05/03/1982 - Adunanza SG Bosco Storia della Chiesa I Padri della Chiesa IV e V secolo

Sant’Ilario d’Enza 05/03/1982
Adunanza

Vogliamo terminare il discorso sui primi padri della Chiesa, ricordando una magnifica figura: Giovanni di Antiochia. Ricordiamo la data di nascita e la data di morte per dire in quale periodo preciso si è innestato: è nato a Antiochia nel 344 ed è morto nel 407. Ai posteri è passato come Giovanni bocca d’oro: Giovanni Crisostomo. Il nome non vi è ignoto perché ancora spessissimo è citato sia per la sua grande eloquenza (non per niente i contemporanei lo chiamarono “Bocca d’oro” ed è passato così alla storia), sia per la sua magnifica figura di vescovo perseguitato e di santo. I primi anni Giovanni li ha vissuti nella sua città col desiderio di farsi monaco, ma, impedito, crebbe così in una austerità di vita, in una sincerità di vita magnifica. I contemporanei ci parlano della sua estrema schiettezza, della sua onestà, della sua ascesi, ci parlano di Giovanni che pur avendo dei beni si diede alla carità e i suoi beni li impiegò nell’aiutare i poveri, numerosissimi all’epoca. Libero da intralci famigliari che aveva, si ritirò in solitudine per alcuni anni: studiò e pregò, ritirato così nella più completa solitudine. Fatto sacerdote, si dedicò soprattutto alla predicazione e abbiamo anche adesso parecchi volumi dei suoi discorsi, discorsi belli, incisivi, forti. Non è un eloquenza speculativa soprattutto, è un’eloquenza pratica, che tocca il cuore, che presenta le soluzioni del Vangelo. Fu un banditore della carità cristiana, fu un entusiasta assertore della vita comunitaria, dei beni in comune. Alla corte di Bisanzio la sua fama lo fece scegliere per la designazione ad arcivescovo di Costantinopoli, ma era impossibile ottenerne il consenso: non ne voleva sapere di cariche e di onori. Allora, con una scusa qualsiasi, lo chiamarono a Costantinopoli, lo fecero salire su un carro e volente o nolente lo condussero là e là il popolo, come usava allora perché il vescovo, pur designato dalla corte, era acclamato dal popolo, per acclamazione lo fece arcivescovo. La sua dirittura, la sua azione pastorale forte ed energica non cambiò, diventato arcivescovo, anzi si intensificò. Era contro il vizio, contro qualsiasi vizio, contro qualsiasi abuso, sia che venisse commesso dall’imperatrice o dall’imperatore, sia che lo facessero i cortigiani o i potenti. Abbiamo ancora le omelie quando attaccava i potenti in Chiesa e diceva: “Le vesti di seta coprono ladri e adultere. Le vostre vesti di seta non vi coprono davanti a Dio…” e così via, delle reprimende terribili. Naturalmente l’entusiasmo di quei ceti calò alla svelta e allora c’era il problema di farlo tacere mentre tutto il popolo era entusiasta del suo vescovo, perché difendeva i poveri e gli oppressi, quelli che erano ancora schiavi. Il popolo ne era entusiasta e la basilica si riempiva all’inverosimile solo che lui apparisse. Allora tentarono (le mire politiche di allora) di screditarlo come supposto eretico e misero sotto le rivalità di altri vescovi, soprattutto di un patriarca orientale passato con luce sinistra alla storia: Teofilo, vescovo d’Alessandria d’Egitto. Tanto fecero che riuscirono a radunare un conciliabolo e riuscirono a condannarlo come supposto eretico, accusandolo di cose incredibili, assolutamente contrarie a lui, e lo deposero. L’imperatore allora si chiamava Arcadio: era un tipo debole, in preda alla corruzione della corte. Sua moglie pettegola e ambiziosa, incredibilmente intrigante si chiamava Eudossia: il nome era la negazione di quello che era lei, infatti “doxa” vuol dire opinione e “eu” vuol dire bene, quindi si chiamava buona opinione, persona di buona opinione. L’imperatore aveva provocato l’ultima disgrazia: avevano fatto grandi feste in onore dell’imperatrice e avevano fatto in piazza un monumento d’argento per l’imperatrice. Puntualmente Giovanni, nell’omelia successiva, disse che era meglio adoperare quell’argento per fare