17/12/1982 - Adunanza SG Bosco Storia della Chiesa I cavalieri. Le crociate MANCA PRIMA PARTE

Sant’Ilario d’Enza 17/12/1982
Adunanza

(…) Il suo superiore, nell’ultimo convento, gli aveva dato da mangiare per tutta la Quaresima dieci pani (che dovevano durare quindi quaranta giorni) e brocca d’acqua: alla fine della Quaresima c’erano tutti i pani e la brocca ancora piena. Stiamo parlando dell’opera della Chiesa per trasformare queste popolazioni semibarbare e violente. Abbiamo visto l’ultima volta come la Chiesa ha difeso, ed è costato tanto, il diritto alla libertà nella Chiesa, l’ha difeso perché era una grande sciagura questa investitura per l’anello e il bastone pastorale data dal potere temporale ai benefici ecclesiastici. C’è un altro aspetto che è sempre d’attualità: cos’ha fatto la Chiesa nel campo delle armi? Anche adesso, in proporzioni incredibilmente più vaste, abbiamo il problema della pace, il problema delle armi atomiche, il problema della libertà dei popoli. Questi barbari che si stavano lentamente incivilendo avevano il culto delle armi: l’uomo valeva in tanto in quanto era guerriero, in tanto in quanto sapeva maneggiare la spada. La legge delle armi soppiantava ogni altra legge. Anche allora la Chiesa predicava pace, predicava sospensione dei fatti di armi, predicava e insisteva per la tregua di Dio (sabato, domenica, le solennità, i tempi sacri): cercava di limitare gli spazi della guerra. E poi nobilitava l’uso delle armi: era di voga una consuetudine che veniva dai popoli del nord, popoli germanici, quella dell’iniziazione alle armi, della consegna delle armi. Un giovane arrivato a una certa età veniva chiamato, ed era chiamato dal suo capo, dal suo feudatario, dal conte, dal marchese, a far parte dell’esercito: si faceva una grande festa, perché era chiamato ad essere cavaliere. Gli veniva conferita questa qualifica, dopo un tempo di rodaggio, di esperimenti, di servizio, giunto a un’età sufficiente ed era dichiarato cavaliere: poteva portare la spada, poteva compiere le imprese. La Chiesa si inserisce e cerca di trasformare questa istituzione: la riforma ecclesiastica della cavalleria, per cui si dà alla cavalleria uno scopo santo. Il cavaliere deve promettere di essere leale e sincero, di fuggire ogni codardia, di essere disposto a soffrire ma non a recedere. Deve difendere la Chiesa, deve difendere i poveri, i deboli, i piccoli: ne farà giuramento per cui le armi non verranno più ad essere mezzo di oppressione e di ingiustizia, non verranno usate per la violenza, ma verranno usate per la gloria di Dio e per il bene dei fratelli. Il cavaliere passerà tutta la notte in preghiera, la notte che precede il conferimento, e giurerà davanti all’altare. Così un po’ alla volta essere cavaliere è vincolarsi a un regime di onestà, di lealtà, è educarsi a spendersi per le opere di carità e di bene. Quando uscirà cavaliere, il giovane sentirà di avere acquistata una maturità nuova anche cristiana. Ecco che vediamo queste opere che sorgono, queste imprese per le comunità deboli: insomma uno svolgimento di cose impensate. Ed era motivo di commozione, di entusiasmo, questi cavalieri consacrati attraverso la preghiera e attraverso un’investitura ufficiale rappresentano la mano forte della Chiesa, una mano, una mano che è per il bene, per la giustizia, che è contro ogni violenza. La cavalleria, che resterà fino alla rivoluzione francese, avrà momenti di splendore, avrà periodi di crisi, però gli statuti erano molto evidenti e molto chiari e l’opera della Chiesa era instancabile: le armi vanno usate solo per scopi chiaramente onesti. Così vedremo poi come saranno usate in quelle imprese che si chiameranno “Crociate”. Adesso vorrei che capissimo anche l’opera che la Chiesa fa in questo nostro tempo. I