Proseguiamo nella nostra narrazione. Andiamo ad una delle persecuzioni più vaste e più letali anche per le sue conseguenze: la persecuzione indetta dall’imperatore Traiano Decio, che rimase poco tempo, due anni tra il 249 e il 251, ma il decreto fu terribile. Un cristiano era condannato perché cristiano, un cristiano doveva scegliere tra la prigione, la confisca dei beni ed eventualmente la morte e abiurare il cristianesimo. Dicevo una persecuzione universale, attuata con dei metodi applicati con molta astuzia e senza possibilità, sembrava, di evasione. Per esempio, i cristiani che andavano al mercato dovevano fare un gesto d’idolatria, buttare dei granelli d’incenso davanti alla statua di un idolo, mangiare della carne sacrificata agli idoli. Sicché la persecuzione colpiva tutti, tutta la popolazione. Perciò diventava quanto mai esiziale. Colpendo così la generalità della popolazione, si ebbero molte cadute, soprattutto tra i ricchi, perché se non si finiva uccisi, si languiva in prigioni orribili e tutti i beni passavano al fisco, si era ridotti alla fame. Se un cristiano cedeva, gli veniva rilasciata una dichiarazione, chiamata “libellus”: perciò i cristiani caduti venivano chiamati libellatici, quelli che avevano accettato l’omaggio agli idoli. Anche allora c’erano i furbi, cioè quelli che non sacrificavano agli dei, ma pagavano per aver la dichiarazione d’aver sacrificato. C’erano quelli che compravano i giudici per avere assoluzioni senza rinnegare la fede. Quando finì la persecuzione, o almeno quando s’attenuò, la Chiesa si trovava di fronte a un grave problema: tutti quelli che erano caduti chiedevano di rientrare nella Chiesa. Si potevano riammettere? A che condizioni si potevano riammettere? In questo momento la Chiesa si divise tra i rigoristi e quelli che inclinavano all’indulgenza. C’era il rigorista che diceva “mai, mai più: caduti, neanche se fanno penitenza tutta la vita. Li giudicherà Dio, ma sarà difficile che si salvino.”. C’era chi diceva: “In fondo per tutta la vita no: imponiamo, per esempio, dieci anni di penitenza. Staranno fuori dall’assemblea, digiuneranno, ecc., ma poi riammettiamoli”. C’erano quelli che dicevano: “no, tanta penitenza no…”. E’ inutile che esemplifichi tutte le gradazioni che erano allora presenti. In Africa prendeva notevole posizione il vescovo che abbiamo citato anche l’altra volta, S. Cipriano di Cartagine, il quale era un rigorista moderato, un rigorista che voleva qualche penitenza, ma senza esagerare. Ebbe contro l’altra corrente che divenne fortissima, di quelli che volevano riammetterli a buon titolo, soprattutto perché era valsa la consuetudine che quando un cristiano aveva subito il martirio, si trovava in prigione, ecc. se faceva una dichiarazione: “il tale venga ammesso” in un certo senso si diceva che il martire copriva il peccato perché lui era testimone. Andò a finire che questi estorcevano ai martiri i biglietti e i biglietti si moltiplicarono, si camuffarono. Sicché la Chiesa d’Africa subì uno scisma, una divisione tra i rigoristi moderati, rappresentati dal vescovo Cipriano, e questi lassi. Viceversa succedeva a Roma dov’era Papa Stefano. Stefano era pressappoco nelle posizioni di Cipriano, ingiungeva la penitenza e poi li riammetteva. C’erano preti, vescovi, ecc. che avevano abiurato e che chiesero di essere riammessi. Una corrente rigorista all’estremo si ribellò contro il Papa: fu uno dei primi casi di un antipapa. I rigoristi elessero un antipapa: Novaziano. La Chiesa, piena di ferite per la persecuzione, di morti, di tragedie, si trovò spaccata sia nell’Africa settentrionale che a Roma e così via nelle altre città. Sotto Decio c’erano stati dei martiri illustri, dei martiri che avevano resistito anche a dei tormenti gravissimi. In questo periodo i martiri venivano flagellati, torturati e poi, pieni di sangue li spalmavano di miele e li lasciavano mangiare dalle vespe, pezzettino per pezzettino: un martirio terribile; oppure martiri che avevano superato la tentazione: dopo averli castigati o dopo aver tentato di illuderli, cercavano di corromperli con i costumi. In questo tempo c’è stato un martire, che restò famoso, che fu condotto a denigrarsi pagando una donna: siccome lo avevano legato e non poteva difendersi, si tagliò la lingua con i denti e gliela sputò in faccia. Esempi magnifici. Ma abbiamo questo