26/02/1982 - Adunanza SG Bosco Storia della Chiesa I Padri della Chiesa d_Oriente

Sant’Ilario d’Enza 26/02/1982
Adunanza

Quello che ci entusiasma è come nei periodi più difficili e più bui della Chiesa, Dio, nella sua ammirabile provvidenza, suscita dei grandi santi. Abbiamo ricordato le eresie, le cattiverie degli uomini, i litigi degli uomini, le angherie, ma la storia è fatta, la storia della Chiesa, soprattutto da questi grandi personaggi che hanno riempito il secolo della loro presenza, della loro dottrina, della loro santità. Restano patrimonio universale della Chiesa per l’orma che hanno lasciato e per gli scritti che hanno lasciato. Noi li chiamiamo i “Padri della Chiesa”. Alle volte, quando eravate piccoli e nella predica si parlava dicendo: “l’hanno detto anche i Padri della Chiesa”, potevate pensare chi erano questi Padri della Chiesa, della Chiesa vicina o della Chiesa lontana: i Padri della Chiesa sono dunque quei grandi personaggi, quei grandi santi, grandi per la loro dottrina, grandi per la loro azione, grandi soprattutto per la loro santità che vengono chiamati Padri, perché hanno allevato, se così si può dire, la Chiesa ancora relativamente bambina. Abbiamo trovato, parlandone la volta scorsa, quel colosso di lottatore che era Atanasio di Alessandria: la Chiesa ne fa la festa in maggio. Abbiamo ricordato come fu il difensore della divinità di Cristo. Atanasio amò Cristo con tutto il cuore, lo difese e non fu la sua una mania di lotta; seppe essere invitto perché credeva e amava Cristo e se difendeva la consostanzialità del Verbo col Padre, come resterà per tutti i secoli nel Credo, Atanasio lo venerava con tutte le sue forze e così lo presentava ai suoi fedeli. Atanasio fu vescovo per tanti anni, ma la maggior parte degli anni del suo episcopato li passò esule o ramingo o perseguitato. Non ebbe una tranquillità umana, ma ebbe un dono straordinario di fortezza e di eloquenza. Sono arrivati fino a noi vari suoi scritti, molto ricchi e molto precisi nella dottrina. Atanasio, che era già al concilio di Nicea nel 325, morì quarant’anni dopo e morì nella pace perché gli ultimi anni li passerà rispettato e amato da tutti e morirà nel suo letto, lui che non aveva avuto pace, nel 365. La più popolare delle sue opere, che si legge con tanto gusto, è la vita di S. Antonio abate. Muore nel 365 e intanto sorgevano degli altri grandi santi, perché c’era ancora bisogno. Tra i Padri orientali abbiamo tre figure molto luminose e che lasceranno anche loro un’impronta molto grande, soprattutto nella Chiesa orientale. Sono i cosiddetti tre cappadoci, dalla loro regione d’origine, la Cappadocia in Asia Minore: Basilio, S. Basilio Magno, detto Magno proprio perché grande, suo fratello S. Gregorio di Nissa e S. Gregorio di Nazianzo, suo amico. Se andiamo anche adesso in Oriente abbiamo molte basiliche dedicate a S. Basilio, molte, soprattutto è molto vivo nei monasteri, ad esempio nel monte Atos in cui c’è il grande monastero ortodosso, più che millenario, dove seguono ancora la regola di S. Basilio. S. Basilio nasce poco dopo il concilio di Nicea, nel 329, e si annuncia subito nella sua adolescenza con un ingegno vivacissimo. Dall’Asia Minore va a studiare ad Atene, che ancora teneva il centro degli studi in oriente. Compie gli studi classici, gli studi filosofici: diventa un uomo molto dotto. Tornato in patria poco dopo, si ritira in solitudine: diventa monaco. Però, a differenza di molti monaci che l’avevano preceduto, preferisce alla forma anacoretica la forma cenobitica, cioè preferisce vivere insieme agli altri monaci, fare un cenobio, un convento, piuttosto che, come allora in Oriente preferivano, ritirarsi in solitudine su una montagna, in una grotta, in una foresta, ecc. Lui preferisce il cenobio, perché dirà: se vivi da solo come fai ad esercitare la carità? Eserciterai tante virtù, ma se sei da solo come fai a esercitare la carità? Ora, la carità è molto importante, è il secondo comandamento. E ai monaci accorsi attorno a lui, attirati dalla sua scelta e dalla sua pietà, diede una regola, una regola molto sapiente e forte (che con i nostri gusti molli e delicati definiremmo durissima), che rappresentava un capolavoro di saggezza, che resterà per i secoli la regola fondamentale per i monaci orientali, regola fondamentale anche