Papi, gli episcopati, lo vedete dalle cronache, sono impegnati nella crociata per la pace, tutti i Papi: la “Pacem in terris” di Giovanni XXIII ha avuto, e ha ancora, una risonanza enorme, Paolo VI non ha mai lasciato passare un giorno, come non lo lascia passare l’attuale, senza richiamare, senza scongiurare che gli uomini capiscano che una guerra adesso sarebbe un suicidio spaventoso, ci uccideremmo tutti, renderemmo la terra un deserto inabitabile. E siamo continuamente in pericolo: basta un equivoco, basta un pazzo per scatenare la guerra atomica. Quindi pregare per la pace non è solo un’opera buona: è un’opera rigorosamente doverosa, perché il pericolo è incombente. Non c’è bisogno di spendere delle parole perché possiamo riflettere: ogni volta che si prende in mano un giornale, vediamo quello che si propongono tutti, ma non è questione dell’opinione generale, quanto di quello che fanno quelli che comandano davvero. Perciò c’è proprio da invocare dal Signore molta grazia, molto giudizio, molto equilibrio. Si discute molto sui mezzi; io ho accennato alla preghiera, perché mi pare il più grande mezzo e credo meno alle manifestazioni, ai proclami, dove mi sembra che alle volte entri tanta retorica. C’è qualche altra cosa da fare sulla pace? Certo: essere uomini pacifici. “Beati coloro che sono i portatori di pace” da detto Gesù, perché è col nostro esempio che dobbiamo creare una mentalità della pace. Come allora la Chiesa per la cavalleria non ha posto posizioni impossibili, ma ha detto “volete usare le armi? Usatele, ma usatele bene. Volete usare le armi? Difendete dai violenti i poveri e i deboli!”, così anche adesso abbiamo anche noi la nostra responsabilità. Quando dicono “uno fa una crociata” sembra che faccia un delitto: diversi partiti laicisti hanno usato spesso questo termine dicendo a noi di non fare crociate; e anche molti cristiani hanno avuto paura di rispondere alle affermazioni che andavano di moda quando accusavano di fare una crociata per il divorzio, per l’aborto e ora diranno che si fa una crociata per le scuole cattoliche e per l’insegnamento della religione nelle scuole. Ma la parola “crociata” sono i laicisti che l’hanno intesa male: la parola crociata è una cosa della quale gloriarsi proprio nel suo riferimento storico. L’anno scorso parlavamo di Maometto e dell’espandersi dell’islamismo, come la guerra santa dell’Islam portò all’invasione di tutto il Medio Oriente, un’invasione terribile, che si accanì contro l’Impero Romano d’Oriente. Ora voi sapete come i mussulmani trattavano i cristiani che venivano a cadere nelle loro mani: o dovevano stare in condizioni di continua inferiorità e schiavitù o molte volte pagavano la fede con la vita. Così o ti convertivi o facevi quella fine. Sicché tutte le fiorenti cristianità del Medio Oriente, compresa l’Africa settentrionale, sono diventate popolazioni mussulmane. Ora, la Chiesa non poteva non sentire il gemito di questi figli, di queste cristianità sotto il giogo islamico, non poteva non sentirlo soprattutto per il gemito dei cristiani rimasti nei luoghi sacri, in quei luoghi sacri in cui ogni cristiano sente con più vivacità e con più forza la sua fede: Gerusalemme, il sepolcro di Cristo, Betlemme, Nazaret, tutta la Palestina per la quale era passato Gesù. Le crociate nascono da questo stato d’animo: non possiamo lasciare i nostri fratelli senza aiuto, non possiamo lasciare profanare e trasformare in moschee i luoghi più santi. Sicché, formatesi le cristianità in Occidente, venuta una relativa calma, i cristiani presero coscienza di una loro responsabilità. La scintilla che fece provocare questo incendio avvenne quando un gruppo di fanatici mussulmani bruciò una chiesa cristiana a Gerusalemme. Il Papa di allora, il beato Urbano II, nel