delle cose più giuste per un cristiano e non per un monumento a una che era ancora viva. E con la sua brillante oratoria fece scoppiare dal ridere tutti e mise in ridicolo il fatto. Fu condannato all’esilio e fu condotto via dalle guardie per portarlo in esilio: la cosa fece scoppiare una rivoluzione. Il popolo insorse violentemente contro la corte e l’aristocrazia, un tumulto che minacciò di sommergere la corte perché il popolo era scatenato: dovettero richiamarlo alla svelta e tornò in trionfo, riprendendo la sua posizione di preghiera, di azione pastorale, riprese la sua azione di vero sacerdote, di santo. Ma ancora non perdonò i vizi e tre anni dopo, ancora per gli stessi intrighi, fu rimandato in esilio. L’imperatore fece venire la truppa per tener fermo il popolo e fu mandato in esilio. Dall’esilio Giovanni si appellò al Papa: già ci si appellava al Papa e siamo agli inizi del 400. Il Papa diede ragione a Giovanni, ma il suo intervento andò a vuoto. Giovanni, che era stato mandato in esilio nell’Asia minore, attirava un pellegrinaggio incessante alla sua prigione, sicché si spaventarono e, oltre a trattarlo male (gli fecero tutte le angherie possibili), fu portato più a nord, verso quella che ora è chiamata Crimea, ma durante il viaggio morì di stenti. Morì nel settembre del 407 e le ultime parole della Bocca d’oro furono: “Gloria a Dio in tutto”. Magnifica figura! Vi auguro di leggere le sue omelie che sembrano, anche nel modo di periodare, molto moderne, molto vive, molto interessanti. Giovanni bocca d’oro è considerato come uno dei massimi oratori del cristianesimo. Indubbiamente per molti secoli nessuno lo ha uguagliato, certamente non l’ha superato nessuno, perché ha una vivacità d’immagini, un periodare, un accostare gli argomenti che rappresentano proprio un’arte magnifica, un’arte nella quale c’era la gioia di un santo, il cuore di un santo. Facciamo festa ancora per lui ogni anno nella Chiesa cattolica universale: ricordiamo questo umile ma fortissimo assertore della giustizia del Vangelo, della giustizia sociale, assertore forte contro tutte le ingiustizie. E’ molto, molto grande la sua figura. Allora è la figura più eminente di questo tramontare del IV secolo e di questo inizio del V secolo. Vedremo la prossima volta chi c’era in Occidente: in Occidente c’erano due grandi figure, cioè Ambrogio di Milano e Agostino di Tagaste. Su questo ci fermeremo perché meritano un lungo discorso. Voleva questa sera fermarmi un momento, dato che parliamo di Oriente, sul fenomeno monachesimo che si sviluppa straordinariamente in questo tempo in Oriente, mentre l’Occidente è più tardivo: il fiorire del monachesimo in Occidente lo troviamo un secolo dopo. In Oriente c’era un grande fiorire di monaci. Cominciano ad apparire i primi monaci anche durante le persecuzioni. L’altra volta abbiamo accennato a quello che è considerato il primo eremita santo di fama mondiale: Paolo. Viveva in Egitto e andò a vivere in solitudine durante la persecuzione di Decio, cioè circa nel 255, 258. Ebbe come discepolo S. Antonio abate, che abbiamo ricordato parlando di S. Atanaio. Paolo, primo eremita, restò nel deserto, nella penitenza, in questa dimostrazione straordinaria fuori ruolo di ascetismo, fino al 340: notate, dal 255 (o 258) fino al 340. Morì che aveva centotredici anni. Era salito in Egitto, aveva trovato due o tre palme con una fontanina e lo ritenne per lui sufficiente: le palme davano i datteri, con le foglie si faceva i vestiti. Tre palme e una fontana: risolto il problema fino a centotredici anni! Pensate alla nostra società, così affannata… Le caratteristiche del monachesimo orientale di quest’epoca sono sottolineate da molta asprezza: questi monaci facevano una vita così aspra, così dura che è incredibile; dovevano certamente avere un’asprezza fisica che noi certamente di gran lunga ignoriamo. Asprezza fisica, molta preghiera e anche delle forme che, perlomeno a noi, sembrano strane, ma allora destavano solo ammirazione. Abbiamo