movimento doloroso di scissione che si protrasse un po’ nel tempo. E quando Valeriano, pochi anni dopo, mi pare nel 257, attizzò di nuovo la persecuzione, trovò la Chiesa molto sofferente, perché la divisione fa soffrire di più di quello che è il martirio del sangue, di quella che è la testimonianza della morte. Però la Chiesa riuscì, proprio per i meriti dei suoi martiri (sotto Valeriano ricordiamo il martirio di un santo che ricordiamo spesso come martire dell’Eucarestia, S. Tarcisio), la Chiesa ebbe la forza di riunirsi, di dare testimonianza, di vincere, evidentemente al di sopra di tutta la miseria degli uomini, di tanti uomini. In questa persecuzione, abbiamo detto, molti preti e vescovi cedettero: la Chiesa, animata dal soffio dello Spirito, seppe resistere. Però un’altra tempesta (continue queste tempeste: persecuzioni, scismi, eresie…): un’altra ondata di travaglio in questo secolo l’abbiamo con una questione importantissima, la questione del Battesimo. Valeva il Battesimo dato dagli eretici? Se un eretico battezzava molta gente, come ci si doveva comportare con questa gente ritornata alla Chiesa? Bisognava battezzarla o no? Il problema era più grosso di quello che non sembra, perché non era la questione semplicemente disciplinare, ammettere o non ammettere nella Chiesa, ammettere sotto determinate condizioni o sotto altre condizioni: qui si trattava di un aspetto gravissimo (che vedremo poi in seguito che sarà ripreso da degli altri: i donatisti). Si delinearono subito due linee: l’atteggiamento di Roma, dove c’era Papa Stefano e l’atteggiamento delle chiese dell’Africa del nord. L’Africa del nord diceva: lo Spirito Santo governa la Chiesa di Dio. Ora, gli eretici non possiedono lo Spirito Santo e come possono darlo? Quindi i vescovi dell’Africa del nord fecero un Concilio e decretarono che era necessario ripetere tutte le volte il Battesimo e questo perché sicuramente il Battesimo dato dagli eretici non era valido. Papa Stefano a Roma diceva: no, il Battesimo dato validamente non si deve più ripetere. Quand’è che è valido il Battesimo? E’ valido quando è dato come ci ha insegnato Gesù Cristo a darlo: dev’essere dato nel nome di Gesù e dev’essere dato con la formula prescritta da Gesù. Ricordate il Vangelo, quando Gesù manda gli apostoli e dice: “Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura, battezzatele nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Papa Stefano diceva: se gli eretici non credono nella Trinità e non danno il Battesimo con la formula data da Gesù, il Battesimo è sicuramente invalido; se invece credono nella santissima Trinità e il Battesimo è dato come ci ha insegnato Gesù, il Battesimo è valido e non si deve ripetere. Era la risposta giusta, la risposta che interpretava il Vangelo. Pensate adesso se dipendesse dal ministro la validità del sacramento: se vai a Messa e il prete che consacra è in peccato mortale la consacrazione non vale? Se ti vai a confessare e il sacerdote che ti assolve è in peccato mortale non vale la confessione? Se tu ti battezzi e il prete che ti battezza non è in grazia di Dio il tuo battesimo non vale? Ecco perché, poi vedremo, i donatisti si facevano battezzare un numero infinito di volte, anzi, ci sono degli episodi che sono addirittura orripilanti: prendevano un prete, lo bastonavano ben a modo e gli dicevano: “dì l’atto di dolore: sei pentito adesso dei tuoi peccati?” e il povero prete “sì, sì”, “allora adesso battezzami”. In qualunque maniera resterebbe sempre il dubbio, per cui non sai se sei battezzato, se sei assolto, non sai se veramente quella è l’Eucarestia: sarebbe proprio il contrario del pensiero di Gesù che ci voleva sicuri e sereni nella sua Chiesa, perché la Chiesa è data per la salvezza. Ma il Papa Stefano e poi il suo successore Cornelio dovettero tribolare molto, sia per i rigoristi di Roma, sia per i vescovi caparbi d’Africa, dalla cervice molto dura e ferrea. In fondo non fu una questione piccola perché si trascinò: soprattutto in Africa si trascinò per oltre un secolo, perché i donatisti li troviamo ai tempi di S. Agostino e S. Agostino scrive contro di loro. S. Agostino è morto nel 430 e capite come l’eresia, più o meno sopita o accesa, covò nella cenere finché poi esplose, trovando un tipo più deciso degli altri che la fece esplodere. Vorrei fermarmi un momento su questa realtà vera