Ambrogio aveva trentaquattro anni, si battezza e uno alla volta riceve tutti gli altri sacramenti finché è ordinato vescovo. Reggerà la Chiesa con tanto equilibrio, con tanta sapienza. I primi mesi si ritirò in silenzio a pregare e studiare, perché lui stesso diceva: “come faccio ad insegnare prima che a imparare?”. Il suo episcopato fu felicissimo, divenne praticamente la luce dell’Occidente, Seppe manovrare bene anche con gli ariani, con i quali ebbe anche contrasti duri, ma seppe condurre egregiamente le cose anche con l’imperatrice Giustina che era ariana. Restò famosa la sua indipendenza dal potere politico. Quando l’imperatore Teodosio, che s’avviava ad essere il padrone del mondo, si fermò a Milano sentì da Ambrogio quello che gli spettava. Teodosio che dominava tutto l’Oriente, manda un ambasciatore a Milano a dire che i cittadini di Tessalonica (attuale Salunicco) si sono ribellati a causa delle tasse, hanno fatto la rivoluzione, hanno distrutto la statua dell’imperatore e fatto molti danni. Allora Teodosio, che del resto era un imperatore valido, ebbe un momento di rabbia e diede l’ordine di punire in una maniera sbagliata. Quando è partito il corriere dopo un po’ di tempo si ricrede e manda un altro a disdire l’ordine, ma il secondo arriva troppo tardi: l’ordine era di far finta che fosse perdonato tutti, di fare grandi giochi nell’anfiteatro e quando il popolo era nell’anfiteatro i soldati uccidessero tutti quelli che erano nell’anfiteatro. Ne uccisero settemila. Quando arrivò la notizia dispiacque a Teodosio e la domenica dopo, tranquillo, con la corte, andò per andare a Messa. Ma non aveva fatto i conti con Ambrogio: Ambrogio lo aspetta sulla porta e gli dice: “No, tu non entri”. A quelli presenti viene la pelle d’oca, perché allora l’imperatore era il padrone del mondo. “Tu non entri!” e l’imperatore: “sinceramente mi dispiace, ho sbagliato: avevo mandato anche un corriere a disdire l’ordine, ma non è arrivato in tempo” e Ambrogio: “tu non entri in chiesa: tu deponi le tue vesti d’imperatore, ti vesti con un cilicio e stai fuori dalla chiesa a fare penitenza.” Teodosio andò indietro indignato, ma dopo ci pensò: mandò a chiamare il vescovo e disse: “dammi la penitenza che credi: accetto di farla”, e Ambrogio gli fece fare una buona penitenza, anche pubblica, perché lo sbaglio era stato pubblico. E’ rimasto famoso questo atto di resistenza al potere temporale. Ambrogio aveva una tale autorità, una tale statura, che indubbiamente seppe fare trionfare i diritti della Chiesa. La sua più illustre conquista però la ebbe nel 387, quando battezzò un professore venuto dall’Africa che si chiamava Agostino di Tagaste. Agostino di Tagaste fu indubbiamente il suo più illustre convertito. Agostino lo andava ad ascoltare non per convertirsi, ma perché gli piaceva l’eloquenza di Ambrogio: parlava bene, forbito, elegante. E Agostino c’è restato in trappola. Disgraziatamente Ambrogio morì relativamente giovane nel 397, il 4 aprile, la vigilia di Pasqua. Morì lasciando un segno e per gli scritti: lasciò molti scritti pieni di sapienza umana e cristiana per il governo, per la difesa della Chiesa, contro gli eretici, contro lo strapotere degli imperatori, contro i resti del paganesimo. Famoso il suo scritto “Adversus Simmacum”: contro Simmaco, famoso senatore pagano di Roma che voleva ottenere delle particolari concessioni. Ambrogio resta uno dei massimi padri dell’Occidente e di tutta la Chiesa. Agostino era nato a Tagaste in Numidia, l’attuale Tunisia, da un padre pagano e da una mamma cristiana, Monica. Siccome si rivelò presto per un ingegno formidabile, fu mandato a studiare (a Tagaste non c’era più nessuno in grado d’insegnare ad Agostino) al centro della regione, diremmo noi agli studi universitari, studio da retore, che sarebbe il nostro professore di filosofia. Era stato buono fino all’andata a Cartagine. A Cartagine arriva che è adolescente ed è travolto dagli amici cattivi, i quali lo iniziano a tutta la vita scanzonata e libertina che c’era anche allora. Era stato cresciuto da sua madre al cattolicesimo, alla pietà, ma a Cartagine perde tutto. Miete molti allori nel campo degli studi, diventa da studente a maestro, ma non è più lui. Allora, a un certo momento, vuole avere una