adesso. Non lo lasciarono molto in solitudine: nel 370 lo fecero vescovo della sua città natale: Cesarea di Cappadocia. Lo costrinsero, perché non ne voleva sapere. Come vescovo fu un faro, sia per la lotta persistente contro gli ariani, sia contro altre eresie che pullulavano un po’ come i funghi in quel quieto Oriente greco-bizantino. La mania del sofisma era una mania propria dei greci. Scrisse notevoli opere contro di loro in affermazione della fede, resistette alle pressioni dell’imperatore del tempo, Valente, con intrepido coraggio. Diceva: “Mi si minaccia, ma di che cosa mi si può minacciare? Se mi minacciano della confisca dei beni, ho i vestiti che indosso e pochi libri e null’altro; se mi minacciano di morte sono molto lieto d’andare in Paradiso. Di cosa posso aver paura?” E resistette all’imperatore a faccia a faccia, tanto che il grande imperatore d’Oriente si stupì e disse: “Mai nessuno mi ha parlato così” e Basilio: “perché non hai mai incontrato un vescovo”, volendo dire un vero vescovo. Una figura di una dirittura morale, di una schiettezza, di una saggezza e di una chiarezza di pensiero unica. Non solo era ammirato dai cristiani: anche i pagani lo veneravano. Peccato che faceva troppa penitenza, diremmo noi, perché morirà, consumato dalla sua ascesi, dalla sua penitenza, dalle sue privazioni, dal suo apostolato, non ancora cinquantenne. E’ il secondo padre della Chiesa che appare: Basilio. Il terzo, Gregorio, è un grande oratore. Studioso come il suo amico Basilio (erano amici strettissimi, condiscepoli degli studi ad Atene), Gregorio è un oratore fecondo, meraviglioso anche adesso nel leggere i suoi discorsi. Lo vollero, dopo che anche lui viveva una vita molto ritirata e molto ascetica, vescovo niente che meno della prima sede vescovile di allora dell’Oriente, la seconda Roma: Costantinopoli. E’ lì a Costantinopoli, nel 381, che avviene il secondo concilio ecumenico, quello che sanzionò definitivamente la formula del Credo: ecco perché chiamiamo il Credo della Messa miceno-costantinopolitano, cioè fu allora che la formula assunse la precisa stesura che abbiamo adesso. Da allora questa stesura è restata intatta. Anche Gregorio di Nazianzo scrisse pregevolissime opere, che si leggono con molto profitto anche adesso (se lo volete leggere farete bene). Non durò molto come vescovo, perché non sostenne molto il viluppo degli intrighi che si facevano nella città imperiale: intrighi di corte, intrighi di vescovi e cortigiani, intrighi di ministri. Era una tribolazione continua di cose mondane non adatte certo al gusto di Gregorio che era un gusto di cose schiette, sincere, limpide, amico della preghiera e della solitudine. Quando vide che tramavano addirittura per allontanarlo da vescovo (era troppo austero, troppo incorruttibile) fu lui stesso che disse: non mi volete? Io vado: piantò lì tutto, non prese dietro nulla e se ne andò. Anche lui è una magnifica figura di vescovo santo, studioso della Scrittura, ammirava molto Origene, ma non ne prese le deviazioni. Il terzo padre della Cappadocia era il fratello di Basilio, Gregorio, vescovo di una piccola cittadina della Cappadocia chiamata Nissa, per cui è passato alla storia col nome di Gregorio Nisseno. Dei tre, è il più acuto come ragionatore, il più filosofo e lasciò anche più opere. Più che come figura di vescovo, lo abbiamo come teologo, come sicura indicazione di quella che era la precisione della dottrina affermata a Nicea e a Costantinopoli e non ancora ben accettata dappertutto. Gregorio di Nissa è stato definito da un concilio “padre dei padri”, tanto lo si venerava e per la sua dottrina e per l’abbondanza e la dovizia dei suoi scritti. E’ grazie a questi padri che abbiamo la luce in mezzo alla tempesta. L’altra volta abbiamo visto il dilagare dell’eresia ariana, che, come dicevamo allora, è stata più estesa e più pericolosa della stessa eresia protestante-luterana, perché, come esclamava S. Girolamo, “una mattina il mondo si svegliò e s’accorse d’essere ariano”, cioè immerso in una dottrina che era la stessa totale negazione del cristianesimo vero, tanto gli animi s’erano corrotti e accecati che dopo il conciliabolo di Rimini sembrava che non ci fosse speranza. Questi santi hanno permesso alla Chiesa di vincere. In fondo è la santità quella che è decisiva. Perché è