concilio di Clermont, in Francia, nel Novembre del 1095, predicò su questo tema: bisogna aiutare i nostri fratelli d’oriente, bisogna avere la libertà di poter andare nei luoghi sacri senza il giogo oppressivo dei mussulmani. Il beato Urbano II predicò tanto bene che scoppiò un fervore incredibile, incredibile e per tutta la Francia, poi nei paesi confinanti, ci fu un entusiasmo travolgente: andiamo ad aiutare i nostri fratelli! Dio lo vuole! Al grido “Dio lo vuole” i vescovi, feudatari, borghesi, popolo minuto erano tutti unanimi: andiamo, andiamo! E questa marea travolgente fu difficile da contenere. E pur predicando la tranquillità dell’organizzazione, il Papa non riuscì a frenare quelli che, troppo ardenti, fidandosi solo dell’aiuto di Dio visto senza ponderazione, si lanciarono subito senza organizzarsi, senza criterio: una massa di popolo si è incamminato a piedi, con mezzi di fortuna. Mentre il Papa e i principi organizzavano un esercito regolare partì allora un numero rilevante di persone sotto la guida di Pietro l’eremita e si incamminarono lungo la strada dei Balcani per arrivare in Turchia: senza armi adeguate, senza aiuti logistici seminarono di cadaveri la loro strada e prima d’arrivare alla meta furono tutti distrutti. L’anno dopo partì l’esercito regolare: seicentomila fanti e centomila cavalieri. Partirono con le navi date dalle repubbliche marinare e dalle nazioni partecipanti. Partirono e quando l’imperatore bizantino li vide arrivare sotto Costantinopoli invece di animarsi e rallegrarsi si spaventò, perché temeva un sovrapporsi degli occidentali. Comunque cominciarono le battaglie e contro una potenza seria come avevano i mussulmani, alleati in vari sultanati, tra alterne vicende vinsero e conquistarono Gerusalemme nel 1099. Fecero un regno cristiano di Gerusalemme, fu proclamato re Goffredo di Buglione, un francese, e si riuscì a liberare le principali città sacre al cristianesimo. Si terminò vittoriosamente la prima crociata. Vedremo in seguito le altre. Una crociata, come vedete, che fu mossa da un autentico spirito di fede e di carità. Questo non vuol dire che anche allora ci fossero degli profittatori, di quelli che ne ricevettero un vantaggio economico: in tutte le cose, anche le più belle, l’egoismo umano entra e cerca di approfittarne. Io vorrei però che comprendeste come questo fenomeno della crociata fu un fenomeno che testimoniò come le nuove popolazioni venute dalla conversione dei barbari avevano acquistato di fervore e di generosità. Furono centinaia di migliaia di persone che immolarono la vita, la immolarono dopo aver lasciato la loro casa, il loro feudo, le loro comodità, il loro posto sociale, tanto che ci fu un cambiamento non indifferente nella composizione sociale. Queste persone allora rinunciarono ai loro beni, rinunciarono al loro prestigio, rinunciarono a quelle che erano le conquiste fatte dai loro padri per andare a liberare il sepolcro di Cristo, cioè per un motivo squisitamente religioso e per aiutare i fratelli. Si chiamarono crociati da due pezzi di stoffa rossa che mettevano sui loro abiti in forma di croce: crociati. Per stabilizzare poi la conquista fatta in Palestina vennero istituiti gli ordini cavallereschi: resteranno famosi i templari che troveremo poi in seguito. I templari partirono da molto spirito di povertà, infatti i due fondatori avevano un cavallo in due e nello stemma sono raffigurati così, ma in seguito non restarono in questa povertà e si corruppero. E’ un magnifico esempio, l’esempio che troppo spesso non viene capito, che anzi viene disprezzato e si parla dell’oscurità del Medioevo: non c’è nulla che è oscuro, ma c’è una fede che travolge, una fede che fa essere poveri, una fede che fa sacrificare gli affetti più cari. Questi soldati che