giustificazione, perché era troppo intelligente: vuole avere una giustificazione a questo suo spaventoso declino nel peccato. Allora aderisce alla setta dei manichei. I manichei chi erano? Era una setta che intendeva spiegare soprattutto il problema del male. Del resto il problema del male è uno dei problemi che ha sempre crucciato tutte le menti. Se c’è un Dio onnipotente e buono, perché il male? Perché il dolore? I manichei lo risolvevano in una maniera popolare, chiara, semplice e dicevano: è chiaro perché, perché ci sono fin dall’eternità due principi, uno che è il bene che è Dio e uno che è il male che è satana. Sono in lotta tra di loro: dal principio del bene vengono tutto gli spiriti, lo spirito sta in alto e si eleva, e dal principio del male vengono tutte le cose materiali; questo mondo arraffato dove ci sono tutti i parassiti, dove ci sono le ingiustizie, dove una bestia mangia l’altra, questo mondo che è tutto un disastro non può venire che dal principio del male. L’uomo chi è, dicevano? E’ il risultato della lotta tra il principio del bene e il principio del male: il corpo l’ha fatto il principio del male e nella lotta contro il principio del bene ha preso le anime, gli spiriti, e le ha incapsulate nel corpo. Sicché l’uomo col corpo viene dal male e con l’anima viene dal bene. E’ chiaro che allora alcuni dei manichei tiravano una conclusione e altri un’altra: alcuni dicevano che il corpo bisogna mortificarlo per vincerlo e perché trionfi l’anima, mentre altri, più numerosi, dicevano che se il corpo è cattivo lasciamogli fare quello che vuole, quindi se gli lasciamo fare quello che vuole dobbiamo preoccuparci di tenere alto lo spirito. Capite bene che il principio veniva applicato soprattutto al sesto comandamento: gratta, gratta si va sempre a finire lì. S. Agostino, che pure era un uomo estremamente intelligente, aderì al manicheismo per sentirsi più libero e per spiegare le sue cadute che gli sembravano molto vergognose, ma se poteva dire “il corpo è essenzialmente cattivo e ho dovuto fare così…”. Però non era soddisfatto, racconta che non era soddisfatto e quando chiedeva spiegazioni a questi capi manichei, a questi vescovi manichei (c’erano anche dei vescovi nei manichei), non riceveva spiegazioni. Diceva che per nove anni gli dicevano di aspettare il vescovo Fausto, perché lui avrebbe risposto a tutte le sue obiezioni e quando si poté incontrare col vescovo Fausto rimase molto deluso: era un uomo piacevole, dice Agostino, diceva bene le cose, ma in sostanza non spiegava niente. Sicché, disgustato e ambizioso di una cattedra migliore di quella di Cartagine, viene a Roma e mette su scuola a Roma. Ma dopo un po’, siccome Roma non era più sede dell’impero (la sede stava a Costantinopoli e a Milano) allora va a Milano. A Milano (notate che con lui aveva una donna, non una moglie e aveva avuto anche un figlio da questa donna: quindi aveva una specie di famiglia) lo raggiunge anche sua madre, la quale, addoloratissima fin da quando si era pervertito a Cartagine, non desisteva di ricorrere a tutto quello a cui poteva ricorrere una mamma. I primi tempi Agostino gli interdiceva persino di stare a pranzo con lui, di tenerlo d’occhio ma niente da fare: lei piangeva, pregava e faceva penitenza. Lo raggiunge a Milano e Agostino, che era in crisi col manicheismo, dentro di lui sente nascere potente la fede. Però aveva le difficoltà morali, che in sostanza si riducevano al problema della donna che aveva con lui: se mi converto cosa faccio? E gli sembrava fosse impossibile, visto la vita dissoluta che aveva avuto fino ad allora, vivere la castità. Un giorno che si tormentava, nel giardino della sua villa passeggiava inquieto e udì una voce misteriosa che gli disse: “Prendi e leggi”. Sapeva che era solo nella sua casa, che non c’era nessuno. S’impressionò e smarrito si guardò intorno: vide un libro sotto un cespuglio e lo prese in mano. Era il codice delle lettere di S. Paolo ed era aperto nella pagina dove S. Paolo dice: la vita non sta nel mangiare, nelle ubriachezze, ma sta in Cristo. E’ il colpo di grazia; chiuse il libro e disse le parole che rimarranno famose: “Se ci sono stati dei cristiani e delle cristiane che ci sono riusciti, perché non ci devo riuscire io?”