dei punti, direi, d’irradiazione di questo monachesimo: 1. Nell’alto Egitto, soprattutto in quella che era chiamata la Nitria, una regione dell’alto Egitto desolata, semideserta, in parte montagnosa. Il sale la rendeva priva di vegetazione. Abbiamo dei santi, abbiamo delle moltitudini di monaci: in queste piccole valli della Mitria c’erano tremila, diecimila, quindicimila monaci che vivevano soprattutto una vita di umiltà e di lavoro. Si dedicavano alla tessitura e si dedicavano alla coltivazione negli spiazzi in cui era possibile. Noi immaginiamo che questi monaci stessero lì a guardarsi con le mani in mano: niente di più falso. Avevano una regola molto precisa che stabiliva a tutte le ore quello che dovevano fare. Per esempio l’ufficiatura, la preghiera: nel monastero di S. Pacomio non poteva entrare chi non sapeva a memoria tutto il salterio, visto che allora non c’erano i libri, e tutto il Nuovo testamento a memoria. Quindi uno si dedicava prima d’entrare a imparare i centocinquanta salmi e a imparare tutto il Nuovo Testamento a memoria: non essendoci libri salmeggiavano a memoria. Abbiamo S. Pacomio, S. Macario che noi conosciamo perché è compatrono della parrocchia; ci sono due S. Macario, S. Macario il vecchio e S. Macario il giovane; il giovane è famoso per le sue penitenze, anche strane: raccontano che per un’intera quaresima è stato sempre in piedi senza tralasciare la preghiera e il lavoro e mangiava solo una volta alla settimana, la domenica, delle foglie di cavolo crude; raccontano i biografi che aveva solo un vestito di pelle di capra e ha sempre indossato quel vestito: lo rovesciava quando veniva la Pasqua. Certo, se è vero, siamo nel campo delle stranezze, esagerazioni, comunque la sua figura molto elevata. 2. Esagerarono molto di più, se così si può dire, i monaci dell’Asia minore, soprattutto i siriaci. Gli orientali hanno quelle forme anche adesso, anche fuori dalla religione cristiana. Qui abbiamo gli stiliti, quelli che si mettevano su una colonna: S. Simone stilita rimase sul Bosforo trentasette anni sempre in piedi, sempre fermo là sulla colonna. Si appoggiava per quel poco di riposo che si prendeva. Il vescovo gli diede poi l’ordine, per obbedienza, di scendere e non riuscì più a piegare le ginocchia. Aveva un apostolato strano perché rimaneva sulla colonna, esempio di austerità: venivano a lui da tutte le parti e lui per gran parte del giorno non faceva che predicare alla gente che veniva da lui. Abbiamo altre forme strane: c’erano i dendriti che vivevano sugli alberi, c’erano quelli che esercitavano il monachesimo camminando e predicando e si cibavano solo dell’erba che trovavano lungo i fossi. Sono forme che sanno dell’orientale, per noi sono strane. Dobbiamo ammirare la virtù anche se la forma certo non possiamo non solo provarla, ma anche presentarla a certa gente, perché indubbiamente tra i monaci veri e autentici c’erano anche dei fanatici, degli esasperati, degli esagerati. E’ un fenomeno che interessò l’Oriente nel 300, nel 400 e nel 500; le invasioni che vennero, le prime dei Persiani fino agli Arabi, fecero finire tutto. Questi monaci tante volte facevano delle cose buone, a volte cose meno buone, parteggiavano per chi lo meritava e, a volte, per chi non lo meritava, ma quando si parla di fenomeni di massa (si calcola che in Egitto nel V secolo ci fossero solo in alta Nitria più di centomila monaci e poi c’erano anche i monasteri femminili) si sa che questi contengono del buono e del meno buono, questo lo si sa. C’erano dei monaci come un monaco chiamato Mosè il Nero: prima era il capo di una banda di briganti, poi si convertì e diventò monaco e poi capo di monaci; una notte che era solo nella sua cella quattro banditi lo assaltano, ma lui si ricordò delle sue antiche “glorie”, li atterrò tutti e quattro, li mise in ginocchio, fece loro la predica e disse loro che dovevano diventare monaci: e li rese monaci! Quando il monachesimo passerà in Occidente come fenomeno di massa, avremo