della Chiesa. La Chiesa nella sua efficacia non dipende dagli uomini. La Chiesa è santa nonostante che noi siamo peccatori, lo Spirito di Dio agisce nella Chiesa nonostante i ripetuti peccati e errori degli uomini. Vi ricordate nella lettera agli Efesini, una bella pagina di S. Paolo quando dice che “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, perché fosse immacolata senza neanche una ruga (S. Paolo se la vedeva vicina la Chiesa giovane e bella che sorgeva), senza una macchia, perché Cristo ha dato il suo sangue, ha dato se stesso, si è immolato per la Chiesa”. L’immolazione di Cristo, Figlio di Dio, ha procurato alla Chiesa di poter essere così. Nella lettera ai Corinzi S. Paolo diceva, rimproverandoli per le divisioni che avevano tra di loro dicendo d’essere di Pietro, o di Apollo, o di Paolo: in sostanza dice che erano pazzi, perché è Cristo che battezza, è proprio Lui. E’ proprio l’insegnamento grande dell’opera della Chiesa e dei sacramenti. La Chiesa dà la verità e non la sua verità, dà la verità del Vangelo e non dipende dagli uomini che leggono e proclamano il Vangelo il valore di quello che leggono, non dipende da chi legge e mette la voce: è Cristo che parla nella sua Chiesa. E’ un concetto che poi è ripreso nella Sacrosantum Concilium, quando si parla della presenza di Cristo nella Chiesa: Cristo è presente nella Chiesa sempre, secondo la sua promessa, è presente nella Parola, nel ministro, nell’Eucarestia, ecc., perché la Chiesa è stata fatta da Cristo suo corpo, suo prolungamento. Perciò chi è con Cristo è santo e chi è nella Chiesa è peccatore non dà del suo, ma dà di Cristo: quindi chi dà la Parola la dà prescindendo dalla propria vita. Certo, è motivo di vergogna e noi siamo sempre pieni di vergogna, noi che predichiamo sempre, perché rischiamo, e il rischio è perenne, di essere come i cartelli stradali che indicano la via e loro stanno sempre fermi. Noi che predichiamo, lo sapete bene, facciamo fatica ogni volta che predichiamo, proprio perché vorremmo poter tradurre quella Parola che diciamo e la dovremmo e la potremmo tradurre, ma i nostri peccati sono quelli che ci fermano. Però la Parola che trasmettiamo è la Parola sua e non la nostra. Per cui, quando si ascolta nella Chiesa la Parola, anche se detta da un prete scalcinato, è la Parola, è la sua, è la sua indefettibile e santissima Parola e quando diamo i sacramenti è la stessa cosa. Tu col sacramento verifichi una condizione. Ci vogliono tre condizioni per il sacramento: che ci sia la materia, che ci sia il ministro e che ci sia la formula. Materia, formula e tu fai da ministro e tu, quando hai compiuto quello che ha insegnato Gesù, tu hai dato, indipendentemente da te. Uguale ragionamento, evidentemente, è per chi lo riceve: il sacramento non dipende dai meriti di chi lo riceve. Chi lo riceve però può impedire che entri in lui la grazia. Questi sono i principi teologici. Ma voi mi direte: sì, però tante volte l’efficacia del ministero del sacerdote e dei laici evangelisti che catechizzano dipende dal loro buon esempio. E’ vero. Noi assistiamo a un vecchio anticlericalismo: molti ce l’hanno con i preti. L’anticlericalismo in Italia ha un certo retroterra. Da che cosa deriva questo anticlericalismo? La storia la sapete anche voi: c’è tutto un movimento del secolo scorso, le nostre condizioni politiche iniziate nel secolo scorso, la questione dell’unità d’Italia, dello stato Pontificio. Ci sono stati fatti molto gravi che hanno inciso nel nostro popolo e nelle tradizioni del nostro popolo. Certo, questo anticlericalismo indubbiamente ha avuto anche una matrice in un certo cattivo esempio che possiamo aver dato o perché troppo attaccati ai beni materiali o perché altri difetti e vizi ci hanno posto in queste condizioni. E’ però una cosa ancora diffusa, troppo diffusa: si parla contro i preti, si dicono cose calunniose, di scandalo, ecc. Vorremmo discutere insieme come questo anticlericalismo dovrebbe essere superato, o almeno circoscritto.
CODICE | 82ANA103 |
LUOGO E DATA | Sant’Ilario d’Enza 22/01/1982 |
OCCASIONE | Adunanza |
DESTINATARIO | Gruppo S. Giovanni Bosco |
ORIGINE | Registrazione |
ARGOMENTI | Storia della Chiesa III secolo |
© 2022 Movimento Familiaris Consortio | Via Franchetti, 2 42020 Borzano (RE) | info@familiarisconsortio.org |Privacy Policy | COOKIE POLICY | SITEMAP | CREDITS