. Andò così a trovare Ambrogio e Ambrogio completa l’opera: quest’opera non era stata preparata solo dal lavorio interno della grazia, non solo dalle lacrime della madre, ma anche dalla predicazione di S. Ambrogio. E’ così battezzato da Ambrogio. Approfitterà della conversazione, dell’amicizia, della predicazione di Ambrogio, finché non gli venne il desiderio di tornare in Africa. All’atto del battesimo aveva mandato via la donna, l’aveva congedata e aveva tenuto il figlio. Col figlio e sua madre Monica s’avvia da Milano per imbarcarsi a Roma, a Ostia. A Ostia, nell’attesa della nave, muore la madre. Nel libro “Le confessioni” un’autobiografia, una delle prime autobiografie che siano state scritte, racconta la piissima morte di sua madre. Dopo averla sepolta s’imbarca per l’Africa. Durante il viaggio per mare gli morì il figlio, un figlio che prometteva splendidamente: Agostino è stato uno dei geni dell’umanità, ma disse di suo figlio, che suo figlio aveva un ingegno così splendido, che davanti a lui si sentiva uno scolaretto. Doveva essere indubbiamente un ragazzo molto intelligente. S. Agostino si ritrovò in Africa da solo e si ritirò nella sua città natale, Tagaste, dove visse una vita di preghiera e di penitenza, una vita monacale. Essendosi recato, per alcune sue faccende, a Ippona, è pregato dal vescovo di ricevere il sacerdozio: riceve il sacerdozio e viene fatto vescovo. Quando muore il vescovo d’Ippona, sarà proclamato vescovo della città e resterà sempre fino alla morte. La lotta di S. Agostino per la Chiesa è mirabile: mirabile sia la sua lotta contro i suoi ex compagni di fede, i donatisti e i manichei, sia contro le altre sette eretiche che s’affacciavano, sia contro i pelagiani. Chi erano i pelagiani? Prendevano il nome da un monaco chiamato Pelagio, che sosteneva che noi possiamo essere buoni e salvare la nostra anima senza bisogno della grazia di Dio, negava il peccato originale e diceva che l’uomo era capace di bene. Era monaco e si fidava molto dei suoi digiuni e delle sue pratiche ascetiche. Agostino, che diventerà il luminare del mondo di allora, li combatterà con la sua azione pastorale e soprattutto con la sua predicazione e i suoi scritti. Ha scritto tanto, che noi non riusciamo a leggere tutto ciò che ha scritto: una biblioteca intera, una cosa meravigliosa con acume di pensiero, una ricchezza di pensiero. E’ il grande maestro della teologia: in tutti i campi ha detto una parola somma e autorevole. Per la sua lotta contro Pelagio sarà chiamato “il dottore della grazia”. Venivano da tutte le parti della Chiesa da lui per consultarlo, per illuminarsi della sua dottrina. Del resto era sempre molto disponibile e viveva una vita molto penitente e molto semplice, perché viveva insieme con i suoi monaci una vita più d’asceta che da vescovo. Agostino morirà nel 430; morirà mentre la città era invasa dai Vandali. Nel 410, per una serie di circostanza (c’era Onorio, imperatore abbastanza inetto), abbiamo la caduta di Roma: la prima volta che i barbari conquistano Roma. Alarico conquista Roma, la devasta, la saccheggia in maniera veramente feroce il 24 agosto 410. Si rivelò un episodio, perché poi furono ricacciati, ma fu la capitale del mondo caduta in mano ai barbari. I Vandali erano venuti dal nord e arrivarono in Spagna, poi dalla Spagna passarono in Africa e lì stavano saccheggiando quelle contrade allora fertilissime e molto civili. Mentre ponevano l’assedio a Ippona, la città d’Agostino, Agostino morì il 28 agosto 430. Indubbiamente è uno di quegli uomini che bastano a rendere una posizione illustre a una città qualsiasi. Agostino è uno dei massimi geni del cristianesimo di tutti i tempi. Unì all’ingegno, alla cultura la virtù, la santità che gli permise di vedere le cose in Dio e gli permise quelle intuizioni che lo renderanno celebre. E’ molto moderno S. Agostino anche per noi che veniamo dopo di lui di sedici secoli. Vi consiglio di leggere qualche sua opera, cominciando dalle Confessioni.
CODICE | 82CBA103 |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza 12/03/1982 |
OCCASIONE | Adunanza |
DESTINATARIO | Gruppo S. Giovanni Bosco |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Storia della Chiesa IV e V secolo S. Ambrogio e S. Agostino |
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