andavano a morire lasciavano a casa le loro mogli, i loro bambini, tutto, ma ci andavano perché Dio lo vuole, cioè perché sentivano l’obbligo sociale di una azione di liberazione e di carità verso i propri fratelli. Noi dobbiamo meditare su questi esempi, perché il distacco doveroso dalle realtà di questo mondo è un distacco che noi seguiamo poco perché siamo troppo attaccati dalle cose e dai beni di questo mondo, siamo troppo attaccati e con fatica riusciamo a dare qualcosina ogni giorno. Distacco, distacco, mettere al servizio di Dio non dei frammenti, non delle cose superflue: mettere al servizio di Dio quanto noi abbiamo, quanto noi possediamo. Questi crociati che lasciavano piangenti le loro mogli e i loro bambini e sapevano che con molta probabilità non tornavano (dei seicentomila partiti ne sono tornati quarantamila o cinquantamila) hanno mostrato una generosità che è molto eloquente anche adesso. Se questa è oscurità ditelo voi. Per me sono esempi luminosissimi che danno tutto un giudizio su un’epoca, perché un’epoca che produce tanti uomini generosi o eroici è un’epoca che merita il massimo rispetto. E non era un fenomeno di élite: era un fenomeno popolare, era un fenomeno di tutta la gente, dai nobili ai poveri. Quindi io penso che dobbiamo vedere sempre un esempio da tradurre nelle nostre circostanze, nella nostra pratica vita, di noi che non viviamo più in mezzo a una popolazione cristiana ma che viviamo in mezzo a una popolazione che ha fatto la strada in dietro ed è diventata pagana anche se ha il battesimo. Chi di noi può suscitare un fervore religioso in mezzo a tutta la nostra popolazione? Adesso abbiamo il problema dell’evangelizzazione di massa. Il vescovo insiste perché in ogni parrocchia si faccia un corso di missione. Una volta le missioni si facevano molto semplicemente sulla comunità che educa, per cui nella comunità si trova anche la scuola: ecco la comunità che, investita della sua missione, dà ai suoi figli quanto è necessario senza bisogno che vengano delle persone con delle altre idee ad educare i nostri figli. Così la missione dovrebbe essere una missione non esogena, ma endogena, cioè che parta dal di dentro. La nostra missione di cristiani è quella di dare ai nostri fratelli che convivono con noi, nello stesso ambiente, nello stesso ambiente paesano: è a loro che dobbiamo dare l’evangelizzazione, rispettando le scelte degli altri. Sono persuaso che se le suorine vengono qui, saranno animate da tante buone intenzioni per poter fare del bene, ma non conoscono le persone, sono fuori dalla nostra mentalità, perché ogni paese ha una sua mentalità: è tutta un’altra faccenda. “Noi vi annunciamo la parola di Dio, quella parola che abbiamo ricevuto, che abbiamo meditato, che abbiamo gustato noi ve la diamo”, per cui il vicino non è un estraneo, perché vive con te, nello stesso palazzo, nello stesso condominio, siamo insieme e io porto quello che ho. La cosa potrebbe essere preparata bene dal mese di maggio, dove c’è già un certo lavoro. Non ne ho ancora parlato al consiglio pastorale, ma ve lo accenno: direi proprio che il gruppo dei grandi e delle grandi (le mamme sono più impegnate, ma c’è una fascia di ragazze che si può prestare a questo) si può impegnare in una missione giovanile, cioè sono i giovani quelli che annunciano la Parola. I modi e le forme bisognerebbe studiarle: bisognerebbe guardare via per via, quartiere per quartiere.

CODICE 82NGA103
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza 17/12/1982
OCCASIONE Adunanza
DESTINATARIO Gruppo S. Giovanni Bosco
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Storia della Chiesa XII secolo La Chiesa e l’uso delle armi: la nascita dei cavalieri La prima crociata
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