la santità? Perché la Chiesa non è retta da uomini: è retta e governata dallo Spirito Santo e i santi sono quelli che più accolgono l’impulso e la luce dello Spirito Santo. I santi sono quelli che più capiscono Cristo, perché più gli sono vicini, sono quelli che continuano la testimonianza vera. Certo, lo Spirito Santo suscita, lo Spirito Santo corrobora, lo Spirito Santo sostiene, ma non esime dalla volontà, dall’industria e dal sacrificio umano e questi santi hanno dato quanto potevano dare, ma illuminati, ma guidati, ma sorretti. Hanno fatto un incalcolabile bene al loro secolo e a tutti i secoli della Chiesa, perché i Padri sono i testimoni della tradizione e quando in teologia si discute sulla dottrina è un argomento molto valido la testimonianza dei padri. Quando si può dire: “questo l’hanno sostenuto i Padri della Chiesa”, è un argomento molto decisivo. La santità è un dono ed una conquista. I secoli tacciono su migliaia di mediocri, di mezze figure, vescovi e non vescovi, tacciono, o possono anche porre la censura a tutti quelli che in qualche maniera hanno lasciato penetrare l’errore o ci sono caduti dentro, ma ricorda queste figure meravigliose, queste magnifiche rinnovazioni di Cristo, perché nel volto dei santi vediamo il volto di Cristo. E noi dobbiamo sempre di più valorizzare le figure degli autentici santi. In quell’epoca c’era anche un altro Padre della Chiesa, in Palestina; era un santo famoso per le sue catechesi, S. Cirillo di Gerusalemme, vescovo a Gerusalemme: le sue catechesi preparavano soprattutto al battesimo e all’Eucarestia. Abbiamo delle bellissime pagine sull’Eucarestia. Questi Padri hanno fatto progredire la dottrina, l’hanno fatta rendere più chiara, hanno ammaestrato. Per cui qual è il rimedio a tutti i mali della Chiesa? Che vengano molti santi, molti santi. Noi andiamo male, per tante ragioni: ecco perché dobbiamo avere molta confidenza che Dio susciti questi grandi santi anche nella Chiesa di oggi, grandi santi tra i Papi, tra i vescovi, tra i preti e tra i fedeli, tra i laici. L’ultimo Papa santo è stato Pio X, che era diventato Papa, cardinale Giuseppe Sarto, patriarca di Venezia, nel 1904 e restò Papa fino al 1914. Ma, voi lo sapete, che anche per gli ultimi Papi c’è intensa considerazione, venerazione e sono iniziati i processi, cioè le discussioni, sulla loro santità: Pio XII e Giovanni XXIII. Se come un tempo i santi fossero fatti a voce unanime indubbiamente Papa Giovanni sarebbe già sull’altare, perché ha riscosso molta venerazione: dovremo aspettare degli anni, perché la Chiesa procede molto lentamente, ma penso che voi lo vedrete sugli altari. Adesso, mentre viviamo, io penso che ci siamo dei santi: non li vediamo, forse li stimiamo solo come personaggi umani e Dio invece suscita in loro la santità. Del resto noi, che abbiamo vissuto fino a questa età, abbiamo già visto qualcuno che è un fama di santità. Bisogna però che ognuno di voi voglia diventare santo: pensate come sarebbe bello che tutti noi diventassimo santi, non per avere il titolo di santi, ma per fare del bene. Se sono diventati santi loro possiamo diventarlo anche noi. La santità è una cosa facile e difficile: è facile perché il Signore chiama tutti ed è difficile perché i nostri difetti e le nostre miserie ci tengono molto agganciati a terra. Però un po’ alla volta, un po’ alla volta… Io non so se sarà proclamato santo dalla Chiesa, ma penso che monsignore Beniamino Socche sia un vero, grande santo: io che ho avuto la fortuna non solo di conoscerlo, ma di vivere un qualche tempo con lui posso dire che è proprio un vero, autentico santo. Aspettiamo solo che vengano raccolti tutti gli scritti, che la devozione nel popolo cresca, che avvengano, volesse Dio, dei miracoli. Beniamino Socche è morto nel gennaio del 1965. Allora contro ogni logica umana chi risolve i grandi problemi sono i santi e non i politici, non ancor meno i mestatori, i tragattini, gli oppressori: sono i santi. Dobbiamo avere molta fiducia nella santità.

CODICE 82BRA103
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza 26/02/1982
OCCASIONE Adunanza
DESTINATARIO Gruppo S. Giovanni Bosco
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Storia della Chiesa I padri della Chiesa d’oriente del IV secolo
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