tutta un’altra fisionomia: allora sorgerà Benedetto di Norcia e il monachesimo sarà una cosa molto equilibrata, molto armonica, anzi, saranno condannate quelle esagerazioni. Benedetto non voleva nel monastero dei fanatici, degli esagerati. Ma vedremo in seguito il monachesimo d’Occidente e quello che è chiamato il patriarca d’Occidente, cioè Benedetto di Norcia. Certo questo fenomeno del monachesimo derivava in parte da un desiderio sano d’incontro con Dio, in parte da uno stancarsi di essere nella società d’allora che era molto corrotta, molto “garrula” (garrulo vuol dire uno che parla molto e scende a molti sofismi), anche la stanchezza tra queste lotte tra cattolici e eretici, ma anche da motivi meno nobili. Dobbiamo vedere la linea che c’era di bene e dobbiamo anche saper vedere quello che era meno confacente, linee che indubbiamente si sono mescolate. Nel clima di allora queste forme violente d’ascesi erano viste bene. Certo si esponevano molte volte a dei grandi pericoli, soprattutto perché molte volte non avevano l’assistenza del sacerdote, l’assistenza della Chiesa, erano iniziative proprie per cui avevano sì la preghiera e i salmi, ma non avevano l’Eucarestia ecc. Il fenomeno non era di sacerdoti, ma di laici, anzi nei monasteri antichi, anche di S. Benedetto, non ne volevano sapere di preti perché dicevano che se fosse andato da loro un prete avrebbe voluto comandare, avrebbe voluto avere un posto di privilegio; quei monaci che stavano vicino a dei paesi andavano a prendere il prete solo per la liturgia. Il monachesimo è un fenomeno tipicamente laico e non tanto un fenomeno individuale ma collettivo, di massa. Recarono del bene? Indubbiamente tanto: infatti ho citato dei santi e questi santi emergevano tra migliaia e migliaia di altri che potevano essere bravi ma che non emergevano. Indubbiamente al mondo di allora diedero una testimonianza che mi pare sia questa: i valori dello spirito sono superiori a tutti i valori, i valori del servizio a Dio (come lo chiamavano loro “la milizia cristiana”), del combattimento cristiano. E’ un esempio di cui abbiamo bisogno anche noi, per cui avremmo bisogno anche noi di molti testimoni dello spirito, con forme adatte ai nostri tempi, quindi in forme assolutamente diverse: avremmo bisogno dei testimoni dello spirito che, con la vita economica nella società consumistica in cui tutto è misurato col denaro, con l’oro, coi beni, proclamassero il valore assolutamente più importante della vita nello spirito, dei valori dello spirito, della ricerca dello spirito. Adesso non abbiamo più un movimento di massa, però voi vedete anche adesso che l’ordine religioso che riscuote più consensi, l’unico ordine religioso che non conosce crisi di vocazioni, è proprio quello dei piccoli fratelli di Carlo di Focault, che hanno delle forme molto rigide di vita. Il fratelli Carlo di Gesù lo conoscete, vero? Era eremita nel Sahara, in mezzo ai tuareg, nel sud del Marocco. Carlo di Focault fu ucciso, dopo anni e anni di vita penitente nel deserto, nel 1917 da un comune ladro e sembrò che la sua testimonianza, la testimonianza della sua forte personalità, fosse terminata. Invece, dopo la prima guerra mondiale, uno ne prese il messaggio e fondò i piccoli fratelli di Carlo di Focault e le piccole sorelle, che vivono una vita penitente e di testimonianza. Sono molto numerosi e non predicano, non fanno un apostolato diretto: loro vanno con i più poveri, i più disgraziati e ne condividono la vita. Quindi sono nelle bidonville, sono con tutti quelli che vivono una vita grama e vivono la vita con loro e danno una testimonianza di un cristianesimo che aiuta, che capisce, di un cristianesimo che condivide.

CODICE 82C4A103
LUOGO E DATA Sant’Ilario d’Enza 05/03/1982
OCCASIONE Adunanza
DESTINATARIO Gruppo S. Giovanni Bosco
ORIGINE Registrazione
ARGOMENTI Storia della Chiesa IV e V secolo S. Giovanni Crisostomo La diffusione del monachesimo in oriente
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